ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE «CAMERE A GAS» DI AUSCHWITZ E BIRKENAU
di Germar Rudolf, dottore in chimica
Documento presentato alla Iª Conferenza revisionista australiana il 9 agosto 1998, versione rivista
https://web.archive.org/web/20050212115808/http://vho.org/GB/c/GR/Green.html
- Metodi politico-polemici
Voi tutti conoscete questi metodi, e non voglio annoiarvi citando nuovamente gli esempi ben noti. Solo alcuni esempi dell’ultimo tentativo di confutare i revisionisti, come fatto da Richard J. Green su http://www.holocaust-history.org nei suoi articoli «Leuchter, Rudolf, and the Iron Blues» e «The Chemistry of Auschwitz:
- Green ripete semplicemente le argomentazioni di Deborah Lipstadt[1], per esempio, la stupida e non scientifica affermazione che non ci dovrebbe essere alcun dibattito con i negazionisti dell’Olocausto, come ci chiamano loro;
- sostiene che Leuchter non possedeva le qualifiche che affermava di avere, il che non è del tutto vero[2] e, tra l’altro, non è un argomento scientifico;
- Green non riesce a capire perché io usi vari pseudonimi, anche se ammette che sono perseguitato in modo inaccettabile a causa delle mie opinioni;
- Green lascia intendere che la libertà di espressione, garantita dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti andrebbe persa se [citazione]: «persone come Rudolf e il suo eroe Remer arrivassero mai al potere qui». Non posso parlare a nome del generale Remer, deceduto nell’ottobre dello scorso anno; per quanto riguarda la mia persona, però, non è solo sbagliato, ma si tratta di diffamazione. Inoltre, il generale Remer non è il mio eroe. Era un imputato che aveva diritto a una difesa senza restrizioni come qualsiasi imputato. Descrivendo Remer come il mio eroe, Green intende ovviamente collegarmi alle convinzioni politiche di Remer;
- infine, Green etichetta i miei argomenti come inganni. Ma anche se ho commesso degli errori – nessuno è perfetto –, non vuol dire che intendessi ingannare qualcuno. Alludere all’esistenza di cattive intenzioni, che purtroppo si trovano da entrambe le parti di questo dibattito, ha come presupposto la forte convinzione di colui che formula tale insinuazione di essere il depositario dell’unica verità assoluta e, d’altro canto, ha come conseguenza che la controparte viene limitata nei suoi diritti, vale a dire, poiché non le si concede di avere argomenti scientificamente validi, rifiutandole la partecipazione a discussioni e dibattiti e, in ultimo, negandole i diritti umani di libertà di espressione e libertà di ricerca scientica, come possiamo vedere già oggi in molti Paesi europei. E, infatti, Green insiste molto sul fatto che le sue opinioni sugli eventi storici sono «fatti storici», che ciò che fanno i revisionisti è «pseudoscienza» o «pseudoscientifico», diffondendo «propaganda falsa e disgustosa», e che anche se «dovesse essere permesso di diffondere la menzogna, ciò non farebbe della menzogna la verità». Egli lascia intendere che noi siamo felici di «spargere un po’ di confusione per mascherare la verità»; che stiamo dicendo una «bugia» che lui intende «smascherare» come tale.
Nella sua conclusione Richard Green scrive:
«Non mi vergogno di chiamare la negazione dell’Olocausto incitamento all’odio. Ecco è ciò che è. Delle persone abbastanza intelligenti da disorientare con argomenti pseudoscientifici sono anche abbastanza intelligenti da sapere cosa stanno facendo: stanno diffondendo una menzogna. Sebbene alcuni possano essere attratti dalla negazione dell’Olocausto, perché sprovveduti e/o affetti da malattia mentale, queste persone non sono le stesse che scrivono questi rapporti intelligenti, ma mendaci e pseudoscientifici. Coloro che redigono questi rapporti sono motivati dal desiderio di riabilitare il nazismo, un’ideologia dell’odio. L’incitamento all’odio è quello che è, e chiamandolo così sto semplicemente esercitando il mio diritto alla libertà di parola.»
Ecco qua: incitamento all’odio. Imputare a qualcuno di voler riabilitare l’incarnazione del male sulla terra – tale è il nazionalsocialismo agli occhi della stragrande maggioranza degli esseri umani – e di usare a questo scopo tecniche malvagie o, in alternativa, di essere malato di mente o mentalmente ritardato. A lungo andare, questo tipo di argomentazione ci condurrà direttamente in manicomio, in carcere o sul rogo, una situazione che, purtroppo, non è più improbabile nella Germania di oggi[3].
Si tratta di un vero e proprio discorso d’odio, e sfortunatamente è politicamente corretto e quindi avallato da quasi tutti. E, a proposito, anche se fosse vero che alcuni di noi vorrebbero riabilitare il nazionalsocialismo – confido che si tratti solo di una minoranza –, questo non è un ragionamento valido per inficiare i nostri argomenti.
Ma i modi di argomentare di Richard Green sono la prova della sua forte motivazione politica, che può distorcere il suo modo di riconoscere la realtà: a quanto pare, è uno strenuo oppositore di qualsiasi riabilitazione storica del nazionalsocialismo. Ma questo tipo di motivazione non deve influenzare la nostra argomentazione scientifica, dal momento che è puramente politica. I risultati della nostra ricerca scientifica non devono dipendere dall’effetto che potrebbero avere sul fare tabula rasa di qualsiasi personaggio storico o ideologia politica. Preoccuparsi dell’effetto di whitewashing (Nel linguaggio del cinema è la tendenza a utilizzare attori bianchi per ruoli che storicamente spetterebbero ad attori di altre etnie – N.d.T.) o blackwashing (la tendenza ad ingaggiare attori “neri” per ruoli che nell’opera originale dovevano essere di carnagione chiara – N.d.T.)) di qualsiasi ricerca è davvero non scientifico.
- Metodo ingegneristico: «Niente fori, niente “Olocausto”»
Green dedica alcuni paragrafi a discutere della famosa battuta di Faurisson: «Niente fori, niente “Olocausto”». Secondo Green, le foto aeree mostrano, in realtà, quattro orifizi sul tetto dell’obitorio 1 del crematorio II di Birkenau, la presunta camera a gas utilizzata con più frequenza per uccidere gli esseri umani. Green si riferisce a Michael Shermer e al suo ben noto articolo apparso sullo «Skeptic Magazine», poiché è stato ristampato, leggermente modificato, nel libro di Shermer Why People Believe Weird Things[4]. Lo stesso Shermer cita un esperto della CIA che ha scoperto delle «prove di attività di sterminio», il che è una pura assurdità, dal momento che non si possono trovare tracce di tali attività.
Shermer riproduce una foto aerea del 1944 del crematorio II e una foto del 1942 scattata a livello del suolo. Riporto il secondo paragrafo di Shermer, come citato da Green:
«La fotografia aerea ( fig. 23) mostra le caratteristiche distintive del crematorio II. Si noti la lunga ombra che parte dal camino del crematorio e, sul tetto dell’adiacente camera a gas agli angoli, a destra rispetto all’edificio del crematorio, si notino le quattro ombre sfalsate. [Il negazionista dell’Olocausto John Clive] Ball sostiene che queste ombre sono state disegnate, ma sul tetto della camera a gas nella figura 24 sono visibili quattro piccoli segni («strutture» secondo Green – N.d.T.) che corrispondono alle ombre, una foto del retro del crematorio II scattata da un fotografo delle SS…».
Ora diamo un’occhiata più da vicino a queste affermazioni.
Illustrazione 1: Sezione di una foto aerea del campo di Auschwitz-Birkenau scattata dagli aerei Alleati nel 1944
L’illustrazione 1 è un ingrandimento dettagliato di una foto aerea di Birkenau scattata dagli aerei alleati alla fine dell’agosto 1944.[5]
Guardate ora i segni in cima ai tetti degli obitori 1 del crematorio III (Ill. 1, freccia sinistra) e II (Ill. 1, freccia destra), le presunte camere a gas.
ß Nell’illustrazione 2 ho aggiunto alcune legende.
Illustrazione 2
Prima di tutto, la direzione di questi segni dimostra che non possono essere ombre. Hanno semplicemente la direzione sbagliata rispetto all’ombra del camino. L’angolo tra l’ombra e la direzione principale del crematorio è di circa 45°. Ma l’angolo tra i segni e la direzione principale del crematorio è compreso all’incirca tra 75° e 80° nel caso del crematorio III e 80°-90° nel caso del crematorio II.
In secondo luogo, questi segni sono troppo grandi per essere le bocchette d’introduzione dello Zyklon B. Sono lunghi circa 3-4 metri e larghi circa 1 metro, il che, per quanto riguarda le ombre, comporterebbe un’altezza dell’elemento di circa 3 metri (ciò risulta dal rapporto tra l’altezza nota del camino e la lunghezza della sua ombra). Ma, come mostrato, non possono essere ombre, devono essere, invece, degli oggetti piuttosto piatti. Tuttavia, se fossero stati fori, il loro sovradimensionamento indicherebbe che avrebbero distrutto il tetto degli obitori.
Legende
Leg. centrale: notare le finestre del tetto e le loro ombre
Leg. α (Crematorio II) (senso orario)
presunte camere a gas;
angolo compreso tra 80° e 90°, niente ombra angolo, niente orifizi che formino ombre;
angolo reale dell’ombra del camino del Crematorio II.
Leg. ß(Crematorio III) (senso orario)
3-4 m di lunghezza: lunghezza irrealistica per gli orifizi:
75°-80°: angolo errato per le ombre.
L’illustrazione 3 mostra una sezione trasversale del Crematorio II attraverso l’obitorio 1[6]. Le crocette numerate indicano le zone dalle quali Fred Leuchter ha prelevato i suoi campioni. La linea tratteggiata lungo la parte centrale di questo obitorio indica la trave portante in cemento armato che corre su tutta la lunghezza dell’obitorio ed é sostenuta da 7 pilastri di cemento armato. Se i quattro segni visibili al centro del tetto di questo obitorio fossero stati davvero dei fori, avrebbero distrutto questa trave portante di cemento, e quindi avrebbero distrutto l’intera struttura portante del soffitto di questo obitorio.
Illustrazione 3
Infine, come mostrato nell’illustrazione 4, disegnata da John Ball, la posizione dei quattro segni ƒ non corrisponde né alle posizioni né alle dimensioni o alla forma dei due fori‚ che si possono trovare oggi sul tetto crollato dell’obitorio 1 del Krema II. [7]
Illustrazione 4
Così, abbiamo dimostrato che è inverosimile che questi segni possano essere degli orifizi.
Ora diamo un’occhiata all’immagine del febbraio 1943 a livello del suolo, menzionata da Green e che si può trovare nel libro di Danuta Czech su Birkenau, illustrazione 5. [8]
Illustrazione 5
Quando s’ingrandisce la sezione indicata di questa foto (illustrazione 6, sotto), si possono vedere solo tre elementi che apparentemente si trovano sul tetto dell’obitorio 1 del crematorio II, non quattro. come affermato da Shermer e Green. Il quarto elemento sul lato destro (freccia) non si trova sul tetto, ma dietro di esso.
Illustrazione 6
Si può vedere che i tre elementi non hanno né dimensioni né colori uguali. Quindi, dobbiamo concludere che non hanno né le stesse misure né ovviamente la stessa forma e/o lo stesso orientamento, perché, altrimenti, dovrebbero avere la stessa tonalità di colore.
L’illustrazione 7 mostra un disegno a linee evanescenti su una sezione trasversale dell’obitorio 1, come eseguito da Jean Marie Boisdefeu[9]. Le linee d’incrocio indicano le possibili posizioni di questi tre elementi sul tetto. Quindi, è chiaro che non sono distribuiti in modo uguale sul tetto, ma si trovano abbastanza vicini tra loro. Inoltre, solo uno dei fori effettivamente esistenti si trova su una di queste linee di fuga, vale a dire quella sul lato destro (posizione approssimativa dei fori reali disegnati come rettangoli grigi).
Illustrazione 7
Dal momento che, in quel periodo, il Crematorio II era ancora in costruzione, è abbastanza ragionevole supporre che questi elementi costituiscano una sorta di materiale da costruzione riposto temporaneamente sul tetto dell’obitorio.
Non esistono altre foto di elementi su questo tetto.
←Ma ne abbiamo trovato una che non mostra questi elementi. Fu scattata nel gennaio 1943 e riprodotta di nuovo da Danuta Czech (illustrazione 8). Lo strato di neve sui tetti indica che, a quell’epoca, era già stato completato, ma non sono visibili dispositivi di introduzione. [10]
Illustrazione 8
←Infine si può dimostrare, almeno per uno dei due fori oggi esistenti, che è stato realizzato nel dopoguerra e che non è mai stato terminato. Questa foto (Illustrazione 9) mostra il lato sinistro di uno dei due fori. Sono ancora visibili le barre per l’ armatura del calcestruzzo, sono state tagliate e piegate una sola volta, ma mai rimosse. Questo foro non ha crepe negli angoli, il che dimostra con certezza che è stato scalpellato dopo che questo obitorio è stato fatto saltare in aria, perché, altrimenti, molte crepe dovrebbero iniziare proprio dagli angoli, poiché sono i punti deboli di una simile struttura. [11]
Illustrazione 9
←Confrontate l’illustrazione 10, la foto di una casa nelle Alpi colpita da un frammento di roccia. L’unica crepa nel muro inizia (o finisce) all’angolo della finestra. Questo fenomeno è un fatto ben noto e consolidato. [12]
Illustrazione 10
Così, la battuta di Robert Faurisson è ancora valida: «No Holes, No “Holocaust» («Niente fori, niente “Olocausto”»)
Questo contributo si potrebbe concludere con questa frase, poiché non ha molto senso discutere dei problemi chimici dello Zyklon B, dal momento che è stato dimostrato che non c’era modo di introdurre questo gas velenoso come descritto dai testimoni. Tuttavia, dirò qualche parola anche sulla chimica di Auschwitz.
- Metodo chimico: «Lo Spirito Santo di Wiesenfeld»
Vorrei concentrarmi solo sulla questione della formazione e della rilevabilità del Blu di Prussia, il famoso composto di cianuro di ferro di colore blu.
Ci sono tre spiegazioni plausibili per la ben nota differenza di contenuto di cianuro dei campioni prelevati da presunte camere a gas omicide, da un lato, e dalle camere di disinfestazione, dall’altro, come afferma correttamente Green:
- «La presenza di tracce di Blu di Prussia è una conseguenza inevitabile dell’esposizione all’HCN e il fatto che non sia presente nelle presunte camere a gas omicide dimostra che non sono state utilizzate per la gasazione omicida.» Ecco l’argomentazione di Leuchter,[13] e io sono d’accordo con Green che si tratta di un’ipotesi infondata.
- «Il Blu di Prussia è presente per motivi che non hanno nulla a che vedere con l’esposizione all’HCN. Ad esempio, il chimico austriaco Dr. Josef Bailer ha suggerito che potrebbe essere un pigmento della vernice.» Anche su questo punto sono d’accordo con Green, che respinge più o meno la teoria infondata di Bailer.
- «Le tracce di Blu di Prussia sono effettivamente da ricondurre all’esposizione all’HCN, ma le condizioni in cui si è formato non erano le stesse in tutte le strutture esposte all’HCN. Il tasso di formazione del Blu di Prussia può essere molto diverso nelle condizioni delle presunte camere a gas omicide rispetto alle condizioni nelle camere di disinfestazione.» E ancora una volta, sono d’accordo con Green che questo è il modo corretto di affrontare questo problema.
Ma non sono assolutamente d’accordo con Green quando continua a sostenere:
«La risposta numero uno è, ovviamente, insostenibile. Sappiamo, da prove storiche, indipendentemente dalla chimica interessata, che le gasazioni omicide hanno avuto luogo.»
Prima di tutto, non si possono confutare le scoperte chimiche o quelle di altre scienze esatte con i resoconti dei testimoni oculari, e non ci sono altre prove, a parte i racconti dei testimoni oculari, l’unica altra «prova» esistente, per quanto ne so io. Green non cerca nemmeno di indicarci a quali «altre prove storiche» faccia riferimento.
In secondo luogo, ed è la cosa più interessante, questa frase mostra chiaramente che Green non accetterà mai alcuna prova fornita da una scienza esatta che confuti ciò che crede sia vero. Ciò dimostra che è impossibile far cambiare opinione a Green su questo argomento, vale a dire che la sua opinione non è scientifica, ma dogmatica.
Green è il primo autore sterminazionista che accetti i miei suggerimenti su come il Blu di Prussia possa essere formato dall’acido cianidrico e dall’ossido di ferro, essendo quest’ultimo un componente comune a tutti i tipi di malta, intonaco e cemento14]. Green aggiunge alcune spiegazioni che ha trovato nella letteratura specialistica e che, più o meno, supportano anch’esse la mia tesi – anche se devo ammettere che la sua teoria dell’acqua come agente riducente per i composti del ferro (III) è molto strana. Poiché questo è un punto cruciale di questa discussione, permettetemi di riassumere i passaggi che implica la formazione del Blu di Prussia e quali fattori determinano questo processo. Il processo di formazione può essere suddiviso in cinque fasi:
- Assorbimento di acido cianidrico (HCN) sulla/nella Come ogni composto gassoso, l’HCN viene assorbito in maniera crescente su superfici con temperatura in diminuzione, soprattutto perché il contenuto d’acqua delle pareti è molto più elevato a temperature più basse che a temperature più alte (es. 10 volte superiore a 10°C con un’umidità relativa intorno al 100% in confronto a 20°C al 60% di umidità relativa) [15], e perché l’HCN viene facilmente assorbito dall’acqua. Inoltre, il tipo di materiale può avere la sua importanza, poiché, ad esempio, la malta cementizia ha una superficie interna fino a dieci o più volte superiore a quella della malta di calce, portando così a tassi di assorbimento più elevati e favorendo quindi la prima fase del processo di formazione del Blu di Prussia[16].
- Dissociazione di HCN in acqua in CN– e H3O+. Per questa fase è necessario un pH di valore elevato, cioè alcalinità. In ambiente neutro, non più dell’1% di tutto l’HCN assorbito è dissociato in CN-, e con un pH di 9,31 (ambiente basico) è dissociato il 50%[17]. Mentre la malta di calce fresca viene trasformata in intonaco con pH neutro, solo dopo pochi giorni, a causa dell’influenza della CO2 dell’aria, la malta cementizia e il calcestruzzo rimangono alcalini per molti anni, a seconda delle quantità relative dei loro composti (acqua, sabbia, cemento). Quindi, ancora una volta, il calcestruzzo e la malta cementizia sono favorevoli alla formazione del Blu di Prussia.
- Complessazione di Fe3+ con 6 molecole di CN– in [FeIII(CN)6]3-. Ciò richiede ferro reattivo, che fa parte di tutte le malte e calcestruzzo, a causa della sabbia e/o del cemento aggiunti, che spesso ha un contenuto di ossido di ferro (cioè ruggine) compreso tra l’1% e il 4%[18]. La reattività del ferro aumenta con la diminuzione del valore del pH. Ciò significa che con pH superiore a 11 (che si trova nelle malte e nel calcestruzzo appena miscelati) la fase di complessazione è improbabile, perché i complessi di ferro non sono più stabili.
- Riduzione di [FeIII(CN)6]3- a [FeII(CN)6]4-, cioè effettivamente la riduzione di Fe3+ a Fe2+ [nei complessi, la carica formale di uno ione è indicata con esponente in cifre romane, quindi FeIII sarebbe un Fe3+come uno ione libero]. Questa fase è descritta come improbabile o addirittura impossibile da molti sterminazionisti, perché non riescono a vedere alcuna sinergia che possa ridurre il ferro dalla sua forma naturale (Fe3+) a quella innaturale (Fe2+), che normalmente è relativamente instabile in soluzioni acquose. Infatti, le molecole di CN– libere, che non sono ancora state complessate dal Fe3+, possono fungere da agente riducente. La riduzione può essere indotta fotoliticamente dalla luce (UV) [19, 20, 21], ma ciò non è affatto necessario. Gli esperimenti hanno dimostrato che il [FeIII(CN)6]3- viene convertito in [FeII(CN)6]4- in presenza di un eccesso di CN–, quando esposto a valori di pH compresi tra 9 e 10.[22] Questa scoperta è supportata dal fatto ben noto che il [FeIII(CN)6]3- è un forte agente ossidante in ambiente alcalino, che può persino ossidare il Cr3+ in Cr2O3, un composto ben noto per il suo potere ossidante.[23] La forza motrice di questa potente reazione è la posizione energetica molto più favorevole del [FeII(CN)6]4-, rispetto al [FeIII(CN)6]3-.[24]. Per questo motivo la riduzione di Fe3+ libero e non complessato a Fe2+ da parte del CN– è energeticamente svantaggiata e deve essere considerata trascurabile. La vera ragione della convinzione degli sterminazionisti, che sostengono che nessun Fe2+ può essere formato a partire da Fe3+, nelle condizioni che ci si aspetta di trovare nei muri, potrebbe essere il fatto che non hanno considerato la complessa chimica implicata, che cambia drammaticamente la chimica dei composti. Anche in questa fase, gli intonaci di malta e i calcestruzzi favorirebbero la formazione del Blu di Prussia, grazie alla loro alcalinità più duratura.
- Precipitazione del Blu di Prussia con combinazione di Fe3+con [Fe(CN)6]4- in da Fe4[Fe(CN)6]3, (puro Blu di Prussia). Questa fase finale della formazione avviene spontaneamente e, a differenza di altri complessi metallici simili, è completa[25]. Dipende dalla quantità di acqua disponibile, poiché l’unico processo necessario per questa fase è quello di trasportare gli ioni insieme. Pertanto, questa formazione finale del composto blu intenso può richiedere anni, se la parete è relativamente asciutta.
Di conseguenza, possiamo concludere che la velocità effettiva di formazione del Blu di Prussia (cioè la sua cinetica) nelle pareti dipende principalmente dai seguenti fattori:
- contenuto d’acqua nel muro
- reattività degli ossidi di ferro interessati
- temperatura delle pareti
- valore del pH delle pareti
- concentrazione di HCN a cui sono state esposte le pareti
- tempo di esposizione
- altri effetti, ad esempio, le pareti sono state risciacquate, pulite, trattate chimicamente, ricoperte di vernice, piastrelle…
Green inizia a discutere del problema della cinetica che implica il processo di formazione del Blu di Prussia come risultato delle gasazioni con Zyklon B, ma prima di entrare nei dettagli, abbandona questo problema supponendo
«che la cinetica è troppo difficile da tracciare senza ricorrere all’esperimento».
Ancora una volta sono d’accordo con lui fino a un certo punto. Ci vorrebbero indubbiamente degli esperimenti per dare una risposta esatta alla domanda seguente: i composti del Blu di Prussia stabili a lungo termine potrebbero essere formati da gasazioni umane e, se sì, in che quantità? Ma tali esperimenti non possono naturalmente essere presi sul serio – tranne forse quando si utilizza qualche revisionista, che sembra talvolta piuttosto impaziente di eseguire tali esperimenti. Ricordo che una volta Jürgen Graf si offrì come cavia per un esperimento del genere.
Un grande inconventiente per Green è il fatto di non conoscere il tedesco. Di conseguenza, si basa su informazioni o opinioni che sono state confutate già molto tempo fa. Questo gli fa trarre conclusioni sbagliate.
Ad esempio, le ipotesi di Green riguardanti la concentrazione di HCN a cui sono state esposte le pareti della presunta camera a gas e il tempo di esposizione sono probabilmente errati.
Per quanto riguarda la velocità di evaporazione dell’acido cianidrico dal vettore Zyklon B utilizzato ad Auschwitz negli anni ’40, Green si riferisce a una pubblicazione dei primi anni ’30, ma il chimico Dr. Wolfgang Lambrecht[26] e Carlo Mattogno[27] hanno trovato fonti molto più attendibili, risalenti rispettivamente al 1943 e al 1945, che dimostrano che la mia precedente ipotesi era corretta: con aria secca e a 15°C, il 90% dell’acido cianidrico impiegava circa due ore per evaporare dal vettore, e molto di più, se l’aria era satura d’acqua, come ci si deve aspettare in stanze affollate da esseri umani.
Inoltre, Green non ha preso in considerazione il fatto che anche le uccisioni con alte concentrazioni di acido cianidrico, generate istantaneamente, come quelle utilizzate nelle esecuzioni di alcuni Stati degli Stati Uniti, spesso durano più di 10 minuti[28]. Green non si rende conto che non ha molto senso fare riferimento ai testi di tossicologia per scoprire quanto tempo ci vuole per uccidere, più o meno immediatamente, tutti gli esseri umani con quel veleno. Per motivi di sicurezza – ecco perché sono stati scritti questi libri – questo tipo di letteratura fornisce cifre che indicano quanto tempo impiega una persona di piccola statura, debole e forse malata a inalare una quantità di acido cianidrico letale. Non vi troverete alcun dato su quanto tempo ci voglia, prima che anche delle persone sane, robuste e ben allenate siano effettivamente morte. Anche se una persona ha inalato una quantità letale di cianuro, potrebbe impiegare anche un’ora a morire. Ciò significa che ci sarebbero volute enormi quantità di Zyklon B per uccidere tutte le vittime in pochi minuti, come dichiarato da tutti i testimoni oculari[29]. Ciò avrebbe comportato concentrazioni di HCN più elevate di quanto ipotizzato da Green.
Inoltre, Green non considera i problemi di aerazione di una stanza dove, presumibilmente, lo Zyklon B è ancora in fase di evaporazione e dove cumuli di cadaveri bloccano il ricambio d’aria azionato da un sistema di ventilazione, progettato solo per gli obitori sotterranei, come mostrato nel mio rapporto[30] e documentato da Carlo Mattogno[31]. Perciò, non discute delle argomentazioni da noi avanzate secondo le quali ci sarebbero volute diverse ore prima che questi obitori fossero aerati in modo sicuro da consentire a chiunque di entrare, richiedendo tempi di esposizione molto più lunghi di quanto ipotizzato da Green.
Questi esempi dovrebbero essere sufficienti a chiarire che gli articoli di Green non potranno essere considerati un lavoro serio, finché non affronterà le più importanti scoperte revisioniste degli ultimi due anni. Non conoscere le lingue straniere non giustifica queste mancanze.
Per quanto riguarda i problemi chimici delle presunte camere a gas omicide, Green conclude:
«Fino a quando Rudolf e Leuchter non saranno in grado di dimostrare rigorosamente che i pigmenti trovati nella camera di disinfestazione sono effettivamente il risultato dell’esposizione all’HCN, e che la cinetica interessata nella formazione di tali pigmenti prevede che se ne formino quantità significative in tutte le camere a gas omicide, e che questi pigmenti non possano essersi degradati nel tempo, i loro “rapporti forensi” rimarranno speculazioni non dimostrate.»
Consentitemi di spendere qualche parola al riguardo.
A quanto pare, Green non ha mai sentito parlare del caso di una chiesa bavarese dove una singola operazione di disinfestazione con Zyklon B ha prodotto, pochi mesi dopo, delle tracce blu su tutte le pareti, come è stato ripubblicato da me nel 1994[32], sulla base di un articolo pubblicato in Germania nel 1981[33] e riscoperto da Walter Lüftl. Questo caso dimostra che l’accumulo di acido cianidrico e la sua trasformazione in composti stabili di Blu di Prussia sono massimamente dovuti ai locali umidi e alcalini. L’illustrazione 11 mostra l’articolo corrispondente con un’immagine in bianco e nero delle tracce blu sulla superficie del muro. L’illustrazione 12 mostra la chiesa protestante di Meeder-Wiesenfeld in Baviera, vittima di questa singola operazione di disinfestazione con Zyklon B nel 1976[34]. Questo caso è di estrema importanza perché ci ha aiutati a capire quali fattori concorrono considerevolmente alla formazione del Blu di Prussia e dimostra chiaramente che la nostra teoria sulla formazione di questo pigmento in seguito alle operazioni di disinfestazioni con Zyklon B è corretta.
Illustrazione 11: Tracce di Blu di Prussia sull’intonaco della chiesa protestante di Meeder-Wiesenfeld a causa di una singola operazione di disinfestazione con Zyklon B
Illustrazione 12: Chiesa protestante di Meeder-Wiesenfeld
Questa è la prima prova che Green vuole vedere: le operazioni di disinfestazione con acido cianidrico sono responsabili della colorazione blu negli impianti di disinfestazione, specialmente se le pareti sono umide e alcaline. Ma l’alcalinità non è un requisito indispensabile per la formazione di questa famosa sostanza colorante blu. Carlo Mattogno e Jürgen Graf hanno dimostrato recentemente che anche l’uso di un vecchio edificio del campo di concentramento di Majdanek come camera di disinfestazione ha portato alla formazione di Blu di Prussia [35], come nel caso della vecchia camera di disinfestazione del campo principale di Auschwitz. Probabilmente ci vuole solo più tempo e sono necessarie diverse operazioni di disinfestazione, prima che sulle pareti non alcaline si formi il Blu di Prussia.
Il secondo presupposto di Green è che io debba «”dimostrare rigorosamente” che la cinetica interessata nella formazione di tali pigmenti prevede che se ne formino quantità significative in tutte le camere a gas omicide». Ho detto prima che questo è quasi impossibile. Di conseguenza, dobbiamo concludere che la chimica non è una scienza con il potere di dimostrare o confutare «rigorosamente» le gasazioni umane ad Auschwitz. Ma se si considera che:
- la presunta uccisione di mille o migliaia di persone in un freddo obitorio sotterraneo con lo Zyklon B in pochi minuti, come dichiarato da tutti i testimoni, – più veloce delle esecuzioni statunitensi – avrebbe richiesto enormi quantità di questo prodotto, che rilascia il suo veleno solo lentamente e che si diffonde solo lentamente in ogni angolo della presunta camera a gas;
- la ventilazione di questa camera a gas avrebbe richiesto molte ore;
- la tendenza delle pareti fredde e umide di questi obitori sotterranei ad accumulare acido cianidrico era certamente superiore a quella di qualsiasi altra stanza, persino di qualsiasi impianto di disinfestazione;
- a causa dell’alta falda freatica di Birkenau, questi obitori sotterranei sono stati intonacati con un intonaco di malta alcalina a lungo resistente all’acqua, che aumenta sia l’accumulo di acido cianidrico che la sua trasformazione in Blu di Prussia stabile a lungo termine;
- questi obitori sarebbero stati messi in funzione poco dopo essere stati completati, vale a dire che le loro pareti dovevano essere ancora alcaline;
- soprattutto nel caso dell’obitorio 1 del Crematorio II, il tetto protegge ancora oggi molte parti di questa stanza dagli agenti atmosferici[36]:
- gli impianti di disinfestazione degli edifici 5a e 5b di Birkenau, dove lo Zyklon B veniva senza dubbio utilizzato «in gran quantità» ed esclusivamente per uccidere i pidocchi, si formò anche il Blu di Prussia «in gran quantità », nonostante il fatto che, contrariamente alla presunta camera a gas del crematorio II, queste stanze
- siano state intonacate solo con una malta di calce meno reattiva;
- non siano sotterranee, cioè né permanentemente umide né fredde;
- fossero, inoltre, riscaldate da diverse stufe;
- non ospitassero centinaia di persone sudate la cui umidità si sarebbe condensata sulle pareti fredde;
- debbano aver avuto, di conseguenza, delle pareti molto più asciutte con una reattività fortemente diminuita per la formazione del Blu di Prussia.
Dovrebbe fare impressione la similitudine tra le presunte gasazioni di esseri umani in questi obitori e il caso della chiesa bavarese, che aveva pareti fredde, parzialmente umide e alcaline, e dove si potevano trovare tracce blu già dopo una sola operazione di disinfestazione.
Certamente, questa non è una prova «rigorosa», ma è un’opinione di esperti ben fondata. Non ho mai preteso di averlo dimostrato rigorosamente. Alla fine della mia relazione potete trovare queste parole:
«Nelle circostanze delle gasazioni omicide di massa con acido cianidrico, riferite dai testimoni, si dovrebbero trovare, nei luoghi in questione, delle quantità di residui di cianuro paragonabili a quelle che si possono trovare negli impianti di disinfestazione, compresa la conseguente colorazione blu delle pareti.»[37]
Inoltre, Green vuole che io dimostri che «questi pigmenti non possono essersi degradati nel tempo». Nella mia relazione si possono trovare molte argomentazioni in tal senso, e Green non ne discute nemmeno[38]. Quindi, non so esattamente come reagire alla sua ignoranza. Ma permettetemi di riassumere brevemente gli esempi forse più impressionanti presentati nella mia relazione.
Prima di tutto, si deve menzionare un test di stabilità a lungo termine eseguito da un gruppo di lavoro britannico dell’Institute of Metal Finishing, con sede a Slough vicino a Londra[39]. Nel corso di questo test si è formato, per precipitazione, un sottile strato di Blu di Prussia su un foglio di lega di alluminio. Quest’ultimo è stato poi esposto ininterrottamente per 21 anni (tra il 1958 e il 1980), agli agenti atmosferici, sul tetto di un edificio, senza alcuna copertura o strato protettivo. Anche dopo 21 anni, i campioni di Blu di Prussia erano ancora in buone condizioni, quasi invariati, insieme all’ocra (cioè alla ruggine) che costituiva un riferimento nel test. Considerando l’atmosfera fortemente corrosiva dell’area industriale della grande Londra, in questi tempi, questo risultato è sorprendente.
Un altro fatto dimostra la stabilità a lungo termine dei composti Blu di Prussia. Come forse saprete, fino alla metà di questo secolo, nelle grandi città dell’Europa occidentale veniva erogato il gas di città ad uso domestico. Questo gas era un sottoprodotto di coke a partire dal carbone. Alla fonte conteneva circa l’1% di HCN, che si eliminava con in speciali depuratori con idrossido di ferro, portando direttamente alla formazione di Blu di Prussia. Poiché a quei tempi si dava (falsamente) per scontato che il Blu di Prussia potesse essere utilizzato come erbicida, ma era noto per essere completamente innocuo sotto altri aspetti, molte cokerie erano solite spargerlo semplicemente sul terreno dei loro stabilimenti. Un’indagine condotta su alcuni ex siti di cokerie in Germania, utilizzati per scopi completamente diversi per 50 e più anni, ha dimostrato che ancora oggi i loro terreni contengono elevate quantità di Blu di Prussia che non risulta né decomposto né decolorato, benché esposto a tutti i tipi di agenti atmosferici.[40]
Se si considera che, nel nostro caso, il Blu di Prussia si sarebbe formato come parte integrante del muro, cioè nelle parti interne del muro, deve essere assolutamente certo che il Blu di Prussia, una volta formatosi, non avrebbo potuto decomporsi o sbiadire, ma avrebbe avuto piuttosto una stabilità a lungo termine paragonabile alla stabilità dell’intera parete.
Ma, a parte questi esempi, affrontiamo questo problema da un punto di vista diverso.
Green, come molti dogmatici suoi simili, si basa ampiamente sui risultati dell’Istituto di Ricerca Forense di Cracovia, cioè sul lavoro di Markiewicz e colleghi pubblicato nel 1994[41]. Questi Polacchi hanno condotto le loro analisi con un metodo che non è in grado di rilevare i composti di cianuro di ferro. Lo hanno fatto, perché presumibilmente non capivano come si potessero formare tali composti. Avete mai sentito dire che la mancanza di comprensione di un fenomeno è una ragione per non esaminarlo? Per i Polacchi lo è stato, ovviamente. Inoltre, non hanno nemmeno cercato di confutare la teoria che ho presentato in una mia pubblicazione della primavera 1993[42]. Conoscevano questa pubblicazione, dal momento che l’hanno citata, ma solo come esempio delle presunte «azioni malvagie» dei negazionisti e di coloro che volevano «discolpare» Hitler, che intendono confutare. Questo dovrebbe essere sufficiente per dimostrare che l’intenzione dei Polacchi è fortemente ideologica.
E inoltre, non hanno nemmeno cercato di spiegare cos’altro potrebbe essere all’origine dell’elevato contenuto di cianuro di ferro dell’intonaco del muro, della malta interna (!) e anche in parte dei mattoni esterni nonché della loro colorazione a chiazze blu, senza che sia visibile alcuna vernice.
Usando il loro metodo, i Polacchi hanno scoperto che sia nelle camere di disinfestazione che nelle presunte camere a gas omicide si possono trovare residui di cianuro in quantità comparabili. Nella tabella seguente ho messo a confronto i risultati ottenuti dai Polacchi, da Leuchter e da me:
Confronto dell’ordine di grandezza dei risultati delle analisi di diversi campioni | |||
Autore | Markiewicz et al. | Leuchter | Rudolf |
Rilevamento di | Cianuro senza cianuri di ferro | Cianuro totale | Cianuro totale |
Camere di
disinfestazione |
0 – 0,8 mg/kg | 1,025 mg/kg | 1.000 – 13.000 mg/kg |
Presunta camera a gas | 0 – 0,6 mg/kg | 0 – 8 mg/kg | 0 – 7 mg/kg |
Capanno dei detenuti | 0 mg/kg | – | 0 – 3 mg/kg |
Campioni sottoposti a operazioni di disinfestazione | 0 – 12 mg/kg | – | 50 – 100 mg/kg |
Da questi risultati si possono trarre diverse conclusioni:
- dopo 50 anni, molto meno dell’uno per mille del cianuro totale delle pareti delle camere di disinfestazione non è legato come cianuro di ferro;
- nelle presunte camere a gas omicide, questo rapporto è solo di 1:10 al massimo:
- poiché la quantità di composti non ferrosi di cianuro è paragonabile in entrambi i casi, e poiché non c’è stata corrosione nel caso degli impianti di disinfestazione completamente intatti, ciò significa che:
- che non c’è stata corrosione neanche nel caso delle presunte camere a gas omicide, oppure
- in caso di corrosione, la quantità di cianuro assorbito da queste pareti deve essere stata molto superiore; cioè, le pareti delle presunte camere a gas hanno accumulato più cianuro degli impianti di disinfestazione, ma da allora lo hanno, in parte, perso;
- Se accettiamo questi risultati di Cracovia e la loro ipotesi, che le pareti delle presunte camere a gas omicide erano simili o meno favorevoli all’accumulo di cianuri, allora questa sarebbe una prova del fatto che la corrosione non era nemmeno in grado di distruggere i composti meno stabili del cianuro non ferroso. Di conseguenza, dovremmo presumere che i composti di cianuro di ferro, molto più stabili, non possano essere stati distrutti in modo significativo dagli agenti atmosferici. (Così, abbiamo soddisfatto l’ultima richiesta di Green). D’ora in poi, dovremmo aspettarci che il rapporto tra il contenuto di cianuro non ferroso e il contenuto totale di cianuro sia comparabile sia nelle «camere a gas» che nelle camere di disinfestazione, ma questo ovviamente non è il caso.
- Ipotizzando una notevole riduzione dei composti di cianuro, a causa della corrosione nelle presunte camere a gas omicide – contrariamente alle pareti delle camere di disinfestazione, assolutamente non esposte agli agenti atmosferici – questa corrosione avrebbe colpito i composti di cianuro non ferrosi molto più dei composti di cianuro di ferro, assai più resistenti. Così, dovremmo aspettarci che il rapporto tra il contenuto di cianuro non ferroso e il contenuto totale di cianuro sia considerevolmente inferiore, nel caso delle presunte camere a gas piuttosto che nel caso delle camere di disinfestazione, ma è vero il contrario.
Ai miei occhi, sono rimaste solo due spiegazioni per queste proporzioni errate stabilite dai Polacchi:
- Per ragioni sconosciute, le pareti delle presunte camere a gas omicide tendono ad accumulare e conservare quantità comparabili o addirittura superiori di composti di cianuro non ferrosi rispetto agli impianti di disinfestazione, ma nonostante l’ambiente, alcalino e umido a lungo termine di queste pareti, questi composti di cianuro non sono stati trasformati in cianuri di ferro. Non riesco a spiegarlo, ma forse Richard Green ha un’idea.
- Il fatto che la quantità di composti di cianuro di ferro stabili a lungo termine, presente nelle presunte camere a gas omicide, sia cento o più volte inferiore a quella degli impianti di disinfestazione è la prova che il metodo usato dai Polacchi sta producendo risultati errati e/o inattendibili, oppure deve essere spiegato in modo diverso dal presupposto che il residuo di cianuro da loro rilevato sia il residuo di gasazioni che hanno avuto luogo circa 50 anni fa. Cioè, questi risultati sono «artefatti», come ha detto Josef Bailer.
Ad ogni modo, il documento presentato da Markiewicz et al. sa di frode e, anche dopo aver loro sottoposto le mie argomentazioni sul loro lavoro [43], i Polacchi si sono rifiutati spiegare perché non abbiano almeno utilizzato entrambi i metodi di analisi, al fine di avere due fonti di dati indipendenti per il confronto. Nel caso delle analisi da loro eseguite sui campioni provenienti dalle presunte camere a gas, per esempio, avrebbero potuto essere sicuri che nessun inquinamento artificiale da cianuro proveniente da altre fonti avrebbe distorto i loro risultati. Almeno questi campioni, analizzati nel loro laboratorio, sarebbero stati in grado di mostrare quanto rapidamente e accuratamente i cianuri non ferrosi si trasformano in composti di cianuro di ferro.
Poiché anche dopo più di 2 anni e mezzo non hanno dato alcuna spiegazione per il loro comportamento fazioso, definisco il loro lavoro una frode.
- Conclusioni
Il risultato del mio rapporto, così come lo riassumo oggi, è il seguente:
Quando era in funzione, non c’erano fori sul tetto della presunta camera a gas omicida del crematorio II di Birkenau, presumibilmente la camera a gas più utilizzata di tutte. Ed è molto probabile che non ci fossero fori neanche nel crematorio gemello n. III. Ma senza fori, niente gasazioni, secondo lo scenario descritto dai testimoni oculari, senza tali gasazioni, nessun testimone oculare affidabile, e senza testimoni oculari affidabili nessuna prova dell’Olocausto. O, come ha detto Robert:
NIENTE FORI, NIENTE “OLOCAUSTO”
Inoltre, sono convinto che la chimica non sia la scienza che può dimostrare o confutare «rigorosamente» qualsiasi accusa sull’Olocausto. Abbiamo diverse prove circostanziali che, soprattutto insieme a tutte le altre prove, ci permettono di giungere alla conclusione che le gasazioni omicide di massa, come dichiarato dai testimoni oculari, non possono aver avuto luogo. Ma sull’argomento chimico non si può costruire una certezza assoluta.
Germar Rudolf, 4 agosto 1998
Note
- Deborah E. Lipstadt, Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory, Free Press, New York 1993
- Cfr., ad esempio, The Journal of Historical Review, 17(2) (1998), pp. 34 e segg.,
- Confrontate i tentativi dei giudici e degli psicologi tedeschi di dichiarare i revisionisti malati di mente: Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, 1(3) (1997), S. 219; 2(1) (1998), pag. 35 e segg., 56-60.
- Michael Shermer, Why People Believe Weird Things, Freeman & Co. New York 1997; cfr. G. Rudolf, «Geschichte und Pseudogeschichte», «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» 3(1) (1999), in formato cartaceo.
- Foto aerea RG 373 Can F 5367, esp. 3185, Archivio Nazionale.
- Tratto dalle mappe, come mostrato su: Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gaschambers, Beate-Klarsfeld-Foundation, New York 1989 e stampato nel mio rapporto Rüdiger Kammerer, Armin Solms (ed.), Das Rudolf Gutachten, Cromwell Press, London 1993, p. 81; online: http://www.vho.org/D/rga/leucht.html.
- http://www.air-photo.com
- Danuta Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939 – 1945, Rowohlt, Reinbek 1989, p. 454
- Jean-Marie Boisdefeu, La controverse sur l’extermination des Juifs par les Allemands, vol. 1, Vrij Historisch Onderzoek, Berchem 1994, p. 167
- Danuta Czech, op. cit. (Nota 7), p. 398
- Per maggiori dettagli si veda Rudolf Gutachten, op. cit. (Nota 5), pp. 26, 28; online: http://www.vho.org/D/rga/KII_III_2.html
- «Kurier», 30 agosto 1992, p. 20: « Wenn Felsen fallen ».
- F. A. Leuchter, An Engineering Report on the Alleged Execution Gas Chambers at Auschwitz, Birkenau and Majdanek, Poland, Samisdat Publishers Ltd., Toronto 1988.
- Su questo meccanismo cfr. Ernst Gauss, «Vorlesungen über Zeitgeschichte», Grabert, Tübingen 1993, pp. 163 e segg., 290-294; online: http://www.vho.org/D/vuez/v3.html#v3_4 e ~/v5.html#v5_5; Rudolf Gutachten, op. cit. (Nota 5), pp. 39-45; Online: http://www.vho.org/D/rga/wasser.html e segg.
- Landolt-Börnstein, Zahlen und Funktionen aus Physik, Chemie, Astronomie, Technik, Band IV Technik, Teil 4b Wärmetechnik, Springer, Berlin 61972, pp. 433-452.
- Per informazioni sulle proprietà del calcestruzzo, delle malte cementizie e delle malte di calce, è stata utilizzata la seguente letteratura tedesca: S. Röbert (Hg.), Systematische Baustofflehre, Band 1, VEB Verlag für Bauwesen, Berlin 41983, p. 120; K. Wesche, Baustoffe für tragende Bauteile, vol. 1 & 2, Bauverlag, Wiesbaden 1977, p. 37, pp. 51 e segg.. risp.; Verein Deutscher Zementwerke, Zement Taschenbuch 1972/73, Bauverlag, Wiesbaden 1972, pp. 19 segg.; W. Czernin, Zementchemie für Bauingenieure, Bauverlag, Wiesbaden 1977, p. 49 segg.
- Landolt-Börnstein, Eigenschaften der Materie in ihren Aggregatzuständen, 2a Parte, vol. b, Lösungsmittelgleichgewichte I, Springer, Berlin 1962, pp. 1-158.
- W.H. Duda, Cement-Data-Book, Bauverlag, Wiesbaden 1976, pp. 4 e segg.; O. Hähnle, Baustoff-Lexikon, Deutsche Verlagsanstalt, Stoccarda 1961, p. 384.
- G. Stochel, Z. Stasicka, Polyhedron 4 (11) (1985), pp. 1887-1890.
- T. Ozeki, K. Matsumoto, S. Hikime, Anal. Chem. 56 (14) (1984), pp. 2819-2822.
- L. Moggi, F. Bolletta, V. Balzani, F. Scandola, J. Inorg. Nucl. Chem. 28 (1966), pp. 2589-2598.
- M.A. Alich, D.T. Haworth, M.F. Johnson, J. Inorg. Nucl. Chem. 29, (1967), pp. 1637-1642. Studi spettroscopici della reazione dell’esacianoferrato(III) in acqua ed etanolo. Una soluzione di 3,3×10– 4 M Fe(NO3)3 è stata trattata con un eccesso di cianuro di 3,3×10-4 mol l-1. Con valori pH di circa 10, tutto il Fe2[Fe(CN)6] è stato convertito in Blu di Prussia nel giro di 48 ore. Non è stato rilevato il cianato, prodotto di ossidazione del CN- previsto,. Forse è stato immediatamente ossidato al prodotto finale CO2.
- J.C. Bailar, Comprehensive Inorganic Chemistry, Vol. 3, Pergamon Press, Oxford 1973, p. 1047.
- R.M. Izatt, G.D. Watt, C.H. Bartholomew, J.J. Christensen, Inorg. Chem. 9 (1970), pp. 2019 e segg. Risultati di misurazioni calorimetriche riguardanti le entalpie di formazione del Blu di Prussia a partire da diversi materiali di partenza (tra parentesi):
DH(Fe2+ + [Fe(CN)6]3-)= -66,128 kJ mol-1; DH(Fe3+ + [Fe(CN)6]4-)= 2,197 kJ mol-1. - F. Krleza, M. Avlijas, G. Dokovic, Glas. Hem. Tehnol. Bosne Hercegovine, 23-24 (1977) (Vol. Date 1976), pp. 7-13.
- Wolfgang Lambrecht, «Zyklon B – eine Ergänzung», «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» 1(1) (1997), pp. 2-5; Online: http://www.vho.org/VffG/1997/1/Lambrecht1.html.
- Carlo Mattogno, «Die Gaskammern von Majdanek», «Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung» 2(2) (1998), pp. 118, nota 5; non disponibile online.
- Conrad Grieb, «Der selbstassistierte Holocaust-Schwindel», «VffG» 1(1) (1997), pp. 6-8; Online: http://www.vho.org/VffG/1997/1/Grieb1.html.
- Per quanto riguarda il presunto tempo necessario per le uccisioni, si veda ad esempio: Schwurgericht Hagen, sentenza del 24 luglio 1970, Ref. 11 Ks 1/70, p. 97 (5 min.); Memoria processuale finale dell’accusa, acc. a U. Walendy, Auschwitz im IG-Farben-Prozeß, Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, Vlotho 1981, pp. 47-50 (da 3 a 15 minuti al massimo); E. Kogon, H. Langbein, A. Rückerl et al., Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas, Fischerverlag, Francoforte sul Meno 1983, freq. (immediatamente -10 min., più raramente 20 min.); J. Buszko (Ed.), Auschwitz, Nazi Extermination Camp, Interpress Publishers, Warschau 2 1985, pp. 114 + 118 (pochi minuti); H.G. Adler, H. Langbein, E. Lingens-Reiner (Hg.), Auschwitz, Europäische Verlagsanstalt, Köln 31984, pp. 66, 80 + 200 (pochi minuti, fino a 10 minuti); Hamburger Institut für Sozialforschung (a cura di), Die Auschwitz-Hefte, vol. 1, Beltz Verlag, Weinheim 1987, pp. 261 e segg.+294 (immediatamente a 10 min.); C. Vaillant-Couturier, Der Prozeß gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem Internationalen Militärgerichtshof Nürnberg (IMT), vol. VI, p. 242 (da 5 a 7 min.); M. Nyiszli in: G. Schoenberner (ed.), Wir haben es gesehen, Fourier, Wiesbaden 1981, p. 250 (5 min.); C.S. Bendel in: H. Langbein, Menschen in Auschwitz, Europaverlag, Wien 1987, p. 221 (le vittime hanno smesso di urlare dopo 2 min.); P. Broad in: B. Naumann, Auschwitz, Athenäum, Frankfurt/Main 1968, p. 217 (4 min.), dopo 10-15 min. venivano aperte le porte: A. Rückerl, NS-Verbrechen vor Gericht, C.F. Müller, Heidelberg, 21984, p. 58e segg.; K. Hölbinger in: H. Langbein, Der Auschwitz-Prozeß, Europäische Verlagsanstalt, Francoforte sul Meno 1965, p. 73 (1 min.): R. Böck, ibid., p. 74 (dopo che le porte furono chiuse: 10 min vittime urlanti, poi le porte furono aperte); H. Stark, ibid., p. 439 (10-15 min. vittime urlanti); F. Müller, ibid., p. 463 (8-10 min.); E. Pyš, ibid., p. 748 (ventilazione attivata dopo pochi minuti); K. Lill, ibid., p. 750 (e pochi secondi dopo che lo Zyklon B fu scaraventato con un urlo, pochi minuti dopo uscì del fumo dal camino).
- Cfr. Rudolf Gutachten, op. cit. (nota 5) pp. 70-73; online: http://www.vho.org/D/rga/lueft.html.
- Cfr. Carlo Mattogno in: Herbert Verbeke (ed.),Auschwitz: Nackte Fakten, Vrij Historisch Onderzoek, Berchem, 1995, pp. 133-143; in linea: http://www.vho.org/D/anf/AR.html
- In Ernst Gauss (ed.),Grundlagen zur Zeitgeschichte, Grabert, Tubinga 1994, pp. 401 e segg.; online: http://www.codoh.com/inter/intgrgauss.html; Traduzione in Inglese: http://www.vho.org/GB/Books/dth/fndwood.html.
- Günter Zimmermann (Ed.), Bauschäden Sammlung, Band 4, Forum-Verlag, Stoccarda 1981, pp. 120 e segg.
- Fortunatamente, l’ingegnere responsabile incaricato di restaurare questa chiesa nel 1976 è un sostenitore del revisionismo. Mi ha dato maggiori dettagli su questo caso e la foto della chiesa qui riportata.
- Jürgen Graf, Carlo Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, Castle Hill Publishers, Hastings 1998; Online: http://www.vho.org/D/Majdanek/MR.html.
- Per maggiori dettagli su tutti questi punti si veda Rudolf Gutachten, op. cit. (Nota 5), ov.
- Rudolf Gutachten, op. cit. (Nota 5), p 98; online: http://www.vho.org/D/rga/schluss.html
- Rudolf Gutachten, op. cit. (Nota 5), 45-49; online: ~/ph_sens.html e segg.
- J.M. Kape, E.C. Mills, Trad. Inst. Met. Finish. vol. 35 (1958), pp. 353-384; ibid., vol. 59 (1981), pp. 35-39.
- D. Maier, K. Czurda, G. Gudehus, Das Gas- und Wasserfach, in: Gas • Erdgas, 1989, 130, pp. 474-484.
- Jan Markiewicz, Wojciech Gubala, Jerzy Labedz, Z Zagadnien Nauk Sadowych, Z. XXX (1994), pp. 17-27; online: http://www2.ca.nizkor.org/ftp.cgi/orgs/polish/institute-for-forensic-research/post-leuchter.report
- «Vorlesungen über Zeitgeschichte», op. cit. (nota 13).
- G. Rudolf, Deutschland in Geschichte und Gegenwart 43(1) (1995), pp. 22-26; online: http://www.vho.org/D/Kardinal/LeuchterR.html; J. Markiewicz, W. Gubala, J. Labedz, G. Rudolf, corrispondenza, in: Sleipnir (Verlag der Freunde, Postfach 35 02 64, D-10211 Berlin) 1(3) (1995), pp. 29-33; ristampa in: Herbert Verbeke (ed.), Kardinalfragen zur Zeitgeschichte, Vrij Historisch Onderzoek, Berchem 1996 (online ibidem).
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