Domanda: che cosa rappresenta, che cosa significa il libro dai sette sigilli dell’Apocalisse? L’interrogativo in questione ha fatto versare fiumi d’inchiostro. Prima di provare a rispondere alla predetta domanda, vorrei però introdurre nelle nostre riflessioni un personaggio nuovo, di cui non mi risulta si sia mai parlato qui in Italia. Si tratta di Josephine Massyngbaerde Ford. Ford (1928-2015), è stata professore emerito di teologia all’Università (cattolica) di Notre Dame nell’Indiana (Stati Uniti), nella quale ha insegnato per 33 anni (dal 1965 al 1998) e nella quale è stata la prima donna a venire nominata professore di ruolo[1].
Perché la ricordiamo? Perché nei primi anni Settanta, la professoressa Ford ebbe un’intuizione geniale: a quanto mi risulta, è stata la prima studiosa a ipotizzare che il libro menzionato da Giovanni nell’Apocalisse sia un certificato di divorzio. Il divorzio con il quale Dio ripudia la Gerusalemme terrena, la Gerusalemme infedele, per sposare la Gerusalemme celeste.
L’intuizione della prof. Ford è stata ripresa e rilanciata in anni più recenti dal dr. Kenneth Gentry, uno studioso di cui ci siamo più volte occupati. La trattazione al riguardo di Gentry occupa le pagine 553-582 (“Redemptive-Historical Excursus 6 – The Scroll as a Divorce Certificate”, “Il rotolo in quanto certificato di divorzio”) del primo volume della sua ultima fatica, il grande commento all’Apocalisse in due volumi intitolato appunto “The Divorce of Israel” (“Il divorzio da Israele”).
Quella di Dio che “divorzia” da Israele è ovviamente una metafora, ma una metafora che ha solide radici bibliche: è nella Bibbia infatti che il rapporto tra Dio e la sua nazione prediletta Israele viene costantemente paragonato ad un matrimonio, ad uno sposalizio.
Scrive Gentry (pp. 554-555): “Aune parla della ‘analogia del patto tra Jahve e Israele e dei contratti matrimoniali, una metafora che si trova con particolare frequenza nei profeti’. Di conseguenza, il matrimonio compare lì come una metafora dominante che ritrae la relazione formale di Israele con Dio. Per esempio, l’Antico Testamento chiaramente dichiara: «Poiché tuo sposo è il tuo Creatore, “Jahve degli eserciti” è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato “Dio di tutta la terra”» (Isa 54, 5a). Anche la Terra è ritenuta “sposata” con Dio: “Nessuno ti dirà più «abbandonata», la tua terra non si chiamerà più «devastata», ma tu sarai chiamata «mio compiacimento in essa» e la tua terra «sposata» perché Jahve si compiacerà in te e la tua terra sarà sposata” (Isa 62, 4). In effetti, ‘il comando iniziale di Jahve al profeta stabilisce che la moglie di Osea, Gomer, rappresenti la terra di Israele. A Osea viene detto di sposare una donna di «prostituzioni» (1, 2), come segno che «la terra è totalmente infedele a Jahve»’ (Galambush 1992: 45)”.
Abbiamo appena visto che Gentry ha citato, tra gli altri, un versetto del profeta Osea. Leggiamolo. Osea 1, 2: “Principio della parola di Jahve in Osea. Jahve disse a Osea: «Va’, prenditi una moglie di prostituzione e figli di prostituzione, poiché il paese si è gravemente prostituito, abbandonando Jahve»”.
Così commenta il predetto versetto la Bibbia Garofalo:
“Invece di un’isolata azione simbolica, come per gli altri profeti, tutta la vita di Osea acquista significato profetico con il suo matrimonio, simbolo del comportamento del regno scismatico di Israele, che, servendo falsi dèi, si era prostituito secondo il linguaggio caro soprattutto ai profeti, come è ad essi consueto il titolo di sposa di Dio dato a Israele…”[2].
Anche secondo il famoso esegeta Giuseppe Ricciotti la relazione di Dio con Israele è paragonata ad uno sposalizio. Ecco come Ricciotti commenta proprio il libro del profeta Osea: “Fin dall’antichità si è disputato se le vicende matrimoniali del profeta, che sposa una donna scostumata, siano anche reali oltreché allegoriche: certo è ch’esse simboleggiano le infedeltà della nazione ebraica riguardo a Dio, che era considerato sposo di lei secondo l’antica tradizione (vedi l’introduzione al Cantico dei Cantici)”. Ed ecco cosa scrive Ricciotti nell’introduzione al Cantico dei Cantici: “Storicamente certo è che negli scritti dei Profeti si ricorre assai spesso a simboli matrimoniali e amorosi, per alludere alle relazioni tra Dio e la sua prediletta nazione d’Israele”[3].
Prosegue Gentry (p. 555): “Il più antico di questi riferimenti profetici al matrimonio divino si trova in Osea (ottavo secolo avanti Cristo). Egli ritrae Dio come il marito di Israele e Israele come la sua moglie infedele. Per esempio, in Osea 2, 9, leggiamo: ‘ella inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà; li cercherà ma non li troverà. E dirà: «Andrò e ritornerò al mio primo marito, perché mi trovavo meglio allora che adesso»’. Riguardo al futuro ritorno di Israele a Lui, Dio dichiara: ‘E ti farò mia sposa per sempre: ti farò mia sposa nella giustizia e nel giudizio, in amore e tenerezza: ti farò mia sposa fedele e tu riconoscerai Jahve’ (Osea 2, 21-22)”.
La metafora di Israele quale sposa di Dio viene sviluppata al massimo dal profeta Ezechiele. Ezechiele 16, 8 riflette sul matrimonio di Dio con Israele nel deserto: “Passai allora accanto a te e ti vidi. Era proprio il tuo tempo, il tempo degli amori: stesi su di te il lembo del mio mantello, coprendo la tua nudità, ti feci un giuramento, strinsi con te un patto – oracolo del Signore Jahve –e fosti mia”.
Nel profeta Geremia sono riscontrabili accenti analoghi:
“Così dice Jahve: «Mi ricordo di te, dell’affezione della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata»” (Geremia 2, 2).
Nel contesto in questione Dio si lamenta dell’infedeltà di Israele, notando che i suoi abitanti hanno infranto il suo patto. Un patto che –su questo la maggioranza degli studiosi concorda – venne stipulato da Dio con il suo popolo nel Sinai: (Geremia 2, 2; 31, 32; Osea 2, 14-15; cfr. 13, 4-5).
Essendo Dio “sposato” con Israele, nel Pentateuco leggiamo della “gelosia” di Jahve, un sentimento che è proprio solo di una relazione esclusiva come il matrimonio. Ezechiele menziona per ben otto volte la gelosia divina: Eze 5, 13; 8, 3, 5; 16, 38, 42; 23, 25; 36, 5; 38, 19. Tutto ciò è particolarmente significativo alla luce della preminenza della metafora matrimoniale in questa opera profetica. Leggiamo ad esempio gli eloquenti versetti di Ezechiele 23, 25-26:
“Farò di te (= Gerusalemme) l’oggetto della mia gelosia. Essi (= gli amanti di Gerusalemme), perciò, ti tratteranno con furore, ti strapperanno il naso e le orecchie e ciò che di te resterà cadrà di spada. Si impadroniranno dei tuoi figli e delle tue figlie e ciò che di te rimarrà sarà divorato dal fuoco. Ti spoglieranno delle vesti, si impadroniranno dei tuoi fulgidi gioielli”.
È possibile notare una somiglianza con i seguenti versetti dell’Apocalisse:
Apocalisse 17, 16: “E le dieci corna che vedesti, e la fiera, avranno in odio la prostituta, e la faranno deserta e nuda, e mangeranno le sue carni, e la bruceranno col fuoco”.
Giovanni nell’Apocalisse nomina la “prostituta”, e nell’Antico Testamento le infedeltà coniugali di Israele contro lo sposo Jahve vengono appunto definite come “prostituzioni”. Nel Deuteronomio, a Mosè viene detto da Dio che dopo che egli morirà, Israele si prostituirà: “Jahve disse a Mosè: «Ecco, stai per addormentarti con i tuoi padri. Questo popolo si solleverà per prostituirsi al seguito di dèi stranieri che sono in mezzo a essi, nella terra in cui sta per entrare; trascurerà me e infrangerà l’alleanza che ho sancito con lui” (Deuteronomio 31, 16). Chiosa Gentry (p. 560):
“Infatti, l’uso più comune di znh (“fare la prostituta”) nell’Antico Testamento è ‘infedeltà all’alleanza’ da parte di Israele”.
Ma le infedeltà (le “prostituzioni”) di Israele rispetto al patto coniugale con Dio non riguardano solo il peccato dell’idolatria ma anche, a quanto pare, i rapporti politici con le nazioni vicine. In Ezechiele 23, 5 e 9 gli assiri vengono chiamati “amanti”: “Ora Ohola [Samaria], mentre mi apparteneva, si prostituì; si innamorò perdutamente dei suoi amanti, gli Assiri suoi vicini” (Ezechiele 23, 5). In Osea 8, 9, Dio dice: “Perché essi stessi salirono ad Assur. L’onagro sta solitario: Efraim andò a offrire presenti agli amanti”. Lo stesso è probabilmente vero dell’”amore” in Geremia 2, 25, 33, perché in Geremia 2, 36 leggiamo: “Come ti sei resa vile nel cambiare le tue strade! Anche dall’Egitto riceverai confusione, come hai già ricevuto vergogna dall’Assiria”. Così, l’esegeta J. A. Thompson osserva: “In un certo numero di testi importanti nei profeti che si riferiscono agli ‘amanti’ di Israele, il riferimento è ad un coinvolgimento politico”[4].
Poiché la relazione di Dio con Israele è paragonata ad un matrimonio, la sua rottura corrisponde ad un divorzio. Quindi, tale rottura abbisogna di certi requisiti legali. Il profeta Isaia menziona al riguardo “la scritta di ripudio” (di Dio contro la sua sposa):
Isaia 50, 1: “Così dice Jahve: «Dove è la scritta di ripudio della vostra madre, con la quale l’avrei cacciata? Oppure chi è, fra i miei creditori, al quale vi abbia venduti? Ecco, per le vostre iniquità siete stati venduti, per le vostre scelleratezze è stata cacciata la vostra madre”.
La “scritta di ripudio” equivale evidentemente ad un divorzio. Anche il profeta Geremia la menziona:
Geremia 3, 6-9: “E il Signore mi disse nei giorni del re Josia: «Hai tu ben veduto ciò che fece la pervertita nazione di Israele? Si appartò sopra tutti i monti prominenti e sotto ogni pianta frondosa e ivi si diede alla fornicazione. E mentre faceva tutto questo, io dissi: Torna a me, ma essa non tornò. E Giuda, la sua perfida sorella potè vedere com’io, a causa che m’era stata infedele la pervertita Israele, l’avessi rimandata e le avessi dato il libello del ripudio; e cotesta perfidiosa di Giuda, sua sorella, non s’intimorì punto, anzi se andò e si diede anch’essa a fornicare”.
La legislazione veterotestamentaria prevede che il certificato di divorzio sia obbligatorio per ogni donna che è stata ripudiata:
Deuteronomio 24,1: “Se un uomo sposa una donna e si comporta con lei come marito: se questa non incontra più favore ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualcosa di indecente, scriverà per lei un atto di divorzio, glielo consegnerà in mano e la manderà via dalla propria casa”.
Questo principio è valido per analogia anche per Israele come sposa di Dio. Il ripudio di Israele da parte di Dio a causa delle sue prostituzioni veniva dunque annunciato dai profeti dell’Antico Testamento: costoro sono, da un certo punto di vista, i legali di Jahve. Il loro operato non ha solo un significato morale ma anche giuridico: i profeti citano in giudizio Israele a causa delle sue colpe. Questa valenza giuridica della missione dei profeti non sempre viene resa a dovere nelle traduzioni. Emerge però indubbiamente nelle traduzioni curate da Giuseppe Ricciotti. Leggiamone alcuni esempi:
Isaia 3, 13-14: “Il Signore sta in giudizio, sta pronto per giudicare i popoli. Il Signore verrà in giudizio contro gli anziani del suo popolo e contro i suoi principi: «Siete voi che avete depredata la mia vigna, e che le spoglie del povero ritenete nelle vostre case”.
Michea 6, 2: “Odano i monti la requisitoria del Signore e i solidi fondamenti della terra; perché il Signore intenta una causa contro il suo popolo”.
Osea 4, 1: “Ascoltate la parola del Signore, figli d’Israele, perché il Signore vuol contendere in giustizia cogli abitanti della terra”.
Geremia 2, 6-9: “E non dissero: Dov’è il Signore che ci fece salire dalla terra di Egitto e ci condusse attraverso il deserto, per una terra inabitabile e impervia, per una terra riarsa di sete, immagine della morte, per una terra dove uomo non passa, e non vi abita anima viva! Io vi introdussi in una terra che è un giardino, affinché mangiaste i suoi frutti e le sue squisitezze; e voi entrati avete profanato la mia terra e reso la mia eredità un’abominazione. I sacerdoti non dissero: Dov’è il Signore? E quelli che hanno la legge in mano mi hanno misconosciuto, i pastori hanno prevaricato contro di me, e i profeti hanno profetato in nome di Baal e si sono fatti seguaci degli idoli. Per questo, ancora contenderò in giudizio con voi, e coi figli vostri farò querela”.
Leggiamo in Geremia e in Ezechiele che le colpe di Israele provocano l’ira di Dio, che decide di punire la nazione un tempo prediletta. Questa punizione prevede l’esilio degli “abitanti della terra” e la distruzione dello stesso tempio, la “casa del Signore”. Vi sono diversi passi nella Bibbia che prevedono la rovina del tempio a causa della disubbidienza degli israeliti:
1 Re 9, 6-8: “Se però voi e i vostri figli vi allontanerete da me e non osserverete i comandamenti e gli statuti che vi ho proposto, ma andrete a servire gli dèi stranieri e li adorerete, io scalzerò Israele dalla faccia della terra che gli ho dato e rigetterò dal mio cospetto lo stesso tempio che ho consacrato al mio nome, così che Israele diventi la favola e lo zimbello fra tutti i popoli. Questo tempio diventerà un mucchio di rovine; chiunque vi passerà accanto rimarrà stupefatto e si metterà a fischiare, domandandosi: «Perché Jahve ha agito in questo modo nei riguardi di questa terra e di questo tempio?»”.
Geremia 22, 5: “Ma se non darete ascolto a queste parole, per me stesso lo giuro, dice il Signore, questa casa sarà ridotta in una solitudine”.
Lamentazioni 2, 7: “Il Signore rigettò il suo altare, maledisse il suo santuario; consegnò in mano ai nemici le mura delle sue torri; alzarono voci nella casa del Signore, come in un dì solenne”.
Michea 3, 12: “Per questo, in causa vostra, Sion sarà arata, come un campo; e Gerusalemme diventerà un cumulo di rovine; e il monte del tempio, un’altura inselvatichita”.
La metafora sponsale per descrivere la relazione tra Dio e i suoi fedeli compare anche nel Nuovo Testamento: nei sinottici, negli scritti di Giovanni, nell’Apocalisse e in Paolo.
Leggiamo dal Vangelo di Marco i versetti 2, 18-20:
“I discepoli di Giovanni e i farisei facevano un digiuno e vennero a dire a Gesù: «Per quale ragione i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano e i tuoi discepoli no?». Gesù rispose loro: «Possono forse gli invitati alle nozze digiunare mentre lo sposo è con loro? Fino a quando hanno con loro lo sposo non possono digiunare. Verranno però i giorni in cui sarà loro tolto lo sposo e allora, in quel giorno, digiuneranno”.
Secondo Gentry (p. 570), qui Gesù identifica sé stesso con lo sposo delle profezie veterotestamentarie. Anche San Giovanni il Battista definisce Gesù come “sposo” (sposo del popolo della Nuova Alleanza che è la Chiesa):
Giovanni 3, 27-29: “Giovanni rispose: «Nessuno può prendere nulla se non gli è stato dato dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: non sono io il Messia, ma sono stato mandato innanzi a lui. Chi ha la sposa è lo sposo, ma l’amico dello sposo, che l’assiste e l’ascolta, è felice alla voce dello sposo. Questa dunque è la mia gioia, ed è giunta al colmo. Lui deve crescere, io diminuire»”.
La metafora dello sposalizio riappare nella parabola delle nozze reali (Matteo 22, 1-14): qui, gli invitati alle nozze che rifiutano l’invito (e che uccidono gli inviati del re) sono gli ebrei del primo secolo che hanno rifiutato Cristo e che ne hanno addirittura voluto la morte. Nella parabola in questione Gesù afferma che “Molti infatti sono chiamati, ma pochi gli eletti”. In questa frase è chiaramente prevista la formazione di un resto di Israele, una minoranza di ebrei che crederà al messaggio di salvezza annunciato da Cristo. Sono i 144.000 salvati dei capitoli 7 e 14 dell’Apocalisse. Quelli che si contrappongono all’Israele “adultero” (Mt 12, 38-39; 16, 4; Mc 8, 38) e alla detestabile prostituta (Ap 17).
Dunque, al Dio sposo geloso di Israele nell’Antico Testamento, corrisponde Gesù quale sposo della Chiesa nel Nuovo Testamento. Il matrimonio della Nuova Alleanza viene celebrato nel capitolo 21 dell’Apocalisse, in cui la Gerusalemme celeste diviene la sposa dell’Agnello. Ma prima di tale sposalizio avviene la condanna ed il ripudio di Babilonia la prostituta, una definizione che nell’Apocalisse, secondo l’esegesi che ritengo più convincente, sta ad indicare la Gerusalemme terrena. Questa opposizione tra la Gerusalemme terrena e la Gerusalemme celeste la ritroviamo già nella Lettera ai Galati di San Paolo:
“quelle donne rappresentano le due alleanze; la prima proviene dal monte Sinai e genera per la schiavitù: ed è Agar – poiché il monte Sinai si trova in Arabia – e corrisponde alla Gerusalemme attuale, la quale è appunto schiava insieme con i suoi figli. La Gerusalemme di lassù, all’opposto, è libera ed è madre nostra… Che dice però la Scrittura? Scaccia la schiava e suo figlio, poiché il figlio della schiava non deve spartire l’eredità insieme col figlio della moglie libera” (Galati 4, 24-30).
Nell’Antico Testamento il ripudio della Gerusalemme terrena da parte di Dio (come è stato descritto dai profeti) fu provvisorio. Osserva a tal proposito Giuseppe Ricciotti, commentando Isaia 50, 1:
“Il Signore ha temporaneamente mandato in esilio la sua nazione prediletta a cagione dei peccati di lei, come sposo sdegnato contro la sposa, ma non le ha dato il definitivo libello del ripudio (Deuteronomio, 24, 1-4). Così pure non ha affatto venduto i suoi figli”.
Nell’Apocalisse, invece, il ripudio della nazione ebraica, a causa del deicidio, diventa definitivo. Questo ripudio si realizza storicamente nell’Anno Domini 70, con la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio da parte delle truppe romane. Ma tale ripudio viene anticipato dall’Apocalisse. Secondo esegeti quali Kenneth Gentry e Josephine Massyngbaerde Ford, nel testo di Giovanni il libro dai sette sigilli che viene aperto dall’Agnello sta appunto ad indicare il certificato con cui Dio divorzia dalla nazione ebraica e la abbandona alla rovina. Secondo Gentry, l’Apocalisse è un dramma forense, in quanto descrive il processo con il quale Dio giudica e condanna l’antico Israele:
“Chiaramente ‘in Israele sembra che fosse necessario un qualche tipo di documento scritto’ per effettuare il divorzio, e questo richiedeva formali procedimenti giudiziari e testimoni appropriati (come dimostra la Mishnah, Gittin). Di conseguenza, credo che l’approccio (originale) di Ford sia generalmente corretto: ‘i motivi della sposa e dell’adultera nell’Apocalisse… indicano un tale rotolo. Potrebbe facilmente essere un atto di divorzio; l’Agnello divorzia dalla Gerusalemme infedele e sposa la nuova Gerusalemme (Ford 93)”[5].
Penso sia significativo che, dopo oltre mezzo secolo, Gentry riporti le predette parole della professoressa Ford: mi sembra che tutto ciò costituisca un giusto riconoscimento ad una studiosa di valore.
[1] https://eu.southbendtribune.com/story/news/local/2015/05/21/first-tenured-woman-professor-dies-at-86/46617967/
[2] La Sacra Bibbia – tradotta dai testi originali e commentata, a cura e sotto la direzione di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti 1966.
[3] La Sacra Bibbia, introduzioni e note di Giuseppe Ricciotti, Vol. I, Salani Editore, 1991.
[4] Citato in: Kenneth Gentry, op. cit., p. 562.
[5] Kenneth Gentry, op. cit., p. 582.
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