Nell’Apocalisse di Giovanni c’è un’espressione che ricorre in modo significativo: gli “abitanti della terra”. In particolare, ecco come si esprime Giovanni nei versetti 6, 9-10:
“E quando aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare dei sacrifici le anime di quelli per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano. E gridarono a gran voce dicendo: Fino a quando, tu che sei il sovrano, il santo e veritiero, non giudichi e vendichi il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra?”[1].
Chi sono dunque gli “abitanti della terra”? Dal recente commento all’Apocalisse di Kenneth Gentry apprendiamo che “La maggior parte dei commentatori interpreta questa frase ‘come una designazione semitecnica per la razza umana nella sua ostilità a Dio’ (Mounce; cfr. Beale; Kistemaker; Keener; Smalley; Osborne; Boxall)”[2].
Dunque, secondo la maggior parte degli esegeti, l’espressione in questione ha un significato onnicomprensivo (la razza umana nella sua totalità). Ma le cose stanno veramente così? Abbiamo visto a suo tempo come, sempre nell’Apocalisse, l’espressione “i re della terra” non abbia un significato globale bensì locale, per designare le autorità religiose giudaiche del primo secolo dell’era cristiana. Secondo Gentry, anche l’espressione “gli abitanti della terra” ha un significato locale: anche questo è un riferimento agli ebrei che abitavano la Palestina. L’opinione di Gentry è sicuramente minoritaria ma è stata sostenuta da alcuni studiosi ben noti nel mondo anglosassone, sia ottocenteschi (ad esempio, Moses Stuart e James Stuart Russell) che novecenteschi (R. H. Charles, Alan Beagley e Josephine Massyngberde Ford). Tale esegesi a me sembra interessante: seguirò quindi il percorso del ragionamento di Gentry.
L’espressione “gli abitanti della terra” ricorre, sempre nell’Apocalisse, già nel versetto 3, 10:
“Poiché hai conservato la parola della mia perseveranza, anch’io ti conserverò dall’ora della prova, quella che sta per giungere sul mondo intero, per mettere alla prova quelli che abitano sulla terra”.
Secondo l’esegeta F. J. A Hort, tale espressione deriva da Osea 4, 1 (nella versione della Settanta). Nel passo di Osea si parla della ribelle Israele:
“Ascoltate la parola del Signore, figli di Israele: il Signore ha un contenzioso con quanti popolano la terra [tous katoikountas tēn gēn], poiché non c’è verità né misericordia né conoscenza di Dio sulla terra [epi tēs gēs]”[3].
L’espressione ricorre anche in altri profeti biblici, dove si parla sempre di Gerusalemme, di Giuda o di Israele. Leggiamo alcuni di questi brani:
Geremia 1, 14: “E il Signore mi disse: «Dal settentrione si riverserà il male sopra tutti gli abitatori della terra!»”.
Geremia 6, 12: “E le loro abitazioni passeranno ad altri, i poderi e le mogli del pari, perché io stenderò la mia mano sopra gli abitatori di questa terra, dice il Signore”.
Geremia 10, 18: “così dice il Signore: «Ecco questa è la volta che io sbalestrerò lontano gli abitatori di questa terra e li vesserò tanto che ritrovino sé stessi»”.
Ezechiele 7, 7: “Una catastrofe viene sopra di te, o abitatore della terra; il tempo viene, vicino è il giorno del fragor della mischia e non delle ovazioni su pei monti!”.
Gioele 1, 2: “Ascoltate, questo, o vecchi, porgete orecchio tutti voi, abitanti della terra, se un fatto simile è mai avvenuto ai vostri giorni o ai giorni dei padri vostri!”.
Gioele 1, 14-15: “Indite il digiuno santo, convocate la radunanza, riunite gli anziani, tutti gli abitanti del paese nella casa del vostro Dio e gridate: Ahi, in quel giorno! Perché il giorno del Signore è vicino e verrà quale la devastazione di colui che tutto può”.
Gioele 2, 1: “Sonate la tromba in Sion, urlate sul mio santo monte! Si riscuotano tutti gli abitanti del paese, perché il giorno del Signore viene, perché è vicino!”.
Sofonia 1, 18: “Ma, né il loro argento, né il loro oro potrà scamparli nel giorno d’ira del Signore; tutta la terra sarà consumata dall’ardore dell’animo suo ingelosito, perché farà uno sterminio completo e repentino di tutti gli abitanti della terra”.
Zaccaria 11, 6: “Anch’io non avrò compassione per gli abitanti di questa terra, dice il Signore: ecco che io lascerò gli uomini in balìa gli uni degli altri e in potere del loro re, e percoteranno la terra e non li strapperò alle loro proprie mani”[4].
Prosegue Gentry (p. 641): “Così vediamo come l’espressione “abitante della terra” parli di persone nella Terra, cioè la Terra Promessa. Contro coloro che interpretano questa espressione in senso lato per indicare le persone di tutto il mondo, Penley nota che la fraseologia simile nella LXX “si riferisce costantemente a una specifica regione di terra in cui vive una tribù o un gruppo di persone… La regione di terra potrebbe essere grande quanto Canaan o piccola quanto una singola città”. Egli fa notare infatti che ventidue volte queste due parole (gē e katoikia) compaiono anche con la preposizione epi (come in Ap e Lc 21, 35): Genesi 47, 27; Levitico 18, 3; 20, 22; 25, 10, 18, 19; 26, 5; Numeri 13, 32; 14, 14; 33, 55; 35, 32, 34; Deuteronomio 2, 20; 12, 10; 17, 14; 26, 1; 30, 20; Giosuè 9, 24; 22, 3; 24, 15; 1 Re 8, 27 e 2 Cronache 6, 18)”. Solo in due di questi casi (Genesi 47, 27 e Levitico 18, 3) si applica a un luogo diverso dalla Terra Promessa, ma lì si parla comunque degli ebrei che vivevano in Egitto. Così le fonti veterotestamentarie dell’espressione “abitanti della terra” si riferiscono prevalentemente alla Terra Promessa e agli Ebrei che ne sono gli abitanti.
Questo sembra essere il modo in cui anche Giovanni impiega tale espressione. Scrive Gentry (p. 642): “Delle dodici apparizioni di gē legate a katoikia nell’Apocalisse, quattro si riferiscono chiaramente agli ebrei nella Terra d’Israele (3, 10; 6, 10; 11, 10 [2x]), due (13, 7-8 e 14, 6) sembrano fortemente riferirsi a Israele e due (17, 2, 8) potrebbero benissimo riferirvisi ugualmente”. Leggiamo allora i passi in questione. Cominciamo dai versetti che anche a me sembrano riferirsi chiaramente agli ebrei di Israele:
Apocalisse 11, 9-10: “E guardano dei popoli e tribù e lingue e genti il loro cadavere per tre giorni e mezzo e non lasciano che i loro cadaveri siano deposti in una tomba. E coloro che abitano sulla terra gioiscono su loro e si rallegrano e si porteranno doni gli uni agli altri, poiché questi due profeti tormentarono coloro che abitano sulla terra”.
Osserva il prof. Edmondo Lupieri nel suo commento all’Apocalisse (le sottolineature sono mie): “Nell’elenco ricompaiono le «tribù», a riprova che anche il mondo giudaico è coinvolto (ma i partitivi indicano che non tutti stanno a vedere e gioiscono). Del resto, i due testimoni agiscono dopo la crocifissione e quindi esiste già una chiesa… Visto, poi, che l’azione si svolge a Gerusalemme, ci possiamo domandare quale sia la «terra» i cui «abitanti» ora occupano la scena. Non escluderei che Giovanni pensasse, in primo luogo, alla terra d’Israele, sulla quale dovevano comunque trovarsi «abitanti di tutta la terra», essendo Gerusalemme il centro spirituale del mondo (cfr. Act. Ap. 2, 9-11)”[5].
Anche il famoso esegeta Robert Henry Charles, commentando i predetti versetti, aveva richiamato il fatto che l’azione si svolge appunto a Gerusalemme (le sottolineature sono mie):
“È difficile capire cosa avrebbero a che fare gli abitanti del (pianeta) terra con i due profeti che appaiono a Gerusalemme nella lotta contro la Bestia dall’abisso. Inoltre, quando i Testimoni caddero, gli abitanti poterono, nel giro di tre giorni e mezzo, sapere della loro morte, rallegrarsi e mandarsi regali l’un l’altro; ma questo non sarebbe stato possibile se la frase avesse indicato gli abitanti del (pianeta) terra… La frase significava gli abitanti della Palestina e non c’è motivo convincente per attribuirle un significato diverso”[6].
Rileggiamo adesso i versetti di Apocalisse 3, 10:
“Poiché hai conservato la parola della mia perseveranza, anch’io ti conserverò dall’ora della prova, quella che sta per giungere sul mondo intero, per mettere alla prova quelli che abitano sulla terra”.
Gentry fa notare che l’espressione “Il mondo intero” è la traduzione di oikoumenē holēs. Ma oikoumenē spesso significa non tanto l’intero orbe terracqueo bensì l’impero romano. Nel Vangelo secondo Matteo e negli Atti degli Apostoli troviamo espressioni analoghe. Matteo 24, 14 afferma che il Vangelo “sarà predicato in tutto il mondo”. Si tratta dell’impero romano, come possiamo vedere alla luce di Colossesi 1, 6, 23 (cfr. Ro 1, 8). In Atti 11,28, leggiamo la profezia di Agabo di una “grande carestia in tutto il mondo”. Le parole successive a questa sono “e questo avvenne sotto il regno di Claudio”. Secondo Gentry, allo stesso modo, Apocalisse 3,10 parla di “un’ora di prova” in tutto l’impero, non nell’universo mondo, una prova che si concentrerà in particolare sugli abitanti della Terra (la Palestina). E ciò conformemente al tema dell’Apocalisse come è sintetizzato nel versetto 1, 7: l’ora della prova di cui parla Gesù nell’Apocalisse riguarda innanzitutto coloro che lo “trafissero”.
Riesaminiamo ora i versetti 6, 9-10:
“E quando aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare dei sacrifici le anime di quelli per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano. E gridarono a gran voce dicendo: Fino a quando, tu che sei il sovrano, il santo e veritiero, non giudichi e vendichi il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra?”.
Secondo i preteristi Gentry e Chilton, l’altare menzionato da Giovanni è quello che si trovava nel tempio di Gerusalemme (secondo i predetti esegeti, quando Giovanni scrive l’Apocalisse il tempio non era ancora stato distrutto dai romani). Chiosa Gentry (pp. 633-634): “Proprio come il sangue di Abele gridava dalla terra dove era stato versato (Genesi 4, 10), così il sangue dei martiri uccisi dagli ebrei grida da sotto l’altare nel tempio ebraico… Per questo motivo, Chilton sottolinea che ‘se il sangue dei martiri scorre intorno alla base dell’altare, devono essere stati i sacerdoti di Gerusalemme a versarlo. Gli officianti del Patto hanno ucciso i giusti’”. Da parte sua Lupieri, pur riferendo i predetti versetti al “tempio spirituale cristiano”, rimarca (p. 150): “Può sembrare strano a noi che le «anime» di questi uccisi, «sgozzati» come le vittime sacrificali nel tempio e come l’Agnello, si trovino «sotto» l’altare… Ora, nel tempio di Gerusalemme il sangue delle vittime sacrificali defluiva precisamente sotto l’altare dei sacrifici e quindi era possibile pensare che la «vita» delle vittime andasse sotto l’altare e penetrasse nella terra”.
Nel Nuovo Testamento, l’unica altra fraseologia simile a quella dei predetti versetti, al di fuori dell’Apocalisse, appare in Luca 21, 35, che presenta “sorprendenti somiglianze” (Penley) con Apocalisse 6, 10 e che si applica a Israele nel 70 d.C. Lì, leggiamo di un giudizio che arriverà all’improvviso:
Luca 21, 34-35: “badate a voi, che i vostri cuori non si appesantiscano nella crapula, nell’ebrietà e nelle cure della vita, e che quel giorno non vi capiti addosso all’improvviso come un laccio; perché piomberà su tutti gli abitanti che sono sulla faccia della terra”[7].
Contrariamente alla maggior parte dei commentatori, Gentry ritiene che anche i predetti versetti di Luca si riferiscano non agli abitanti del pianeta terra, bensì alla Terra Promessa, a Israele. E questo in base alle seguenti argomentazioni:
- Il discorso escatologico del Signore nasce dall’annuncio dell’avvicinarsi della rovina del tempio (Lc 21, 5-6).
- Egli avverte espressamente i suoi discepoli della desolazione che si abbatterà su Gerusalemme (v. 20), della necessità di fuggire dalla Giudea (v. 21) e del calpestio della città santa da parte dei Gentili.
- All’interno di questa sezione di cinque versetti (Lc 21, 20-24) – che sottolinea chiaramente la distruzione di Gerusalemme – compare la sua prima menzione della “terra” e del suo popolo: “ci sarà grande angoscia sulla terra e ira per questo popolo”. La maggior parte dei commentatori riconosce che questo si riferisce a Israele. Così, “il primo uso di Luca di tēs gēs nel discorso escatologico crea un precedente che viene ripreso in Lc 21, 35” (Penley).
- Subito dopo aver parlato della distruzione di Gerusalemme (vv. 20-24), Gesù menziona segni cosmici che causano sgomento tra le nazioni, utilizzando un linguaggio che nell’Antico Testamento viene applicato al giudizio di Israele. Lo vediamo in Geremia 4, 27-28 e Gioele 2, 10. Quindi, in questi riferimenti dell’Antico Testamento, come in Luca 21, il giudizio localizzato di Dio si riverbera su tutta la terra (si veda il chiaro esempio del giudizio dell’Egitto che provoca sgomento tra molte nazioni, Ez 32, 7-10).
- In Luca 21, Gesù avverte ripetutamente dell’approssimarsi del giudizio (che sappiamo riferirsi al 70 d.C., vv. 20-24). La parola “vicino” (engus/eggizei) compare nei versetti 28b, 30, 31b, e Gesù dice anche che “questa generazione non passerà finché non si compiano tutte le cose” (v. 32).
Leggiamo adesso i versetti di Luca 21, 25-27:
“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli smarriti a causa del fragore del mare e dei flutti; gli uomini morranno di spavento e nell’attesa di ciò che minaccerà la terra, perché le potenze dei cieli saranno squassate. Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”.
Secondo il grande esegeta Marie-Joseph Lagrange i predetti versetti si riferiscono alla fine del mondo[8]. in realtà, non è necessario riferire tali versetti alla fine del mondo, alla luce di quanto affermato da Gentry al punto d): i giudizi divini provocano sgomento “tra molte nazioni”. Da questo punto di vista, Luca 21, 25-27 ha un chiaro precedente veterotestamentario in Ezechiele 32, 7-10. Leggiamo i versetti in questione, rivolti al Faraone egiziano:
“E spento che sarai, velerò il cielo e abbuierò le sue stelle; coprirò di una nube il sole e la luna più non darà la sua luce. Tutti i luminari del cielo metterò a lutto per te e stenderò le tenebre sopra la tua terra, dice il Signore Dio. E il cuore di molti popoli metterò in apprensione, quando farò pervenire a notizia la tua catastrofe fra le genti, in paesi che tu non conosci. E farò restare sbigottiti per te molti popoli e i loro re saranno in gran presentimento di terrore sulla tua sorte, quando la mia spada volteggerà sopra le loro facce e ciascuno sarà in subitaneo sgomento di sé stesso, nel giorno della tua rovina”.
Così, da tutto ciò, possiamo desumere che anche in Luca 21 il discorso di Gesù non riguarda l’universo mondo (e la sua fine) bensì, innanzitutto, la terra di Israele: la Palestina.
Prosegue Gentry (p. 645): “Il grido dei martiri che invocano il giudizio di Dio contro coloro che versano il loro sangue corrisponde all’avvertimento di Gesù ai farisei e ai capi religiosi di Israele (Mt 23, 2, 29). Inoltre, il contesto di entrambe le affermazioni include l’idea di colmare il numero adeguato di martiri:
“Voi così testimoniate contro di essi d’esser figli di coloro che uccisero i profeti; a vostra volta colmate la misura dei vostri padri!”. (Mt 23, 31-32) e
“E fu data loro, a ciascuno, una veste bianca e fu detto loro che riposeranno ancora per un tempo breve, fino a che siano completi anche i loro conservi e i loro fratelli, quelli che stanno per essere uccisi come anche loro” (Ap 6, 11).
Entrambi implicano anche l’imminenza dell’ira di Dio: “Tutte queste cose ricadranno su questa generazione” (Mt 23, 36) e “Riposeranno ancora per un tempo breve” (Ap 6, 11).
Il giudizio del sigillo in 6, 11 esorta quindi i martiri a riposare solo “per un tempo breve” (Ap 6, 11). Ciò richiede che la loro soddisfazione attraverso il giudizio di Dio sui loro nemici (“gli abitanti della terra”) avvenga presto. Ciò si accorda bene con il 70 d.C. e con l’argomentazione che si tratta effettivamente di abitanti della Terra Promessa di Israele. Subito dopo il quinto sigillo, il sesto parla del giorno del giudizio contro “i re della terra” (Ap 6, 15). Secondo Gentry, con tale espressione Giovanni si riferisce alle autorità religiose ebraiche. Il sesto sigillo, quindi, realizza (almeno in parte) la vendetta promessa contro gli abitanti della Terra nel quinto sigillo. Giovanni associa gli abitanti della Terra ai “re della Terra” ancora una volta in Ap 17, 2. E come il sangue dei martiri merita la vendetta contro gli abitanti della Terra in 6,10, così i “re della Terra” in 17,2 sono ubriachi “del vino della sua [di Babilonia-Gerusalemme] prostituzione”, che comporta l’essere ubriaca “del sangue dei santi e del sangue dei testimoni di Gesù” (17, 6).
Da parte mia, osservo innanzitutto che il giudizio del sesto sigillo contro i “re della terra” sembra essere l’adempimento delle parole di Gesù alle donne di Gerusalemme, per come sono state registrate nel Vangelo secondo Luca:
“Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne, che facevano cordoglio e lamento su di lui. Ma, volgendosi ad esse, Gesù disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me; ma su voi stesse piangete e sui vostri figli, perché, ecco, verranno giorni in cui si dirà: “Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno nutrito”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!” e alle colline: “Copriteci!” perché se si tratta così il legno verde, che ne sarà del secco?»” (Luca 23, 27-31).
Torniamo per un momento alle “anime degli sgozzati” di Apocalisse 6, 9-11 e all’altare sotto il quale le vede Giovanni. Il prof. Edmondo Lupieri le descrive così:
“Nel tempio spirituale cristiano, la preghiera dei santi coincide con il sacrificio dei martiri; deve quindi esistere un unico altare, luogo del sacrificio perfetto, il cui modello è quello dell’Agnello-Cristo”[9].
Quindi, secondo Lupieri l’altare menzionato da Giovanni è quello che si trova in cielo. Personalmente, considero preferibile da un punto di vista teologico la soluzione proposta da Gentry (e da Chilton), secondo cui in quei versetti Giovanni allude al tempio di Gerusalemme e alle tremende colpe che si sono accumulate sul capo delle autorità religiose giudaiche, quelle per le quali Gesù ritiene responsabili gli scribi e i farisei di “tutto il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete assassinato fra il santuario e l’altare” (Matteo 23, 35).
Se è vero, come appare ormai certo, che l’Apocalisse ha un focus (prevalentemente) ebraico è quindi senz’altro possibile che la visione dei martiri del sesto capitolo sia incentrata sull’altare del tempio di Gerusalemme e che espressioni come “abitanti della terra” e “re della terra” si riferiscano effettivamente agli ebrei del primo secolo. Il fatto che Gesù, nel suo discorso “escatologico” (Matteo 24, Marco 13, Luca 21) abbia detto formalmente che il giudizio su Gerusalemme si sarebbe adempiuto entro “questa generazione” (Matteo 24, 34; Marco 13, 30; Luca 21, 32) quadra perfettamente sia con la predetta condanna espressa da Gesù contro gli scribi e i farisei che con il “tempo breve” promesso ai martiri dell’Apocalisse.
[1] La traduzione di questo come degli altri brani dell’Apocalisse qui citati è di Edmondo Lupieri.
[2] Kenneth Gentry, The Divorce of Israel – A Redemptive-Historical Interpretation of Revelation, Tolle Lege Press and Chalcedon Foundation, 2024, Volume I, p. 637.
[3] La traduzione di questo passo di Osea dalla Settanta è di Simone Isacco Maria Pratelli, ed è tratta da: La Bibbia dei Settanta, IV. Profeti, Brescia 2019.
[4] La traduzione dei predetti passi biblici è tratta da La Sacra Bibbia, a cura di Giuseppe Ricciotti, Salani Editore, 1991.
[5] L’Apocalisse di Giovanni, a cura di Edmondo Lupieri, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore, 1999, p. 183.
[6] Kenneth Gentry, The Divorce of Israel, cit., p. 646.
[7] La traduzione dei predetti versetti di Luca la traggo da La Sacra Bibbia, a cura e sotto la direzione di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti Editore, 1966.
[8] Citato in Francesco Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme – Eco di tale profezia in San Paolo, edizione 2017 a cura di Andrea Carancini, p. 91.
[9] L’Apocalisse di Giovanni, op. cit., p. 150.
Leave a comment