Germar Rudolf: Breve storia delle analisi forensi di Auschwitz

BREVE STORIA DELLE ANALISI FORENSI DI AUSCHWITZ

Di Germar Rudolf (testo scritto nel 2000, pubblicato nel 2001)

https://germarrudolf.com/persecution-2/germars-persecution/auschwitz-forensics/

Germar Rudolf aveva completato la sua tesi di dottorato in chimica mentre lavorava presso il celebre Istituto Max Planck di Stoccarda, quando la pubblicazione della sua  perizia sulle presunte camere a gas di Auschwitz indusse le autorità universitarie a proibirgli di completare il dottorato. Nel 1995 Rudolf fu condannato a quattordici mesi di carcere, per essere l’autore del Rapporto Rudolf;  nello stesso anno furono sequestrate e distrutte per ordine del tribunale tutte le copie disponibili di Grundlagen zur Zeitgeschichte, una raccolta di ricerche aggiornate sul problema dell’Olocausto, (per la versione in lingua inglese, Dissecting the Holocaust; vedi QUI come acquistarne una copia). Tra il 1997 e il 2005, Rudolf ha diretto la rivista trimestrale revisionista in lingua tedesca Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, e tra il 2003 e il 2005 la rivista trimestrale revisionista inglese The Revisionist. A causa delle crescenti persecuzioni in atto in Europa, Germar fuggì negli Stati Uniti alla fine del 1999 e fece domanda di asilo politico. Alla fine del 2005, poco prima di un’udienza del suo caso presso il tribunale federale degli Stati Uniti, è stato deportato in Germania, dove è stato successivamente processato e condannato a 30 mesi di reclusione per l’edizione tedesca del suo libro Lectures on the Holocaust e per il  materiale promozionale che aveva diffuso per le sue varie pubblicazioni. È stato scarcerato nel 2009 e nel 2011 è riuscito a ricongiungersi alla moglie e alla figlia negli Stati Uniti.

“Auschwitz” è diventato il simbolo del più grande crimine della storia umana. Il significato della presunta uccisione con il gas di un milione o più di persone, la maggior parte delle quali ebree, nel campo di concentramento tedesco che porta quel nome ha provocato infinite discussioni tra filosofi, teologi e letterati, così come tra giuristi e storici, e ha dato origine a innumerevoli luoghi comuni da parte di giornalisti e politici. Tuttavia, il presente articolo s’incentra sulle seguenti domande:

  1. Il presunto crimine mostruoso non dovrebbe forse essere sottoposto a un attento esame attraverso un’analisi forense approfondita?
  2. Quali analisi forensi delle presunte scene del crimine ad Auschwitz sono state finora eseguite, e con quali risultati? Come dobbiamo valutare i risultati?

Obbligo morale di eseguire l’analisi forense

Alla fine della primavera 1993, l’Istituto Max Planck di Stoccarda pubblicò una circolare interna in cui informava i suoi dipendenti che un dottorando era stato licenziato per aver svolto una ricerca su Auschwitz. L’istituto spiegò che, in considerazione dell’orrore dei crimini commessi dai nazionalsocialisti contro gli ebrei, era moralmente disgustoso disquisire del modo specifico in cui le vittime erano state uccise, o cercare di determinare l’esatto numero dei morti. Il fatto che uno dei principali istituti di ricerca scientifica del mondo abbia dichiarato al suo personale che cercare di determinarne delle cifre esatte non è solo immorale, ma anche riprovevole, e causa di licenziamento, non manca di ironia.

Ha davvero importanza quanti ebrei hanno perso la vita nella sfera d’influenza tedesca durante la Seconda guerra mondiale? È così importante, dopo tanti anni, tentare di indagare scrupolosamente su come sono morti? Dopo tutto, è di sicuro moralmente corretto affermare che anche una sola vittima è di troppo; e nessuno nega veramente che molti ebrei siano morti.

Formulare tali affermazioni, tuttavia, non significa sollevare una valida obiezione – morale o di altro tipo – all’indagine scientifica su un crimine ritenuto unico e incomparabile nella storia dell’umanità. Anche un reato che si presume sia eccezionalmente riprovevole deve essere sottoposto a una procedura standard come qualsiasi altro reato, vale a dire che può – deve – essere oggetto di un’indagine materiale dettagliata. Inoltre, chiunque ipotizzi che un crimine, presunto o reale, sia unico deve essere preparato ad un’indagine straordinariamente approfondita del presunto crimine, prima che la sua unicità sia accettata come dato di fatto.

Se, d’altra parte, qualcuno cercasse di sottrarre alle indagini un tale crimine, presumibilmente senza precedenti, erigendo un tabù di indignazione morale, i creatori di quel tabù commetterebbero essi stessi, almeno moralmente, un reato unico: attribuire una colpa incomparabile, al di là di ogni critica e difesa, a un intero popolo, i Tedeschi. Solo per dimostrare quale tipo di doppiopesismo si applichi all’“Olocausto” (la cui definizione di solito include il deliberato annientamento di milioni di ebrei da parte del Terzo Reich), osserviamo la reazione internazionale a vari esempi recenti di “crimini contro l’umanità”. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, sono state scoperte e sottoposte a indagine numerose fosse comuni, contenenti i resti di centinaia di migliaia di vittime dei Sovietici. Non solo è stato determinato il numero delle vittime, ma in molti casi anche la causa specifica della morte. Nelle stesse regioni in cui sono state rinvenute molte di queste fosse comuni si dice che un milione o più di ebrei siano stati fucilati dagli Einsatzgruppen, eppure in oltre mezzo secolo, durante il quale queste aree si trovavano sotto il controllo dell’URSS e degli stati che le sono succeduti, non è mai stato comunicato il ritrovamento di fosse del genere; tanto meno che siano state scavate e siano state oggetto di indagini.

Durante il conflitto in Kosovo, nel 1999, si diffusero in tutto il mondo voci di uccisioni di massa da parte dei Serbi. Dopo la cessazione delle ostilità, una commissione d’inchiesta internazionale è arrivata in Kosovo, per cercare, scavare e condurre indagini giudiziarie sulle fosse comuni. È stato dimostrato che non solo il numero di queste fosse era inferiore a quello indicato dagli oppositori albanesi dei Serbi, ma anche che contenevano una piccola parte del numero di vittime rivendicate.

Gli Alleati hanno forse tentato, durante la guerra e negli anni immediatamente successivi, di trovare e condurre indagini su fosse comuni di persone che si dice siano state vittime dei Tedeschi? Per quanto se ne sa, solo una volta: a Katyn. Ma le conclusioni della commissione forense sovietica, che attribuì ai Tedeschi il massacro di diverse migliaia di ufficiali polacchi ivi sepolti, sono oggi generalmente considerate un’invenzione. Il rapporto della commissione forense internazionale, invitata dai Tedeschi nel 1943, che scoprì, invece, che erano stati i Sovietici a compiere questo massacro, è oggi considerato accurato anche dal governo russo.

Una definizione di scienza forense

La scienza forense (nota anche come criminalistica – N. d. T.) è generalmente considerata come una scienza di supporto della criminologia. Il suo scopo è quello di raccogliere e identificare i resti fisici di un crimine, e di trarne delle conclusioni sulla vittima o sulle vittime, sull’autore o sugli autori, sull’arma o sulle armi, sul momento e sul luogo del crimine nonché su come sia stato commesso, se realmente commesso. Questa disciplina giuridica è relativamente nuova ed è entrata nelle aule dei tribunali solo nel 1902, quando la prova delle impronte digitali è stata accettata per la prima volta in un tribunale inglese. Il CD-ROM Encyclopaedia Britannica  del 1998 scrive in merito alla scienza forense:

Le forze dell’ordine hanno a disposizione un’ampia gamma di tecniche scientifiche che tentano di identificare i sospetti o di stabilire, al di là di ogni dubbio, il legame tra un sospettato e il crimine in questione. Gli esempi includono l’analisi di macchie di sangue e tracce di altri fluidi corporei (come sperma o saliva) che possono indicare alcune delle caratteristiche del reo. Le fibre possono essere analizzate al microscopio o sottoposte ad analisi chimiche per dimostrare, ad esempio, che le fibre trovate sulla vittima o sulla scena del crimine sono simili a quelle presenti negli indumenti dell’indagato. I campioni di capelli, e in particolare le cellule della cute attaccate alle radici dei capelli, possono essere confrontati chimicamente e geneticamente con quelli del sospettato. L’analisi al microscopio o l’analisi chimica di molte sostanze inorganiche, come vetro, carta e vernice, possono fornire informazioni rilevanti. L’esame di un documento in discussione può rivelare che si tratta di un falso, in base alla prova che la carta su cui è scritto è stata prodotta con una tecnica non disponibile all’epoca a cui si vorrebbe farlo risalire. Si può misurare l’indice di rifrazione anche di piccole particelle di vetro per dimostrare che un dato oggetto o frammento di vetro faceva parte di un particolare lotto prodotto in un determinato periodo e in un determinato luogo.

Quindi, la ricerca forense è esattamente ciò che i revisionisti, a cominciare da Robert Faurisson, hanno definito ricerca di prove materiali. La richiesta delle prove materiali da parte dei revisionisti è del tutto coerente con la normale pratica della moderna polizia scientifica. E, come è generalmente riconosciuto, le prove forensi sono più conclusive dei testimoni oculari o delle prove documentali.

La scienza forense e Auschwitz

Il processo di Auschwitz – Cracovia 1946

Nel 1945, l’Istituto di Cracovia per la ricerca forense (Instytut Ekspertyz Sadowych) predispose un rapporto relativo a un’indagine su Auschwitz, il quale fu presentato come prova nel processo di Auschwitz del 1946 a Cracovia.[1] Questa perizia deve essere presa con le molle, perché le analisi forensi e le procedure giudiziarie condotte sotto il regime comunista erano tutt’altro che affidabili e nel 1945 la Polonia era un satellite stalinista. Basti pensare all’esempio di Katyn, il cui racconto sovietico è stato pienamente approvato dal regime comunista polacco.[2]

Gli investigatori forensi di Cracovia presero i capelli, presumibilmente tagliati ai detenuti, e i fermagli dei capelli dalle borse trovate dai Sovietici ad Auschwitz. I test eseguiti per determinare i residui di cianuro sia sui capelli che sui fermagli erano risultati positivi. Inoltre, era stata testata, con esito positivo, una copertura metallica zincata per determinare la presenza di cianuro. L’Istituto di Cracovia sostiene che, un tempo, questa copertura metallica proteggeva il condotto di scarico di una presunta “camera a gas” omicida a Birkenau.

I test condotti dall’Istituto erano analisi qualitative, non quantitative. In altre parole, potevano solo determinare se il cianuro era presente o meno, non la sua quantità.

Per quanto riguarda il fatto che ad Auschwitz abbia avuto luogo o meno una gasazione omicida con acido cianidrico, queste analisi non hanno alcun valore, per tre ragioni:

  1. Non c’è modo di determinare l’origine e la storia dei capelli e dei fermagli per capelli trovati nelle borse di Auschwitz. Supponendo che i risultati delle analisi siano corretti, da un punto di vista chimico si può notare quanto segue: un test positivo per quanto riguarda il cianuro trovato nei capelli umani dimostra solo che i capelli sono stati esposti all’HCN (acido cianidrico). Ma questo risultato non basta per stabilire che le persone da cui provenivano i capelli sono state uccise dal cianuro. È molto più probabile che i capelli fossero già stati tagliati quando furono esposti al gas: nei campi tedeschi e alleati era consuetudine tagliare i capelli dei prigionieri per motivi igienici. Quando i capelli oltre una certa lunghezza furono successivamente riciclati,[3] si dovette eseguire una disinfestazione preliminare (spesso con Zyklon B, il cui principio attivo è l’acido cianidrico). Perciò, i test positivi riguardo al cianuro proveniente dai capelli sciolti non dimostrano gasazioni di esseri umani.
  2. Ci troviamo di fronte a un problema simile con le coperture zincate, che si suppone siano state utilizzate per coprire i condotti di ventilazione delle presunte “camere a gas”: l’origine e la storia esatte sono sconosciute. Sarebbe stato di gran lunga preferibile che l’Istituto di Cracovia avesse analizzato campioni delle pareti delle presunte “camere a gas”, invece di prelevare campioni da pezzi di metallo:
    1. Mentre l’origine e la storia di queste coperture metalliche erano incerte, l’origine e (almeno in parte) la storia delle pareti degli obitori presumibilmente utilizzati come “camere a gas” erano note.
    2. A differenza del cemento e del calcestruzzo, le coperture metalliche zincate impediscono la formazione di composti stabili di cianuro di ferro.[4] I composti di cianuro di zinco sviluppatisi sono relativamente instabili e ci si deve aspettare che svaniscano in un breve periodo di tempo.[5]
    3. La tendenza del materiale poroso delle pareti di locali sotterranei umidi ad accumularsi e a legare l’acido cianidrico, sia fisicamente che chimicamente, è centinaia di volte superiore a quella della lamiera.
    4. In realtà, la lettera che accompagna i campioni inviati all’Istituto di Cracovia menziona che è anche allegato un campione di malta, presumibilmente prelevato da una cosiddetta “camera a gas”, e che dovrebbe essere testato per determinare  la presenza di cianuro. Tuttavia, per ragioni sconosciute, l’Istituto di Cracovia non ha menzionato questo campione di malta nel suo rapporto, forse perché non ha dato un risultato positivo.
  3. Non ci sono prove che entrambe le analisi siano state riprodotte con successo.

Il processo di Auschwitz – Francoforte 1964-1966

Durante il processo di Auschwitz a Francoforte furono redatte diverse perizie, le più note delle quali sono quelle dell’Institut für Zeitgeschichte (Istituto di storia contemporanea N.d.T.) di Monaco di Baviera.[6] Tuttavia, nessuna di queste perizie era di natura forense. Venivano affrontati argomenti legali, storici o psicologici. Durante questo gigantesco processo né la corte, né l’accusa,[7] né la difesa[8] hanno mai consigliato di mettere al sicuro le tracce materiali del presunto crimine e di sottoporle a indagini. L’accusa aveva a disposizione numerose dichiarazioni di testimoni oculari e confessioni di esecutori, e considerava questo materiale completamente sufficiente per stabilire, al di là di ogni possibile dubbio, l’esistenza di un programma di sterminio degli ebrei ad Auschwitz e altrove durante il Terzo Reich.[9] L’abbondanza di tali prove è stata da allora utilizzata per sostenere che la mancanza di prove documentali e materiali era irrilevante.[10] La corte ha apertamente ammesso nella sua sentenza che non era stata presentata nessuna prova materiale durante il processo di Auschwitz a Francoforte:

La corte mancava di quasi tutte le possibilità di scoprire la verità, disponibili in un normale processo per omicidio, per creare un quadro reale dell’evento reale al momento dell’omicidio. Mancavano i corpi delle vittime, i registri delle autopsie, le perizie sulla causa della morte e l’ora della morte; mancava qualsiasi traccia degli assassini, delle armi del delitto, ecc. L’esame delle testimonianze oculari è stato possibile solo in rari casi. Laddove esisteva il minimo dubbio o non poteva essere esclusa con certezza la possibilità di confusione, il tribunale non ha valutato la deposizione dei testimoni.

Il processo di Auschwitz – Vienna 1972

Tra il 18 gennaio e il 10 marzo 1972 furono processati a Vienna due architetti responsabili della progettazione e della costruzione dei crematori di Auschwitz-Birkenau, Walter Dejaco e Fritz Ertl.[11] Durante il processo, è stata presentata al tribunale una perizia sulla possibile interpretazione dei progetti delle presunte camere a gas dei crematori di Auschwitz e Birkenau. Il rapporto concludeva che le stanze in questione non potevano essere camere a gas, né potevano essere state convertite in camere a gas.[12] Grazie a questa prima perizia su Auschwitz, metodologicamente valida, gli imputati furono assolti.

Alla ricerca di fosse comuni

Nel 1966 il Museo Statale di Auschwitz incaricò la società polacca Hydrokop di perforare il terreno del campo di Auschwitz-Birkenau e di analizzarne i campioni. Non si sa se questa ricerca sia stata condotta nel contesto del secondo processo di Auschwitz tenutosi a Francoforte. Tuttavia, i risultati, sparirono negli archivi del museo e non furono mai divulgati, il che è di per sè assai eloquente. Anni dopo, però, varie pagine di questo rapporto furono fotocopiate e inviate all’editore revisionista tedesco Udo Walendy, che le pubblicò, con relativo commento, in un numero del suo periodico.[13] Tracce di ossa e capelli presumibilmente trovati in vari luoghi potrebbero indicare fosse comuni. Le poche pagine pubblicate da Walendy, tuttavia, non rivelano se questi ritrovamenti abbiano portato a uno scavo o a un successivo studio forense delle tracce. Non è nemmeno chiaro se i campioni di ossa e capelli raccolti siano resti umani o animali.

Faurisson apre il fuoco

C’è voluto un professore di letteratura francese per informare il mondo che determinare se ad Auschwitz ha avuto luogo un massacro è una questione di prove forensi. Robert Faurisson, professore di letteratura francese e specializzato nell’analisi di documenti, testi e dichiarazioni di testimoni presso l’Università di Lione 2, iniziò a dubitare della versione storica standard dell’Olocausto, dopo uno studio critico delle testimonianze oculari e un esame approfondito dei documenti che si diceva suffragassero la tesi dello sterminio. Nel  1978 Faurisson sostenne per la prima volta la tesi che “non c’era stata neanche una camera a gas sotto Adolf Hitler”.[14] Da allora in poi, rafforzò la sua posizione con numerose argomentazioni fisiche, chimiche, topografiche, architettoniche, documentali e storiche. Ha definito l’esistenza delle camere a gas omicide come “radicalmente impossibile”.[15] Alla fine del 1978 “Le Monde”, il principale quotidiano francese, offrì al professor Faurisson l’opportunità di presentare la sua tesi in un articolo.[16]

Ci volle quasi un decennio, tuttavia, perché il primo esperto accettasse la sfida di Faurisson e preparasse il primo rapporto forense sulle presunte “camere a gas” omicide di Auschwitz: l’ormai famoso rapporto di Fred Leuchter del 1988.[17] I retroscena e la storia del Rapporto Leuchter sono ben noti ai lettori del “Journal of Historical Review” e non c’è bisogno di ripeterli in questa sede.[18] Basti dire che il Rapporto Leuchter è stato un lavoro pionieristico che diede il via a una serie di pubblicazioni, il cui ambito si estese sempre più, a vari campi della scienza forense,[19] arrivando ben presto a comprendere molti studi interdisciplinari di prove materiali e documentali.[20]

Reazione dell’Istituto Jan Sehn

La reazione al Rapporto Leuchter da parte dell’Istituto di Cracovia, che aveva condotto l’inchiesta lacunosa del 1945 – dal 1988 intitolato al giudice comunista che presiedette i processi polacchi di Auschwitz e di Rudolf Höss – ha causato molta confusione nei circoli revisionisti. Ancora oggi, molti credono che nel 1990 quattro ricercatori di questo istituto abbiano convalidato il Rapporto Leuchter,[21] ma è del tutto errato. Per chiarire l’equivoco è necessario che i risultati dell’Istituto di Cracovia successivi al rapporto Leuchter siano trattati in dettaglio.

Breve introduzione chimica

Per rivelare gli errori degli investigatori di Cracovia è necessario presentare un po’ di chimica di base, tanto basilare che le equazioni sono state omesse. Innanzitutto, fino al 1979, Zyklon B era il marchio di fabbrica tedesco di un pesticida a base di acido cianidrico (HCN). Come sa ogni studente di chimica, l’acido cianidrico forma dei sali, spesso chiamati semplicemente cianuri. Come l’acido cianidrico stesso, questi sali sono di solito estremamente velenosi. Esiste, tuttavia,  un gruppo di cianuri niente affatto velenosi. I più noti di questo gruppo sono i cianuri di ferro, in particolare il cosiddetto blu di Prussia, un pigmento scoperto in Prussia alcuni secoli fa. Ogni studente universitario di chimica conosce il blu di Prussia, perché una delle cose più importanti che un chimico deve imparare è come smaltire i sali velenosi di cianuro senza mettere in pericolo la vita degli altri e la propria. Il blu di Prussia si ricava semplicemente aggiungendo alcuni composti di ferro. Poi può essere tranquillamente versato nel lavandino, perché il blu di Prussia è estremamente stabile e non rilascia cianuro nell’ambiente.

 I resti dello Zyklon B, un pesticida a base di acido cianidrico, sono chiaramente visibili [anche] in questa foto [in bianco e nero – l’abbiamo sostituita con un’immagine a colori – ndr] di un’ex camera di disinfestazione nell’ex campo di concentramento tedesco di Majdanek (Polonia) (da notare le macchie scure a destra della porta). La colorazione è stata causata dall’interazione del cianuro, usato per disinfettare gli effetti personali, e dei sali di ferro presenti nelle pareti,  necessaria per formare il blu di Prussia. Questa camera, a differenza di strutture simili di disinfestazione di Auschwitz, è pubblicizzata ai visitatori di Majdanek in cinque lingue come un luogo in cui venivano uccisi sia gli esseri umani che gli insetti. Eppure nessuno dei siti esistenti ad Auschwitz, in cui si dice che centinaia di migliaia di persone siano state gasate con il cianuro, mostra una colorazione simile, o ha mostrato tracce, più che minime, di cianuro. (Foto della camera 3, impianto di balneazione e disinfezione I, presso il Museo Statale di Majdanek). 

Comprendere la controversia che circonda il Rapporto Leuchter è molto più facile, se si tiene presente che, quando l’acido cianidrico si unisce ad alcuni composti di ferro, forma il blu di Prussia. È esattamente il fenomeno che si può osservare entrando negli impianti di disinfestazione con Zyklon B, utilizzati in tutta Europa durante il Terzo Reich. Alcuni di essi, ad esempio nei campi di concentramento di Auschwitz, Birkenau, Majdanek e Stutthof, sono ancora oggi intatti. Tutte queste strutture hanno una cosa in comune: le loro pareti sono permeate di blu di Prussia. Non solo le superfici interne, ma anche la malta tra i mattoni, e persino le pareti esterne di queste camere di disinfestazione abbondano di cianuri di ferro, esibendo una colorazione blu a chiazze. Nulla del genere si può osservare nelle presunte “camere a gas” omicide di Auschwitz e Birkenau.[22]

I composti di ferro necessari per formare il blu di Prussia sono parte integrante di tutti i materiali da costruzione: mattoni, sabbia e cemento contengono sempre una certa quantità di ruggine (di solito tra l’1% e il 4% per cento di ossido di ferro). Questo è ciò che conferisce ai mattoni il loro colore rosso, o ocra, e ciò che rende anche la maggior parte delle sabbie ocra.

Ora, esaminiamo il modo in cui i ricercatori dell’Istituto Jan Sehn hanno affrontato il problema dell’analisi e del’interpretazione dei campioni di Auschwitz.

Mancanza di comprensione

L’équipe dell’Istituto forense, Jan Markiewicz, Wojciech Gubala e Jerzy Labedz, afferma di non aver capito come il blu di Prussia possa essersi formato sulle pareti, in seguito alla loro esposizione alle emanazioni di acido cianidrico: “È difficile immaginare le reazioni chimiche e i processi fisico-chimici che potrebbero aver portato alla formazione del blu di Prussia in quel luogo”.[23]

Non c’è da vergognarsi di non capire. In realtà, questo è l’inizio di ogni scienza: la cognizione di non capire. Nelle epoche pre-scientifiche, gli esseri umani tendevano a trovare risposte mistiche o religiose a domande irrisolte. Gli scienziati moderni affrontano problemi che non capiscono, e che, talvolta, riescono a malapena a immaginare, come sfide su cui indagare, per capire. Questa ricerca della conoscenza è la principale forza motrice dell’umanità moderna. Non dovremmo, quindi, aspettarci che i ricercatori di Cracovia abbiano poi tentato di capire se il blu di Prussia può formarsi in pareti esposte all’acido cianidrico e, in caso affermativo, come?

Il muro esterno di una camera di disinfestazione dell’ex campo di concentramento tedesco di Stutthof (oggi Sztutowo, Polonia). Come per le pareti interne della camera di disinfestazione di Majdanek, le macchie scure evidenti sono dovute al blu di Prussia. La stabilità di questo composto, ancora presente dopo più di mezzo secolo di esposizione agli agenti atmosferici, smentisce l’affermazione sterminazionista secondo cui l’assenza di tracce simili di cianuro nelle presunte camere a gas omicide è dovuta agli agenti atmosferici. Il fatto che il composto di cianuro si sia fatto strada attraverso centimetri di muratura smentisce anche l’assicurazione del chimico James Roth, descritto nel film anti-revisionista “Mr. Death”, che l’acido cianidrico può penetrare in pareti non più in profondità di dieci micron, o di circa un decimo dello spessore di un capello umano. (Foto copyright Carlo Mattogno)

Ulteriore mancanza di comprensione

Nel 1991 il Dr. Markiewicz scrisse, tramite un conoscente comune, che non era in grado di capire come il blu di Prussia potesse formarsi nelle pareti esposte all’acido cianidrico. Pensava che fosse abbastanza improbabile, e insinuò che la sua presenza potesse derivare da una fonte diversa, ad esempio dalla pittura murale blu di Prussia usata per dare alle pareti interne delle camere di disinfestazione una fantasiosa colorazione blu a chiazze. (Si è tentati di chiedere: a che scopo?).[24] Io gli consigliai di guardare le superfici esterne delle pareti, esposte agli agenti atmosferici e anch’esse in parte blu a chiazze. Il loro colore non può essere spiegato dalla vernice, ma solo dai composti di cianuro che si sono diffusi sulle pareti esterne nel corso degli anni e sono stati convertiti in blu di Prussia. Rispose che queste macchie blu erano difficili da spiegare, e che bisognava prima stabilire che si trattava proprio di blu di Prussia.[25] Quindi, c’erano ancora più domande a cui rispondere, prima che questi ricercatori potessero condurre la loro analisi. 

Disinteresse per le domande chiave

Dopo un bel po’ di tempo, nel 1994, i ricercatori polacchi pubblicarono un articolo sulle loro scoperte.[23] Ad un’attenta analisi, il loro articolo rivela sorprendentemente che non hanno fatto nulla per stabilire se possa formarsi o meno il blu di Prussia sulle pareti esposte all’acido cianidrico. Nulla indica che abbiano condotto ricerche di base sul comportamento dei composti di cianuro in condizioni simili a quelle della muratura. Né hanno fatto nulla per stabilire se le macchie blu sulle pareti esterne delle camere di disinfestazione fossero o meno causate dal blu di Prussia. Se vi state chiedendo perché, abbiate pazienza: arriva il peggio.

Ignorare le opinioni dei colleghi

Se i ricercatori avessero trovato una fonte scientifica che affermasse in modo attendibile che il blu di Prussia non può svilupparsi su pareti esposte all’acido cianidrico, ciò avrebbe reso le cose facili per loro, rendendo obsoleta qualsiasi ulteriore ricerca. D’altra parte, se avessero scoperto la letteratura che sosteneva scientificamente che la formazione del blu di Prussia su pareti esposte all’acido cianidrico era possibile, il metodo scientifico li avrebbe costretti a fare una delle due cose: abbandonare la loro posizione secondo cui il blu di Prussia non può formarsi in questo modo, o confutare il parere opposto, dimostrando che non può formarsi. Questo per quanto riguarda il processo scientifico: verifica o confutazione di tesi formulate da colleghi. Ignorare le opinioni dei colleghi è un grave indizio di comportamento niente affatto scientifico.

In effetti, i ricercatori di Cracovia hanno citato un libro che tratta approfonditamente la questione della formazione del blu di Prussia.[26] Consultandolo, però, ci si rende subito conto che dimostra l’esatto contrario della tesi di Markiewicz. L’opera dimostra dettagliatamente come e in quali circostanze sulle pareti esposte all’acido cianidrico possa effettivamente formarsi il blu di Prussia, e che ciò non solo era possibile, ma anche molto probabile, almeno nelle camere di disinfestazione di Auschwitz.

I ricercatori di Cracovia affermano forse che questo libro dimostra il contrario? Niente affatto. In realtà, lo citano, non per rimandare il lettore alle sue argomentazioni chimiche, bensì semplicemente come esempio di studi scientifici che questi autori dell’Istituto Jan Sehn intendono combattere con il loro rapporto. Tutti le argomentazioni avanzate nel libro vengono semplicemente ignorate, mentre l’opera viene stigmatizzata come esempio di “scienza indesiderabile”. Ricordiamoci che il Dr. Markiewicz è un professore, nel senso che professa di aderire agli ideali della scienza e del metodo scientifico!

Esclusione degli elementi indesiderati

Gli autori dello studio di Cracovia hanno ignorato tutte le argomentazioni che dimostravano che si sbagliavano, anche se ne erano certamente consapevoli, poiché le hanno citate. Non hanno fatto alcun tentativo per dimostrare o confutare le proprie affermazioni. Non hanno fatto nulla per capire ciò che sostenevano di non aver capito.

C’era una ragione per la loro strana condotta?

La risposta è molto semplice: questi ricercatori volevano escludere dalle loro analisi il blu di Prussia e composti simili di cianuro di ferro. L’esclusione di questi composti può essere giustificata solo supponendo che il blu di Prussia sulle pareti delle camere di disinfestazione debba avere un’origine diversa, ad esempio dalla vernice. Come scrissero i ricercatori di Cracovia nel loro articolo del 1994: 

Abbiamo quindi deciso di determinare gli ioni di cianuro seguendo un metodo che non causa la decomposizione del complesso composto di cianuro di ferro (questo è il blu in discussione) […] 

Che cosa significa?

Infatti, escludendo il blu di Prussia dalla rilevazione analitica, si dovranno riscontrare, come risultato, tracce di cianuro molto più leggere per le camere di disinfestazione, poiché i composti di cianuro non ferrosi non sono molto stabili e quindi sarebbero difficilmente presenti dopo cinquant’anni. Lo stesso vale per ogni stanza mai esposta all’acido cianidrico. In effetti, ci si devono aspettare dei valori vicini al livello di rilevamento. Questi sono generalmente così inattendibili che un’interpretazione corretta è quasi impossibile. Si può quindi prevedere che l’analisi dei campioni esaminati con un tale metodo fornisca risultati simili per quasi tutti i campioni di materiale che risalgono a molti anni prima. Una simile analisi renderebbe praticamente impossibile distinguere tra le stanze massicciamente esposte all’acido cianidrico e quelle che non lo sono state: presenterebbero, tutte, un residuo di cianuro vicino a zero.

Confronto dell’ordine di grandezza dei risultati delle analisi di diversi campioni
Autore: Markiewicz et al.[23] Leuchter Rudolf
Rilevamento di: cianuro senza

cianuri di ferro

cianuro totale cianuro totale
Camere di

disinfestazione:

0–0,8 mg/kg 1,025 mg/kg 1.000–13.000 mg/kg
Presunta camera a gas: 0–0,6 mg/kg 0-8 mg/kg 0-7 mg/kg

 

Credo che sia esattamente ciò che i ricercatori dell’Istituto Jan Sehn volevano ottenere: dei valori con livelli simili di residui di cianuro sia per le camere di disinfestazione che per le presunte “camere a gas” omicide. Ciò avrebbe permesso loro di affermare: “Stessa quantità di cianuri, quindi stessa quantità di gasazione: così, venivano gassati gli esseri umani nelle cantine dei crematori. In questo modo, Leuchter è confutato”.

I risultati delle analisi del rapporto di Cracovia hanno dimostrato proprio questo, e i suoi autori hanno tratto le conclusioni necessarie.

Se esaminiamo i risultati delle analisi di campioni prelevati da persone diverse e ottenuti con diversi metodi di analisi, è evidente che Markiewicz e i suoi collaboratori hanno falsificato i loro risultati, adattando il loro metodo per ottenere ciò che volevano.

Se questo non sa di frode scientifica, beh… non abbiamo ancora finito con il rapporto di Cracovia.

Eliminazione dei risultati indesiderati

Nel 1991 un documento, trapelato dall’Istituto Jan Sehn di Cracovia, giunto nelle mani dei revisionisti e alla fine pubblicato nei loro periodici,21] ha dimostrato che il Dr. Markiewicz e i suoi collaboratori avevano preparato un primo rapporto già nel 1990. Tale rapporto non fu mai pubblicato. I suoi risultati erano sconcertanti: sebbene i ricercatori stessero già applicando il loro metodo analitico fallace, solo uno dei cinque campioni prelevati da presunte camere a gas omicide aveva prodotto come risultato una quantità estremamente esigua di cianuro (0,024 mg/kg); il resto non aveva cianuro rilevabile. D’altra parte, i campioni prelevati da una camera di disinfestazione indicavano valori fino a 20 volte superiori (0,036-0,588 mg/kg). Questi risultati sembravano confermare le scoperte di Leuchter. Quindi, nel loro articolo del 1994, i ricercatori di Cracovia hanno occultato qualsiasi informazione sui loro risultati iniziali. Normalmente, i ricercatori colpevoli di una simile condotta disonesta vengono espulsi dalla comunità scientifica.

Oggi, la maggior parte dei revisionisti è a conoscenza delle scoperte rivelate nel 1991, ma non di quelle successive, pubblicate nel 1994, che sembrano confutare Leuchter.

Linee guida di Cracovia: non verità scientifica, ma un’agenda politica

In una successiva corrispondenza con i ricercatori di Cracovia, chiesi una spiegazione scientifica del loro metodo di analisi. Diedi loro la prova inconfutabile che il blu di Prussia può formarsi su pareti esposte alle emanazioni di acido cianidrico, citando un caso recente, documentato nella letteratura specialistica.[28] Gli autori del rapporto di Cracovia non sono stati in grado di fornire una ragione scientifica della loro deliberata assenza di analisi per individuare il blu di Prussia e si sono rifiutati di ammettere di aver commesso un errore.[29]

L’autore del presente articolo preleva un campione dallo stipite della porta di una camera di disinfestazione nell’edificio 5A ad Auschwitz-Birkenau. In questo caso, i residui di cianuro derivanti dall’uso ripetuto dello Zyklon B, combinati con il ferro di una cerniera corrosa formano una tonalità particolarmente brillante di blu di Prussia sul telaio della porta in legno. Durante l’analisi, il legno ha dimostrato di contenere 7.150 mg/kg di cianuro.

Infine, nel loro articolo e in una lettera a me indirizzata, i ricercatori di Cracovia hanno affermato che lo scopo del loro articolo era quello di confutare i “negazionisti dell’Olocausto” e d’impedire di coprire i misfatti di Hitler e del nazionalsocialismo. In altre parole, il loro scopo non era la ricerca della verità, ma quello di servire un fine politico.

Conclusioni

Per riassumere l’approccio estremamente antiscientifico e politicamente parziale di Markiewicz e dei suoi collaboratori:

  1. Il compito più importante di uno scienziato è cercare di capire ciò che non è stato capito. I ricercatori dell’Istituto Jan Sehn per la Ricerca forense di Cracovia fecero esattamente il contrario: scelsero di ignorare ed escludere ciò che non capivano (la formazione di blu di Prussia sulle pareti esposte all’acido cianidrico).
  2. L’altro importante compito di uno scienziato è quello di discutere i tentativi di altri scienziati di capire qualcosa. L’équipe di Cracovia ha fatto esattamente il contrario: ha scelto di ignorare e di escludere dalla discussione tutto ciò che avrebbe potuto permettere loro (e ad altri) di capire come può formarsi il blu di Prussia.
  3. Queste scelte hanno permesso loro di impiegare metodi che avrebbero prodotto i risultati desiderati.
  4. Hanno eliminato qualsiasi risultato non idoneo ai loro scopi.
  5. Alla fine, ammisero che lo scopo della loro ricerca non era quello di cercare la verità, ma di contribuire al continuo discredito di Adolf Hitler, ormai da molto tempo defunto.

Perciò, ho pubblicamente definito, e continuo a chiamare, questi ricercatori autori di frodi scientifiche. C’è solo un posto per i risultati della loro ricerca: la spazzatura. Né Markiewicz né i suoi collaboratori hanno mai risposto alle mie accuse. Il dottor Markiewicz, che era un esperto di test tecnici, non un chimico, è morto nel 1997; Gli altri due autori hanno continuato a tacere.

Una convalida tedesca del Rapporto Leuchter

All’inizio del 1991, alcuni mesi dopo aver cominciato a lavorare alla mia tesi di dottorato di ricerca presso l’Istituto Max Planck per la Ricerca sullo Stato Solido di Stoccarda, iniziai le indagini per verificare le affermazioni chimiche contenute nel Rapporto Leuchter, vale a dire, che ci si poteva ancora aspettare di trovare composti di cianuro stabili a lungo termine nelle presunte camere a gas omicide, se in queste ultime  avessero avuto luogo le gasazioni di massa con lo Zyklon B, come sostenuto dai testimoni. Inizialmente ero interessato solo a scoprire se il composto risultante – blu di ferro o blu di Prussia – fosse abbastanza stabile da sopravvivere a quarantacinque anni di esposizione a rigide condizioni atmosferiche. Dopo averne avuto la conferma, inviai i risultati a una ventina di persone che pensavo potessero esserne interessate. Successivamente entrai in contatto con diversi ingegneri e avvocati, i primi disposti ad aiutarmi nelle ricerche forensi, e i secondi principalmente interessati a utilizzare i risultati per i loro clienti. Compii due viaggi ad Auschwitz e condussi ulteriori ricerche per diciotto mesi, fino a quando, nel gennaio 1992, la prima versione, di 72 pagine, del cosiddetto Rapporto Rudolf fu distribuita a vari opinionisti in Germania. In  breve, il rapporto avvalora l’affermazione di Leuchter che, per varie ragioni tecniche e chimiche, la gasazione di massa attestata dai testimoni non avrebbe potuto aver luogo. Il mio rapporto è stato successivamente aggiornato e migliorato, e infine pubblicato nel luglio 1993 in un opuscolo tascabile di 120 pagine.[30] Le versioni olandese e francese sono uscite nel 1995 e nel 1996, ma una versione inglese non è mai stata stampata. [È apparso nel 2003, vedi qui per l’edizione corrente del 2011; GR]. (Un breve riassunto di 16 pagine pubblicato nell’estate del 1993 è spesso erroneamente considerato una versione completa del mio rapporto.) Una versione aggiornata e migliorata è attualmente in preparazione; La pubblicazione è prevista per la fine dell’anno.[31]

Poiché io non posso essere giudice del mio lavoro, non discuterò la mia ricerca in questa sede. La discussione scientifica del mio rapporto è iniziata nel 1995 con un libro tedesco, costituito principalmente da attacchi infondati,.[32] La prima critica seria fino ad oggi, purtroppo costellata di attacchi ad personam, è apparsa solo su Internet.[33] Il suo autore, Richard Green, è, come me, un chimico con una tesi di dottorato in chimica fisica. Ha fatto alcune concessioni di vasta portata nella sua critica:

  1. Al fine di uccidere gli esseri umani il più rapidamente possibile, come attestato dai testimoni, è necessario l’acido cianidrico in concentrazioni simili a quelle utilizzate per le procedure di disinfestazione. Leuchter fu spesso attaccato dai suoi oppositori sulla base del fatto che sarebbe stato necessario molto meno veleno per uccidere gli esseri umani che per uccidere i pidocchi. Sebbene questo sia generalmente vero, non si applica a uno scenario in cui si suppone che molte centinaia di esseri umani siano morti a causa di questo veleno in pochi minuti.
  2. Il ferrocianuro (blu di Prussia) può indubbiamente essere il risultato dell’esposizione delle pareti all’acido cianidrico e, quando si trova negli impianti di disinfestazione di Auschwitz e altrove, l’HCN ne è molto probabilmente la causa.

Quest’ultima concessione distrugge ovviamente la reputazione dei ricercatori di Cracovia (e dei loro sostenitori), che hanno sommariamente dichiarato che la grande quantità di blu di Prussia sulle pareti degli impianti di disinfestazione deve avere un’origine diversa, il che a sua volta ha “permesso” loro di escluderlo dall’analisi. Tuttavia, ciò non disturba Green, che continua a sostenere che i loro risultati dovrebbero essere presi come standard da tutti. Alla mia interrogazione sul perché gli investigatori di Cracovia non avessero risposto alle mie domande sul loro comportamento ovviamente non scientifico, Green ha risposto come segue:

Rudolf si lamenta del fatto che Markiewicz et al. non hanno risposto alle sue domande. Perché dovrebbero farlo? Che credibilità ha Rudolf, che esige che rispondano a ogni sua obiezione, non importa quanto infondata?

Dispositivo radar per la penetrazione del suolo (GPR) utilizzato dall”ingegnere australiano Richard Krege per cercare prove di fosse comuni a Treblinka. Il GPR è in grado di rilevare anomalie su larga scala nella struttura del suolo, a una profondità effettiva normale di quattro o cinque metri o più, ed è ampiamente utilizzato da geologi, archeologi e dalla polizia. Gli esami del suolo effettuati nell’arco di sei giorni a Treblinka nell’ottobre 1999 da Krege e dalla sua équipe non hanno rivelato alcuna anomalia del suolo compatibile con l’esistenza di fosse comuni.

Altri approcci forensi

La chimica non è ovviamente l’unica scienza a cui ricorrere, quando si tratta di risolvere i misteri di Auschwitz. Anche ingegneri, architetti, medici, geologi e altri esperti possono contribuirvi. Né il loro lavoro si ferma al tentativo di decifrare i messaggi nascosti nelle tracce materiali sul posto. I documenti originali del tempo di guerra sulle strutture e gli eventi di Auschwitz richiedono anche la perizia di ingegneri, architetti, medici e geologi. Quando si tratta di ricostruire l’infrastruttura del campo, fino alla funzione e alla destinazione di ogni edificio e di ogni stanza, alle modalità tecniche di funzionamento e alle capacità dei suoi impianti, all’entità e alla modernità di cura nei suoi ospedali, all’effetto della falda freatica delle paludi, che possono, per la maggior parte, essere determinati attraverso l’esame delle decine di migliaia di documenti trovati o diffusi nell’ultimo decennio,  lo storico non può fare il lavoro da solo, né posso farlo io come chimico.

“Niente fori? Niente “Olocausto”!

Ditlieb Felderer fu il primo a trattare a fondo la questione della presenza o meno di fori sul tetto delle presunte “camere a gas” omicide, anche se sembra che non abbia pubblicato nulla al riguardo. Leuchter ha affrontato questo argomento solo superficialmente nel suo rapporto. È stata questa domanda, più che la questione della presenza o meno di residui chimici del gas velenoso, presumibilmente usato, che mi ha assai incuriosito fino a decidere di andare ad Auschwitz, a cercare questi fori da solo. Il 16 agosto 1991, mentre mi trovavo sul tetto crollato della presunta “camera a gas” del crematorio II di Birkenau, ho perso la mia fede nell’“Olocausto”, perché non riuscivo a trovare dei fori degni di questo nome. L’ho descritto dettagliatamente nel mio rapporto. Nel 1994, Robert Faurisson fece la famosa battuta che dà il titolo a questo paragrafo. Eppure è stato solo nel 2000, durante il processo per diffamazione di David Irving contro Deborah Lipstadt, che il mondo ha preso atto dell’affermazione revisionista secondo cui non si trova alcun foro su questo tetto.

Charles Provan ha poi scritto un articolo su Internet in cui afferma di aver confutato questa conclusione revisionista. Ha infatti trovato dei fori nel tetto dell’obitorio del crematorio II.[34] Ma sono forse gli stessi fori usati cinquantacinque anni fa per introdurre lo Zyklon B nella “camera a gas”, come sostengono i testimoni? O sono semplicemente il risultato del crollo del tetto che è stato perforato dai pilastri di sostegno in cemento? Sono convinto che la seconda ipotesi sia quella giusta. La mia convinzione non ha però importanza. Sono i fatti che contano. Ma come possiamo stabilire i fatti in un caso del genere?

Secondo Robert Van Pelt:

Nei 2500 metri quadrati di questa stanza persero la vita più persone che in qualsiasi altro luogo di questo pianeta. Cinquecentomila persone furono uccise. Se si disegnasse una mappa della sofferenza umana, se si creasse una geografia delle atrocità, questo sarebbe il centro assoluto.[35]

Ora, consideriamo un caso un po’ diverso, ma comunque tragico. Sappiamo tutti cosa succede dopo un incidente aereo: centinaia di esperti sciamano per recuperare i rottami del veivolo, in modo da assemblare il tutto come un gigantesco puzzle tridimensionale. Lo scopo è quello di determinare la causa dell’incidente per evitare che si ripeta. Non si bada a spese.

Non sarebbe opportuno fare lo stesso con gli obitori dei crematori II e III di Birkenau? Mettere insieme un gruppo di centinaia di storici, ingegneri, architetti e archeologi per recuperare con precisione tutte le macerie di queste stanze e riassemblarle, come per ricomporre un enorme puzzle, al fine di determinare come apparivano realmente cinquantacinque anni fa? Non sarebbe logico tentare di determinare quali vestigia dobbiamo aspettarci, quando cerchiamo dei fori, prima di trarre allegramente delle conclusioni alla sola vista di una crepa nel cemento?

Negli ultimi anni, ho sentito, con orrore, di persone che si avvicinavano a queste stanze e rompevano le barre di rinforzo che sporgevano da crepe o fori,[36] oppure prendevano le pale e ripulivano il tetto dai detriti per cercarvi dei fori.[37] Cosa direbbe un paleontologo di qualcuno che volesse usare una pala per scavare lo scheletro di un Tyrannosaurus rex? A volte ci si può chiedere: dov’è finito l’homo sapiens? Quand’è che le persone cominceranno a pensare e ad agire sull’Olocausto come esseri umani dotati di saggezza?

La questione se ci fossero o meno dei fori sul tetto del crematorio II non è banale. Se non ce ne fossero stati, allora sarebbe stato impossibile introdurre lo Zyklon B nella presunta “camera a gas”, come sostenuto dai testimoni, che sarebbero, tutti, screditati. Poiché i resoconti dei testimoni oculari sono l’unico pilastro su cui poggia l’Olocausto, ciò porterebbe, prima o poi, al crollo dell’intera storia dell’Olocausto. A sua volta, questa non è una questione banale. L’ordine internazionale instaurato dalle potenze vincitrici, dopo la Seconda guerra mondiale, poggia principalmente sul “dato” dell’Olocausto. L’Olocausto è usato per controllare la Germania (e quindi l’Europa), per reprimere i movimenti nazionali e per mantenere il dominio americano – per non parlare del potere che ne deriva per i movimenti di sinistra e internazionalisti, e dell’uso che ne fanno i gruppi ebrei e sionisti.

Allora, chi vuole sapere la verità? Non sarebbe più facile far saltare in aria i crematori di Auschwitz e rimuovere le macerie una volta per tutte, accontentandosi dei resoconti dei testimoni?

Se i ricercatori revisionisti non compiono il lavoro per stabilire ciò che è realmente accaduto ad Auschwitz, non lo farà nessuno. Considerando i nostri mezzi limitati e le restrizioni legali che ci vengono imposte, potrebbe essere realistico concludere che nessuno lo farà mai. Quindi tutto ciò che possiamo fare in questo momento è mappare e documentare meticolosamente i resti materiali come sono oggi, da cima a fondo, e sperare che alla fine la ragione prevalga.

Tracce criminali?

La scoperta, nei documenti tedeschi del periodo bellico, di parole ambivalenti delle quali si può fornire un’interpretazione sinistra è abbastanza comune nella storiografia tradizionale sull’Olocausto. Jean-Claude Pressac non è il primo ad averlo fatto, ma è forse il più determinato, essendosi spinto ben oltre il bizzarro.[38] Le risposte revisioniste sono state esaurienti e, per gli sterminazionisti, devastanti.[39] Le interpretazioni revisioniste si sono basate, da un lato, su una conoscenza approfondita dei documenti che trattano di Auschwitz – comprese le foto aeree alleate – e del loro contesto e, dall’altro, su conoscenze specialistiche in vari campi dell’ingegneria e dell’architettura.

Tracce a discarico!

Questo approccio, applicato a un gran numero di documenti riguardanti Auschwitz, ha prodotto un altro risultato, ancora più importante, che getta una luce rivelatrice sulla storia del sistema dei campi di Auschwitz. Samuel Crowell ha portato alla luce del materiale sui rifugi antiaerei costruiti dalle SS per proteggere i detenuti dai raid aerei alleati. Hans Lamker e Hans Nowak hanno mostrato in dettaglio come le SS installarono moderni (e assai) costosi impianti di disinfestazione a microonde per proteggere la vita dei detenuti.[40] Insieme a Michael Gärtner e Werner Rademacher, stanno attualmente lavorando a una storia completa del campo di Auschwitz, dotato di tutti i mezzi necessari per garantire la sopravvivenza di decine di migliaia di prigionieri: ospedali, dentisti, cucine, lavanderie, macellerie, nonché strutture ricreative come campi sportivi e giardini. Insieme al fatto che i costi complessivi per la costruzione di questo complesso di campi furono dell’ordine di grandezza di circa cinquecento milioni di dollari, queste strutture contraddicono chiaramente la tesi che le autorità tedesche avessero l’intenzione di utilizzare questo campo come centro di sterminio. Ci sono modi più economici per uccidere gli esseri umani che spendere 500 dollari pro capite.[41]

Il futuro della medicina legale di Auschwitz

Fin dagli albori della scienza, gli scienziati hanno cercato il moto perpetuo (perpetuum mobile). Sembra che non si siano mai accorti di averlo trovato all’inizio della loro ricerca: la scienza stessa. Quindi ci si può aspettare che la ricerca forense su Auschwitz non cesserà mai, soprattutto se si considerano le implicazioni controverse e altamente ideologiche di qualsiasi potenziale scoperta. La direzione e i metodi della ricerca, tuttavia, sono chiaramente stabiliti dai pionieri in questo campo, i revisionisti, ai quali non manca né l’immaginazione né la curiosità di scoprire se le affermazioni di gasazione di massa dell’Olocausto siano vere, qualunque sia il loro uso, per scopi politici o finanziari. Il sistema dei campi di Auschwitz sarà, come prima, al centro di tutto.

Per citare un esempio recente, all’inizio del 2000 l’ingegnere australiano Richard Krege impiegò un radar per la penetrazione del suolo per localizzare (o non localizzare) fosse comuni nelle vicinanze di presunti campi di sterminio tedeschi. Uno studio preliminare è stato pubblicato nella mia rivista trimestrale revisionista in lingua tedesca all’inizio del 2000.[42] Krege ha promesso indagini più approfondite, insieme a un’adeguata introduzione a questo metodo geologico per determinare le anomalie nel suolo sotto i nostri piedi. Il suo lavoro sta per aprire nuovi orizzonti, come ha fatto il lavoro di Leuchter tredici anni fa. Senza dubbio non sarà l’ultimo pioniere a sfidare i dogmi e i tabù dominanti.

Conclusioni

Come per tutti i presunti crimini del passato storico, le scienze forensi hanno la chiave degli enigmi di Auschwitz. Nessun gruppo che abbia il potere di condurre o di esigere la ricerca forense sulla scala necessaria sembra disposto a farlo,  al contrario. Coloro che sono al potere non hanno alcun interesse a cambiare la nostra visione di Auschwitz e, di conseguenza, dell’Olocausto e la ricerca forense è in grado di fare esattamente questo. Invece, le autorità di tutto il mondo perseguitano e perseguono coloro che sostengono o tentano di condurre tale ricerca. Ciò può rallentare il nostro lavoro, ma non ci fermerà.

Quando i ricercatori revisionisti ottengono una svolta improvvisa attraverso la ricerca forense, vengono contrastati non solo con la calunnia e la persecuzione, ma anche con la falsificazione accademica e l’inganno dei cattedratici, di cui il rapporto forense di Cracovia è un esempio tanto evidente. Quanto devono essere disperati, le  vestali della leggenda dell’Olocausto, per ricorrere a tali metodi? Proteggendo le presunte tombe e le rovine delle “camere a gas” di Auschwitz dall’indagine scientifica, rischiano la sepoltura della propria reputazione e la rovina del mito di Auschwitz.

 

Note

[1] Pubblicato in tedesco dal Dokumentationszentrum des Österreichischen Widerstandes (Centro di documentazione della Resistenza austriaca N.dT.) e dal Ministero federale austriaco per l’istruzione e la cultura, in Amoklauf gegen die Wirklichkeit (Vienna, 1991), pp. 36-40; l’originale si trova nel Museo di Stato di Auschwitz.
[2] Vedi F. Kadell, Die Katyn Lüge (Monaco di Baviera, Herbig, 1991).
[3] Lettera delle SS Wirtschafts- und Verwaltungshauptamt, Oranienburg, ai comandanti dei campi di concentramento, 6 agosto 1942, Documento TMI 511-URSS, citato in: Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem Internationalen Militärgerichtshof (Norimberga, 1949), pp. 553 e sgg. La lettera ordinava il riciclaggio dei capelli dei prigionieri a partire da 20 cm. di lunghezza.
[4] Lo zinco impedisce la formazione di ruggine, necessaria per formare cianuri di ferro stabili a lungo termine.
[5] Come i cianuri alcalini terrosi, i cianuri di zinco vengono lentamente decomposti dall’umidità.
[6] H. Buchheim et al., Anatomie des SS-Staates (Friburgo: Walter, 1964).
[7] In tutti i suoi scritti, Adalbert Rückerl, uno dei più importanti pubblici ministeri tedeschi nei “casi dell’Olocausto”, rinuncia a qualsiasi menzione di prove materiali. Egli dichiara,invece, che la prova documentale è la migliore e la più importante forma di prova, anche in assenza di prove materiali dell’autenticità e della correttezza dei documenti stessi (in J. Weber, P. Steinbach, ed., Vergangenheitsbewältigung durch Strafverfahren? [Monaco di Baviera: Olzog, 1984] p. 77). Rückerl riferisce che è praticamente impossibile trovare un sospetto colpevole solo sulla base di prove documentali, cosicché, soprattutto dato il crescente lasso di tempo che separa i presunti crimini dal processo, è quasi sempre necessario ricorrere alla testimonianza oculare, anche se la sua inattendibilità è evidente, in particolare nei processi per i cosiddetti “crimini violenti nazionalsocialisti” (A. Rückerl,  NS-Verbrechen vor Gericht [Heidelberg: C. F. Müller, 1984], p. 249; Rückerl, Nationalsozialistische Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse [Monaco di Baviera, edizone tascabile, 1978], p. 34; Rückerl, NS-Prozesse [Karlsruhe: C. F. Müller, 1972], pp. 27, 29, 31.).
[8] Una così totale ingenuità, unita all’incompetenza giuridica, da parte della difesa è meglio esemplificata in Hans Laternser, Die andere Seite im Auschwitzprozess 1963/65 (Stoccarda: Seewald, 1966).
[9] Il più importante sostenitore di questa tesi è il professor Nolte, nel suo libro Streitpunkte (Berlino: Propyläen, 1993), pp. 290, 293, 297.
[10] Ad esempio, il verdetto dello Schwurgericht (corte d’assise) di Francoforte sul Meno ha affermato che non vi erano prove riguardo al crimine, alle sue vittime, all’arma del delitto, e nemmeno agli autori stessi; Rif. 50/4 Ks 2/63; cfr. I. Sagel-Grande, H. H. Fuchs, C. F. Rüter, ed., Justiz und NS-Verbrechen, vol. 21 (Amsterdam: University Press, 1979),  p. 434.
[11] Rif. 20 Vr 6575/72 (Hv56/72); questo numero di riferimento è diverso da quello citato da Robert Van Pelt nel suo rapporto: The Pelt Report, Irving vs. Lipstadt (Queen’s Bench Division, Royal Courts of Justice, Strand, London, David John Cawdell Irving ./. [1] Penguin Books Limited, [2] Deborah E. Lipstadt, rif. 1996 I. n. 113; p. 135 n. 59: 20 Vr 3806/64 e 27 C Vr 3806/64).
[12] Comunicazione personale da parte dell’esperto, che deve, per il momento, rimanere anonimo. Vedi Michael Gärtner, “Vor 25 Jahren: Ein anderer Auschwitzprozess”, “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung” (VffG) 1, no. 1 (1997), pp. 24 e sgg. (vho.org/VffG/1997/1/Gaertner1.html)
[13] Udo Walendy, Historische Tatsachen 60 (Vlotho: Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, 1993), pp. 7-10.
[14] Cfr. Mémoire en défense (Parigi: La Vieille Taupe, 1980); Serge Thion, ed., Vérité historique ou vérité politique? (Parigi: La Vieille Taupe, 1980) online: http://www.vho.org/aaargh/fran/histo/SF1.html

R. Faurisson, Écrits révisionnistes, 4 voll., edizione privata fuori commercio ad  opera dell’autore, 1999; vedi anche Faurisson, Es gab keine Gaskammern (Witten: Deutscher Arbeitskreis Witten, 1978).

[15] R. Faurisson, “Le camere a gas non sono mai esistite,” Storia illustrata 261, 1979, pp. 15-35;

online: http://www.vho.org/aaargh/fran/archFaur/RF7908xx2.html cfr. Faurisson, “The Mechanics of Gassing,” “The Journal of Historical Review” (JHR) 1, no. 1 (primavera 1980), pp. 23 e sgg.

online: http://www.vho.org/aaargh/engl/FaurisArch/RF80spring.htm; Faurisson, “The gas Chambers of Auschwitz Appear to Be Physically Inconceivable”, JHR 2, n. 4 (inverno 1981), pp. 311 e sgg. (online: vho.org/GB/Journals/JHR/2/4/Faurisson312-317.html)

[16] “‘Le problème des chambres à gaz’ ou ‘La rumeur d’Auschwitz'”, « Le Monde », 29 dicembre 1978, p. 8; vedi anche “Il problema delle camere a gas”, JHR 1, n. 2 (estate 1980), pp. 103-114 (online: http://vho.org/GB/Journals/JHR/1/2/Faurisson103-114.html).
[17] F. A. Leuchter, An Engineering Report on the Alleged Execution Gas Chambers at Auschwitz, Birkenau and Majdanek, Poland, Samisdat Publishers Ltd., Toronto 1988 ;

(jhr.org/books/leuchter/leuchter.toc.html).

[18] Per l’affermazione di Leuchter, cfr. “Witch Hunt in Boston” (“Caccia alle streghe a Boston” – N.d.T.), JHR 10, n. 4 (inverno 1990), pp. 453-460; “Il rapporto Leuchter: il come e il perché”, JHR 9, n. 2 (estate 1988), pp. 133-139.
[19] Per citare solo alcune delle prime pubblicazioni più importanti: J.-C. Pressac, Jour J, 12 dicembre 1988, i-x; Pressac in: S. Shapiro, ed., Truth Prevails: Demolishing Holocaust Denial: The End of the Leuchter Report (NY: Beate Klarsfeld Foundation, 1990); W. Schuster, “Technische Unmöglichkeiten bei Pressac”,  “Deutschland in Geschichte und Gegenwart” (DGG) 39, no. 2 (1991), pp. 9–13 (vho.org./D/DGG/Schuster39_2); Paul Grubach, “The Leuchter Report Vindicated: A Response to Jean-Claude Pressac’s Critique,” JHR 12, no. 2 (estate 1992), pp. 248 e sgg. (codoh.com/gcgv/gc426v12.html); Helmut Auerbach, Istituto di Storia contemporanea, lettera all’Ufficio Federale di controllo, Monaco di Baviera, 10 ottobre 1989;  Auerbach, novembre 1989, entrambi pubblicati su U. Walendy, “Historische Tatsache” 42 (Vlotho: Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, 1990), pp. 32 e 34; si veda la mia valutazione tecnica degli scritti di Auerbach in Henri Roques, Günter Annthon, Der Fall Günter Deckert (Weinheim: DAGD/Germania Verlag, 1995), pp. 431-435 (vho.org/D/Deckert/C2.html); W. Wegner, “Keine Massenvergasungen in Auschwitz? Zur Kritik des Leuchter-Gutachtens”, in U. Backes, E. Jesse, R. Zitelmann, ed., Die Schatten der Vergangenheit (Frankfurt: Propyläen, 1990), pp. 450-476 (vho.org/D/dsdv/Wegner.html, con una critica da parte di chi scrive); inoltre, cfr. W. Häberle, “Zu Wegners Kritik am Leuchter-Gutachten”, DGG 39, n. 2 (1991), pp. 13-17 (online: vho.org/D/DGG/Haeberle39_2.html); J. Bailer, “Der Leuchter-Bericht aus der Sicht eines Chemikers”,  in Amoklauf gegen die Wirklichkeit, pp. 47-52; cfr. E. Gauss (alias G. Rudolf), Vorlesungen über Zeitgeschichte (Tübingen: Grabert, 1993), pp. 290-293; Gauss, “Chemische Wissenschaft zur Gaskammerfrage”, DGG 41, no. 2 (1993), pp. 16-24 (online: vho.org./D/DGG/Gauss41_2); J. Bailer, in B. Bailer-Galanda, W. Benz, W. Neugebauer, ed., Wahrheit und Auschwitzlüge (Vienna: Deuticke, 1995), pp. 112-118; cfr. la mia critica “Zur Kritik an ‘Wahrheit und Auschwitzlüge’”, in Herbert Verbeke, ed., Kardinalfragen zur Zeitgeschichte (Berchem: Vrij Historisch Onderzoek, 1996), pp. 91-108 (vho.org/D/Kardinal/Wahrheit.html); Inglese: “Critica della ‘Verità e della Menzogna di Auschwitz’” (online: http://vho.org/GB/Books/cq/critique.html); G. Wellers, “Der Leuchter-Bericht über die Gaskammern von Auschwitz”, “Dachauer Hefte” 7, n. 7 (novembre 1991), pp. 230-241.
[20] In particolare le opere dello storico italiano Carlo Mattogno, dello storico americano Samuel Crowell e di un gruppo di ingegneri e architetti della Germania meridionale composto da Michael Gärtner, Hans Lamker, Hans Jürgen Nowak, Werner Rademacher, Gottfried Sänger. Per un elenco completo delle loro opere, inserire i loro nomi nello strumento di ricerca del database revisionista su www.vho.org/i/a.html.
[21] J. Markiewicz, W. Gubala, J. Labedz, B. Trzcinska,. Istituto Prof. Dr Jan Sehn di Ricerca Forense, Dipartimento di Tossicologia Forense, Cracovia, 24 settembre 1990; pubblicato parzialmente in DGG 39, n. 2 (1991), pp. 18 e sgg. (vho.org/D/DGG/IDN39_2.html); Inglese: “An Official Polish Report on the Auschwitz ‘Gas Chambers’”, (estate 1991), pp. 207-216 (vho.org/GB/Journals/JHR/11/2/ IHR207-216.html).
[22] È un po’ diverso a Majdanek e Stutthof, dove si dice che le stanze che innegabilmente servivano come strutture di disinfestazione siano servite anche come camere a gas omicide. Quindi, non possiamo formulare, per queste, la stessa osservazione che per Auschwitz. Tuttavia, poiché, secondo l’opinione prevalente, gli elevati residui di cianuro di ferro non possono essere il risultato di gasazioni omicide – per ragioni fallaci che non possono essere qui discusse – è comunemente accettato dalle parti coinvolte in questa controversia che la colorazione blu deriva in genere dall’uso di queste stanze come impianti di disinfestazione.
[23] Jan Markiewicz, Wojciech Gubala, Jerzy Labedz, “A Study of the Cyanide Compounds Content in the Walls of the Gas Chambers in the Former Auschwitz and Birkenau Concentration Camps”,  Z Zagadnien Nauk Sadowych / Problems of Forensic Science 30 (1994), pp. 17-27 (online: www2.ca.nizkor.org/ftp.cgi/orgs/polish/institute-for-forensic-research/post-leuchter.report).
[24] Non ci sono pitture murali contenenti blu di Prussia, perché il blu di Prussia si decompone sull’intonaco fresco (è instabile in ambienti alcalini). Dunque, nessuno avrebbe potuto dipingere queste pareti con il blu di Prussia.
[25] Istituto Prof. Dr. Jan Sehn di Ricerca Forense, Dipartimento di Tossicologia Forense, Cracovia, lettera a W. Wegner, non datata (inverno 1991/92), firma illeggibile, ma probabilmente dello stesso Dr. Markiewicz, non pubblicata, parzialmente citata in: Rüdiger Kammerer, Armin Solms, ed., Das Rudolf Gutachten: Gutachten über die Bildung und Nachweisbarkeit von Cyanidverbindungen in den “Gaskammern” von Auschwitz (London: Cromwell Press, 1993) (vho.org/D/rga/krakau.html).
[26] E. Gauss (alias G. Rudolf), Vorlesungen über Zeitgeschichte (Tübingen: Grabert, 1993); sulla chimica qui chiamata in causa, cfr. pp. 163 e sgg., 290-294 (vho.org/D/vuez/v3.html#v3_4 e ~/v5.html#v5_5).
[27] G. Rudolf, Das Rudolf Gutachten, 2a ed. (Hastings, UK: Castle Hill Publishers, 2001).
[28] Si ebbe un caso di danni da costruzione nel 1976 in Baviera (Meeder-Wiesenfeld), quando una chiesa di recente intonacata fu sottoposta a fumigazione con Zyklon B. Dopo diversi mesi l’intonaco si coprì da macchie blu formate da blu di Prussia. Cfr. Günter Zimmermann, ed., Bauschäden Sammlung, vol. 4 (Stoccarda: Forum-Verlag, 1981), pp. 120 sgg.; ristampa in Ernst Gauss (alias G. Rudolf), ed., Grundlagen zur Zeitgeschichte (Tübingen: Grabert, 1994, pp. 401 e sgg.; (codoh.com/inter/intgrgauss.html; Inglese: vho.org/GB/Books/dth/

:fndwood.html). Inoltre, tutte le strutture di disinfestazione degli ex campi di concentramento dell’Europa orientale ancora in piedi oggi hanno sviluppato enormi quantità di blu di Prussia su tutte le pareti, cfr. il mio rapporto, nota 25 sopra (vho.org/D/rga/prob9_22.html e pagine seguenti); Jürgen Graf, Carlo Mattogno, KL Majdanek: Eine historische und technische Studie (Hastings, Eng: Castle Hill Publishers, 1998) (vho.org/D/Majdanek/MR.html); Jürgen Graf, Carlo Mattogno, Das Konzentrationslager Stutthof und seine Funktion in der nationalsozialistischen Judenpolitik (Hastings, UK: Castle Hill Publishers, 1999) (vho.org/D/Stutthof/index.html).

[29] G. Rudolf, « Leuchter-Gegengutachten: Ein Wissenschaftlicher Betrug?”, DGG 43, n. 1 (1995), pp. 22-26 (vho.org/D/Kardinal/Leuchter.html; Inghilterra: vho.org/GB/Books/cq/leuchter.html); G. Rudolf e J. Markiewicz, W. Gubala, J. Labedz, “Briefwechsel,” Sleipnir 1, n. 3 (1995), pp. 29-33; ristampato in Verbeke, ed., Kardinalfragen zur Zeitgeschichte, pp. 86-90 (online: come sopra).
[30] Kammerer, Solms, a cura di, Das Rudolf Gutachten (vho.org/D/rga/). Per il contesto, la storia e le conseguenze del mio rapporto, vedi W. Schlesiger, Der Fall Rudolf (Londra: Cromwell, 1994) (online: vho.org/D/dfr/Fall.html); Inglese: The Rudolf Case (vho.org/GB/Books/trc); e Verbeke, ed., Kardinalfragen zur Zeitgeschichte (vho.org/D/Kardinal/); Inglese: Cardinal Questions about Contemporary History (vho.org/GB/Books/cq/); cfr. “Hunting Germar Rudolf”, vho.org/Authors/RudolfCase.html.
[31] Questo libro di grande formato, 350 pp., con copertina rigida può essere ordinato per $ 30.su www.tadp.org oppure scrivendo a Theses & Dissertations Press, PO Box 64, Capshaw, AL 35742. [no; clicca qui per la 2a edizione tedesca del 2001; GR]
[32] J. Bailer, in B. Bailer-Galanda, W. Benz, W. Neugebauer, ed., op. cit. (vedi nota 19 sopra); vedi la mia risposta a questo,  “Zur Kritik an ‘Wahrheit und Auschwitzlüge” (“Critica della verità e della menzogna di Auschwitz”- N.d.T.), in Herbert Verbeke, ed., Kardinalfragen zur Zeitgeschichte. Ancora meno sofisticati: B. Clair, “Revisionistische Gutachten”, VffG 1, n. 2 (1997), pp. 102-104 (vho.org/VffG/1997/2/Clair2.html); la mia risposta: “Zur Kritik am Rudolf Gutachten”, ibid., pp. 104-108 (vho.org/VffG/1997/2/RudGut2.html); inoltre, La Vieille Taupe/Pierre Guillaume, “Rudolf Gutachten: ‘Psychopathologisch und Gefährlich’: Über die Psychopathologie einer Erklärung”, VffG 1, no. 4 (1997), pp. 224f. (vho.org/VffG/1997/4/Guillaume4.html). Robert Van Pelt non ha discusso del mio rapporto, ma ha preferito ripetere e aggravare gli errori di Pressac: op. cit. (vedi nota 11 sopra); cfr. G. Rudolf, “Gutachter und Urteilsschelte”, VffG 4, n. 1 (2000), pp. 33-50 (vho.org/VffG/2000/1/Rudolf33-50.html); più esaurientemente, in inglese, vho.org/GB/c/GR/RudolfOnVanPelt.html and …/CritiqueGray.html.
[33] Richard J. Green, “The Chemistry of Auschwitz”, 10 maggio 1998, holocaust-history.org/auschwitz/chemistry/, and “Leuchter, Rudolf and the Iron Blues”, 25 marzo 1998, holocaust-history.org/auschwitz/chemistry/blue/, con una notevole propensione verso il proselitismo “antifascista”. Una descrizione dettagliata delle carenze dell’articolo è apparsa su “Das Rudolf Gutachten in der Kritik, Teil 2”, VffG 3, n. 1 (1999), pp. 77-82 ho.org/VffG/1999/1/RudDas3.html); Inglese: “Some Considerations about the ‘Gas Chambers’ of Auschwitz and Birkenau”, vho.org/GB/Contributions/Green.html; per la risposta vedi: Richard J. Green, Jamie McCarthy, “Chemistry is Not the Science”, 2 maggio 1999, holocaust-history.org/auschwitz/chemistry/not-the-science/. L’articolo è costituito, per circa il 50 per cento, da accuse politiche e diffamazioni. Per una risposta, vedi G. Rudolf, “Character Assassin”, online: vho.org/GB/Contributions/CharacterAssassins.html.
[34] Charles D. Provan, “No Holes? No Holocaust?: A Study of the Holes on the Roof of Leichenkeller I of  Krematorium 2 at Birkenau” (www.revisingrevisionism.com)
[35] La testimonianza di Van Pelt nel film documentario di Errol Morris Mr. Death: The Rise and Fall of Fred A. Leuchter, Jr.
[36] Come fece almeno un revisionista, nella primavera del 1996, sul tetto dell’obitorio 1 del crematorio II.
[37] Come fece un ingegnere di nome Barford; i suoi colleghi lo assistono nella conservazione e nel restauro del campo per l’amministrazione del Museo di Auschwitz. David Irving ne fu da lui informato.
[38] Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers  (NY: Beate Klarsfeld Foundation, 1989); Les Crématoires d’Auschwitz: la Machinerie du meurtre de masse (Paris: CNRS, 1993).
[39] Per le critiche al primo libro di Pressac, si veda R. Faurisson, JHR 11, n. 1 (primavera 1991), p. 25 e sgg.; JHR 11, n. 2 (1991), p. 133 e sgg. (francese: www.lebensraum.org/english/04.adobe.faurisson/pressac.pdf F. A. Leuchter, The Fourth Leuchter Report (Toronto: Samisdat, 1991) (www.zundelsite.org/english/leuchter/report4/leuchter4.toc.html); per una critica del secondo libro di Pressac si veda: Herbert Verbeke, ed., Auschwitz: Nackte Fakten (Berchem: VHO, 1995), pp. 101-162 (online: vho.org/D/anf/; e, per una critica dei principi che stanno alla base della metodologia di Pressac, si veda G. Rudolf, “Gutachten über die Frage der Wissenschaftlichkeit der Bücher Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers e Les Crématoires d’Auschwitz. la Machinerie du meurtre de masse di Jean-Claude Pressac”, in Schlesiger, Der Fall Rudolf (vho.org/D/dfr/Fall.html#Gutachten); Inglese: vedi vho.org/GB/Books/trc#expert-report; si veda anche la critica di Pierre Guillaume, De la misère intellectuelle en milieu universitaire, B.p. 9805, 75224 Paris cedex 05, 1995 (aaargh.vho.org/fran/archVT/vt9309xx1.html). Si vedano anche i vari scritti di S. Crowell e le relative risposte di Mattogno, citati in www.vho.org/i/a.html, così come la prossima versione inglese del mio rapporto, che includerà un riassunto di questo argomento.
[40] H. Nowak, “Kurzwellen-Entlausungsanlagen in Auschwitz”, VffG 2, n. 2 (1998), pp. 87-105; Versione inglese in Gauss, ed., Dissecting the Holocaust (Capshaw, AL: Theses & Dissertations Press, 2000), pp. 311-324; H. Lamker, “Die Kurzwellen-Entlausungsanlagen in Auschwitz, Teil 2,” VffG 2, no. 4 (1998), pp. 261-273; vedi anche Mark Weber, “High Frequency Delousing Facilities at Auschwitz,” JHR 18, no. 3 (maggio-giugno 1999), pp. 4-12.
[41] W. Rademacher, M. Gärtner, “Berichte zum KL Auschwitz”, VffG 4, n. 3-4 (2000), pp. 330-344.
[42] R. Krege, “Vernichtungslager Treblinka – archäologisch betrachtet”, VffG 4, n. 1 (2000), pp. 62-64.

 

One Comment
    • a.carancini
    • 27 Dicembre 2024

    Ho deciso di pubblicare questo ormai storico contributo di Germar Rudolf, nonostante risalisse addirittura all’anno 2000, perché il quadro complessivo da lui delineato delle indagini forensi su Auschwitz è ancora valido. L’unico elemento irrimediabilmente datato del suo studio è il riferimento alle indagini dell’ingegnere australiano Richard Krege, che si rivelarono poi decisamente inattendibili. Ma va anche detto a onore di Germar Rudolf che egli è stato poi il primo ad evidenziare e ad ammettere l’inaffidabilità delle risultanze dell’ingegnere australiano

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