Germar Rudolf: La resistenza è un dovere

LA RESISTENZA È UN DOVERE

Di Germar Rudolf

https://germarrudolf.com/persecution-2/germars-persecution/resistance-is-obligatory/ 

Il presente saggio non è esattamente  un’autobiografia, ma è più che altro un riassunto, scritto il 7 gennaio 2012, del discorso in mia difesa, da me pronunciato durante il processo intentatomi in Germania nel periodo 2006-2007 per gli scritti revisionisti che avevo pubblicato mentre risiedevo in Inghilterra e negli Stati Uniti. Inutile dire che, quel capitolo della mia vita è, in un certo senso, di natura biografica. Questo articolo contiene varie osservazioni sul periodo della mia detenzione, che ovviamente non sono state incluse nel mio discorso, ma che sicuramente ne fanno parte.

Questo saggio è anche una sintesi del libro, che porta lo stesso titolo, uscito nell’aprile 2012 e attualmente disponibile nella sua seconda edizione del 2015. Può essere scaricato gratuitamente in formato PDF. (Nel marzo 2012 è uscito in edizione tedesca, con il  titolo Widerstand ist Pflicht, ed è disponibile anche in una seconda edizione.) Anche la versione tedesca può essere scaricata gratuitamente.

 

Colui che sostiene che i dissidenti pacifici su questioni storiche dovrebbero essere privati dei loro diritti civili per le loro opinioni divergenti, cioè incarcerati, qualora abbia il potere di mettere in pratica le sue intenzioni, non sarà altro che un tiranno, (se emana leggi a sostegno delle sue azioni repressive) o un terrorista (se agisce al di fuori della legge). 

 

  1. Il calvario di un dissidente pacifico

Germar Rudolf: La resistenza è un dovere. 376 pagine, 6″×9″, con illustrazioni a colori.. Una versione tedesca intitolata Widerstand ist Pficht è uscita nel marzo 2012. La versione inglese può essere scaricata gratuitamente in formato PDF, così come la versione tedesca.

Immaginate di essere un ricercatore che ha riunito i risultati di quindici anni di ricerca in un libro – e, poco dopo averlo pubblicato, viene arrestato e gettato in prigione proprio per questo. Immaginate, inoltre, di sapere con certezza incontrovertibile che, nel processo programmato a vostro carico, a voi e ai vostri avvocati difensori sarà proibito, sotto la minaccia di essere perseguiti, di provare qualsiasi affermazione fattuale contenuta in quel libro; che anche tutte le altre richieste presentate per introdurre prove a sostegno saranno respinte; che tutti i tribunali, fino alla più alta corte d’appello, sosterranno questa linea di condotta; che solo pochissimi dei vostri colleghi ricercatori oseranno confermare la legittimità e la qualità del vostro libro, perché temono di essere perseguitati allo stesso modo; ma che anche gli sforzi di quei pochi colleghi saranno vani; e infine che i media, i cosiddetti “guardiani della libertà di parola”, si associno all’accusa nel chiedere per voi una punizione implacabile. In una situazione come questa, come vi “difendereste” in tribunale?

Questa è precisamente la situazione kafkiana in cui mi trovai alla fine del 2005, dopo essere stato bruscamente e violentemente separato da mia moglie e dalla mia bambina dalle autorità statunitensi dell’Immigrazione a Chicago,[1] deportato in Germania e immediatamente gettato in carcere in attesa di processo, a causa del mio libro Lectures on the Holocaust (“Conferenze sull’Olocausto”), che avevo pubblicato nell’estate del 2005, e per le pagine Web che promuovono questo e altri libri simili. Non si trattava, però, di una congiura contro la mia persona, perché è la stessa situazione in cui viene a trovarsi chiunque si scontri con la legge tedesca, che penalizza la “negazione dell’Olocausto”. La situazione è simile in molte altre nazioni, la maggior parte delle quali in Europa.

Vari avvocati difensori mi assicurarono all’unanimità che qualsiasi strategia di difesa era, in linea di principio, destinata a fallire e che avrei dovuto fare i conti con una condanna prossima alla massima pena detentiva (cinque anni). Altri avvocati mi consigliarono di abiurare le mie idee politiche e di ostentare rimorso e contrizione, al fine di ottenere la clemenza della Corte.

Rinunciare alle mie convinzioni scientifiche non era, però, un’opzione per me accettabile. Una difesa basata sui fatti in questione era impossibile, e se avessi comunque tentato di percorrere quella strada, non avrei fatto altro che aggravare la mia situazione, perché nel tentativo di dimostrare che le mie opinioni erano corrette sarei stato ancora una volta recidivo nel crimine stesso di violazione del dogma di stato per il quale mi trovavo, in primo luogo, sotto processo.

Ma anche se un simile approccio fosse stato possibile, l’avrei comunque scartato, perché sono fermamente convinto che nessun tribunale abbia il diritto di emettere un giudizio vincolante su questioni di controversie scientifiche. È quindi inammissibile, in primo luogo, permettere a un tribunale di giudicare della correttezza delle tesi scientifiche – in questo caso in ambito storico. Qualsiasi  mozione di questo tipo per introdurre delle prove è già un crimine contro la scienza, perché mina la sua indipendenza dal sistema giudiziario.

Così, decisi ben presto di considerare l’imminente processo come un’opportunità per documentare le condizioni giuridiche kafkiane attualmente prevalenti nella Repubblica Federale di Germania, per trarne un libro, dopo il processo. Per questo motivo ho voluto fare un resoconto scrupoloso della situazione giuridica vigente all’inizio del procedimento principale. Dopo un’introduzione autobiografica, ho illustrato la reale natura della scienza in quanto tale e il suo significato per la società umana. Ne è seguita una descrizione della situazione kafkiana prevalente nei processi che hanno luogo oggi nei tribunali tedeschi, la cui missione è quella di sopprimere le opinioni che costituiscono una spina nel fianco dell’élite al potere. Dopo aver analizzato la pratica odierna, che viola tutti i nostri diritti umani e costituzionali, ho posto la domanda scottante: fino a che punto io, come cittadino di questo Stato, ho il diritto e persino il dovere di opporre resistenza a tale ingiustizia?

In seguito, la mia presentazione di sette giorni in tribunale si trasformò in una lectio magistralis, questa volta sui principi della scienza e sulla distruzione della libertà di opinione in Germania.

Alla fine fui condannato a 30 mesi di carcere, che era solo la metà di quanto profetizzato dagli avvocati, e questo pur avendo io riaffermato pubblicamente il mio diritto di esprimere le mie opinioni revisioniste e invitato alla resistenza contro le autorità tedesche.

In questa sede vorrei fornire un estratto condensato delle lezioni da me tenute in un’aula di tribunale, delle quali, nell’aprile 2012, è stata pubblicata una versione completa con ampia documentazione.[2] Al paragrafo VIII aggiungerò alcune osservazioni sulle mie esperienze del carcere, che non sono incluse nel mio libro.

  1. Strategia di difesa

Iniziai le mie lezioni nell’aula del tribunale con alcune osservazioni di carattere generale sulla mia strategia di difesa, che erano, in certo qual modo, una dichiarazione di guerra alle autorità tedesche. Ecco quanto affermai:

  1. Nel corso della mia difesa, le dichiarazioni su argomenti storici saranno da me fatte solo per
    1. per spiegare e illustrare la mia evoluzione personale;
    2. illustrare con esempi i criteri della natura della scienza;
    3. collocare le accuse del Procuratore Distrettuale relative alle mie dichiarazioni in un contesto più ampio.
  2. Queste affermazioni non sono fatte per sostenere con i fatti le mie opinioni sulla storia.
  3. Non presenterò mozioni per chiedere alla Corte di prendere in considerazione le mie tesi storiche – per i seguenti motivi:
    1. Politico: ai tribunali tedeschi è vietato, per ordine dall’alto, di accettare richieste di presentazione delle prove, come stabilito dall’articolo 97 della Legge fondamentale tedesca:[3] “I giudici sono indipendenti e soggetti solo alla legge.” Vi prego di perdonare il mio sarcasmo.
    2. Opportunistico: il punto a. di cui sopra non mi vieta di presentare istanze per l’introduzione di prove. Tuttavia, poiché sarebbero tutte respinte, si rivelerebbe uno sforzo completamente Noi tutti dovremmo risparmiarci questo spreco di tempo e di energia.
    3. Reciproco: poiché la legge attuale mi nega il diritto di difendermi storicamente e concretamente, a mia volta nego ai miei accusatori il diritto di accusarmi storicamente e fattualmente, in base alla massima di uguaglianza e reciprocità. Pertanto, ritengo che le asserzioni di carattere storico dell’accusa siano inesistenti.
    4. Giuridico: Nel 1543, Niccolò Copernico scrisse:[4]

E se tuttavia ci saranno dei chiacchieroni i quali, pur ignorando tutte le scienze matematiche, pretendano di trinciare giudizi su esse, in virtù di qualche brano della Sacra Scrittura, di cui abbiano malamente stravolto il senso per i loro scopi, e osino attaccare e schernire questa mia opera, non me ne curo affatto fino, anzi, a disprezzare il loro giudizio come temerario.

Nessun tribunale al mondo ha il diritto o la competenza di decidere d’autorità su questioni scientifiche. Nessun parlamento al mondo è autorizzato a usare il diritto penale per prescrivere dogmaticamente delle risposte a domande scientifiche. Sarebbe dunque assurdo per me, come editore scientifico, chiedere a un tribunale di determinare la validità delle opere che ho pubblicato. Solo la comunità scientifica possiede la competenza e il diritto di farlo.

III. Dignità

Una caratteristica detestabile della giurisprudenza tedesca è che, quando si tratta di “Olocausto”, oppone la dignità umana al diritto di cercare la verità. Secondo questa “logica”, la dignità umana di tutti gli ebrei – quelli che hanno sofferto allora e quelli oggi viventi – dipende dall’accettazione da parte di tutti della narrazione ortodossa dell’Olocausto. E poiché la tutela della dignità umana è il primo e più importante articolo della Costituzione tedesca, essa ha la priorità su tutto il resto.

Ciò che ho sottolineato, in primo luogo, in tribunale è stato il fatto che negarci la ricerca della verità è una violazione della dignità umana ancora più grave che negare agli ebrei una certa narrazione di un dettaglio della loro storia. Dopo tutto, che cosa distingue noi esseri umani dai batteri e dagli insetti? Non è forse la capacità di dubitare delle nostre percezioni e di cercare sistematicamente la realtà dietro la mera parvenza? A sostegno della mia tesi, ho citato diverse personalità famose della cultura occidentale, come Socrate, che notava:[5]

“Una vita senza ricerca  non è degna per l’uomo  di essere vissuta.”

Aristotele esprimeva lo stesso pensiero quando osservava:[6]

“Tutti gli uomini per natura tendono al sapere.”

[…] è per lui per natura la cosa più buona e più piacevole; e per l’uomo, quindi, questa cosa sarà la vita secondo l’intelletto, se è vero che l’uomo è soprattutto intelletto.[7] 

Konrad Lorenz descriveva la curiosità umana, cioè la volontà di conoscere la verità, con queste parole:[8]

“Esistono dei sistemi di comportamento innati che costituiscono dei ‘diritti fondamentali dell’individuo. Se essi vengono soffocati, l’individuo soffre di gravi disturbi psichici.”

Il filosofo Karl R. Popper descrisse la differenza tra noi umani e gli animali come segue:[9]

“La differenza principale fra Einstein e un’ameba è che Einstein cerca coscientemente l’eliminazione degli errori. Egli cerca di uccidere le sue teorie: è coscientemente critico delle sue teorie che, per questa ragione, egli cerca di formulare esattamente piuttosto che vagamente. Ma l’ameba non può essere critica riguardo alle sue ipotesi; non può essere critica perché non può fronteggiare le sue ipotesi: esse sono parte di sé. (Solo la conoscenza oggettiva è criticabile: la conoscenza soggettiva diviene criticabile solo quando diviene oggettiva. E diviene oggettiva quando noi diciamo ciò che pensiamo e ancor più quando lo scriviamo o lo stampiamo).”

Scetticismo e curiosità, dubitare delle proprie percezioni e delle proprie teorie e cercare più profondamente la verità, ecco dunque ciò che ci ha fatto scendere dagli alberi e uscire dalle caverne; quello che ci ha resi ciò che siamo e ciò che ci distingue dagli animali. Di conseguenza, il diritto di dubitare e di cercare la verità non è negoziabile. È perciò un’infamia, quando lo Stato oppone la libertà della scienza alla dignità umana, mentre, in realtà, sono inseparabili. Tutti noi abbiamo il diritto naturale di cercare la verità e di annunciare ciò che pensiamo di aver trovato. Non abbiamo bisogno di alcun permesso ufficiale per farlo.

  1. L’Illuminismo

Quando si tratta dell’Olocausto, i valori più importanti della civiltà occidentale vengono capovolti. Per dimostrarlo, ho citato la classica definizione di illuminismo del filosofo Immanuel Kant:[10]

“L‘Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da un difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di fare uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.”

Eppure, quando si tratta dell’“Olocausto”, la maggior parte dei governi ci dissuade dall’usare la nostra intelligenza. Alcuni di loro ci minacciano persino di intentare azioni legali e insistono affinché seguiamo la guida degli altri. Karl Popper ha descritto una società in cui le autorità impongono di rispettare una “credenza di Stato” e impongono dei tabù come una società chiusa, dogmatica e arcaica.[11] La società moderna e aperta, al contrario, incoraggia la critica dei dogmi tradizionali. In effetti, questo è il suo principale segno distintivo.[12]

Quindi, il dogma e la critica si collocano in posizione opposta l’uno rispetto all’altro come agli antipodi. Nel nostro caso, è lo Stato che si oppone al revisionismo; o, in altre parole, i Nemici della Scienza da una parte contro la Scienza, dall’altra:

Dogma                                         vs Critica
Stato                                             vs Revisionismo
Nemici della scienza                    vs Scienza

 

Per l’uomo di scienza, tuttavia, i dogmi e i tabù sono assolutamente inaccettabili.

  1. Scienza

I due pilastri non negoziabili di qualsiasi impresa scientifica sono:

  1. Libertà di formulare un’ipotesi: all’inizio della ricerca per la creazione della conoscenza si può porre qualsiasi domanda. Il dubbio, come base intellettuale di tutti gli esseri umani, può essere espresso con una semplice domanda: “È proprio vero?” Quindi, la curiosità non è altro che la ragione che pone domande, alla ricerca di risposte.
  2. Esito indeterminato: le risposte alle domande della ricerca possono essere determinate esclusivamente da prove verificabili. Non possono essere determinate da tabù o linee guida ufficiali stabilite da autorità scientifiche, sociali, religiose, politiche, giudiziarie o altre.

Se vengono prescritte le risposte alle domande scientifiche, allora porre domande diventa una mera farsa retorica, e la scienza diventa impossibile. Non si tratta dunque solo di svuotare la scienza della sua essenza, ma di abolirla completamente.

Perciò ho detto al tribunale tedesco:

“Come ricercatore ed editore scientifico, è mio dovere combattere attivamente lo svuotamento dei pilastri della scienza promuovendo il dubbio, lo scetticismo e le critiche, e fornendo loro una sede d’incontro.”

Successivamente ho presentato una dissertazione approfondita sulla natura della scienza e su come determinare se un articolo o un libro è di natura accademico-scientifica, basandomi principalmente sulle opere del mio filosofo ed epistemologo preferito Karl. R. Popper.[13] Risparmierò al lettore i dettagli di questa dissertazione e mi limiterò a riprodurre qui il riassunto:

Che cos’è la scienza?

  • Non ci sono sentenze (definitive), ma sempre e solo pre-giudizi (preliminari) più o meno attendibili.
  • Le ragioni, vale a dire le prove, dei nostri pre-giudizi devono essere verificabili nel miglior modo possibile.
  • Dobbiamo esaminare e criticare sia attivamente che passivamente:
    • Esaminare e criticare i pre-giudizi e le ragioni degli altri.
    • Invitare gli altri a esaminare e a criticare i nostri pre-giudizi e ad accogliere con entusiasmo quest’attività. Ciò include il dovere di pubblicare le proprie scoperte, al fine di consentire agli altri di criticarle.
    • Dobbiamo evocare gli esami e le critiche degli altri e, a nostra volta, esaminarli e criticarli. Ciò significa anche che non bisogna cedere troppo in fretta di fronte alle critiche.
  • Dobbiamo evitare di immunizzare i nostri pre-giudizi:
    • Evitare di creare teorie ausiliarie progettate per sostenere un’ipotesi principale insostenibile o scomoda.
    • Selezionare i dati solo in base a criteri oggettivi, utilizzando la tecnica della critica delle fonti.
    • Utilizzare definizioni esatte, coerenti e costanti dei termini.
    • Evitare attacchi alle persone, in mancanza di argomenti fattuali.

Il motivo delle mie lunghe elaborazioni per definire la natura della scienza è che la corrente di pensiero dominante scredita le opere revisioniste come meramente “pseudo-scientifiche”, cioè falsa scienza. Dopo aver definito le caratteristiche formali delle opere scientifiche, ho messo a confonto alcuni esempi di scienziati ortodossi, con chiari segni distintivi della “pseudo-scienza”, con opere revisioniste che rispondono molto meglio alla definizione di opere scientifiche.

Mi limito qui a riassumere un solo caso presentato al tribunale, che riguarda la selezione arbitraria e l’eliminazione dei dati. Si tratta di un tentativo polacco[14] di confutare le tesi revisioniste basate sui risultati delle analisi chimiche dei campioni d’intonaco prelevati ad Auschwitz da Fred Leuchter[15] e da me.[16] Il problema che i Polacchi dovettero aggirare fu che i risultati analitici in quanto tali erano innegabilmente autentici e riproducibili. Quello che fecero in seguito equivaleva a una frode scientifica: scelsero un metodo analitico diverso che eliminò semplicemente tutti i dati indesiderati – adducendo come  “motivazione” il fatto che non capivano la materia in questione. Tuttavia, se tale fossse stato davvero il caso, allora avrebbero dovuto, in primo luogo, astenersi dall’incarico e lasciare il campo a coloro che capiscono che cosa stanno facendo.[17]

  1. La legge

Fu Federico il Grande, re di Prussia, che una volta affermò – e l’ho citato anche in tribunale per una buona ragione:[18]

“Un collegio giudicante che attua ingiustizie è più pericoloso e peggiore di una banda di ladri; Ci si può proteggere da quelli, ma nessuno può proteggersi dalle canaglie che usano le toghe della giustizia per portare avanti le loro violente passioni; sono peggio dei più grandi farabutti del mondo e meritano una doppia punizione.”

Non metterò a dura prova la pazienza del lettore ribadendo le mie elaborazioni sulle perversioni del sistema giudiziario tedesco nel perseguitare i dissidenti pacifici. Mi limiterò unicamente a riassumere un paragone con il quale ho introdotto le mie osservazioni di carattere giuridico in tribunale. Si tratta di un confronto tra le condizioni dell’attuale sistema giudiziario tedesco, in generale, e quando si tratta di revisionisti, in particolare, con quello di un altro Paese, di cui ho rivelato l’identità solo alla fine: l’Unione Sovietica sotto Iosif Stalin. Questo confronto si basa, da un lato, sulla trilogia di Aleksandr Solženicyn Arcipelago Gulag, in cui descrive le proprie esperienze e quelle di altri prigionieri politici nell’Unione Sovietica di Stalin;[19] dall’altro, si basa sulle mie esperienze e intuizioni relative al sistema giudiziario tedesco.

Il primo parallelo riguarda l’esistenza di unità governative speciali che servono a perseguire “crimini” politicamente motivati, che si riferiscono per lo più all’espressione di opinioni sgradite. Stalin aveva il suo NKVD; nella Germania odierna questo ruolo è svolto dal Dipartimento di Polizia per la Protezione dello Stato (Dezernat Staatsschutz), il cui obiettivo principale consiste, da un punto di vista statistico, nel perseguire i “reati d’opinione”, solitamente pacifici, commessi da persone con idee di destra.

Un altro strabiliante parallelo tra il sistema giudiziario di Stalin e l’attuale sistema tedesco è stato descritto da Solženicyn come segue:

“Un’altra cosa molto importante riguardo ai tribunali di oggi: non c’è registratore, non c’è stenografo, solo una segretaria dalle dita rigide che traccia, con il ritmo di una scolaretta delle elementari, non si sa quali geroglifici sul verbale. Questo verbale non viene letto ad alta voce durante la sessione e a nessuno è permesso vederlo, prima che il giudice lo abbia esaminato e approvato. Solo ciò che il giudice confermerà rimarrà agli atti: sarà accaduto in tribunale. Mentre le cose che abbiamo sentito con le nostre orecchie svaniscono come fumo – non sono mai accadute!” (vol. 3, p. 521)

Nella Germania odierna la situazione è addirittura peggiore, poiché nei procedimenti dinanzi ai tribunali distrettuali, che si occupano di reati “gravi”, non viene tenuto alcun verbale su chi dice cosa e quando. Inutile dire che ciò apre le porte all’errore e all’arbitrarietà. Ed ecco la ragione perversa addotta dalle autorità tedesche per cui i verbali sarebbero superati: poiché non si possono comunque impugnare le decisioni emesse da un tribunale distrettuale su dati di fatto, un verbale che esponga i fatti del caso è superfluo. Ecco quindi l’essenza del diritto penale tedesco: nessun appello possibile, quindi niente verbale. Ciò ha una sua logica e una sua coerenza, ma non suona piutosto come una repubblica totalitaria delle banane?

Un altro parallelo è che difendersi dinanzi a un simile tribunale, cercando di sostenere che si ha ragione, non farà altro che aggravare la propria situazione, come ha scritto Solženicyn:

“Anche se tu dovessi parlare in tua difesa con l’eloquenza di Demostene[[20]…] non ti aiuterebbe minimamente. Tutto quello che potresti fare sarebbe aumentare la tua condanna […].” (vol. 1, p. 294)

È ciò che accadde a Ernst Zündel in Germania, i cui avvocati difesero strenuamente il suo diritto di esprimere la sua opinione e, di conseguenza, Zündel fu condannato al massimo della pena per incorreggibilità. Inoltre, anche i suoi avvocati furono incriminati, il che costituisce un ulteriore parallelo con il paradiso sovietico dello zio Joe, come ha riferito Solženicyn:

“Il tribunale ha tuonato minacciando di far arrestare […] il principale avvocato difensore […]” (vol. 1, p. 350)

Come se perseguire penalmente gli avvocati difensori per la loro attività di difesa, perfettamente legittima, non fosse già abbastanza grave, ecco per completare: minacciare di perseguire anche i testimoni che osano parlare a favore degli imputati sotto processo per “reati d’opinione”, o come ha detto Solženicyn (ibid.):

“E proprio in quel momento il tribunale ha effettivamente ordinato, seduta stante, l’arresto di un testimone, il professor Yegorov, […]”

È quanto accadde a me nel 1994, allorché fui convocato da un avvocato difensore per testimoniare come perito. Quando il giudice udì in che senso la difesa voleva che io testimoniassi, mi avvertì, con poche e brevi parole, che sarei stato perseguibile, se avessi testimoniato secondo le linee della mozione dell’avvocato. Naturalmente non si è mai arrivati a questo, perché, come ha giustamente osservato Solženicyn:

“Ai testimoni della difesa non è stato permesso di testimoniare.” (vol. 1, p. 351)

In Germania non è mai permesso loro testimoniare, quando sono sotto processo dei revisionisti. E ancora peggio: non sono solo i testimoni che sostengono le opinioni di un imputato revisionista a non essere ammessi, ma anche qualsiasi tipo di prova: testimoni, documenti, periti. La giustizia tedesca sostiene che tutto ciò che riguarda l’Olocausto è “evidente”, quindi non richiede alcuna prova. In realtà, si spingono fino a incriminare chiunque osi soltanto inoltrare una mozione per l’ammissione di tali prove, sia esso un imputato o un avvocato difensore. Sì, la Germania ha reso illegale  la presentazione di mozioni per la trasmissione di prove a discarico! Nemmeno Stalin aveva uno strumento così ingegnoso nel suo repertorio repressivo! In tal modo la giustizia tedesca riesce a eliminare tutti i dati indesiderati dagli atti – non che ci siano molti atti, tanto per incominciare…

Sebbene vi siano ulteriori parallelismi da me citati durante le mie lezioni nell’aula del tribunale, mi fermerò qui, poiché credo che il messaggio che voglio trasmettere sia chiaro.

Inutile dire che ci sono anche notevoli differenze tra il sistema giudiziario sovietico e l’attuale sistema giudiziario tedesco: nelle carceri tedesche non esiste la tortura, e di questo sono molto grato – sebbene sia alquanto ironico leggere nell’opera di Solženicyn che un procuratore sovietico una volta dichiarò:

“Per noi [Sovietici…] Il concetto di tortura è insito nel fatto stesso di tenere in carcere i prigionieri politici…” (vol. 1, p. 331)

Con ciò si riferiva ai metodi del regime zarista, non agli abusi del suo sistema, proprio come la Germania critica gli altri Paesi (come l’Iran o la Cina) per le violazioni della giustizia, ma trascura il fatto che la giustizia viene calpestata nei suoi stessi tribunali.

Quando alla fine di questo paragone rivelai a quale sistema avevo paragonato il sistema tedesco, i giudici apparivano visibilmente scossi. Si erano forse resi conto che c’era qualcosa di sbagliato nel sistema di cui facevano parte?

Continuai la mia presentazione con una definizione di prigioniero politico e la successiva prova che noi revisionisti ne abbiamo tutti i requisiti. Ecco i dieci punti che ho elencato e spiegato e ho fornito le prove che tutti questi elementi compaiono nei casi di revisionisti noti:

  1. Abbiamo a che fare con un dissenso pacifico, presentato pacificamente; per “pacifico” intendo dire che non si riscontra alcuna giustificazione o esortazione alla violazione dei diritti civili altrui.
  2. Nella stragrande maggioranza delle nazioni il reato perseguito non è punibile.
  3. Il dissidente è sostenuto da organizzazioni per i diritti civili.
  4. Il dissidente riceve messaggi di solidarietà da estranei (corrispondenza, visite, interventi presso le autorità, manifestazioni a favore).
  5. Il governo tenta di reprimere queste dichiarazioni di solidarietà.
  6. Personalità di spicco pronunciano dichiarazioni di solidarietà.
  7. Dichiarazioni di solidarietà o critiche contro l’accusa sono pubblicate dai media e dai politici, soprattutto all’estero.
  8. I diritti del dissidente alla difesa sono limitati.
  9. La nazione persecutrice rifiuta di riconoscere come tali i prigionieri politici, nonostante le caratteristiche di cui sopra.
  10. I dissidenti sono trattati peggio dei normali detenuti.

L’ultimo punto deriva dal fatto che le autorità carcerarie si aspettano che noi revisionisti ritrattiamo e interrompiamo ogni contatto con persone che la pensano allo stesso modo. Dal momento che la maggior parte di noi si rifiuta di farlo, le conseguenze sono dure: niente rilascio anticipato in libertà vigilata, nessuna attenuazione del nostro regime carcerario. Inutile dire che le stesse autorità non si aspettano che uno spacciatore, per esempio, rinneghi le sue opinioni sulla droga e interrompa qualsiasi contatto con i suoi amici e clienti. I punti di vista, le opinioni e i contatti sociali non rivestono proprio alcun interesse, quando si tratta di criminali “normali”. Perciò, i dissidenti in Germania sono sottoposti a un trattamento speciale. Questo non ha solo lo scopo di “guarire” mentalmente il reo di “crimine di pensiero”, ma anche di dissuadere gli altri dal diventare dei dissidenti. In linguaggio giuridico, dissuadere la popolazione in generale dal commettere un crimine si chiama “prevenzione generale”. Secondo Solženicyn, imprigionare i dissidenti nell’ex Unione Sovietica era una misura di “profilassi sociale” (vol. 1, p. 42), che è probabilmente lo stesso.

Paradossalmente, avevo commesso i “reati d’opinione” per i quali ero stato incarcerato in Paesi in cui tali atti erano e sono ancora perfettamente legali: gli Stati Uniti e il Regno Unito. La Germania rivendica semplicemente il diritto di perseguire i dissidenti in qualsiasi parte del mondo, se le loro voci dissenzienti violano la legge tedesca e nel caso in cui quanto affermano o scrivono possa essere ascoltato o letto in Germania. Nell’era di Internet, ciò equivale praticamente a perseguire chiunque, ovunque, in qualsiasi momento, se solo le autorità tedesche riescono a mettere le mani sul dissidente.

Per chiunque non risieda in Germania o in qualsiasi altra nazione persecutrice, la domanda è: quale legge si dovrebbe rispettare per evitare guai? Non penso che ci sia una risposta soddisfacente a questa domanda. Ho quindi deciso di attenermi a una legge superiore, non codificata, che è stata espressa in modo conciso da Immanuel Kant nel suo Imperativo categorico:[21]

“Agisci solo secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che diventi una legge universale”.

Applicando questo principio al caso in esame, noteremo immediatamente che i concetti giuridici di “incitamento del popolo” e “messa in pericolo della pace pubblica”, come elencati nella legge tedesca, ai quali si fa ricorso per perseguire i revisionisti, sono insostenibili, in quanto non descrivono gli atti di colui che li commette, ma piuttosto gli effetti che hanno su altri.

Se un atto giustifica o esorta alla violazione dei diritti civili altrui, allora è l’atto di per sé che si potrebbe considerare perseguibile. Se tale atto implica altre conseguenze, come il disturbo della pace pubblica, allora nel peggiore dei casi, dovrebbe essere una circostanza aggravante. In effetti, si possono immaginare molti scenari in cui un’opinione perfettamente pacifica potrebbe creare scompiglio in una società che considera tale opinione eretica o blasfema. La storia dell’umanità è piena di individui innocenti e pacifici che sono stati perseguitati perché hanno sconvolto una parte, di solito potente, della popolazione: Socrate, Gesù Cristo, Martin Lutero, Galileo Galilei, il Mahatma Gandhi. Oppure prendete i padri fondatori della Costituzione degli Stati Uniti: non hanno forse disturbato la pace pubblica, istigato la popolazione e commesso sedizione?

In tutti questi casi non è stato  il dissidente a causare il caos, bensì la mentalità delle persone nel loro ambiente e il modo in cui hanno reagito al dissenso. Lutero non sostenne la divisione della Chiesa né chiese la Guerra dei contadini tedeschi o la Guerra dei trent’anni, eppure tutte seguirono come ripercussione. Lutero era forse responsabile di tutto ciò? No, non lo era. Ne furono la causa le ingiustizie sociali, politiche ed economiche dell’epoca.

Quindi, dove e come tracciamo la linea di demarcazione, quando si tratta di punire i disturbatori della “pace pubblica”?

Permettetemi di fare un altro esempio per far sì che anche gli antifascisti irriducibili concordino sul fatto che concetti come “disturbo della pace pubblica” appartengono alla pattumiera della storia. Durante il Terzo Reich il prete cattolico tedesco Rupert Mayer fu incriminato pubblicamente, perché con i suoi sermoni aveva “ripetutamente pronunciato dichiarazioni pubbliche di istigazione” e perché aveva discusso questioni di Stato “in modo tale da mettere in pericolo la pace pubblica”.[22] In seguito, fu imprigionato per sette mesi nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Fate il confronto con le pene detentive pluriennali che i revisionisti ricevono oggi nella “democratica” Germania!

Anche se, durante la lezione in mia difesa, avevo arguito che la legge tedesca, in base alla quale ero stato perseguito, era incostituzionale, ciò è di scarsa rilevanza per coloro che agiscono in altri sistemi giudiziari. Ciò che è più importante è un approccio universale e olistico alla questione di come reagire alle autorità che perseguitano i dissidenti pacifici, indipendentemente dai tranelli legali che tendono loro.

VII. Resistenza

Karl R. Popper ha scritto nella sua opera classica La società aperta e i suoi nemici:[23]

“Chi non è  pronto a combattere per la sua libertà la perderà”.

La tragedia è che il nemico che minaccia la nostra libertà è l’entità stessa – lo Stato – il cui “scopo fondamentale [è…] la tutela di quella libertà che non nuoce agli altri cittadini”.[24]

Quindi, cosa dobbiamo fare come cittadini generalmente rispettosi della legge, quando la legge stessa è diventata fondamentalmente ingiusta? La risposta è stata data circa 160 anni fa da Henry David Thoreau nel suo classico saggio “Disobbedienza civile”:[25]

“Le leggi ingiuste esistono; possiamo essere contenti di osservarle, o dobbiamo tentare di correggerle, e osservarle finché non ce la faremo; oppure dovremmo trasgredirle da subito? Gli uomini generalmente, sotto un governo come il nostro, pensano di dover aspettare finché la maggioranza non si persuaderà a modificarle. Essi pensano che, se dovessero resistere alla legge, il rimedio potrebbe essere peggiore del male. Ma è la colpa del governo stesso che il rimedio è peggiore del male. È il governo che lo rende peggiore. Perché non è pronto a prevenirlo, e provvedere alle riforme? Perché il governo non si cura della sua saggia minoranza? Perché piange e si oppone prima di essere ferito? Perché non incoraggia i cittadini a fare attenzione a individuare i suoi errori, e a fare meglio di quanto vorrebbe che facessero? Perché crocifiggono sempre Cristo, e scomunicano Copernico e Lutero, e proclamano ribelli Washington e Franklin?” […]

“La minoranza è senza potere quando si conforma alla maggioranza; allora non è neppure una minoranza; ma diventa irresistibile quando si oppone con tutto il suo peso. Se l’alternativa è tra mettere tutti gli uomini giust in prigione, o dismettere guerre e schiavitù, lo Stato non esiterà su quale delle due scegliere. […]

“Sotto un governo che imprigiona qualche uomo ingiustamente, il posto giusto per un uomo giusto è proprio la prigione.”

Quindi, se sei un vero combattente per la libertà di parola e non sei ancora stato in carcere, hai fatto qualcosa di sbagliato! O sei stato semplicemente fortunato.

Questo saggio di Thoreau ha ispirato il Mahatma Gandhi, dai cui scritti cito alcune frasi fondamentali che, a loro volta, sono state per me fonte di ispirazione durante la mia reclusione :[26]

“Finché esisterà la superstizione secondo cui gli uomini dovrebbero obbedire a leggi ingiuste, esisterà la loro schiavitù”.

“La democrazia non è uno Stato in cui le persone si comportano come pecore. Nella democrazia la libertà individuale di opinione e di azione è gelosamente custodita”.[27]

“In altre parole, Il vero democratico è colui che difende la propria libertà e, perciò, quella del suo paese e in definitiva quella dell’intera umanità con mezzi puramente non violenti.”.[28]

“Mi auguro di persuadere tutti che la disobbedienza civile è un diritto intrinseco di ogni cittadino. Rinunciarvi significa cessare di essere uomini.[…] Ma reprimere la disobbedienza civile è come tentare di imprigionare la coscienza.[…] La disobbedienza civile, quindi, diventa un dovere sacro quando lo Stato è diventato senza legge, oppure, il  che è lo stesso, corrotto.[…] È un diritto naturale a cui non si può rinunciare senza rinunciare al rispetto di sé stessi”.[29] 

Ma quando esattamente e come si permette a una minoranza in una democrazia costituzionale sotto il (presunto) stato di diritto di resistere al proprio governo? Nel discorso in mia difesa ho approfondito l’argomento citando numerosi esperti in materia, per la maggior parte tedeschi. In sintesi, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che la disobbedienza civile contro un governo, vale a dire la pacifica inosservanza delle leggi, è ammissibile, solo se la violazione del governo, contro la quale è diretta la protesta, reca offesa a principi costituzionali validi o a principi generali dei diritti umani. Ciò significa anche che i manifestanti possono ignorare o violare solo quelle leggi contro le quali è diretta la protesta. In altre parole, i manifestanti non possono fissare le loro opinioni private come assolute, e non sono autorizzati a violare altre leggi, che sono generalmente accettate anche da loro. Le proteste violente sono, perciò, inaccettabili.

È proprio ciò su cui noi revisionisti dovremmo insistere: il diritto di dubitare e di dissentire pacificamente su qualsiasi argomento è parte integrante e inalienabile della nostra condizione umana, e quindi dei nostri diritti umani, sia esso sancito dalla costituzione del nostro Paese o meno. Si deve opporre resistenza con mezzi pacifici contro qualsiasi governo che emani leggi o regolamenti che infrangano tale diritto, violando consapevolmente e deliberatamente la legge che viola la nostra dignità umana.

Ed è esattamente ciò che ho detto al tribunale tedesco nel 2007.

Stranamente, la costituzione tedesca garantisce persino a tutti i cittadini tedeschi il diritto di resistere contro il loro governo. L’articolo 20, paragrafo 4, della Legge fondamentale tedesca così recita:

“Tutti i Tedeschi hanno il diritto di resistere contro chiunque tenti di eliminare questo  ordinamento [democratico costituzionale], se nessun altro rimedio è possibile”.

La domanda è, naturalmente, fino a che punto è consentito invocare questo diritto? Dobbiamo aspettare che il governo si trasformi in una vera e propria tirannia, o dovremmo essere autorizzati ad adottare una posizione decisa al primo manifestarsi degli eccessi del governo? Dal momento che è sempre più facile resistere all’insorgere degli abusi governativi, piuttosto che aspettare che la resistenza sia diventata mortalmente pericolosa per chi resiste, la risposta saggia a questa domanda dovrebbe essere ovvia.

Permettetemi di citare la più alta autorità tedesca im materia: il Prof. Dr. Roman Herzog, ex Presidente dell’Alta Corte Costituzionale Federale Tedesca e in seguito Presidente della Repubblica Federale di Germania. Herzog ha affermato ripetutamente che, in caso di violazione della dignità umana e dei diritti umani che ne derivano, “da tempo immemorabile c’è stato il diritto di resistere da parte di coloro i cui diritti sono stati violati e il diritto all’aiuto di emergenza per tutti i cittadini, nel caso in cui venga lesa la dignità umana e i diritti umani.”[30]  Secondo Herzog, ogni singolo articolo della costituzione tedesca – tra cui anche i diritti civili statutari –:

“ad un attento esame… non è nient’altro che l’‘’elaborazione specifica di un principio fondamentale della natura costituzionale dello Stato del mondo occidentale, cosicché qualsiasi attacco a quasi ogni singolo articolo interessa immediatamente i principi dell’articolo 20 della Legge fondamentale[il diritto di resistere].”[31]

Poiché il dovere primario dello Stato è proteggere la dignità dei suoi sudditi, resistere alle violazioni della dignità umana da parte dello Stato è, a sua volta, anche il diritto primario di tutti gli esseri umani.[32]

Con ciò si chiude il cerchio della mia argomentazione, all’inizio della quale ho dimostrato che il diritto di dubitare, di cercare la verità e di comunicare i risultati di questa ricerca è semplicemente costituzionale per l’essere umano, quindi per la dignità umana in quanto tale.

Quindi, la resistenza è un dovere!

VIII. Carcere

Tra il 1993 e il 2011 ho avuto, in un certo senso, un’esperienza ebraica: sono stato perseguitato dal mio stesso governo, ho visto distrutte le mie possibilità di carriera, sono fuggito da un paese all’altro, nel tentativo di evitare il carcere, ma alla fine sono stato catturato e deportato. In seguito ho trascorso molti anni in diversi centri di detenzione: Rottenburg, Stoccarda, Heidelberg, Mannheim e di nuovo Rottenburg. In quelle prigioni dovevo lavorare per pagare le spese che stavo causando al sistema carcerario tedesco (lavoro forzato, o no?). Dopo essere stato rilasciato, dopo una lunga e straziante battaglia legale, sono infine riuscito a emigrare definitivamente dal mio Paese natale.

Tuttavia, sono stato anche molto fortunato, perché, per molti versi, la mia sorte è stata molto più benevola di quella di molti ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale: le condizioni di detenzione erano piuttosto favorevoli, la mia famiglia è rimasta indenne, la mia salute non è stata compromessa, il mio spirito è rimasto indomito e la mia proprietà è rimasta intatta (tranne forse per un quarto di milione di dollari di spese legali che si sono accumulate in quei 18 anni).

“Allora, come si sta in prigione?” mi chiedono di tanto in tanto. Da un lato, consiglio a chiunque di non scoprirlo mai. Ma, d’altra parte, forse si dovrebbe provare. Anche se non è una bella esperienza, fa comunque parte della condizione umana.

Essere arrestati e gettati in prigione è traumatico. Le prime settimane e i primi mesi sono i peggiori. Ma gli esseri umani sono creature abitudinarie, quindi ci si adatta alle circostanze della vita, anche in un ambiente così squallido. Si trova il modo di organizzare la propria giornata, di concentrarsi sulle attività che si amano e che fanno passare il tempo: si scrivono lettere, si dipinge, si cantano canzoni (quasi sempre in stile karaoke…), e si partecipa a molte delle attività ricreative offerte: pallavolo, allenamento, studio della Bibbia, gruppi di discussione, coro della chiesa, banda carceraria (sì, avevamo il rock carcerario, ed era uno sballo!). E, inutile dirlo, si gioca con gli altri detenuti e ci si allena nella propria cella: flessioni, addominali, trazioni alla riloga della tenda del bagno e altri esercizi con “pesi” fatti in “casa” (avevo dieci contenitori di latte da un litro messi in una canottiera annodata sul fondo: ha funzionato bene).

Si fa anche amicizia, in un certo senso. Non del tipo che si mantiene, una volta usciti, ma ogni prigione è un piccolo mondo a sè, con tutte le dinamiche sociali che esistono anche all’esterno. Quindi, anche se inizialmente si pensa che non ci si potrà mai adattare, alla fine ci si abitua. Il tempo è ben organizzato e uno si sente anche quasi a proprio agio nell’angolino che si è ricavato.

Si arriva al punto in cui, dopo essere stati fuori dalla cella per un certo numero di ore, partecipando ad alcune attività, si mormora tra sé e sé: “Sono stanco, voglio andare a casa” – con cui s’intende la propria cella… Vi preoccupa, vero? Eppure sentirsi a casa anche in un luogo così tetro è l’arte di vivere, è un modo per limitare i danni emotivi.

E poi, per un motivo qualunque, il detenuto viene trasferito in un altro carcere. Questa è una brutta notizia. Lo si può leggere spesso nelle testimonianze dei reduci: si viene strappati alla propria routine. Si perdono tutti i privilegi informali conquistati, tutti gli amici che uno si è  fatto. Si arriva in un posto dove non si conosce nessuno. Si deve ricominciare da zero, organizzandosi e organizzando la propria routine quotidiana: come procurarsi il cibo preferito, come unirsi ai gruppi ricreativi prescelti e così via. Quindi ogni trasferimento è un’altra esperienza traumatica.

Oggi capisco, perciò, perché i prigionieri che erano stati ad Auschwitz per un po’ di tempo e che erano riusciti a ritagliarsi una piccola nicchia temevano di essere trasferiti in un altro campo, a condizione, naturalmente, che ad Auschwitz non fosse in corso lo sterminio.

Ma nonostante tutti gli sforzi di adattamento, non fraintendetemi: sono rimasto per molte ore dietro quelle sbarre di ferro nelle mie varie celle di prigione desiderando di poter finalmente tornare a casa, e durante l’ora d’aria in cortile i miei occhi seguivano gli aeroplani che volavano verso ovest, desiderando che Scotty potesse teletrasportarmi lassù…

Il che porta a galla un altro fatto sbalorditivo della vita: in Germania ogni prigioniero ha il diritto di trascorrere un’ora al giorno nel cortile, e presumo che la legge sia simile nella maggior parte degli altri Paesi. Poiché questo è l’unico momento in cui i detenuti possono uscire dalle loro celle (a parte andare al lavoro e partecipare alle attività ricreative), la maggior parte di loro cerca di trarne il  meglio. Il risultato è che durante il periodo estivo la maggior parte dei detenuti si abbronza parecchio, il che spinse mia madre a chiedermi un giorno se avevamo un centro di abbronzatura in prigione. Beh, no, ma se contate le ore che voi, come persone libere, trascorrete all’aperto ogni giorno, vi renderete conto che ogni giorno una persona libera trascorre in media molto meno di un’ora all’aperto. Quindi, statisticamente parlando, i detenuti sono più spesso “fuori” rispetto alle persone libere. Incredibile, vero? Beh, lo ammetto, possono uscire, ma non andare a spasso…

Non c’è niente di peggio della sensazione di perdere una parte considerevole della propria vita da recluso. Quindi si cerca qualcosa che aiuti a sentire di aver impiegato il tempo per qualcosa di costruttivo e utile per la propria vita futura. Così ho ottenuto un “Cambridge Certificate in Advanced English”, ho imparato lo spagnolo e ho arricchito il mio vocabolario inglese imparando le parole  del Roget’s Thesaurus (un’ora di apprendimento di vocaboli ogni giorno, religiosamente). Ho letto come mai in vita mia. Mi sono abbonato al settimanale Science e l’ho letto per tre anni da cima a fondo, ampliando così notevolmente le mie conoscenze scientifiche in numerosi campi. Ho letto anche opere di letteratura classica e di filosofia che non ero mai riuscito a sfogliare quand’ero in  libertà: quelle che mi piacevano (Aristotele, Kant, Popper, Tolstoj, Dickens, Schopenhauer, per citare gli autori che mi hanno fatto maggiore impressione) e quelle che non mi piacciono (Dostoevskij, Hegel, Hemingway).

Ora mia moglie dice che sono un “vocabolario ambulante”. A proposito… È una psicologa specializzata nell’aiutare le persone che sono state traumatizzate dalle loro esperienze di vita. Così, verso la fine della mia reclusione, ha annunciato che si sarebbe presa cura di me e mi avrebbe aiutato a cancellare le mie cicatrici emotive. Ma dopo il mio rilascio, si è subito resa conto che quei 45 mesi di carcere mi erano passati accanto senza lasciare alcuna traccia apparente. Ero sempre lo stesso uomo che aveva perso allora, e così si innamorò di nuovo di me…

Anche se le autorità mi trattavano peggio degli altri detenuti perché non ritrattavo le mie opinioni e non mostravo segni di rimorso – mi rimproveravano ripetutamente di aver diffuso le mie opinioni tra i detenuti – la mia sorte era di gran lunga migliore di quella degli altri detenuti, da un punto di vista psicologico: essere incarcerato non aveva macchiato la mia reputazione,  Al contrario. Lo porto come un distintivo, o come mi scrisse lo storico tedesco Prof. Dr. Ernst Nolte in una lettera, dopo il mio rilascio, ora posso annoverarmi tra gli uomini d’onore che sono andati in prigione per motivi di coscienza. Mentre la maggior parte dei detenuti perde la maggior parte dei propri amici e spesso addirittura il sostegno delle proprie famiglie, i miei amici e la mia famiglia sono rimasti fedelmente al mio fianco. Mentre la maggior parte dei detenuti ha difficoltà finanziarie e si indebita durante la detenzione, perché perde il lavoro e, di conseguenza, spesso anche la casa e le proprietà, sono stato molto fortunato a trovare così tanti generosi sostenitori da riuscire a pagare non solo le mie spese legali, ma anche il mantenimento dei miei figli. Alla fine erano avanzati anche dei fondi che avrei potuto utilizzare dopo il mio rilascio, per ricominciare la mia vita.

Soprattutto, e a differenza della maggior parte dei detenuti, i prigionieri politici non perdono il senso della vita. Non si sentono né colpevoli né si vergognano di ciò che hanno fatto. O come ha detto una volta David Cole: siamo rumorosi, siamo orgogliosi e, soprattutto: abbiamo ragione!

Questo atteggiamento, più di qualsiasi altra cosa, aiuta a superare anche i momenti più difficili, e permette di andare avanti anche in seguito, come osservò correttamente il New York Times in un articolo intitolato “Perché i dissidenti scarcerati scelgono la strada della massima resistenza”. Questo articolo, che fu opportunamente pubblicato cinque settimane prima della mia scarcerazione, descrive come i dissidenti arabi, incarcerati per le loro opinioni politiche pacifiche, siano tornati ai loro atti di disobbedienza civile, subito dopo essere usciti dal carcere.[33] Come ha detto uno di loro:

“Non è solo una questione di dignità, è il senso della tua vita. È la tua scelta di vita, e se ti arrendi, perderai il senso della tua vita”.

Ha detto che non aveva altra scelta che riprendere da dove aveva lasciato.

Proprio come noi revisionisti!

Note

[1] Non mi soffermerò sulle mie prove e tribolazioni con le autorità statunitensi dell’Immigrazione. Il mio caso è accuratamente documentato online su www.germarrudolf.com.
[2] G. Rudolf, Resistance is Obligatory, pubblicato privatamente, prossima uscita.
[3] La Legge fondamentale della Germania, che è stata negoziata tra i rappresentanti politici tedeschi e principalmente le forze di occupazione statunitensi subito dopo la Seconda guerra mondiale, è considerata la sua costituzione, sebbene non sia mai stata approvata dal popolo tedesco con un referendum, quindi manca di legittimità formale.
[4] Nikolaus Kopernikus, Über die Kreisbewegungen der Weltkörper, Thorn 1879, p. 7; Engl.: Nicolaus Copernicus, On the revolution of heavenly spheres, Prometheus Books, Amherst, NY, 1995; qui citato da Dorothy Stimson, The Gradual Acceptance of the Copernican Theory of the Universe, Hannover, NH, 1917, p. 115; originale: De revolutionibus orbium coelestium, 1543; dal 1616 al 1822 questo libro fu “inserito nell’indice dei libri proibiti” dalla Chiesa cattolica, il che significa che, quando si citava il libro, si doveva sottolineare che il sistema eliocentrico è solo un modello matematico. (Versione italiana: Nicola Copernico – Opere – a cura di Francesco Barone – U.T:E:T: 1979 – N.d.T.)
[5] Socrates, Apologia, Sez. 38. (Versione italiana: Platone, Apologia di Socrate, http://bachecaebookgratis.blogspot.com/ – 2010 – N.d.T.)
[6] Aristotle, Metaphyisics, book 1, chapter 1, first sentence; Richard Keon (ed.), The Basic Works of Aristotle, Random House, New York, 1941, p. 689. (Versione italiana: Aristotele, Metafisica, libro I, capitolo I, p. 3, introd., trad., note e apparati di Giovanni Reale, Rusconi, Milano, 1993 – N.d.T.)
[7] Aristotle, Nicomachean Ethics, book X, chapter 7; ibid., p. 1105. (Versione italiana: Aristotele, Etica Nicomachea, ousia.it– Libro X, cap. 7, p. 173  – N. d.T.)
[8] Konrad Lorenz, Der Abbau des Menschlichen, Piper, Monaco di Baviera 1983, p. 1; Little, Brown & Co., Boston 1987, p. 186. (Versione italiana: Konrad Lorenz, Il declino dell’umanità, p. 166, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1984 – N.d.T.)
[9] Karl Popper, Objective Knowledge, 4th ed., Clarendon Press, Oxford 1979, pp. 24 f.(Versione italiana: Karl Popper, Conoscenza oggettiva, p. 46, Armando Editore, Roma, 2002 – N. d.T.)
[10] Immanuel Kant, “Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung?” (Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo N.d.T.), Berlinische Monatsschrift, dicembre 1784, pp. 481-494; Ved. https://en.wikiquote.org/wiki/ImmanueKant (Versione italiana:

https://it.wikipedia.org/wiki/Risposta_alla_domanda:_che_cos%27%C3%A8_l%27Illuminismo%3F

  N . d. T.)

[11] Karl R. Popper, The Open Society and Its Enemies, Routledge & Paul, Londra 1962, vol. 1, p. 202. (Versione italiana: Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma, 2002 – N.d.T.)
[12] Karl Popper, Objective Knowledge, op. cit. (note 9), pp. 347 f. (Versione italiana: Karl Popper, Conoscenza oggettiva, Armando Editore, Roma, 2002 – N.d.T.)
[13] Basato principalmente sulle sue opere The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson & Co., Londra 1968, e Objective Knowledge, op. cit. (nota 9).
[14] J. Markiewicz, W. Gubala, J. Labedz, “A Study of the Cyanide Compounds Content in the walls of the Gas Chambers in the Former Auschwitz and Birkenau Concentration Camps” (“Uno studio del contenuto di composti di cianuro nelle pareti delle camere a gas negli ex campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau” – N.d.T.), Z Zagadnien Nauk Sadowych, Vol. XXX (1994) pp. 17-27.
[15] F. Leuchter, R. Faurisson, G. Rudolf, The Leuchter Reports, 3rd ed., The Barnes Review, Washington, DC, 2012, pp. 44-46, 59.
[16] Originariamente presentato in: Ernst Gauss (= Germar Rudolf), Vorlesungen über Zeitgeschichte, Grabert, Tübingen 1993; Ingl. Ved. G. Rudolf, The Rudolf Report, 2nd ed., The Barnes Review, Washington, DC, 2011, pp. 230-278.
[17] Per i dettagli si veda Germar Rudolf, Carlo Mattogno, Auschwitz Lies, 2nd ed., The Barnes Review, Washington, DC, 2011, pp. 45-67.
[18] Bruno Frank, Friedrich der Große als Mensch im Spiegel seiner Briefe, Deutsche Buch-Gemeinschaft, Berlin 1926, p. 99.
[19] Aleksandr Solženicyn, The Gulag Arcipelago, Collins & Harvill, Londra 1974-1978.
[20] Uno dei maggiori oratori greci e dei più importanti statisti ateniesi (384-322 a.C.).
[21] Immanuel Kant, Kritik der praktischen Vernunft, (Critica della ragion pratica – N. d.T,), Riga 1788, p. 54 (§ 7 “Grundgesetz der reinen praktischen Vernunft”; nuovo: Meiner, Amburgo 2003, p. 41); Engl.: Grounding for the Metaphysics of Morals, 3rd ed., Hackett, Indianapolis 1981, p. 30.
[22] Otto Gritschneder (a cura di), Ich predige weiter. Pater Rupert Mayer und das Dritte Reich, Rosenheimer Verlag, Rosenheim 1987, p. 89.
[23] Karl Popper, The Open Society, op. cit. (nota 11), vol. 2, p. 287.
[24] Ibid., vol. 1, p. 110.
[25] Henry David Thoreau, Walden and Other Writings, Bantam, Toronto 1981, pp. 92, 94.( Versione italiana: Henry David Thoreau, Disobbedienza civile, pp. 23-24, 28-29, edizione elettronica 2024, www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze – N.d.T.)
[26] Shriman Narayan (ed.), The Selected Works of Mahatma Gandhi, vol. 4, Navajivan Publishing House, Ahmedabad 1969, p. 174.
[27] Young India, (settimanale in lingua inglese, pubblicato dal 1919 al 1931 a cura del Mahatma Gandhi – N.d.T.), 2 marzo 1922; Ministero dell’Informazione e della Radiodiffusione, Governo dell’India (a cura di), The Collected Works of Mahatma Gandhi (Electronic Book), Divisione Pubblicazioni Governo dell’India, Nuova Delhi 1999, 98 volumi (www.gandhiserve.org/cwmg/cwmg.html), successivamente CWMG, qui vol. 26, p. 246.
[28] Harijan, (Settimanale in lingua inglese, pubblicato dal 1933 al 1948 a cura del Mahatma Gandhi – Nd.T.),15 Aprile 1939, CWMG, Vol. 75, P. 249.
[29] Young India, 5 gennaio 1922; CWMG, vol. 25, pp. 391 e seguenti.
[30] Roman Herzog, « Das positive Widerstandsrecht » in: Festschrift für A. Merkel, Monaco di Baviera 1970, p. 102; citato secondo Klaus Peters, Widerstandsrecht und humanitäre Intervention, Osnabrücker Rechtswissenschaftliche Abhandlungen, vol. 61, Carl Heymanns Verlag, Köln, 2005, p. 184 (Dissertation at Univ. Osnabrück 2004/2005).
[31] R. Herzog, ibid., p. 100; K. Peters, ibid., p. 188.
[32] R. Herzog, in: Theodor Maunz, Günter Dürig, Grundgesetz Kommentar, 41st Supplement (Ergänzungslieferung), Monaco di Baviera 2002, art. 20, par. 4, Rn. 17-19: acc. a K. Peters, ibid.
[33] Pubblicato online su www.nytimes.com/2009/05/27/world/middleeast/27egypt.html il 26 maggio  maggio 2009. Una versione di questo articolo è stata pubblicata il 27 maggio 2009, a pagina A6 dell’edizione di New York con il titolo “Once Freed from Prison, Dissidents Often Continue to Resist”, (“Una volta scarcerati, i dissidenti spesso continuano a resistere” – N.d.T.)

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