Germar Rudolf: Cremazioni su pire all’aperto rivisitate

CREMAZIONI SU PIRE ALL’APERTO RIVISITATE[1]

Germar Rudolf – 1° settembre 2024 

Introduzione

Si dice che quasi un terzo di tutti i pretesi sei milioni di vittime dell’Olocausto della narrativa ortodossa, sarebbero stati uccisi in tre soli campi: Belzec, Sobibór e Treblinka. Tutte queste vittime sarebbero state cremate su pire all’aperto e le cremazioni avrebbero lasciato solo cenere. Un’altra serie di cremazioni su pire all’aperto, leggermente diverse, avrebbe avuto luogo anche nel campo di Auschwitz-Birkenau e almeno alcune centinaia di migliaia di vittime sarebbero state ridotte in cenere su quelle pire. La struttura e il funzionamento di queste pire all’aperto sono stati descritti da vari testimoni e riassunti in sentenze processuali e resoconti storiografici. Tra le altre fonti, le critiche revisioniste di questi resoconti riportano dati di cremazioni di singoli cadaveri su pire, come sono state tradizionalmente effettuate per secoli in India, e di incinerazioni di massa di bestiame morto o soppresso in periodi di gravi epidemie di bestiame. Nessuna di queste serie di dati è stata raccolta nel corso di rigorosi esperimenti scientifici, perciò sono in una certa misura di natura aneddotica e, di conseguenza, piuttosto discutibili. Un nuovo studio scientifico sul fabbisogno di combustibile delle cremazioni all’aperto su pire colma per la prima volta molte delle lacune delle nostre conoscenze con dati empirici e quindi molto più affidabili e probabilmente più facilmente riproducibili. Ciò ci consentirà una migliore valutazione dei racconti dei testimoni relativi alle cremazioni su pire nei campi tedeschi del tempo di guerra.

La narrativa ortodossa e la sua critica

Narrativa ortodossa: Auschwitz

Si afferma che, con l’acutizzarsi dell’epidemia di tifo nel complesso del campo di Auschwitz durante la primavera e l’estate 1942, sarebbero aumentati anche gli stermini di massa di ebrei nei cosiddetti bunker di Birkenau, con la messa in funzione del Bunker 1 nel mese di marzo e del Bunker 2 nel mese di luglio 1942. Il solo crematorio operativo all’epoca era il vecchio impianto del Campo principale di Auschwitz. Le sue sei muffole non potevano nemmeno far fronte al numero di vittime dell’epidemia, tanto meno al numero di vittime che si presume siano state gasate. Inoltre, alla fine della primavera 1942, questo forno crematorio non fu più in grado di funzionare a causa di un camino danneggiato che dovette essere ricostruito. La ricostruzione ebbe termine solo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto di quell’anno. Il risultato fu che decine di migliaia di vittime dell’epidemia di tifo nonché quelle presumibilmente gasate non poterono essere cremate. Dal momento che queste ultime erano state uccise vicino al Campo di Birkenau agli esordi, a circa due miglia dal campo principale, furono inizialmente seppellite in fosse comuni nelle vicinanze. Tuttavia, dato l’alto livello delle falde acquifere, quelle salme dovettero essere riesumate per evitare l’inquinamento dell’approvvigionamento idrico regionale. Perciò, si suppone che, a partire dalla fine di settembre 1942, sarebbero stati cremati su pire all’aperto fino a 150 000 cadaveri in stato di decomposizione.

Stando alla narrativa ortodossa in tale contesto, un funzionario dell’Ufficio Costruzioni di Auschwitz si recò nel campo di Chelmno nel settembre 1942, al fine di apprendere a costruire in maniera efficiente i cosiddetti forni crematori da campo, che richiedevano parecchio materiale edile. È ovvio, perciò, che avevano una struttura propria. D’altro canto, si racconta che le pire descritte in seguito da alcuni testimoni consistessero di semplici strati alternati di legna e cadaveri accatastati in fosse profonde parecchi metri, senza struttura propria.

Si dice che, tra la tarda primavera e l’estate 1944, sarebbero state nuovamente costruite a Birkenau semplici pire dello stesso tipo, all’interno di fosse, durante il presunto sterminio degli ebrei deportati dall’Ungheria. Non si capisce quante vittime sarebbero state cremate su tali pire. In considerazione della limitata capacità di incinerazione dei crematori di Birkenau e del numero di ebrei ungheresi che si presume siano stati uccisi, secondo la versione ortodossa, la cifra si situa probabilmente tra le 200 000 e le 400 000 vittime. (Ved. Czech e Dlugoborski/Piper per il resoconto convenzionale). 

Narrativa ortodossa: Belźec, Sobibór e Treblinka

Si racconta che le pretese vittime di gasazioni in tutti e tre i campi sarebbero state inizialmente seppellite. Poi, tutti i cadaveri seppelliti sarebbero stati riesumati e cremati su pire, con altre vittime uccise successivamente e immediatamente cremate. Il periodo in cui sarebbe avvenuto questo passaggio dalla sepoltura all’incinerazione varia da campo a campo:

Sobibór     ottobre    1942

Belźec       gennaio   1943

Treblinka   aprile      1943

Mentre Belźec non avrebbe assistito a ulteriori uccisioni nel 1943, per cui tutte le vittime sarebbero state prima seppellite e poi cremate, a Sobibór e a Treblinka ci sarebbe stato ancora un considerevole numero di vittime gasate, dopo tale cambiamento, dunque, alcuni corpi sarebbero stati cremati subito dopo il presunto omicidio.

Diversamente dalle semplici pire di legna e cadaveri presumibilmente funzionanti ad Auschwitz, le pire di cremazione in questi tre campi consistevano di pilastri di cemento alti circa 50-100 cm, sui quali veniva posta una griglia composta da traversine di binari ferroviari. Sotto la griglia veniva inserita della legna da ardere e le salme da cremare sarebbero state sistemate sulla griglia di traversine in molteplici strati. Una volta costruita la pira, le si dava fuoco e la si lasciava consumare, prima che la parti rimaste (ossa ecc.) dopo la cremazione fossero sottoposte a trasformazione. (Ved. Arad, Donat e Harrison et al. per il resoconto ortodosso). 

Critica revisionista

La critica degli scettici dell’Olocausto sulle presunte cremazioni all’aperto nei campi sopra citati affronta vari aspetti. (Ved. gli studi elencati in questa sezione dell’elenco delle fonti.) I più pertinenti possono essere riassunti come segue:

  • Per quanto concerne Auschwitz-Birkenau, l’alto livello delle falde acquifere avrebbe impedito l’accensione delle pire in fosse profonde.
  • Le fotografie aeree scattate durante il presunto sterminio degli ebrei ungheresi ad Auschwitz-Birkenau non mostrano alcun segno di cremazioni all’aperto su larga scala, come ad esempio grosse cataste di legna da ardere, ampie zone di terreno smosso per lo spostamento di cadaveri, combustibile e cenere, e grandi pennacchi di fumo sulla zona interessata.
  • Se mai è menzionata la legna da ardere dai testimoni, la quantità minima presumibilmente necessaria per quelle pire avrebbe prodotto solo delle bruciature superficiali sui cadaveri, ma non la loro distruzione.
  • I tempi stretti presumibilmente impiegati per costruire, bruciare ed evacuare i resti della pira sono irrealistici.
  • La reale quantità di legna necessaria avrebbe richiesto un’enorme forza-lavoro dei taglialegna per abbattere ampie zone dei boschi circostanti o enormi forniture di legna da ardere trasportate da un intero parco camion o un’intera flotta di treni, ma non c’è traccia né dell’uno né dell’altra.
  • La quantità di cenere e degli inevitabili resti dell’incinerazione (legno bruciato, carbone e parti del corpo, tra le quali denti e grandi ossa) sarebbe stata gigantesca, ma dalle indagini forensi non risulta nulla di paragonabile alla quantità di prove fisiche che ci si è aspettato di trovare.

2018 Esperimenti australiani

Un gruppo di ricercatori della School of Civil Engineering della University of Queensland di Brisbane, guidato da Luis Yermán ha condotto una “serie di esperimenti, usando delle carcasse di maiali come surrogati di corpi umani” per “stabilire le condizioni che darebbero luogo alla distruzione totale di materiale organico nella cremazione di corpi su pire all’aperto”, concentrandosi sulla quantità di legno di pino secco necessaria per la distruzione quasi completa delle carcasse esaminate. Nel 2018 hanno pubblicato i risultati dei loro esperimenti (Yermán et al.). Data la sua importanza, il Bradley Smith Charitable Trust, alias CODOH, ha ottenuto l’autorizzazione di ripubblicare l’articolo integrale in Inconvenient History, dove viene presentato nella stessa edizione del presente articolo.

I risultati di questo studio attinenti al contesto storico qui esaminato possono essere riassunti come segue:

  1. La cremazione autosostentata di cadaveri su pire all’aperto non è possibile. In tutte le circostanze esaminate, i cadaveri sono sempre dei dissipatori di calore in un incendio, per cui necessitano di combustibile per bruciare.
  2. Più i corpi sono stipati su una pira, inferiore sarà la riuscita della cremazione. I migliori risultati si ottengono con un solo strato di cadaveri, con le salme opportunamente distanziate l’una dall’altra per permettere al fuoco di svilupparsi completamente e quindi alle fiamme di avvolgere i cadaveri.
  3. Si ottiene il massimo rendimento dal combustibile, ponendo solo una parte della legna da ardere al di sotto dei cadaveri e aggiungendo poi il resto gradatamente con il progredire della cremazione, per tenere viva la fiamma e affinché le salme siano avvolte da quest’ultima. In tali condizioni, è necessario che la quantità di legno secco sia “un minimo di 5 volte il peso del corpo per distruggere completamente tutto il materiale organico (<10%).”
  4. Se tutta la legna è accatastata sotto il cadavere e la pira viene poi lasciata consumare incustodita, il fabbisogno di combustibile, costituito da legna secca, aumenta fino a un “minimo di nove volte il peso del corpo, per la distruzione quasi completa di tutto il materiale organico (<10%).”
  5. La completa distruzione, vicina al 100%, del materiale organico avrebbe richiesto ulteriore legna da ardere.

Paralleli e differenze

Yermán et al. condussero i loro esperimenti con maiali appena soppressi. I maiali sono noti per la loro similitudine con gli esseri umani in termini di taglia e di composizione corporea. Per lo scopo che ci interessa bisogna tenere a mente che la combustibilità di una carcassa di maiale nonché quella di un cadavere umano dipende molto dal contenuto di grasso corporeo. Mentre oggigiorno la percentuale media di grasso corporeo degli esseri umani può essere simile a quella dei maiali, tale ipotesi è molto probabilmente inappropriata, quando si parla di masse ebraiche indigenti e denutrite, deportate nei campi tedeschi del tempo di guerra nel 1942 e 1943. Ciò vale in particolare per Treblinka e Belźec, dove furono deportati quasi esclusivamente ebrei provenienti dai ghetti polacchi. Questi ebrei erano vissuti per anni nei ghetti dove malnutrizione e denutrizione costituivano un problema dilagante. Si può perciò presumere che la percentuale media di grasso corporeo di questi ebrei fosse ben al di sotto di ciò che si considerava sano (tra il 12% e il 20% per gli uomini e tra il 20% e il 30% per le donne; Abermathy/Black). In pratica, significa che per bruciare i cadaveri di questi ebrei sarebbe stato necessario più combustibile di quanto risulta dagli esperimenti di Yermán et al.

Inoltre, molti cadaveri cremati nei campi tedeschi del tempo di guerra non sarebbero stati “appena soppressi”. Nelle fasi iniziali, questi esseri umani presumibilmente uccisi furono seppelliti e poi, parecchi mesi dopo, i loro corpi parzialmente decomposti sarebbero stati riesumati e cremati. Ne consegue che questi corpi avevano una consistenza molto diversa da quella dei maiali bruciati da Yermán et al. Dato che si decompongono principalmente le proteine e il grasso, essi perdono progressivamente il loro potere calorifico, mentre il contenuto acquoso può subire semmai solo un lieve calo, – a seconda dell’umidità del suolo del sito di sepoltura – la decomposizione del corpo inciderebbe solo lievemente sul fabbisogno di combustibile per le fosse del suolo umido dell’Europa centrale.

Yermán et al. hanno costruito le loro pire con una sottile griglia su pali di acciaio alla base (come da riproduzione ┌─┐), con un’apertura al suolo di circa 10 cm. Al di sotto venivano usate delle vaschette piatte con un misto di cherosene ed eptano per accendere il fuoco con la legna posta in cima alla griglia. La fine rete della griglia, delle probabili dimensioni di uno o due centimetri, lasciava passare solo cenere e piccole braci. Cosicché le braci più grosse e la legna rimanevano vicino alla carcassa.

Al contrario, le pire di Auschwitz non si potevano accendere dal di sotto né si potevano rimuovere le ceneri. Per quanto svantaggioso per l’accensione e la combustione, ciò sarebbe stato comunque fattibile. D’altra parte, si dice che nelle presunte pire di Belzec, Sobibór e Treblinka la legna fosse posta sotto una griglia, costituita da traversine di binari ferroviari inevitabilmente intervallate da spazi vuoti così da permettere alle parti più piccole dei cadaveri di cadere nel fuoco sottostante. Tuttavia, solo le fiamme arrivate al di sopra della legna in combustione avrebbero raggiunto esclusivamente il lato sottostante dello strato inferiore di corpi e comunque solo all’inizio.  A mano a mano che la legna si fosse consumata, sempre meno fiamme avrebbero raggiunto lo strato inferiore dei corpi. Tale sistema potrebbe essere utile per grigliare la carne e probabilmente per carbonizzarne un lato, se non si gira la carne. Tuttavia, sarebbe stato impossibile bruciare completamente persino lo strato più basso dei corpi in questo modo. Un sistema simile non avrebbe prodotto quasi nessun effetto sugli strati superiori.

Inserendo più legna tra vari strati di corpi si sarebbe potuto agevolare l’incinerazione degli strati superiori, ma l’accensione sarebbe stata laboriosa. Molto più laborioso sarebbe stato mantenere questa fiamma multistrato, che sarebbe arsa in modo irregolare, producendo dei crolli incontrollati della pira. Poiché con più strati di cadaveri su una pira è necessaria una maggiore quantità di legna per cadavere rispetto alle pire con un solo strato di cadaveri distanziati gli uni dagli altri, tale operazione avrebbe comportato anche una maggiore spreco.

Si dice che le presunte pire di Belzec, Sobibór e Treblinka avessero dimensioni enormi, per cui il lavoro fisico prolungato in prossimità sarebbe stato a dir poco impossibile, senza equipaggiamento di protezione termica (che non era disponibile alla squadra che faceva funzionare le pire). Alimentare queste pire con più legna sarebbe stato estremamente laborioso e possibile solo ai margini della pira stessa. Tuttavia, l’alimentazione non avrebbe risolto il problema, secondo il quale nessuno dei cadaveri in cima alla griglia sarebbe stato a contatto diretto con le fiamme della legna e le braci incandescenti sottostanti.

Yermán et al. cercarono anche di valutare se sia possibile bruciare delle carcasse di maiali su una pira senza aggiungere ulteriore combustibile, dopo aver “dato fuoco” alle carcasse, avvolte in teli per simulare gli indumenti umani. Alla base c’era la considerazione che la pelle e le vesti carbonizzate agiscono come uno stoppino, permettendo al grasso sottocutaneo di mantenere la combustione, analogamente a una candela. Tuttavia, come indicato in precedenza, questo sistema si è rivelato illusorio. In qualsiasi circostanza, le cremazioni su pire richiedono notevoli quantità di combustibile. Naturalmente, si dice che le vittime delle camere a gas sarebbero state spogliate, prima di essere uccise, e poi gettate in fosse comuni oppure, in seguito, direttamente cremate su pire senza indumenti. Per quanto siano abbastanza diffusi, per questi campi, i racconti dei testimoni di corpi umani auto-immolati, tali narrazioni possono essere liquidate come assolutamente irrealistiche.

La massa di legno di pino secco necessaria per ogni massa corporea da cremare è notevolmente superiore a quanto finora ritenuto vero dai revisionisti. Nella sua ultima opera revisionista in materia, Carlo Mattogno indica un fabbisogno di circa 3.6 kg di legno secco per kg di massa organica per corpi abbastanza normali (come quelli presumibilmente deportati a Sobibór da tutta l’Europa, che sarebbero stati, in maggioranza, cremati subito dopo essere stati uccisi) fino a 13 kg per corpi assai macilenti (come quelli deportati a Treblinka dal ghetto di Varsavia) che erano, in maggioranza, parzialmente decomposti. (Mattogno 2021, p. 282). Mentre l’ultimo valore si avvicina alle conclusioni di Yermán et al. di 9 kg di legna secca per kg di massa organica non decomposta di maiali normali (e quindi di esseri umani) per una pira funzionante senza sorveglianza, la cifra di 3.6 kg sembra irrealisticamente bassa.

Mentre Yermán et al. hanno usato legno di pino secco, la legna presumibilmente utilizzata nei campi tedeschi del tempo di guerra, proveniva, se mai se ne fa menzione, da alberi appena abbattuti dei boschi circostanti. Poiché la legna appena tagliata ha un potere calorifico di circa la metà del legno secco, la quantità di legna necessaria per le cremazioni su pire all’aperto raddoppierebbe fino a 10 kg per kg di materiale organico per le pire alimentate costantemente e a circa 18 kg per le pire funzionanti senza sorveglianza, a patto che siano cremati corpi normali, ma tale non era il caso. I corpi macilenti cremati in molti se non nella maggioranza dei casi nei campi tedeschi del tempo di guerra avrebbero richiesto addirittura una maggiore quantità di legna. Per le pire funzionanti senza sorveglianza, di cui sono state fornite testimonianze, ciò equivarrebbe ad almeno 20 kg di legna fresca per kg di materiale organico.

Se ciò è vero, la quantità di legna necessaria è sbalorditiva. Ad Auschwitz, la maggior parte delle probabili 500 000 vittime cremate su pire sarebbero state uccise poco tempo prima. Ipotizzando una massa corporea media di uomini, donne e bambini di 40 kg, il campo avrebbe richiesto (500 000 x 40 kg x 18 =) 360 milioni di kg di legna fresca, cioè 360 000 di tonnellate metriche. A Belźec, Sobibór e Treblinka le statistiche sono ancora più incredibili. Se, nelle nostre valutazioni delle masse denutrite inviate nei campi, si includono i bambini, possiamo ipotizzare una massa media di cadaveri di persone denutrite di 30 kg.  In tal caso, ogni corpo avrebbe richiesto (20 x 30 =) 600 kg di legna fresca. Dunque, ne sarebbe risultato il seguente fabbisogno di legna appena tagliata in tonnellate metriche:

 

Campo Vittime

presunte

Fabbisogno di legna [t]
Belzec 434,500 260,700
Sobibór ≥170,000 ≥102,000
Treblinka ≥700,000 ≥420,000
Totale ≥1,304,500 ≥782,700

 

Durante la Seconda guerra mondiale, nelle foreste della Polonia orientale si trovavano prevalentemente abeti. Una foresta di abeti di 50 anni avrebbe prodotto una media di 50 000 tonnellate metriche di legna per chilometro quadrato (Colombo, p. 161), perciò sarebbe stata necessaria la deforestazione di circa 15.7 chilometri quadrati, 6 miglia quadrate o quasi 4 milioni di acri di terra. 

Conseguenze

Le pire costituite da semplici cataste di legna che, a quanto si dice, sarebbero state usate ad Auschwitz, erano assolutamente realizzabili, anche se non in fosse profonde. Dal momento che un gran numero di vittime dell’epidemia di tifo del 1942/1943 non poterono né essere cremate né seppellite in modo permanente, è molto probabile che le testimonianze su queste pire siano effettivamente basate su avvenimenti reali del 1942. Tuttavia, le cremazioni di massa all’aperto relative all’anno 1944 sono chiaramente confutate dalle fotografie aeree.

Diversa è la situazione per le testimonianze sulle pire dei campi di Belźec, Sobibór e Treblinka, che erano presumibilmente costruite con traversine di binari ferroviari su pilastri di cemento. Una simile installazione non sarebbe stata in grado cremare neanche il primo strato di corpi, tanto meno ulteriori strati. Ogni affermazione su questo presunto progetto può essere tranquillamente ignorata poiché falsa.

Il fabbisogno di legna da ardere per le cremazioni all’aperto è stato oggetto di molte speculazioni ed estrapolazioni di dati discordanti ricavati da molteplici fonti di valore variabile. Per la prima volta uno studio empirico della questione fa chiarezza sul problema. Il fabbisogno di legna da ardere finora ipotizzato dai revisionisti – Mattogno ha ipotizzato circa 250 kg di legna fresca o 125 kg di legna secca per corpo umano (Mattogno 2021, p. 282) – si situa all’estremità bassa (valore minimo) di ciò che suggeriscono questi nuovi esperimenti scientifici. Il valore effettivo potrebbe essere notevolmente superiore. Poiché era logisticamente impossibile procurarsi e trattare la legna necessaria per la presunta scala delle operazioni rivendicate per Auschwitz, Belźec, Sobibór e Treblinka, bisogna supporre che qualunque di queste cremazioni all’aperto, se mai hanno avuto luogo, avesse una scala di almeno un ordine di grandezza inferiore e usasse sicuramente altre installazioni rispetto a quelle attribuite a Belźec, Sobibór e Treblinka. Tali supposizioni sono anche coerenti con i reperti archeologici ottenuti sul terreno dei precedenti campi (Mattogno, 2021). 

Ringraziamenti

La mia gratitudine va a James Mawdsley, che ha scovato il documento di Luis Yermán, e a Thomas Dalton per la revisione critica del presente contributo. 

Fonti 

Studi di riferimento

  • Abernathy, D.R. Black, “Healthy body weights: an alternative perspectve”, The American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 63, Nr. 3, marzo 1996, pp. 4485-4515 ; https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0002916523192343?via%3Dihub/
  • Giuseppe Colombo, Manuale dell’ingegnere civile e industriale, Enrico Hoepli Editore, Milano 1926;
  • Luis Yermán, Harrison Wall, Jerónimo Carrascal et al.

Experimental study on the fuel requirements for the thermal degradation of bodies by means of open pyre cremation,” Fire Safety Journal, Vol. 98, 2018, pp. 63-73; https://nsarchive.gwu.edu/sites/default/files/2022-01/Fire Safety Journal (2018).pdf. 

Narrativa mainstream

  • Yitzhak Arad, BelzecSobiborThe Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington/Indianapolis, 1987.
  • Alexander Donat (ed.), The Death Camp Treblinka, Holocaust Library, New York, 1979.
  • Danuta Czech, Ausch­witz Chronicle, 1939-1945, H. Holt, New York, 1990.
  • Wácław Długoborski, Franciszek Piper (eds.), Ausch­witz 1940-1945: Central Issues in the History of the Camp, Ausch­witz-Birkenau State Museum, Oświęcim, 2000.
  • Jonathan Harrison, Roberto Muehlenkamp, Jason Myers, Sergey Romanov, Nicholas Terry, Belzec, Sobibor, Treblinka: Holocaust Denial and Operation Reinhard, A Critique of the Falsehoods of Mattogno, Graf and Kues, A Holocaust Controversies White Paper. http://holocaustcontroversies.blogspot.com, December 2011.

Critica revisionista

  • Academic Research Group (ed.), Holocaust Encyclopedia, 2nd ed., Bargoed, Wales, UK, 2024.
  • Jürgen Graf, Thomas Kues, Carlo Mattogno, Sobibór: Holocaust Propaganda and Reality, 2nd ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2020.
  • Heinrich Köchel, “Outdoor Incineration of Livestock Carcasses,” Inconvenient History, Vol. 7, Nr. 1, 2015; https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0002916523192343?via%3Dihub/
  • Thomas Kues, “Tree-felling at Treblinka,” Inconvenient History, Vol. 1, Nr. 2, 2009; https://codoh.com/library/document/tree-felling-at-treblinka/.
  • Carlo Mattogno, Ausch­witz: Open-Air Incinerations, 2ª ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2016.
  • Carlo Mattogno, The “Operation Reinhardt” Camps Treblinka, Sobibór, Bełżec: Black Propaganda, Archeological Research, Expected Material Evidence, Castle Hill Publishers, Uckfield, 2021.
  • Carlo Mattogno, Jürgen Graf, Treblinka: Extermination Camp or Transit Camp, 4ª ed., Castle Hill Publishers, Bargoed, UK, 2023.
  • Carlo Mattogno, Thomas Kues, Jürgen Graf. The “Extermination Camps” of “Aktion Reinhardt”: An Analysis and Refutation of Factitious “Evidence,” Deceptions and Flawed Argumentation of the “Holocaust Controversies” Bloggers, 2ª ed., Castle Hill Publishers, Uckfield, 2015.

Autore

Germar Rudolf

Germar Rudolf è nato il 29 ottobre 1964 a Limburg an der Lahn (Germania). Ha studiato chimica all’Università di Bonn, dove si è laureato nel 1989 come Diplom-Chemist, paragonabile al dottorato PhD statunitense. Negli anni 1990-1993 prepara la tesi di dottorato presso l’Istituto Max Planck per la Ricerca sullo Stato Solido congiuntamente all’Università di Stoccarda. Parallelamente e nel tempo libero, Rudolf prepara un rapporto specialistico sulle questioni chimiche e tecniche delle pretese camere a gas di Auschwitz, The Rudolf Report (il cui titolo è ora The Chemistry of Auschwitz). In quest’opera arriva alla conclusione che “le pretese installazioni per lo sterminio di massa ad Auschwitz e a Birkenau  non erano idonee allo scopo, come affermato.” Di conseguenza, negli anni successivi, deve subire pesanti misure persecutorie. Per questo motivo va in esilio in Gran Bretagna, dove avvia la piccola casa editrice Castle Hill Publishers. Quando, nel 1999, la Germania chiede alla Gran Bretagna la sua estradizione, Rudolf fugge negli Stati Uniti, dove fa richiesta di asilo politico, amplia le sue attività editoriali e, nel 2004, sposa una cittadina statunitense. Nel 2005 gli Stati Unito riconoscono la validità del matrimonio di Rudolf e, dopo qualche secondo, lo arrestano e successivamente lo deportano in Germania, dove viene incarcerato per 44 mesi per i suoi scritti accademici, alcuni dei quali erano stati pubblicati mentre Rudolf risiedeva negli Stati Uniti, dove le sue attività erano e sono perfettamente legali. Non essendo un criminale per la legge statunitense, nel 2011 riesce a emigrare definitivamente negli Stati Uniti, dove si ricongiunge alla consorte americana e alla figlia. Attualmente risiede nell’Upstate New York.

 

[1] https://codoh.com/library/document/open-air-pyre-cremations-revisited/

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