Il miraggio dell’escatologia: Regalità, Regno e Reame di Dio secondo Jean Carmignac

Nelle vite di Gesù scritte dagli studiosi mainstream si è cristallizzato, ormai da quasi due secoli, un luogo comune: quello secondo cui Gesù avrebbe predicato come imminente la fine del mondo. Ad esempio, ecco cosa ha scritto nel 2013 il famoso archeologo Andrea Carandini:

“A delineare un ritorno possibile all’età dell’oro sono stati i greci e i romani, ma a erogare la forza motrice massima da questa idea è stato l’ebraismo apocalittico portato a compimento da Gesù e dai seguaci. Per essi la fine dei tempi, in cui era previsto l’avvento del messia figlio di Dio, doveva essere l’età degli imperatori giulio-claudi e il messia e figlio di Dio era lo stesso Gesù Nazareno. Il Regno di Dio avrebbe dovuto manifestarsi non oltre una generazione, quindi non oltre il Regno di Nerone, per cui bisognava prepararsi all’apocalissi ventura. Quest’utopia in origine anche terrena si ridusse in seguito a un’utopia esclusivamente celeste, perché se Gesù era risuscitato e asceso al cielo, non era sceso più dalle nuvole che lo avevano accolto, per governare col suo regio consiglio di apostoli le tribù d’Israele, sotto la presidenza del primo fra loro, Simon Pietro”[1].

Quindi, secondo Carandini, gli ebrei che vivevano all’inizio dell’era cristiana aspettavano come imminente il Regno di Dio e questo Regno sarebbe coinciso con la fine dei tempi (apocalissi). Gesù condivideva questa idea e aspettava anche lui la fine del mondo, perciò esortava i suoi discepoli a prepararsi all’inevitabile cataclisma cosmico. Questa esposizione della (presunta) idea di Gesù non è nuova: essa risale allo studioso Hermann Samuel Reimarus (1694-1768), ed è stata rilanciata, con grande successo, da autori ottocenteschi come David Friedrich Strauss (1808-1874), Edouard Reuss (1804-1891) e Ernest Renan (1823-1892). È diventata poi dominante nel 20° secolo, grazie ad autori quali Johannes Weiss (1863-1914), Alfred Loisy (1857-1940) e Albert Schweitzer (1875-1965). Ecco come lo stesso Schweitzer sintetizza i risultati dei suoi studi:

“All’interpretazione insostenibile data fino a quel momento della vita di Gesù, oppongo un’altra concezione: io lo rappresento determinato nei suoi pensieri, nelle sue parole e nelle sue azioni, dall’attesa della fine imminente di questo mondo e dell’avvento del Regno messianico soprannaturale. Questa interpretazione è detta ‘escatologica’ perché è coerente con la tradizionale dottrina giudeo-cristiana riguardo agli eventi che accadranno alla Fine del Mondo”[2].

Contro questa interpretazione “escatologica” della vita di Gesù che, ripeto, è diventata dominante negli studiosi a partire dal 20° secolo, ha reagito l’illustre esegeta Jean Carmignac (1914-1986) con il suo libro Le Mirage de l’Eschatologie (“Il miraggio dell’escatologia”), scritto nel 1979 e il cui contenuto vorrei presentare ai lettori. Prima però torniamo un attimo a Carandini. Chiariamo subito un punto: non è sbagliato affermare, come fa l’illustre archeologo romano, che “il Regno di Dio avrebbe dovuto manifestarsi non oltre una generazione”. Proprio Gesù lo afferma nel grande discorso del martedì santo, riportato dai Vangeli sinottici (Matteo 24, Marco 13, Luca 21):
“In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute”.

È il famoso discorso di Gesù detto “escatologico”, in cui viene predetta la fine di Gerusalemme e del suo Tempio. Discorso in cui viene ripreso quanto già affermato nel Vangelo di Marco, capitolo 9, versetto 1[3]:

“E diceva loro: «In verità vi dico: vi sono alcuni tra i qui presenti che non gusteranno la morte prima d’aver visto il Regno di Dio venuto con potenza”.

Ecco come commenta la Bibbia Garofalo il predetto versetto riportato da Marco:

“Allusione ai tragici avvenimenti della fine di Gerusalemme; Mt 16, 28; Lc 9, 27”.

Quindi, è vero che Gesù aveva predetto che l’avvento “con potenza” del Regno di Dio avrebbe coinciso con un evento traumatico e “apocalittico” ma questo evento sarebbe stato la fine di un mondo (la distruzione di Gerusalemme da parte delle truppe romane) e non la fine del mondo (risurrezione dei morti e giudizio universale). È stato il grande esegeta mons. Francesco Spadafora a mettere inequivocabilmente in chiaro tutto ciò con il suo libro Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in San Paolo[4], libro che però purtroppo non ha avuto l’accoglienza che meritava (anche nelle stesse fila dei cattolici tradizionalisti!).

Gli esponenti dell’escatologismo da me citati in precedenza sono stati indotti nell’errore di attribuire a Gesù una fine del mondo ormai prossima da un’interpretazione letterale della venuta “sulle nubi del cielo” menzionata da Gesù e riportata dagli evangelisti Matteo e Marco:

ormai rivedrete il Figlio dell’uomo sedere a destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo” (Matteo 26, 64).

La “venuta” di cui parlava Gesù interrogato dal sommo sacerdote si riferiva appunto alla punizione che era destinata alla nazione giudaica e che si sarebbe verificata nell’anno 70, non alla venuta fisica di Gesù per giudicare il genere umano alla fine del mondo.

Torniamo adesso a Carmignac e al suo libro che, lo voglio sottolineare, purtroppo non è mai stato tradotto in italiano e che qui da noi è praticamente sconosciuto. Questo libro si propone di confutare i principali autori che, a partire da Reimarus, hanno identificato abusivamente il concetto di “Regno di Dio” con quello di “fine del mondo”. La teoria che vuole ridurre all’attesa della Fine del Mondo tutto il pensiero e l’attività di Gesù, e che si è imposta nel corso del Novecento, è detta “Escatologia conseguente”. L’esponente che ha portato questo sistema fino alle sue estreme conseguenze è indubbiamente Alfred Loisy. Osserva a tal proposito Carmignac:

“Il Nuovo Testamento non parla mai di escatologia; ogni tanto parla della Fine del Mondo (e degli eventi correlati); parla spesso di un Reame di Dio, che già esisteva al tempo di Gesù, che esisterà ancora alla Fine del Mondo e che esisterà anche dopo. Come è stato possibile trarre da ciò una “Escatologia Consequenziale”, cioè una teoria che voglia spiegare tutto il pensiero e l’attività di Gesù con l’attesa della Fine del Mondo? Innanzitutto, senza pensare male, abbiamo usato il termine Escatologia per designare brevemente lo studio degli eventi relativi alla Fine del Mondo. Poi, con un abuso di linguaggio, abbiamo trasportato questo termine sul piano oggettivo e lo abbiamo fatto designare la Fine del Mondo. Con una vera e propria allucinazione collettiva (tanto è il potere della “moda”, anche in teologia!) abbiamo gonfiato i testi sul Reame di Dio riguardanti la Fine del Mondo per far loro dire che questo Reame esisterà unicamente alla Fine del Mondo. Poi abbiamo sorvolato, in un modo o nell’altro, sui numerosi testi che presentano il Reame di Dio sotto un altro aspetto. Allora si è potuto relegare buona parte dell’insegnamento di Gesù nell’Escatologia… Un’altra conseguenza, che non è stata né percepita né desiderata da tutti i sostenitori di questo sistema, ma che è stata formulata molto chiaramente da Loisy e da pochi altri, è che si può allora, in perfetta logica, continuare il ragionamento così: “Gesù, predicando il Reame di Dio come imminente, ha dimostrato che aspettava la Fine del Mondo per l’immediato futuro. Ma questa Fine del Mondo non è arrivata. Quindi Gesù si è sbagliato. Dunque Gesù non è Dio…”[5].

Il lettore attento avrà notato che Carmignac nei predetti passi ha usato la locuzione “Reame di Dio” (in francese: “Royaume”) al posto del più comune “Regno”. Questa sostituzione ha un suo perché. Il termine “Regno (o Reame) di Dio” deriva dall’espressione greca “basileia tou théou”. Osserva Carmignac che la lingua francese ha tre sostantivi che derivano dalla parola “re”: si tratta di “regalità”, “Regno” e “Reame”.

Ecco come Carmignac descrive questi tre termini:

“«Regalità» designa la dignità del re; è un termine astratto che esprime l’insieme di ciò che costituisce un re, che lo distingue da tutte le altre persone. «Regno» designa l’esercizio del potere regale [“regnare”], includendovi un aspetto temporale. «Reame» designa i territori o le persone sui quali il re esercita la sua autorità, e dunque questo termine evoca spesso una connotazione spaziale. Così per noi la regalità è un diritto o un potere puramente soggettivi; quando essa si realizza effettivamente costituisce il Regno; in tal caso essa agisce su dei paesi o su dei soggetti che formano il Reame. La regalità è soggettiva, il Reame è oggettivo e il Regno è il passaggio dal soggettivo all’oggettivo”[6].

Da parte mia, osservo che nella lingua italiana “Regno” e “Reame” sono espressioni praticamente sinonime (basta consultare i dizionari): entrambi i termini designano un’entità statale alla cui guida troviamo un re. Secondo Carmignac, invece, la distinzione tra questi due termini (tre, con “regalità”) deve essere mantenuta perché corrisponde a due significati distinti, anche se non incompatibili tra loro. Secondo lui, infatti, nel Nuovo Testamento il termine “Reame” corrisponde al concetto di Chiesa (cattolica) mentre il termine “Regno” corrisponde al concetto di giustificazione (in senso paolino). La giustificazione è l’effetto che ha l’esercizio della regalità di Gesù sui fedeli che l’accolgono mentre la Chiesa costituisce l’estensione spaziale e temporale visibile dei fedeli.

Il greco antico ha un solo termine (la “basileia”) per esprimere i tre predetti sostantivi e dunque, secondo Carmignac, rischia di provocare delle confusioni tra l’uno e l’altro. Al termine greco di “basileia” corrisponde il latino “regnum”. Tutta la prima parte del libro di Carmignac (capitoli I-XIV) è volta ad accertare il significato dei concetti di Regalità, Regno e Reame di Dio nel Nuovo Testamento. Dal relativo excursus si ricava che il Regno e il Reame di Dio non erano concetti appartenenti ad un futuro esclusivamente escatologico ma realtà già vive e operanti a partire dalla predicazione di Gesù e, prima ancora, a partire dalla predicazione di Giovanni Battista[7]. Prima di verificarlo, Carmignac fa un’osservazione preliminare:

“Cominciamo con il dissipare una confusione. Quando incontriamo la formula “Reame dei Cieli”, comprendiamo spontaneamente “Reame che è nei Cieli”, che si realizza nei Cieli”. Ma questo è un errore, causato da una traduzione troppo pedissequa, come riconoscono molti autori, per esempio T. Filthaut, p.14-15. Per un palestinese del tempo di Gesù “Reame dei Cieli” significa in realtà “Reame di Dio”. Poiché è un fatto ben noto che gli ebrei, prima dell’era cristiana, evitavano il più possibile di pronunciare il nome di Dio e lo sostituivano con vari equivalenti, compresa la parola “Cieli” (che non è mai usata al singolare, né in ebraico né in aramaico)”.

Passiamo adesso ad alcuni esempi concreti riguardanti la valenza temporale dei termini “Regno” e “Reame” nel Nuovo Testamento e il fatto che tali termini all’epoca di Gesù non avevano un significato escatologico bensì ecclesiologico. Primo esempio, Luca 16, 16 (e Matteo 11, 12-13): “La Legge e i Profeti vanno fino a Giovanni; da quel tempo è predicato il Reame di Dio e ciascuno si sforza per entrarvi”. Da questo testo, se lo si esamina senza preconcetti, si ricava che il Reame di Dio riguardava una realtà già presente e sperimentabile dai contemporanei di Gesù.

Altro esempio, Matteo 11, 11: “In verità vi dico: fra i nati di donna non è apparso uno più grande di Giovanni il Battista; e tuttavia il più piccolo del Regno dei cieli è più grande di lui”. Commenta Carmignac:

“Leggendo questo testo, come non concluderne che la nuova economia, il Reame di Dio, esiste già nel momento in cui parla Gesù? Egli non dice che il più piccolo nel Reame di Dio sarà più grande di Giovanni Battista, ma che è (già) più grande di lui”[8].

Terzo esempio. Lettera ai Colossesi 1, 9-14: “Per questo noi pure, dal giorno in cui ricevemmo queste notizie, non cessiamo di pregare per voi e di domandare che siate riempiti della conoscenza della volontà di lui, con ogni sapienza e intelligenza spirituale. Così potrete condurvi in maniera degna del Signore e piacergli in tutto, fruttificando in ogni genere di opere buone e crescendo nella piena conoscenza di Dio. corroborati d’ogni energia secondo la potenza gloriosa di lui, praticherete una pazienza e una perseveranza a tutta prova, rendendo gioiosamente grazie al Padre, che vi ha messi in condizione di poter partecipare alla sorte dei santi della luce. Egli ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasportati nel Reame del suo Figlio diletto, per il quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati”. Commenta Carmignac: “A leggere il testo per come è, questa entrata dei Colossesi nel Reame del Figlio di Dio è già stata realizzata: si ringrazia il padre di questo favore; sono stati già ammessi tra i santi; sono già stati sottratti alle tenebre; sono stati già trasferiti nel Reame della luce. Un solo verbo è al presente: «noi abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati», precisamente perché esso indica il risultato permanente di una liberazione e di un perdono che sono stati già acquisiti. Il solo modo di sfuggire a questa conclusione sarebbe di ricorrere qui a dei «passi profetici»: talvolta, per indicare la realizzazione immancabile di un avvenimento, i profeti lo descrivono con dei verbi al passato, poiché questo fatto è già deciso da Dio. Ma niente, nel contesto, indica che San Paolo fa una profezia; e, al contrario, tutto mostra che egli ringrazia Dio per le grazie già ricevute dai Colossesi”.

Quarto esempio, Matteo 13, 24-30 (la parabola del grano e della zizzania). Secondo Carmignac, la parabola in questione riguarda la durata del Reame di Dio: esso è già cominciato quando Gesù ne descrive le caratteristiche e durerà fino alla fine del mondo, quando i giusti saranno separati dai peccatori. Questa compresenza del grano e della zizzania rappresenta la Chiesa, una realtà in cui conviveranno fino alla fine dei tempi tanto i giusti quanto i reprobi. Da parte mia, osservo che forse è proprio questa parabola riferita dall’evangelista Matteo che sta alla base della Città di Dio di Sant’Agostino, che descrive la mescolanza della Civitas Dei e della Civitas diaboli. E infatti lo stesso Carmignac rileva (p. 103) che “Agostino è considerato come il principale propagatore dell’equazione Reame di Dio = Chiesa. In effetti egli consacra un capitolo della sua Città di Dio (libro XX, capitolo IX) a esporre che la Chiesa si identifica sia con il Reame di Dio che con il Reame di Cristo”. Del resto, questa equivalenza la si desume anche dalle famose promesse a Pietro da parte di Gesù riportate da Matteo 16, 17-19: “Beato sei tu, Simone Bar-Jona, perché non carne e sangue te l’ha rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Ebbene, anch’io dico a te: Tu sei Pietro e su questa Pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ade non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del Regno dei cieli; tutto ciò che legherai sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra resterà sciolto nei cieli”. Ecco come si esprime al riguardo Carmignac[9]:

“Dobbiamo notare con molta attenzione il parallelismo manifesto che Gesù realizza tra «la sua Chiesa» e «il Reame di Dio». Si tratta insomma della medesima idea che egli esprime con due formule equivalenti: «su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» e «A te darò le chiavi del Reame dei Cieli (=di Dio)». Mediante due immagini differenti ma complementari, è la medesima realtà che Gesù designa con la sua «Chiesa» e con il «Reame dei Cieli». Questo parallelismo è tanto più significativo in quanto il termine «Chiesa» è estremamente raro nei Vangeli: Marco, Luca e Giovanni non lo impiegano mai; Matteo lo impiega solo qui e nel versetto 18, 17”.

Quinto esempio, Luca 17, 20-21: “Interrogato dai farisei quando dovesse venire il Regno di Dio, rispose loro: «Il Regno di Dio non viene ostensibilmente né si potrà dire: “Eccolo qua” oppure “Eccolo là”; ecco, infatti, il Regno di Dio è tra voi»”. Commenta Carmignac[10]: “Innanzi tutto, si tratta del Regno e non del Reame di Dio, poiché la domanda riguarda il tempo e il fatto che un Reame non può «venire»” … “a) Se, come è più probabile, Gesù ha risposto ai farisei: «il Regno di Dio è presente nella società ebraica di cui voi fate parte», allora egli afferma che questo Regno di Dio esiste già e che esso si esercita già su certi dei loro contemporanei. B) Se, come è meno probabile, Gesù ha risposto loro: «il Regno di Dio è nei vostri cuori», allora egli afferma ugualmente che questo Regno di Dio esiste già e che esso si esercita già sugli stessi farisei. In ogni caso, Gesù considera questo Regno di Dio come una realtà già presente”.

Molto interessante è anche un’osservazione di Carmignac relativa all’Apocalisse[11]:

Apocalisse 1, 6: “A colui che ci ama e che ci ha prosciolti dai peccati nostri nel suo sangue, e ha fatto di noi un Reame, dei sacerdoti per Iddio suo Padre, a lui la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen”. “Dunque per lui, è chiaro, il terzo verbo indica, come il secondo, un fatto già passato: è mediante un atto già passato che Gesù «ha fatto di noi un Reame, dei sacerdoti». La natura di questo fatto non viene precisata, ma il contesto sembra indicare che è attraverso la sua morte sulla croce che Gesù, liberandoci dai nostri peccati, ci ha così trasformato in un tale Reame. Dunque questo Reame esiste già da un certo tempo [nel momento in cui Giovanni scrive l’Apocalisse]”.

A qualcuno, queste distinzioni operate da Carmignac tra “regalità”, “Regno” e Reame” potrebbero sembrare una questione di lana caprina. Io invece ritengo che vadano prese in seria considerazione, anche alla luce di un ulteriore argomento presentato dall’esegeta francese e che riguarda il famoso interrogatorio subito da Gesù da parte di Pilato. Secondo Carmignac, il versetto di Giovanni 18, 36 (“Il mio Regno non è di questo mondo”) andrebbe tradotto nel modo seguente: “La mia regalità non è di questo mondo”, in quanto sia il “Regno” (l’esercizio della regalità da parte di Cristo) che il “Reame” (l’estensione spaziale e temporale dell’opera di Cristo) sono realtà non solo celesti ma anche terrene. Il Regno di Dio è destinato a protrarsi nell’eternità ma per i fedeli che ne fanno parte inizia già su questa terra.

Adesso ricapitoliamo quali sono le caratteristiche del Reame di Dio secondo Carmignac e il motivo per il quale tale realtà secondo l’esegeta francese è identificabile con la Chiesa (sintetizzo a seguire il capitolo XIII del libro di Carmignac: “Il Reame di Dio e la Chiesa):

Caratteristiche del Reame di Dio

  • Prima constatazione: per Gesù e gli Apostoli il Reame di Dio apparteneva già al passato. Le invettive di Gesù contro i legisti (Luca 11, 52 = Matteo 23, 13) condannano degli atti già commessi, che hanno già cominciato a distogliere dal Reame di Dio le anime troppo ingenue. Matteo 23, 13: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete agli uomini il regno dei cieli; voi, infatti, non entrate e non permettete che vi entrino coloro i quali vorrebbero entrare”. Parimenti gli incoraggiamenti al “piccolo gregge” di Luca 12, 32 sono giustificati “perché è piaciuto al Padre vostro di darvi il regno”. Quando San Paolo dice che egli rende grazie al Padre che “ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci ha trasportati nel Reame del suo Figlio diletto” (Colossesi 1, 13), egli fa manifestamente allusione alla recente conversione dei cristiani di Colossi che li ha fatti entrare nel Reame di Cristo. In Giacomo 2, 5 egualmente Dio ha già nel passato scelto i poveri per farne dei ricchi e per metterli in possesso del Reame da lui promesso: tutti i verbi sono al passato, ma si tratta di un passato che si prolunga nel presente. Nell’Apocalisse, Gesù “ci ha prosciolti dai peccati nostri nel suo sangue, e ha fatto di noi un Reame, dei sacerdoti per Iddio suo Padre”, e dunque i destinatari dell’Apocalisse partecipano a questo Reame poiché beneficiano della Passione di Cristo”.
  • Seconda constatazione: questo Reame di Dio è una realtà che esiste già durante la predicazione di Gesù, poi degli Apostoli… Le Beatitudini che riguardano questo Reame di Dio sono espresse al presente, mentre le altre sono al futuro.
  • Terza constatazione: questo Reame di Dio è promesso per un futuro immediato, che non oltrepassa la scadenza di una generazione. Prima dell’istituzione dell’Eucarestia, Gesù promette agli Apostoli di bere il vino con loro nel Reame di suo Padre (Marco 14, 25 = Matteo 26, 29 = Luca 22, 16-18). Colui che insegna la minima disobbedienza sarà l’ultimo nel Reame dei Cieli (Matteo 5, 19). Colui che non è migliore degli scribi e dei farisei non entrerà nel Reame dei Cieli (Matteo 5, 20). Colui che compie la volontà del Padre entrerà nel Reame dei Cieli (Matteo 7, 21). Gesù darà a Pietro le chiavi del Reame dei Cieli (Matteo 16, 18-19). Gli Apostoli sperano in una prossima restituzione del Reame di Dio (Atti 1, 6). Quattro volte San Paolo presenta un elenco di peccatori che non otterranno il Reame di Dio (1 Cor. 6, 9-10; 15, 50; Gal. 5, 21; Efesini 5, 5).
  • Quarta constatazione: questo Reame di Dio avrà il suo compimento alla Fine del Mondo.
  • Quinta constatazione: questo Reame non sarà composto solo da giusti, ma anche da peccatori.
  • Sesta constatazione: questo Reame di Dio conoscerà una vera evoluzione, una vera crescita.
  • Settima constatazione: dopo la morte, questo Reame di Dio si prolungherà nella Vita eterna.
  • Ottava constatazione: questo Reame si presenta sotto due fasi differenti: una fase con peccatori e una fase senza peccatori.
  • Nona constatazione: questo Reame può essere presentato sia come quello di Dio sia come quello di Cristo… Questi due aspetti non si escludono affatto, poiché sono sintetizzati da Efesini 5, 5, che parla del “Reame di Cristo e di Dio”.

Conclude Carmignac[12]: “Se siamo fedeli a non trascurare nessun testo e a cercare una soluzione che sia in accordo con ciascuno, ci troviamo di fronte al seguente enigma: qual è la realtà, paragonabile ad un Reame, iniziata con il Battesimo di Gesù, che si svilupperà fino alla Fine del Mondo, che comprende giusti e peccatori, che si estenderà fino alla Vita Eterna e che è attribuibile sia a Dio che a Cristo? Se vogliamo armonizzare tutti i dati, una sola risposta è possibile: è la Chiesa. In effetti le diverse caratteristiche di questo Reame di Dio o di Cristo corrispondono a quelli della Chiesa… Una tale corrispondenza tra i tratti caratteristici del Reame di Dio e quelli della Chiesa può essere spiegata solo se riconosciamo che la Chiesa è effettivamente il Reame di Dio”.

Per quanto riguarda invece il Regno di Dio, inteso quale realtà associabile al concetto di giustificazione, ecco come lo descrive Carmignac[13]:

“Mentre il Reame di Dio e la Chiesa sono chiaramente identificati dai testi, non abbiamo gli stessi dettagli riguardo al Regno di Dio. Quanto segue non può quindi essere considerato un’affermazione certa, ma semplicemente un suggerimento sottoponibile a discussione. La «giustificazione», nel senso teologico attuale, che include la remissione dei peccati, l’adozione filiale da parte di Dio e l’ammissione alla Vita eterna (già cominciata sulla terra), non è quasi mai menzionata nei Vangeli… Al contrario questa idea di «giustificazione» è centrale nella lettera ai Romani e in quella ai Galati. Altrove la si ritrova negli Atti 13, 38-39, in I Corinzi 4, 4; 6, 11; I Timoteo 3, 16; Tito 3, 7; Giacomo 2, 21.24.25. Come spiegare che un’idea capitale per San Paolo sia pressoché ignorata dai Vangeli? Non sarà che la medesima idea è espressa con dei termini differenti, come nel caso del Reame di Dio e della Chiesa? E allora non si potrebbe contemplare, almeno a titolo di ipotesi, che il Regno di Dio corrisponda alla Giustificazione? Se Paolo afferma che il «giusto» è la casa di Dio, il Tempio di Dio, un membro del Corpo di Cristo, non è precisamente perché Dio regna in lui? Così il Regno di Dio, frequente tra i sinottici, la Giustificazione esposta da san Paolo e la dimora di Dio abituale di san Giovanni sarebbero in fondo tre diverse presentazioni della stessa realtà, inaccessibili al linguaggio umano, evocate da tre nozioni complementari diventate poi sinonimi”.

Così conclude Carmignac la prima parte del suo libro[14]:

“Mentre scrivevo la prima parte di quest’opera, ho avuto costantemente l’impressione di affermare l’ovvio. Come rifiutare la distinzione tra Regalità, Regno e Reame, anche se certi contesti sono talmente vaghi da potersi adattare a ciascuna di queste tre nozioni? Come negare che Gesù e gli Apostoli consideravano la «basileia» come una realtà nello stesso tempo passata, presente e futura, sia terrestre che celeste, attribuibile sia a Dio che a Cristo? Come contestare che il Reame di Dio e la Chiesa sono talmente identici da condurre alla medesima definizione? Poiché il Reame è Gesù e coloro che egli ha riunito, che riunisce e che riunirà attorno a lui, e la Chiesa è Gesù e coloro che egli ha riunito, che riunisce e che riunirà attorno a lui. Come non approvare la conclusione di J. B. Frey: “Se dovessimo ora comprendere sotto una formula globale i vari significati dell’espressione ‘basileia tou théou’, la definiremmo: attualizzazione della regalità eterna di Dio, nelle anime mediante la libera sottomissione alla legge di Dio, creatore e salvatore, nel mondo con l’instaurazione e il progressivo sviluppo della società dei fedeli (Chiesa), nell’aldilà con l’unione definitiva degli eletti con Dio (Vita eterna) e la loro incorporazione nella Chiesa Trionfante (Regno di Dio, col. 1257)? Del resto, prima della fine del XIX secolo questa evidenza era difficilmente messa in dubbio e fino ad allora era stata pacificamente riconosciuta dai cattolici, dagli anglicani e dai protestanti. Ma perché hanno improvvisamente cessato, verso la fine del secolo scorso, di sembrare ovvie e perché vengono ignorate dalla stragrande maggioranza degli esegeti e dei teologi? Questo perché il pensiero cristiano è stato sconvolto da un’innovazione pericolosa: l’escatologia.

A questo punto riporto a seguire alcune ulteriori osservazioni di Carmignac tratte dal capitolo XV del suo libro (“I misfatti dell’escatologia”):

pp. 133-134. “Il termine “escatologia”. “Né l’Antico Testamento, né il Nuovo Testamento, né i Padri della Chiesa, né i teologi fino all’inizio del 19° secolo hanno provato il bisogno di ricorrere a questo concetto”. E ancora: “Il termine ‘escatologia’ fu coniato da K. G. Bretschneider nel 1804 e venne ripreso da F. Oberthür nel 1807-10; si diffuse subito in Germania; un gruppo di teologi alsaziani lo naturalizzò in Francia a partire dal 1828; in Inghilterra apparve nel 1844 (forse anche prima). Verso il 1890 A. Loisy e Johannes Weiss (senza dubbio sotto l’influenza di E. Reuss) identificarono il Reame di Dio e la Fine del Mondo, il che condusse A. Schweitzer a confondere Reame di Dio ed Escatologia. Malgrado certe resistenze, soprattutto in Inghilterra, questa confusione si diffuse presso quasi tutti gli esegeti e i teologi influenti. Attualmente, se ci si rifiuta di accettare tale termine a occhi chiusi, si viene considerati dei retrogradi”.

p. 134. “Il termine “escatologia” designa in modo sintetico e conveniente lo studio dei Novissimi [morte,giudizio, inferno, purgatorio, paradiso]. Ma molto presto, mediante una curiosa deformazione, certuni hanno impiegato questo termine per designare non più lo studio delle cose ultime, ma queste cose ultime stesse. Questa “oggettivazione” è passata surrettiziamente dall’escatologia-scienza all’escatologia-oggetto”.

p. 135. “Il termine “eschatos” o “ultimo” (troppo spesso lo dimentichiamo) ha solo un significato relativo e bisogna sempre fare attenzione a specificare in relazione a cosa viene calcolata questa posizione di “ultimo”. In molti casi è il presente che chiude la serie considerata e quindi “ultimo” designa un passato molto recente, ad esempio in “questi ultimi giorni”. Ma possiamo parlare anche di una serie che è già molto lontana nella storia, ad esempio “gli ultimi giorni di Cesare”, o di una serie che si perde in un futuro illimitato: “gli ultimi giorni del mondo”. Così, nella Lettera agli Ebrei 1,2: “Dio ci ha parlato per mezzo di suo Figlio alla fine di questi giorni”, l’autore non suppone necessariamente di vivere negli ultimi tempi del mondo, può anche contrapporre il passato lontano dei profeti d’Israele al passato recente della missione di Gesù. Pertanto, il termine “escatologia” può teoricamente riferirsi sia al presente che al futuro. E vedremo che questa confusione non è chimerica”.

Ibidem. “Allo stesso modo, nell’Antico Testamento la formula B’HRYT HYMYM, che spesso viene tradotta come “alla fine dei giorni”, “at the end of the days” o “am Ende der Tage”, significa in realtà “nella continuazione di giorni”, quindi “nel futuro”, e dovrebbe essere applicata alla Fine del Mondo solo se il contesto lo specifica esplicitamente, il che generalmente non è il caso.

Ibidem. “Il Messianismo, che riguarda la venuta e l’attività del Messia, non ha nulla a che vedere con la Fine del Mondo (a meno che non si supponga, gratuitamente, che l’arrivo di questo Messia ponga termine alla storia del mondo) eppure quanti autori assimilano più o meno il Messianismo all’Escatologia! L’Apocalittica dovrebbe ancor meno entrare qui in gioco, poiché essa è semplicemente un genere letterario che descrive l’avvenire mediante l’aiuto di rivelazioni più o meno simboliche. Ma una tendenza assai diffusa limita il campo dell’Apocalittica alla Fine del Mondo, e di conseguenza si permette di assimilarla all’Escatologia”.

p. 137. “Per delle ragioni storiche, che altri senza dubbio cercheranno di analizzare, un amalgama progressivo ha combinato la nozione di ‘basileia tou théou’ con quella di Fine del Mondo, poi quella di Fine del Mondo con quella di Escatologia, così che a poco a poco si è arrivati a confondere il Regno o il Reame di Dio con l’Escatologia e così a falsare completamente queste nozioni”.

Ibidem. “La situazione teologica su questo punto è così grave e così improbabile che non basta più denunciarla. L’esperienza dimostra che le menti altrimenti giudiziose si chiudono in una sorridente incredulità non appena osiamo contestare davanti a loro l’equazione Regno di Dio = Fine del mondo”.

p. 138. “Dire che il Regno e il Reame di Dio, che esistono già ora, esisteranno ancora alla Fine del Mondo, è perfettamente legittimo ed è in pieno accordo con tutto il Nuovo Testamento. Ma dire che il Regno e il Reame di Dio adesso non esistono realmente e che esisteranno solo alla Fine del Mondo, vuol dire falsare gravemente il pensiero di Gesù e degli Apostoli”.

Fin qui, le osservazioni di Carmignac. Da parte mia, per concludere, aggiungo che le argomentazioni dell’illustre esegeta francese sono quasi sempre condivisibili. In un caso particolare, però, vorrei esplicitare il mio dissenso nei suoi confronti: quando identifica il termine “Parusia” esclusivamente con la seconda venuta fisica di Gesù alla fine del mondo (vedi ad esempio alla pagina 133 del capitolo XV, “I misfatti dell’escatologia”) dove egli associa tale venuta al capitolo 24 del Vangelo di Matteo e ai brani I Tess 3, 13 e II Tess 2, 1 di San Paolo, brani che, come dimostrò a suo tempo mons. Spadafora, non riguardano la fine del mondo ma solo la fine di Gerusalemme. Purtroppo, a quanto pare, Carmignac non conosceva l’opera di Spadafora altrimenti, forse, data la sua grande apertura mentale, avrebbe forse fatto tesoro delle argomentazioni del grande esegeta italiano. In effetti, Carmignac mostra di sottovalutare o addirittura di ignorare quell’evento epocale che fu la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C., anche riguardo a quei brani dei Vangeli sinottici che chiaramente la preconizzano: mi riferisco espressamente a Matteo 16, 28; a Marco 9, 1 e a Luca 9, 27. Ecco come Carmignac commenta i predetti passi:

“I tre Sinottici collocano questa parola di Gesù nello stesso contesto, il che prova che tra questi c’è una stretta dipendenza. Ma il solo Marco introduce queste parole con un vago: “E diceva loro”, che ci avverte che egli ha inserito in tale passo una riflessione che non ha un legame cronologico con ciò che precede, e che si presenta dunque alla sua memoria con una semplice associazione di idee. In effetti il versetto precedente si conclude con un’allusione all’Ultimo Giudizio: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella gloria di suo Padre con i suoi santi angeli. D’altronde, Gesù allude chiaramente a un avvenimento futuro, previsto per un avvenire decisamente ravvicinato (meno di una cinquantina di anni).  Questa venuta gloriosa di Cristo sarà quella della sua Trasfigurazione, quella della sua Risurrezione, quella della predicazione vittoriosa del Vangelo o quella della Parusia? L’ipotesi della Trasfigurazione è tanto più probabile in quanto viene raccontata dai tre sinottici subito dopo queste parole di Gesù: Marco sembra aver voluto giustapporre la predizione e la realizzazione di questo evento straordinario. Ma si possono considerare anche le altre ipotesi, Risurrezione e predicazione del Vangelo (oltre a quella della Parusia, se ammettiamo che Gesù su questo punto aveva torto)”.

Personalmente, osservo che c’è una quinta possibilità, che Carmignac non ha preso in considerazione: quella che la “venuta gloriosa” di Gesù riguardasse proprio la presa e la distruzione di Gerusalemme da parte delle truppe romane nel 70 d.C. È l’esegesi proposta, oltreché da Spadafora, anche dalla Bibbia Garofalo. In realtà, le parole di Gesù nel versetto 9, 1 di Marco hanno davvero un legame (crono)logico con il versetto precedente: basta confrontarle con i rispettivi versetti di Matteo e di Luca! Infine, le predette parole di Gesù non si riferiscono alla fine del mondo, in quanto Gesù si rivolge espressamente a “questa generazione adultera e peccatrice”: alla sua generazione. Che sarebbe stata in effetti punita dal terribile assedio gerosolimitano dell’anno 70.

 

[1] Andrea Carandini, Su questa pietra – Gesù, Pietro e la nascita della Chiesa, Laterza 2013, pp. XV-XVI.

[2] Citato in Jean Carmignac, Le Mirage de l’Eschatologie, Paris 1979, p. 158.  

[3] E da Matteo 16, 28 e da Luca 9, 27.

[4] https://www.lulu.com/it/shop/francesco-spadafora/ges%C3%B9-e-la-fine-di-gerusalemme-e-lescatologia-in-san-paolo/paperback/product-14q54zer.html?q=ges%C3%B9+e+la+fine+di+gerusalemme&page=1&pageSize=4

[5] Jean Carmignac, op. cit., pp. 190-191.

[6] Ivi, p. 13.

[7] Ivi, pp. 41-42.

[8] Ivi, p. 37.

[9] Ivi, pp. 47-48.

[10] Ivi, pp. 58-60

[11] Ivi, pp. 79-80.

[12] Ivi, pp. 98-99.

[13] Ivi, pp. 122-123.

[14] Ivi, p. 130.

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