IN MEMORIA DI URSULA HAVERBECK – 8 NOVEMBRE 1928 – 20 NOVEMBRE 2024[1]
Di Germar Rudolf, 21 novembre 2024
Oggi potrebbe sembrare strano, ma se torniamo al 1989, quando per la prima volta mi unii ai ranghi dei ricercatori revisionisti leggendo il Rapporto Leuchter, mi sentivo come se fossi arrivato tardi per giocare la partita. Esperti revisionisti come il prof. Robert Faurisson, il dr. Wilhelm Stäglich e il prof. Arthur Butz avevano compiuto un lavoro pionieristico negli anni Settanta, come mi resi conto in seguito, e il secondo processo Zundel, con il suo rivoluzionario Rapporto Leuchter, era già trascorso da un anno. Così, in che modo avrei potuto fornire un ulteriore contributo? Ebbene, il Rapporto Leuchter ai miei occhi lasciava aperte più domande di quelle a cui aveva risposto. Una di queste era la seguente: il leggendario Blu di Prussia – quello che Leuchter aveva cercato per le sue analisi chimiche dei campioni di muratura presi ad Auschwitz – era sufficientemente durevole per sopravvivere più di 40 anni agli agenti atmosferici? Se non lo fosse stato, non sarebbe valsa la pena di prendere campioni, e ancora meno di analizzarli.
Un anno dopo, nell’ottobre 1990, mi trasferii a Stoccarda per iniziare il mio corso di laurea al Max Planck Institute. Tale istituto aveva tutte le risorse di cui abbisognavo per rispondere alla predetta domanda. Quindi, nel mio tempo libero, di sera, ero intento a trovare la risposta nella biblioteca scientifica dell’istituto. All’epoca, feci la conoscenza di Klaus Ewald, che viveva a Weilimdorf, un sobborgo di Stoccarda. In quel periodo, era impegnato a tradurre il libro di Ernst Zundel L’Olocausto sotto processo in tedesco (utilizzando lo pseudonimo di Pia Causa). Quando all’inizio del 1991 gli dissi di aver fatto alcune interessanti scoperte riguardo alla stabilità di lungo periodo del Blu di Prussia, egli mi fornì una lista di nomi e di indirizzi di persone che secondo lui potevano essere interessate alla mia ricerca e a i suoi risultati. Tra i predetti nomi, e a me sconosciuto, c’era un amico del generale in pensione Otto Ernst Remer, che avrebbe avuto conseguenze di lungo termine sulla mia vita. Ma di questo periodo della mia vita ho già parlato altrove. Un altro nome di quella lista è più in argomento oggi: lo storico e professore Werner Georg Haverbeck, marito della dottoressa Ursula Haverbeck. Egli non era il solo storico di quella lista, ma lui e sua moglie abbracciarono la mia ricerca con il massimo entusiasmo ed incoraggiamento.
Durante quei primi anni del mio impegno revisionista, venni accolto nella casa degli Haverbeck un paio di volte, e godetti della loro generosa ospitalità. Un anno dopo, quando spedii la prima versione del mio rapporto scientifico su Auschwitz ad una lista allargata di persone interessate, il prof. Haverbeck fu uno dei destinatari. Poco tempo dopo aver inviato il mio rapporto, egli rispose nel modo seguente in una lettera datata 31 gennaio 1992:
“Per me, il significato di aver ricevuto il suo rapporto sta nel fatto che esso contribuisce in modo sostanziale alla nostra scorta di conoscenze. Con molti dei miei colleghi attivi nell’ambito della storia contemporanea, sono contentissimo e grato per il fatto che lei abbia inaugurato questa attività di ricerca. Naturalmente, sono anche più deliziato dai i risultati della sua accurata indagine scientifica”.
Tristemente, il prof. Haverbeck venne a mancare troppo presto, solo sette anni dopo. Sua moglie Ursula, che era stata la sua fidata collaboratrice sin dalla metà degli anni Sessanta, proseguì il suo retaggio. Nel 2003, si offrì spontaneamente di essere la vice-presidente della neonata “Associazione per la riabilitazione dei perseguitati per aver contestato l’Olocausto” (Verein zur Rehabilitierung der wegen Bestreitens des Holocaust Verfolgten), che vedeva tra i suoi fondatori molti dei grandi protagonisti del revisionismo – tra gli altri, Robert Faurisson, Jürgen Graf, Wilhelm Stäglich, il dr. Fredrick Toben, Ernst Zundel e il sottoscritto, per nominarne solo alcuni. Questa associazione umanitaria venne messa fuori legge e sciolta dalle autorità tedesche nel 2008, e così fu pure per il Collegium Humanum parimenti fondato dalla dr.ssa Haverbeck, insieme a suo marito, nel 1963, e la cui sede veniva utilizzata dall’associazione come centro logistico.
Ma Ursula Haverbeck non era tipo da mollare. E nemmeno si limitava a ripetere quello che altri le avevano detto sull’Olocausto, che fossero ortodossi oppure revisionisti. Nel 2015, il programma televisivo di sinistra Panorama condusse con lei una lunga intervista. Durante quella intervista, ella mostrò un libro – da cui trasse delle opportune citazioni – che era uscito circa 15 anni prima, il cui titolo può essere tradotto come segue: Ordini del Comandante e del Quartier Generale del campo di concentramento di Auschwitz (in tedesco: https://www.amazon.com/dp/3598240309). Ella sosteneva che gli ordini impartiti dalle autorità del campo di Auschwitz erano in aperta contraddizione con la tesi del campo di sterminio, ed ella fornì alcuni esempi sorprendenti. In reazione a questa intervista, il curatore di questo libro, lo storico tedesco dr. Norbert Frei, affermò che Haverbeck aveva distorto e travisato la sua raccolta documentaria.
Questa intervista fu solo la punta dell’iceberg delle prolungate sfide di Haverbeck alla narrazione olocaustica ortodossa, che portò ad un diluvio interminabile di procedimenti giudiziari, la cui conseguenza fu che ella finì in prigione. La storia della sua persecuzione è troppo lunga per essere raccontata qui. Il lettore interessato può leggerne i dettagli sulla pagina di Wikipedia a lei dedicata. Se ho contato correttamente, ella aveva accumulato un totale di tre anni e mezzo di prigione nel momento in cui è venuta a mancare, con ulteriori pendenze che la aspettavano se fosse rimasta in vita.
Quando nel 2015 venni a sapere della sua apparizione televisiva, che diede al revisionismo una massiccia presenza pubblica in Germania, rimasi molto colpito dalla sua presentazione di questo libro del dr. Frei, della cui esistenza non riuscivo a ricordarmi. Quando feci le dovute ricerche, capii che Carlo Mattogno aveva tratto citazioni dal predetto libro per anni nei suoi numerosi studi su Auschwitz, e che io avevo tradotto e curato le sue relative note a piè di pagina. Per qualche ragione, tuttavia, il predetto libro era totalmente sfuggito alla mia attenzione. Decisi quindi su due piedi – e annunciai tale decisione pubblicamente – di pubblicare un nuovo libro, nell’ambito della nostra collana Holocaust Handbooks, che avrebbe analizzato il libro del dr. Frei fornendo una presentazione equa dei suoi contenuti, come pure una critica dei travisamenti del dr. Frei. Purtroppo, la mia situazione familiare non mi permise per molti anni di realizzare questo progetto. Ma il progetto venne avviato grazie all’iniziativa di un mio lettore e sostenitore. Il libro è apparso finalmente nel 2020 come 34° volume della serie, e la sua prefazione descrive in dettaglio le modalità con cui questo libro è venuto alla luce: Garrison and Headquarters Orders of the Auschwitz Concentration Camp.
Alla fine, Ursula Haverbeck venne condannata a dieci mesi di prigione per la sua intervista. Tuttavia, nulla di quanto le autorità tedesche facevano poteva impedirle di esprimere il proprio pensiero, sempre con un tono di voce rispettoso, con buone maniere e con uno stile accademico. Ella era una vera leonessa che non cessava di ruggire verso coloro che privavano lei e il suo popolo del diritto di indagare liberamente la storia della loro nazione.
Il volume 34 della nostra serie deve essere considerato parte della sua eredità. Senza la sua intervista e il suo sacrificio, esso non esisterebbe.
P. S. Alla metà degli anni Novanta, quando finii nel mirino del sistema persecutorio tedesco, mia madre si infuriò a causa del lungo elenco di accademici che mi avevano incoraggiato ad imbarcarmi nella mia impresa revisionistica: a pubblicare i risultati miei e di altri ricercatori, mentre essi non ebbero il coraggio di assumere una presa di posizione pubblica per difendermi, quando le cose diventarono calde. Ma gli Haverbeck non fecero parte del novero di quei pavidi che mi avevano mandato in prima linea mentre loro si nascondevano nelle trincee. Essi rimasero al mio fianco, affrontando coraggiosamente le pallottole della persecuzione governativa. Questo è particolarmente vero per Ursula.
Ironicamente, l’ex revisionista Eric Hunt mi ha accusato (poco dopo il suo ripudio del revisionismo all’inizio del 2017) di una condotta irresponsabile, in quanto le mie azioni potevano mettere le persone come lui nei guai e mandare le vecchie signore ingenue in prigione (alludendo alla signora Haverbeck, all’epoca trascinata in tribunale), mentre il sottoscritto presuntivamente si nascondeva al sicuro negli Stati Uniti. Ma le cose stavano all’incontrario: se non altro, furono gli Haverbeck e altri a stimolarmi ad intraprendere questo viaggio revisionistico. Ma sono sufficientemente uomo per assumermi la responsabilità delle mie azioni. Non incolperò altri per le decisioni della mia vita. E neppure mai ha attraversato la mente di Ursula Haverbeck il pensiero di incolpare altri per le decisioni che ella ha preso. Questo è un altro segno di una personalità davvero grande.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/ursula-haverbeck-in-memoriam-8-nov-1928-20-nov-2024/
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