L’Anticristo nasce millenarista

Una delle credenze più persistenti e pertinaci nella storia della cristianità è quella dell’Anticristo escatologico, destinato ad apparire su questa terra poco prima della fine del mondo. Ne fa menzione talvolta anche il noto arcivescovo mons. Carlo Maria Viganò, dalla cui ultima omelia traggo la seguente citazione:

“Ma su questa terra la Chiesa – che è militante come la vincitrice di tutte le eresie – non conosce ancora la gloria eterna e deve affrontare le terribili prove che la attendono non solo durante il suo peregrinare attraverso i secoli, ma anche e soprattutto negli ultimi tempi, quando la persecuzione dell’Anticristo infierirà su di essa nell’illusione di vincerla”[1].

Una cosa che però non viene detta mai, o quasi mai, da coloro che credono alla venuta dell’Anticristo è che la credenza nel Nemico dei tempi finali nasce e si sviluppa in un contesto millenarista: i primi due scrittori ecclesiastici che elaborano la teoria dell’Anticristo – S. Ireneo di Lione e Tertulliano – erano due millenaristi convinti. Come hanno infatti autorevolmente dimostrato i professori Gian Luca Potestà e Marco Rizzi (i due massimi esperti italiani dell’Anticristo)[2], prima di Ireneo e di Tertulliano, il termine “anticristo” compare solo nelle prime due lettere di Giovanni: in esse, il termine in questione non ha nessuna valenza escatologica, bensì eresiologica. Anticristo, per Giovanni è:

  • Chiunque neghi che Gesù è il Messia (1 Giovanni 2, 22-23);
  • Chiunque neghi che Gesù venuto nella carne è da Dio (1 Giovanni 4, 2-3).

Quindi, a giudicare dalle parole di Giovanni, anticristi sono innanzitutto gli ebrei, che non riconoscono Gesù come Messia, e poi gli eretici, che negano che Gesù si sia realmente incarnato. Giovanni afferma nella sua prima lettera che è giunta “l’ultima ora”, eppure, nonostante ciò, non menziona l’Anticristo escatologico. Quest’ultimo fa la sua comparsa, secondo i predetti professori, solo con Ireneo. E Ireneo è chiaramente un millenarista. Ecco infatti cosa scrive a proposito della fine del mondo:

“Quanti furono i giorni impiegati a creare questo mondo tanti saranno i millenni a consumarlo. A questo proposito dice la Scrittura: «Furono compiuti il cielo e la terra e tutto il loro ornamento. E compì Dio nel sesto giorno tutte le sue opere e riposò nel settimo da tutte le sue opere» (Genesi 2, 1s). Questa è una descrizione dell’ordine dei fatti passati e una profezia dei futuri. Infatti se il giorno del Signore è come mille anni (cfr. 2 Pietro 3, 8) e se in sei giorni fu compiuta tutta la creazione, ne viene che la sua fine sarà nel seimillesimo anno”[3].

Ed ecco come Ireneo presenta l’Anticristo:

“L’Anticristo dopo aver devastato questo mondo, regnerà tre anni e sei mesi e s’assiderà nel tempio di Gerusalemme: allora verrà il Signore dal cielo sulle nubi, nella gloria del Padre a cacciare nello stagno di fuoco lui e tutti i suoi seguaci, mentre prolungherà ai giusti il tempo del regno, cioè il riposo del settimo giorno santificato, e restituirà ad Abramo la promessa ereditata in questo regno. Dice il Signore: Molti verranno dall’oriente e dall’occidente a riposare con Abramo, Isacco e Giacobbe”[4].

Quindi, secondo Ireneo, l’Anticristo regnerà tre anni e mezzo prima dello scoccare del seimillesimo anno. Dopo, ci sarà il regno terreno di Cristo, il quale regnerà insieme ai giusti per mille anni esatti. Dopo di che ci sarà il giudizio universale.

Ora, sappiamo dal magistero della Chiesa che il millenarismo è un errore. Ecco infatti cosa scrive l’Enciclopedia Cattolica alla voce “Millenarismo”:

“Errore escatologico, secondo cui Gesù Cristo deve regnare visibilmente mille anni su questa terra, alla fine del mondo. Fu detto anche chiliasmo (dal greco χιλιάς: migliaio) … Per i più antichi propugnatori del millenarismo [tra cui Ireneo], il regno terreno di Cristo si inserirebbe tra la prima resurrezione, propria dei giusti (i soli partecipi delle gioie del regno millenario) e la seconda, riservata ai dannati, cui seguirebbe il giudizio universale e l’assegnazione eterna delle pene (inferno) e dei godimenti (paradiso)”.

L’Enciclopedia Cattolica poi distingue tra millenarismo carnale (per il quale i godimenti riservati ai giusti sono d’indole sensuale) e millenarismo spirituale (godimenti spirituali). Il millenarismo spirituale ebbe origine da Papia, di cui Ireneo fu seguace. Così l’Enciclopedia Cattolica descrive il millenarismo carnale:

“Il millenarismo carnale è di origine giudaica. Secondo un’antica tradizione rabbinica la storia del mondo si deve concludere nell’ambito di settemila anni, di cui i primi sei rappresenterebbero la prima parte della settimana mosaica (l’età premessianica), l’ultimo il sabato, il millennio del riposo e della festa, in cui si sarebbe instaurato il regno messianico, nel pacifico godimento di tutti i beni temporali (ricchezze, soggezione di tutti i popoli, trionfo di Israele). Nel sec. II d.C. Cerinto applicò questa teoria al cap. 20 dell’Apocalisse di Giovanni”. Aggiunge l’Enciclopedia Cattolica:

“Il millenarismo spirituale ebbe origine da Papia che, in opposizione a Cerinto, intese nel cap. 20 dell’Apocalisse un regno pieno di gioie spirituali anche se ricco di beni temporali”. Ed è così, appunto che lo intende anche Ireneo. È importante a questo punto notare che il millenarismo carnale di Cerinto e quello spirituale di Ireneo condividono la stessa cronologia: per entrambi la storia del mondo si deve concludere entro settemila anni. L’autore della voce “Millenarismo” dell’Enciclopedia Cattolica, mons. Antonio Piolanti, così prosegue la sua esposizione:

“Il millenarismo carnale, essendo diametralmente opposto allo spirito cristiano, fu rigettato fin dal suo nascere come un’eresia. Cerinto venne confutato da Caio Romano e da Origene… Anche il millenarismo spirituale, che affascinò tante intelligenze, non gode di prova alcuna, anzi è direttamente opposto all’insegnamento dei simboli della fede (cf. Denz-U, 423), nei quali non si parla che di due venute di Cristo, quella in humilitate e quella in gloria, allo scopo di compiere il giudizio universale, cui seguirà immediatamente la retribuzione finale per ciascuno: Mt. 16, 27: «Filius hominis venturus est in gloria Patris sui cum Angelis, tunc reddet unicuique secundum opera sua». In questa prospettiva il millennio non può aver luogo. Tali e altri argomenti biblici e patristici hanno indotto i più gravi teologi a considerare il millenarismo mitigato come temerario, anzi erroneo”.

Ma come è arrivato Ireneo a formulare il suo millenarismo? Attraverso un’interpretazione letterale di 2 Pietro 3, 8 (“Una cosa però non dimenticate, o carissimi: che un giorno solo presso il Signore è come mille anni e mille anni sono come un solo giorno”), e dei capitoli 11 e 65 del profeta Isaia:

“Parlando di questi tempi, Isaia dice: «Il lupo andrà a pascolo insieme con l’agnello, il leopardo riposerà in compagnia dell’agnello, il vitello e il toro e il leone pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà; insieme pascoleranno il bue e l’orso e insieme staranno i loro piccoli; il leone e il bue mangeranno insieme la paglia; il fanciullo metterà la mano nella fossa delle serpi e nella tana dei figli della serpe e non gli faranno male e nessuno patirà danno sul mio monte santo» (Isaia 11, 6-9). E ricapitola lo stesso pensiero in un altro passo: «Allora i lupi e gli agnelli pascoleranno insieme e il leone come il bue si nutrirà di paglia e il serpente di terra come di pane e non nuoceranno e non faranno danno sul mio monte santo, dice il Signore» (Isaia 65, 25)”[5].

La prima conseguenza di queste indebite interpretazioni è che Ireneo distorce il significato della “prima resurrezione” menzionata nel capitolo 20 dell’Apocalisse: per lui, la prima resurrezione si riferisce alla (presunta) resurrezione fisica dei giusti destinati a trionfare nel regno millenario di Cristo. Quando invece, secondo i commentatori ortodossi, la prima resurrezione menzionata da Giovanni “è la vita nuova che unisce e assimila a Cristo nella vita e nel regno” (la Sacra Bibbia a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo). La prima resurrezione è quella, per intenderci, menzionata da San Paolo nella lettera ai Colossesi (3, 1): “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose dell’alto, dove Cristo è assiso alla destra di Dio”.

La seconda conseguenza è che Ireneo, coerentemente con il suo sistema, proietta alla fine del mondo anche il capitolo 21 dell’Apocalisse, quello che descrive la discesa dal cielo della “Gerusalemme nuova”, quando invece avrebbe dovuto tener conto del fatto che nella lettera ai Galati di San Paolo[6] (e nella lettera agli Ebrei[7]) la Gerusalemme celeste era una realtà viva e operante già in epoca apostolica, perché rappresentava la Chiesa di Cristo che aveva sostituito la sinagoga nell’economia della salvezza.

Occorre a questo punto ricordare che, secondo Ireneo, quando egli scriveva il suo trattato Contro le eresie (nel secondo secolo dopo Cristo), l’umanità era già entrata nel sesto millennio della storia del mondo. Quindi, secondo lui, l’Anticristo sarebbe apparso alla fine del predetto millennio. Egli seguiva uno schema che sarà poi ribadito da Ippolito: Gesù Cristo era venuto al mondo 5.500 anni dopo Adamo, e quindi l’Anticristo sarebbe apparso circa 500 anni dopo la nascita di Gesù.

Secondo Ireneo, l’Anticristo sarebbe apparso solo quando si fosse dissolto l’impero romano:

“Ma quanti conoscono con sicurezza la cifra dichiarata dalla Scrittura, cioè il seicentosessantasei, per prima cosa accettino la spartizione del regno tra i dieci re; poi sappiano che, mentre i re regneranno e già cominceranno a mettere a posto i propri affari e ad ampliare i loro regni, sopraggiungerà all’improvviso colui il cui nome contiene la cifra sopra citata, rivendicando per sé il regno, e li terrorizzerà; sappiano dunque che davvero egli è l’abominio della desolazione”[8].

Aggiunge Ireneo:

“E perciò nella bestia [apocalittica] che sta per arrivare si compie la ricapitolazione di tutta l’iniquità e di tutto l’inganno, affinché tutta la potenza apostatica in essa confluita e rinchiusa venga gettata nella fornace di fuoco”[9].

Osservano a tal proposito i professori Potestà e Rizzi[10]:

“Ireneo è ben attento a ribadire la funzione ricapitolativa dell’Anticristo escatologico, che sola ne legittima la funzione: manifestandosi alla fine del sesto millennio, l’Anticristo riassume in sé tutta l’apostasia e tutti i mali compiuti dal Diavolo nel corso della storia, come mostra il successivo elenco delle diverse epoche, scandito dal ricorrere del numero sei in varie combinazioni”.

L’esegesi della Sacra Scrittura compiuta da Ireneo ha avuto una fortuna e ha esercitato un’influenza immensa nel corso dei secoli, nonostante la sua matrice millenarista. Ancora oggi molti leggono le lettere ai Tessalonicesi di San Paolo e l’Apocalisse con gli occhi di Ireneo. A costoro bisognerebbe far notare che l’impero romano si è dissolto, i seimila anni a partire da Adamo (prendendo per buona la cronologia di Ireneo) sono finiti da un pezzo eppure l’Anticristo non è apparso. Come non è apparso nel corso del medioevo, nonostante molti famosi esegeti considerassero la sua venuta come imminente.

Ma perché Ireneo teneva così tanto a regolamentare in senso cristiano l’escatologismo millenarista di matrice giudaica? Una risposta interessante viene fornita ancora una volta da Potestà e Rizzi:

“Come era possibile affermare che il messia fosse giunto, se mancava ogni visibile segno della sua signoria? Questo punto sta al centro del dibattito rappresentato alla metà del II secolo da Giustino nel suo Dialogo con il giudeo Trifone. Ai capitoli 80 e 81 si afferma che tra i cristiani si discuteva se l’instaurazione del regno messianico di Cristo avrebbe coinciso con l’inizio di un millennio dove gli eletti avrebbero regnato con lui in una Gerusalemme rinnovata, godendo di ogni bene della terra, secondo una dottrina propria di alcune correnti apocalittiche del giudaismo, nota appunto come millenarismo (o chiliasmo). Come del resto già rilevava Giustino, non accogliere questa dottrina eliminava alla radice un elemento problematico, permettendo di collocare in una dimensione più spirituale e trascendente il segno della presenza di Cristo tra i suoi fedeli. Questa è la strada seguita dal Vangelo e dalle lettere di Giovanni, e da scrittori come Clemente [Alessandrino] e Origene. Ma per chi non voleva rinunciare alla visibilità del regno e della nuova Gerusalemme, il problema rimaneva irrisolto. Non è un caso che l’Anticristo escatologico abbia la sua culla in un autore, come Ireneo, che si fa aperto propugnatore del millenarismo, ponendo la celebrazione del millennio a conclusione della propria opera”[11].

Eppure, un segno della “venuta con potenza” del Regno di Dio, Gesù l’aveva dato e questo segno era costituito dalla profezia – realizzatasi nell’anno 70 del primo secolo – della distruzione di Gerusalemme e del suo tempio da parte delle truppe romane. E infatti proprio Clemente e Origene individuano il compimento delle profezie di Daniele (che Ireneo riferisce all’Anticristo) nella predetta distruzione di Gerusalemme: forse, non è esagerato affermare che Clemente e Origene sono stati i primi esegeti preteristi della Sacra Scrittura.

Il fatto è che Ireneo evidentemente non riusciva ad accettare la celebre affermazione di Gesù “Il mio regno non è di questo mondo”. Una regalità di Cristo priva di un “regno millenario”, terreno e visibile, era per lui insufficiente. Osservano ancora Potestà e Rizzi:

“L’Anticristo voleva imitare la regalità di Cristo, così che il popolo giudaico gli credesse. Qui sta in fondo il nesso fra la dottrina dell’Anticristo e le attese millenaristiche: l’Anticristo destinato a instaurare un regno nazionale giudaico a Gerusalemme imita specularmente la promessa del regno millenario terreno di Cristo e dei suoi santi”[12].

Se l’osservazione dei predetti professori è corretta, allora ne consegue che il regno mondano di Cristo vagheggiato dai millenaristi e il regno satanico dell’Anticristo hanno un’origine comune, sono due facce della stessa medaglia. Eppure, la storia della cristianità non ha preso atto di questa correlazione. Ancora oggi, sia pure in circoli minoritari, l’Anticristo ha un ruolo di protagonista, presso cristiani che evidentemente non si rendono conto che la fortuna, almeno iniziale, del personaggio in questione è dovuta al fatto che i contemporanei di Ireneo accettarono in maggioranza il millenarismo di matrice giudaica.

C’è solo un punto, sostanzialmente, che mi vede in disaccordo con i professori Potestà e Rizzi, e riguarda il fatto che costoro non hanno incluso nella propria antologia la sezione escatologica della Didaché. Non hanno incluso la Didaché perché in tale documento la parola “anticristo” non compare. È vero: non compare. Compare però il termine κοσμοπλανὴς, “seduttore del mondo”, che può essere parimenti ricondotto all’Anticristo. Questo termine, poi, ricorre in un contesto in cui viene menzionata “la resurrezione dei morti, non di tutti però, ma come fu detto: «Verrà il Signore e tutti i santi con lui». Allora il mondo vedrà il Signore che viene sopra le nubi del cielo…”.

Chiosa il curatore dell’edizione italiana della Didaché[13], prof. Manlio Simonetti:

“Nell’affermazione che non risorgeranno tutti i morti, il che porta a ritenere che risorgeranno soltanto i giusti, si è ravvisata una traccia del millenarismo diffuso soprattutto in area asiatica fra il I e il II secolo”[14].

Secondo alcuni studiosi, la Didaché risale agli anni 50-70 del primo secolo; altri studiosi propendono per la fine del I secolo o anni iniziali del II. Nel testo in questione, è davvero curiosa (e un po’ inquietante) questa associazione tra una chiara figura anticristica come quella del “seduttore del mondo” (che compie “segni e prodigi”) e un concetto come quello di una risurrezione riservata soltanto ai “santi”: forse, è proprio la Didaché il documento più antico che prova l’influsso del millenarismo (di matrice giudaica) nel corpo del cristianesimo primitivo.  

[1] https://www.aldomariavalli.it/2024/08/15/monsignor-vigano-chiediamo-alla-vergine-assunta-di-ridare-la-vista-ai-ciechi-comprendano-che-lunica-vera-chiesa-di-cristo-non-puo-avere-pace-con-il-mondo-perche-non-gli-appartiene/

[2] L’Anticristo, Volume I – Il nemico dei tempi finali, Testi dal II al IV secolo, a cura di Gian Luca Potestà e Marco Rizzi, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore.

[3] S. Ireneo, Contro le eresie, V, 28, 3. L’edizione da me utilizzata è quella a cura di padre Vittorino Dellagiacoma, Edizioni Cantagalli, Siena 2019.

[4] V, 30, 4.

[5] V, 33, 4.

[6] Galati 4, 22-31.

[7] Ebrei 12, 22-24.

[8] L’Anticristo, op. cit., p. 65.

[9] Ivi, p. 61

[10] Ivi, p. 476, nota 97.

[11] Ivi, p. XXV.

[12] Ivi, p. XXXIV.

[13] Seguendo Gesù, Testi cristiani delle origini, volume I, a cura di Emanuela Prinzivalli e Manlio Simonetti, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore.

[14] Ivi, p. 448, nota 118.

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