Vincenzo Vinciguerra: La palude e la menzogna

LA PALUDE E LA MENZOGNA

Di Vincenzo Vinciguerra

Chiedersi ancora una volta, l’ennesima, perché la verità sulla storia italiana del dopoguerra non riesce ad affermarsi trova la risposta nel riconoscimento della responsabilità di tutte le forze politiche, nessuna esclusa, impegnate da sempre a sostenere le menzogne del regime.

Se nulla smuove l’italica palude politica italiana è perché non c’è più, dall’agosto del 1968, un’opposizione ai governi che, via via, si sono succeduti fino ad oggi.

In Italia è esistita, nel dopoguerra, una sola opposizione politica e ideologica condotta dal Partito comunista italiano, agli ordini di Mosca, fino all’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel mese di agosto del 1968.

Dopo il colpo di Stato militare in Grecia, nell’aprile del 1967, l’Unione Sovietica aveva abbandonato i comunisti locali al loro destino e aveva stretto ottimi rapporti commerciali con il governo dei colonnelli.

L’invasione sovietica della Cecoslovacchia, nell’agosto del 1968, aveva provocato proteste solo formali da parte degli Stati Uniti e dei Paesi occidentali.

I due eventi provavano che i patti di Jalta erano ancora in vigore e che le due potenze egemoni, Unione Sovietica e Stati Uniti, li rispettavano alla lettera.

I dirigenti del Partito comunista italiano si resero, di conseguenza, conto che se fossero stati messi fuori legge avrebbero fatto la stessa fine dei comunisti greci nel 1946 e nel 1967, lasciati soli dall’Unione Sovietica, che nulla avrebbe fatto per proteggerli e difenderli.

Da quel mese di agosto del 1968, il PCI inizia a svolgere una politica di sopravvivenza, iniziando a lanciare ai detentori del potere segnali, inizialmente non pubblici, di disponibilità ad un compromesso con la Democrazia Cristiana, segnali che non sfuggono all’attenzione di Aldo Moro che, nel gennaio del 1969, vara nei confronti dei comunisti la “strategia dell’attenzione”.

Ormai deciso a farsi accettare come interlocutore affidabile del potere nazionale e sovranazionale, il PCI sceglie di coprire le responsabilità dello Stato e della Nato nella “strategia della tensione”.

Dopo la strage del 12 dicembre 1969 a Milano, a piazza Fontana, i dirigenti del PCI ordinano ai loro giornalisti di accusare, come responsabili, i soli “fascisti”, escludendo il concorso dei servizi segreti.

È una scelta che il PCI manterrà, inalterata nel tempo, fino ad oggi, e che gli consente di evitare lo scontro frontale con i poteri forti, prime le Forze Armate, e di creare un fantomatico “pericolo fascista” contro il quale chiede che si mobilitino tutte le forze democratiche e antifasciste, con esplicito richiamo all’unità del CLN.

Una mossa abile e vincente, quella del PCI, perché con l’invenzione del nemico fascista nega ogni responsabilità dello Stato – che da aggressore si trasforma in aggredito – accredita la sua “maturità democratica” e si offre come suo primo difensore, chiamando in concorso le altre forze democratiche e antifasciste.

Il primo a recepire l’importanza della spregiudicata operazione comunista è Aldo Moro che, dalla seconda metà del 1972, inizia a denunciare l’esistenza del “pericolo fascista”, affiancato, via via, da altri esponenti di primo piano della stessa DC.

Quando, poi, l’operato dei servizi segreti e delle Forze Armate è emerso in tutta la sua evidenza, hanno tirato fuori, tutti insieme, le “deviazioni”, le “infedeltà”, le “collusioni”, l’”infiltrazione dei fascisti” nei gangli vitali dello Stato.

E il gioco è fatto.

Sono passati tanti anni, quasi cinquanta, da quando la grande paura del PCI ha cessato di esistere dopo il mancato “sorpasso” della DC nelle elezioni politiche del 1976, ma la sinistra italiana continua ad avallare le menzogne dello Stato sulla responsabilità della guerra civile degli anni Sessanta e Settanta.

Se nei primi anni Settanta la menzogna era dettata dalla politica di sopravvivenza, la sua reiterazione da parte degli ex comunisti si giustifica con la decisione di continuare a non coinvolgere i “poteri forti”, interni ed internazionali, protagonisti di quella tragedia – delle cui reazioni hanno ancora paura.

Nell’italica palude politica italiana, dove le “opposizioni” sono solo dialettiche ed intercambiabili, nella negazione della verità convergono sia la destra che la sinistra, fatta eccezione, per quest’ultima, di pochi e coraggiosi storici.

Continua, pertanto, a perpetuarsi la contrapposizione fra verità politica e storica, fra la menzogna e la verità.

La possibilità di affermare la verità risiede, quindi, nella politica ma non è ipotizzabile, allo stato, che qualcuno trovi il coraggio di smuovere la palude.

Non c’è speranza? Non è un buon motivo per fermarsi.

 

Opera, 6 dicembre 2024

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