Uno degli aspetti di più difficile interpretazione dell’Apocalisse è quello costituito dal settenario delle lettere (cap. 2-3). Uno dei punti interrogativi riguarda il carattere stesso di queste lettere. Si tratta di lettere reali, cioè realmente dirette alle comunità destinatarie in considerazione di una loro reale situazione, o si tratta invece di una pura finzione letteraria?
Su questa questione, i pareri degli studiosi continuano a essere divisi. Studiando l’argomento, due valutazioni mi hanno profondamente colpito: quella del preterista americano David Chilton e quella del prof. Eugenio Corsini. Questi due studiosi hanno scritto due commenti all’Apocalisse profondamente dissimili, ma tuttavia mi sembra che almeno su un punto le loro disamine concordino significativamente: il settenario delle lettere, secondo costoro, presenta delle allusioni, costanti e puntuali, alla storia sacra di Israele. Le lettere alle sette comunità menzionate da Giovanni costituirebbero, quindi, un vero e proprio compendio della storia della salvezza, dal Giardino dell’Eden fino alla venuta di Cristo. Non credo che Corsini, quando scrisse il suo commento (nel 2002), conoscesse il libro di Chilton (che è stato pubblicato nel 1987). D’altra parte Chilton lesse a suo tempo la prima versione del libro di Corsini, tradotta in inglese nel 1983. In ogni caso, considero significativa la convergenza delle rispettive disamine. Per far toccare con mano al lettore questa concordanza di vedute, presento a seguire i due commenti alle sette lettere, prima quello di Chilton, e poi quello di Corsini (le sottolineature nel testo sono mie).
Da David Chilton, The Days of Vengeance – An Exposition of the Book of Revelation, pp. 86-89:
Efeso (2, 1-7). “Il linguaggio del Paradiso è evidente in tutto il brano. Cristo si annuncia come il Creatore, Colui che tiene le sette stelle; e come Colui che cammina tra i candelabri per giudicare, come Dio camminava nel Giardino in giudizio (Genesi 3, 8). L'”angelo” di Efeso è lodato per aver adeguatamente protetto la chiesa dai suoi nemici, come ad Adamo era stato comandato di proteggere il Giardino e sua moglie dal loro Nemico (Genesi 2, 15). Ma l’angelo, come Adamo, è “caduto”, avendo abbandonato il suo primo amore. Cristo quindi minaccia di venire a lui in giudizio e di togliere il suo candelabro dal suo posto, come aveva scacciato Adamo ed Eva dal Giardino (cfr. Genesi 3,24). Tuttavia, la porta dell’Eden è aperta a chi riporta la vittoria sul Tentatore: “A chi vince darò da mangiare dell’Albero della Vita, che è nel Paradiso del mio Dio””.
Smirne (2, 8-11). “La situazione dei Patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe) e dei figli d’Israele in Egitto sembra riflettersi nelle parole di questo messaggio. Cristo si descrive come Colui “che era morto ed è tornato in vita”, un atto di redenzione prefigurato nella vita di Isacco (Genesi 22, 1-14; Ebrei 11, 17-19) e Giuseppe (Genesi 37, 18-36; 45, 4-8; 50, 20), nonché nella salvezza di Israele dalla casa di schiavitù. La condizione di povertà apparente e di ricchezza effettiva degli Smirnei è analoga all’esperienza di tutti i patriarchi, che «vissero come stranieri nella terra promessa» (Ebrei 11,9). I falsi “giudei” perseguitano i veri eredi delle promesse, così come Ismaele perseguitò Isacco (Genesi 21, 9; cfr. Galati 4, 22-31). Il pericolo della prigionia su istigazione di un calunniatore ha un parallelo nella vita di Giuseppe (Genesi 39, 13-20), come è la benedizione della corona della vita per chi rimane fedele (Genesi 41, 40-44); anche Aronne, immagine gloriosa dell’Uomo pienamente redento, portava la corona della vita (Esodo 28, 36-38). La “tribolazione dei dieci giorni” seguita dalla vittoria riflette la storia della sopportazione di Israele attraverso le dieci piaghe prima della sua liberazione”.
Pergamo (2, 12-17). “Le immagini di questa sezione sono tratte dal soggiorno di Israele nel deserto, dimora dei demoni (Levitico 16, 10; 17, 7; Deuteronomio 8, 15; Matteo 4, 1; 12, 43); anche i cristiani di Pergamo dovettero abitare «dove è il trono di Satana… dove abita Satana». I nemici della chiesa sono descritti come “Balaam” e “Balak”, il falso profeta e il re malvagio che cercarono di distruggere gli Israeliti tentandoli all’idolatria e alla fornicazione (Numeri 25, 1-3; 31, 16). Come l’angelo del Signore e il sacerdote Finea, Cristo minaccia di fare guerra ai Balaamiti con la spada (cfr. Numeri 22, 31; 24, 7-8). A coloro che vincono, Egli promette una parte della “manna nascosta” dell’Arca dell’Alleanza (Ebrei 9, 4), e una pietra bianca su cui è inciso un “nome nuovo”, emblema del popolo redento dell’alleanza indossato dal Sommo Sacerdote (Esodo 28, 9-12)”.
Tiatira (2, 18-29). “San Giovanni si rivolge ora alle immagini del periodo della monarchia israelita e del patto davidico. Cristo si annuncia come «il Figlio di Dio», il più grande Davide (cfr. Salmo 2, 7; 89, 19-37; Geremia 30, 9; Ezechiele 34, 23-24; 37, 24-28; Osea 3, 5; Atti 2,24-36); Egli rimprovera l’angelo di Tiatira, la cui tolleranza nei confronti della sua “moglie Iezabel” sta portando all’apostasia del popolo di Dio (cfr. 1 Re 16,29-34; 21,25-26). Lei e coloro che commettono adulterio con lei (cfr. 2 Re 9,22) sono minacciati di “tribolazione”, come i tre anni e mezzo di tribolazione che colpirono Israele ai tempi di Gezabele (1 Re 17,1; Giacomo 5, 17); lei e la sua discendenza saranno uccise (cfr. 2 Re 9, 22-37). Ma a chi vince sarà concesso, come dice Davide, «il potere sulle nazioni» (cfr. 2 Samuele 7,19; 8,1-14; Salmo 18,37-50; 89,27-29). La promessa conclusiva allude al salmo messianico del dominio di Davide: «Egli li governerà con scettro di ferro; come vasi di vasaio andranno in pezzi, come anch’io ho ricevuto dal Padre mio» (cfr. Salmo 2, 9).
Sardi (3, 1-6). “Le immagini di questa sezione provengono dal periodo profetico successivo (cfr. i riferimenti allo Spirito e alle “sette stelle”, che parlano della testimonianza profetica) che porta alla fine della monarchia, quando il popolo disobbediente dell’alleanza fu sconfitto e portato in cattività. La descrizione della reputazione di “vita” della Chiesa quando è realmente “morta”, l’esortazione a “svegliarsi” e a “rafforzare ciò che resta”, il riconoscimento che ci sono “alcune persone” che sono rimaste fedeli, tutti ricordano il linguaggio profetico sul “resto” [d’Israele] in tempo di apostasia (Isaia 1, 5-23; 6, 9-13; 65, 8-16; Geremia 7, 1-7; 8, 11-12; Ezechiele 37, 1-14), così come l’avvertimento del giudizio imminente (Isaia 1,24-31; 2,12-21; 26,20-21; Geremia 4,5-31; 7,12-15; 11,9-13 ; Michea 1, 2-7; Sofonia 1)”.
Filadelfia (3, 7-13). “Il ritorno dall’esilio sotto Esdra e Neemia si riflette in questo messaggio, che parla con l’immagine della sinagoga e della ricostruzione di Gerusalemme e del Tempio. I Filadelfi, come gli ebrei ritornati, hanno “poco potere”. Il riferimento ai membri della “sinagoga di Satana, che dicono di essere ebrei e non lo sono” richiama i conflitti con i “falsi ebrei” in Esdra 4 e Neemia 4, 6 e 13. L’avvertimento dell’imminente «ora della prova… che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della Terra» ci ricorda la tribolazione sofferta sotto Antioco Epifane (cfr. Daniele 8 e 11). Ma Cristo promette al vincitore che diventerà “una colonna nel Tempio” e parteciperà alle benedizioni della “Nuova Gerusalemme”.
Laodicea (3, 14-22). “Il periodo degli Ultimi Giorni (30-70 d.C.) fornisce i motivi per il settimo e ultimo messaggio. La chiesa “tiepida”, che vanta la sua ricchezza e autosufficienza ma che è cieca davanti alla sua reale povertà e nudità, è un’immagine calzante del giudaismo farisaico del primo secolo (Lc 18,9-14; cfr. Apoc. 18,7). Avvertito che sta per essere espulso dalla Terra (maledizione di Levitico 18,24-28; cfr. Luca 21,24), Israele è esortato a pentirsi e ad accogliere Cristo, offerto nella cena eucaristica. A coloro che vincono è concessa la benedizione caratteristica dell’epoca portata dalla Nuova Alleanza: il dominio con Cristo (cfr. Efesini 1, 20-22; 2, 6; Apocalisse 1, 6)”.
Da Eugenio Corsini, Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, pp. 107-110:
“Vediamo, allora, di ricavare attraverso la lettura delle lettere quegli elementi che, messi insieme, costituiscono le linee di un vero e proprio compendio di storia della salvezza.
Nella prima lettera, a Efeso, c’è l’accenno a una caduta, a un abbandono dell’amore di prima, a una resistenza alla fatica (cfr. 2, 2 ss.). Tutto ciò, più che alla condizione di una relativamente recente comunità cristiana, fa pensare alla lunga storia dell’umanità dopo la caduta, alla fatica di procurarsi il cibo dopo la cacciata dall’Eden (cfr. Gn 3, 18 ss.). E alla caduta di Adamo riconduce anche la promessa, fatta al vincitore, di «mangiare dall’albero della vita che è nel paradiso di Dio» (cfr. 2, 7).
La lettera a Smirne descrive una situazione di persecuzione, di povertà, di ostilità da parte dei Giudei divenuti «sinagoga di Satana» (cfr. 2, 9), una situazione che poteva essere certamente quella della comunità cristiana locale. Ma non è impossibile pensare che la descrizione di questa situazione venga, per così dire, filtrata attraverso la reminiscenza di un’altra situazione di persecuzione e di povertà, quella degli Ebrei nell’Egitto. A quest’ultima, infatti, sembra rinviare l’accenno alla prova «di dieci giorni» che attende la comunità (cfr. 2, 10), probabile allusione alle dieci piaghe che precedettero la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù (cfr. Es 7, 14 ss.). E un’allusione all’Egitto è forse implicita anche nell’espressione «sinagoga di Satana», che indica la perversione del giudaismo culminata nell’uccisione di Cristo, in conseguenza della quale Gerusalemme è divenuta «Sodoma ed Egitto» (cfr. 11, 8). La situazione di allora prefigurava quella attuale, in cui il nuovo popolo eletto è perseguitato dal nuovo Egitto. Questo, l’ammaestramento che la comunità cristiana di Smirne poteva trarne. […].
Nella terza lettera, a Pergamo, sembra di poter scorgere più di un’allusione alla permanenza degli Ebrei nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto: episodio di Balaam e Balak (cfr. 2, 14; Nm 25, 1 s.; 31, 16), la «manna nascosta» (cfr. 2, 17; Es 16, 32 ss.; Eb 9, 4), e forse anche la «pietra bianca» con il proprio nome inciso sopra, probabile allusione alle due pietre con i nomi delle tribù di Israele che il sommo sacerdote portava sulle spalline dell’Efod (cfr. Es 28, 9 s.). Al deserto si riferisce, con tutta probabilità, anche la definizione della sede in cui dimora la comunità come luogo dove Satana ha il suo trono (cfr. 2, 13): per l’Apocalisse il deserto è il luogo dove Satana esercita la sua persecuzione e la sua tentazione (cfr. 12, 13 s.; 17, 13 ss.; ma si potrebbero aggiungere anche Mt 4, 1 ss.; Mc 1, 13; Lc 4, 3 ss.).
Nella lettera a Tiatira, la quarta, l’accenno alla prosperità, spirituale e anche materiale, della comunità ha indotto più di un commentatore a vedervi un’allusione ai tempi gloriosi del regno ebraico. In particolare, si può forse vedere adombrato il regno di Salomone, spiritualmente e materialmente prospero, più splendido di quello precedente di David (cfr. 2, 19; 1 Re 1, 47), ma offuscato dalla presenza delle concubine del re, straniere e idolatre (cfr. 1 Re 11, 1 ss.), emblematicamente riassunte nella lettera dalla figura di Iezabel (cfr. 2, 20), la crudele moglie di Achab re d’Israele, straniera a idolatra anch’essa (cfr. 1 Re 16, 31 ss.). Il tremendo castigo minacciato a Iezabel fa riferimento, con tutta evidenza, alla terribile profezia di Elia contro Achab e la sua consorte dopo l’uccisione di Nabot (cfr. 1 Re 21, 21 ss.). Ma le parole di Elia prefigurano chiaramente, nella fine di Achab e di Iezabel, la fine del regno di Israele, cioè delle dieci tribù che si erano staccate dalle altre al tempo di Geroboamo, dipendente di Salomone. Nella lettera a Tiatira, il regno ebraico è descritto nel suo momento di massimo splendore (Salomone), che contiene però già i germi della corruzione religiosa e della rovina della parte più cospicua del popolo ebraico.
La lettera a Sardi sembra riflettere lo stato di desolazione e di morte che segue alla distruzione dei due regni, d’Israele e di Giuda. La comunità e come morta, ridotta a un piccolo gruppo di uomini, un avanzo («ciò che rimane»: cfr. 3, 2). Viene spontaneo pensare al «resto d’Israele» di cui parla Isaia (cfr. Is 1, 9; 6, 13; 65, 8 ss.) o alla visione delle ossa spolpate di Ezechiele (cfr. 37, 1 ss.).
Anche la comunità della sesta lettera, a Filadelfia, è piccola e debole, ma Cristo la elogia per la sua perseveranza e le annuncia il suo prossimo arrivo (cfr. 3, 8). In questa lettera, soprattutto nelle promesse al vincitore, è stato notato un concentrarsi di immagini indicanti edificio, costruzione: chiave, porta, colonna del tempio, città di Dio, Gerusalemme celeste. Allusione probabile al periodo del ritorno dall’esilio e alla ricostruzione di Gerusalemme e del tempio.
L’ultima lettera, a Laodicea, ha posto molti problemi ai commentatori, tanto a quelli della linea realistica, quanto ai seguaci dell’interpretazione profetica. Per gli uni e per gli altri, infatti, si tratta di spiegare in modo plausibile il tono di aspra condanna di questa lettera, applicandolo o alla situazione contemporanea della comunità destinataria o agli ultimi tempi della Chiesa. Nell’un caso come nell’altro, però, le affermazioni sono senza possibilità di verifica. Nulla, infatti, sappiamo della situazione reale di Laodicea. Quanto alla fine dei tempi, che essa sia preceduta da un venir meno della fede è un’idea che si trova forse in altri testi, ma non nell’Apocalisse: leggere in questo senso la lettera a Laodicea è un gratuito apriorismo.
Stranamente incerti su questo punto anche gli studiosi che si sono dedicati all’analisi degli elementi biblici presenti nelle lettere. Per l’ultima lettera una soluzione soddisfacente non è stata trovata. Eppure, se è minimamente fondata la linea interpretativa che abbiamo sin qui esposto, anche la minacciosa lettera a Laodicea trova la sua spiegazione. Essa esprime il giudizio di condanna contro il giudaismo ufficiale che, nella sua cecità, non ha riconosciuto in Gesù Cristo il Messia preannunciato dalle Scritture. La comunità, infatti, è riprovata per non essere «né fredda né calda», bensì «tiepida» (cfr. 3, 15-16): ciò non si può intendere, alla moderna, come allusione alla mancanza di fervore spirituale: è la definizione del legalismo giudaico, dell’onore reso s Dio con le labbra e non con il cuore, con segni esteriori e non in spirito e verità”.
FINE DELLE CITAZIONI TRATTE DAI COMMENTI DI DAVID CHILTON E DI EUGENIO CORSINI
E allora, cosa pensare del settenario delle lettere? Si tratta di lettere inviate a comunità reali o fittizie? A mio modestissimo avviso si tratta di lettere reali, che riflettono la situazione delle comunità cristiane dell’Asia minore negli anni Sessanta del primo secolo, quando i Cristiani stavano per sperimentare gravissime persecuzioni. Le allusioni delle predette lettere a fasi e momenti dell’Antico Testamento però mi sembrano innegabili, e quindi Chilton e Corsini hanno probabilmente ragione.
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