Oggi prenderò in considerazione il capitolo 7 dell’Apocalisse, quello che parla dei seguaci dell’agnello sulla terra (i 144.000 marcati col sigillo) e degli eletti in cielo (la “folla numerosa, che nessuno poteva computare”). Cercherò di illustrare il capitolo in questione seguendo la ricostruzione proposta dal preterista americano David Chilton[1], integrandola con alcune osservazioni di mons. Salvatore Garofalo[2] e del prof. Edmondo Lupieri[3].
Prima però è necessaria una breve premessa: il sottoscritto condivide in pieno la lettura dell’Apocalisse presentata a suo tempo dallo studioso australiano Alan J. Beagley[4], secondo cui il libro di Giovanni costituisce una ripresa e un’attualizzazione teologica del libro dell’Esodo, per cui i Cristiani rappresentano il nuovo (e definitivo) Israele (la Gerusalemme celeste), mentre il nuovo Egitto sui cui ricadono le piaghe divine – simboleggiate dai sigilli, dalle trombe e dalle coppe – è la Gerusalemme terrena che ha fatto uccidere Gesù: quella Gerusalemme che Giovanni paragona appunto all’Egitto e a Sodoma (Apocalisse 11, 8).
Le due visioni del capitolo 7 (versetti 1-8 e 9-17) forniscono la soluzione al problema della caduta dell’Israele apostata. Se l’ira di Dio era in procinto di scatenarsi contro Israele e contro Gerusalemme, cosa ne sarebbe stato dei Cristiani e della Chiesa? La risposta fornita dalle visioni del settimo capitolo è che “Dio non ci ha destinati all’ira, ma all’acquisto della salvezza per il Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tessalonicesi 5, 9). In vista del giudizio che sarebbe ricaduto contro Israele, il Signore Gesù aveva già a suo tempo impartito ai discepoli l’indicazione di fuggire da Gerusalemme:
“Quando poi vedrete Gerusalemme circondata da armate, allora sappiate che la sua devastazione è giunta. Allora quelli che sono nella Giudea fuggano sui monti e quelli che sono dentro la città se ne vadano; chi è nelle campagne non rientri in città, perché quelli saranno giorni di vendetta, in cui si adempirà tutto ciò che è stato scritto” (Luca 21, 20-22).
Sappiamo da Flavio Giuseppe che nell’assedio cui Gerusalemme venne sottoposta da parte dei Romani, persero la vita oltre un milione di ebrei. I Cristiani gerosolimitani, però, erano già fuggiti a Pella[5] prima dello scoppio delle ostilità (iniziate nel 66 dopo Cristo).
All’inizio del capitolo 7 dell’Apocalisse vediamo profilarsi cinque angeli:
“Dopo ciò vidi quattro angeli ritti ai quattro angoli della terra, che trattenevano i quattro venti della terra affinché vento non soffiasse sulla terra né sul mare né su alcun albero. E vidi un altro angelo che saliva dall’Oriente, che aveva un sigillo del Dio vivente, e gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali fu dato il compito di danneggiare la terra e il mare, dicendo: «Non danneggiate la terra né il mare né gli alberi, finché non abbia segnato col sigillo i servi di Dio nostro sulle loro fronti»” (Apocalisse 7, 1-3).
Secondo mons. Garofalo, i segnati col sigillo “sono i fedeli di Cristo, l’Israele di Dio”. Riguardo al sigillo in questione, Chilton (p. 205) espone delle interessanti considerazioni:
“Il sigillo nel mondo biblico significava una concessione di autorità e potere, una garanzia di protezione e un segno di proprietà… Il segno sulla fronte è così un simbolo dell’uomo restituito all’amicizia con Dio. Un esempio notevole di questa condizione era il Sommo Sacerdote, la cui fronte era stata segnata con lettere d’oro proclamanti che egli era ‘Consacrato a Jahve’ (Esodo 28, 36). Inoltre, nel Deuteronomio (6, 6-8), tutti i membri del popolo di Dio vengono sigillati sulla fronte e sulla mano con la legge di Dio, in quanto contraddistinti dalla fedele obbedienza – nei pensieri e nelle opere – ad ogni parola proveniente da Dio”.
A detta di Chilton, la menzione del sigillo con cui vengono segnati i 144.000 eletti del capitolo 7 deve essere letta alla luce di due passi tratti dalle lettere di San Paolo. Leggiamoli:
“Ora chi ci rende saldi insieme con voi nel Cristo e ci consacrò è Dio, il quale ci impresse il suo sigillo e ci diede la caparra dello spirito nei nostri cuori” (2 Corinzi 1, 21-22).
“Tuttavia le solide fondazioni poste da Dio tengono, munite di questo sigillo: Il Signore conosce quelli che sono suoi e: Si allontani dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore” (2 Timoteo 2, 19).
Inoltre, non si può parlare del capitolo 7 dell’Apocalisse senza ricordare i suoi precedenti nell’Antico Testamento. Lo sfondo veterotestamentario primario della visione di Giovanni dei 144.000, secondo Chilton, è Ezechiele 9, 1-7: si tratta di versetti che si riferiscono alla punizione di Gerusalemme ordinata da Jahve (parliamo del sesto secolo avanti Cristo, quando Gerusalemme venne assediata e distrutta dai Babilonesi). Leggiamo, in particolare, il versetto 4:
“Jahve disse a lui: «Passa attraverso la città, attraverso Gerusalemme, e fa’ un thau sulla fronte degli uomini che sospirano e gemono per tutti gli abomini che si commettono in essa»” (Ezechiele 9, 4).
In Ezechiele, i timorati di Dio vengono segnati proprio essere protetti, in modo tale che i reprobi (la maggioranza della popolazione) possano essere uccisi. Il segno protettivo in Ezechiele 9 è letteralmente il tav, l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico. L’antica forma ebraica del tav era +, una croce: un particolare che non era sfuggito alla Chiesa antica. Tertulliano riteneva che Dio avesse dato ad Ezechiele “la forma stessa della croce, che Egli aveva predetto sarebbe stato il segno sulle nostre fronti nella vera Gerusalemme Cattolica”.
Sulla derivazione dei primi otto versetti di Apocalisse 7 da Ezechiele 9, concorda Lupieri, secondo il quale il profeta veterotestamentario rielabora a sua volta il capitolo 12 del libro dell’Esodo (quello in cui gli Ebrei vengono preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore). Non posso quindi che condividere le indicazioni di Chilton e di Lupieri (e di Beagley).
Il numero dei sigillati è: 144.000. Il quadrato di dodici moltiplicato per mille. La cifra di mille equivaleva alla divisione militare di base nell’antico Israele. Anche su questo, Lupieri concorda: le “migliaia” rappresentano una divisione militare caratteristica dell’Israele antico, dove i comandanti erano “capi di mille” (Numeri 1, 16). Quindi, i 144.000 marcati menzionati da Giovanni sono dei soldati, pronti a combattere per il Dio vivente. Ma qual è la loro provenienza, la loro origine? Secondo il preterista Milton Terry (citato da Chilton, p. 207), l’esercito di cui parla Giovanni costituisce “un’immagine apocalittica di quel ‘seme santo’ di cui Isaia parla in Isaia 6, 13 – quel residuo sopravvissuto che era destinato a rimanere come il ceppo di una quercia caduta dopo che le città erano state devastate e tutto il paese era diventato una desolazione: quel ‘resto di Giacobbe’, che doveva essere preservato dalla ‘consunzione determinata in mezzo a tutto il paese’ (Isaia 10,21-23). È lo stesso ‘resto secondo l’elezione della grazia’ di cui parla Paolo in Romani 9, 27-28; 11, 5. Dio non distruggerà Gerusalemme e non renderà desolati i luoghi un tempo santi finché non avrà scelto e suggellato un numero selezionato; come l’inizio di un nuovo Israele. La prima Chiesa cristiana fu formata da servi di Dio scelti dalle «dodici tribù della dispersione» (Giacomo 1, 1), e la fine dell’età ebraica non sarebbe arrivata fino a quando gli apostoli e i profeti ebrei cristiani non avrebbero predicato il vangelo del regno in tutto il mondo in testimonianza a tutte le nazioni (Matteo 24, 14)”.
Dunque, secondo Milton Terry (e secondo Chilton) i “sigillati” sono Cristiani di origine ebraica. Anche su questo punto, Lupieri concorda, e al riguardo esprime un’acuta considerazione: secondo lui, la cifra di 144.000 è un numero dimezzato. 288.000 sono infatti gli armati che costituiscono l’esercito di Davide (1 Cronache 27, 1-15). Giovanni forse ci vuol dire che la Chiesa è composta da due metà ideali: quella proveniente dalla circoncisione (origine ebraica) e quella proveniente dal paganesimo. Quest’ultima, nel capitolo 7, è evidentemente compresa nella “folla numerosa, che nessuno poteva computare, d’ogni gente e tribù e popolo e lingua” (Apocalisse 7, 9). Il fatto che la “folla” non sia numerabile significa che essa realizza finalmente la promessa divina di dare ad Abramo una discendenza incalcolabile, come “le stelle del cielo e come la sabbia che è sulla spiaggia del mare” (Genesi 22, 17). Nella visione di Giovanni, perciò, il “Resto” sigillato di Israele è il seme santo, i “primi frutti” (Apocalisse 14, 4) della nuova Chiesa, destinata ad espandersi in una moltitudine sterminata, riunita in cielo in adorazione davanti al Trono. Il nucleo di Israele diventa la Chiesa, salvata da ogni nazione e destinata a identificarsi con il mondo intero. Come rimarca Chilton (p. 215), “La salvezza del solo Israele non era mai stata l’intenzione di Dio; Egli ha mandato il Figlio “affinché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3, 17). Ma già Isaia aveva predetto:
“Pertanto disse: «È poco, poiché tu sei mio servo, restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Io ti porrò luce per le genti affinché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra»” (Isaia 49, 6).
Resta da porsi un’altra domanda, riguardo a questa “folla numerosa, che nessuno poteva computare”. Si tratta di martiri? Sembrerebbe di sì, a giudicare dalla risposta data a Giovanni da uno degli “anziani”: “Questi sono coloro che vengono dalla grande tribolazione, e lavarono le loro vesti e le imbiancarono nel sangue dell’agnello” (Apocalisse 7, 14).
Anche Lupieri si è posto il problema, e ha osservato che nel cristianesimo la palma “è segno di martirio”. Mons. Garofalo non ha dubbi: secondo lui, la “folla” equivale ai “martiri trionfanti in cielo”. A mio modesto avviso, è possibile che la “grande tribolazione” menzionata da Giovanni sia stata scritta in previsione della ferocissima persecuzione contro i Cristiani scatenata da Nerone a partire dall’anno 64.
[1] Chilton 1987.
[2] Garofalo 1966.
[3] Lupieri 1999.
[4] Beagley 1987.
Leave a comment