Ho da poco iniziato la lettura di un libro appassionante, pubblicato nel 1987 dall’esegeta australiano Alan J. Beagley. Il suo titolo è: The “Sitz im Leben” of the Apocalypse with Particular Reference to the Role of the Church Enemies (“Il ‘Sitz im Leben’ dell’Apocalisse con particolare riguardo al ruolo dei nemici della Chiesa”)[1].
Innanzitutto devo dire che ho trovato in tale libro un motivo di grande conforto: la tesi centrale del libro è infatti che per capire l’Apocalisse bisogna fare particolare attenzione al versetto 11, 8:
“E il loro cadavere rimarrà sulla piazza della città grande, la quale è chiamata spiritualmente Sodoma ed Egitto, ove anche il loro Signore fu crocifisso”.
Secondo Beagley, i cristiani costituiscono il nuovo Israele, l’Israele definitivo che è la Chiesa, mentre la Gerusalemme storica, quella che ha ucciso il Messia, costituisce il nuovo Egitto, da cui i fedeli di Cristo devono fuggire.
Scrive infatti Beagley (p. 27):
“In uno studio precedente, chi scrive ha indagato sull’uso del motivo dell’Esodo nell’Apocalisse, ed è giunto alla conclusione che questo motivo costituisce il quadro teologico complessivo in cui il Veggente presenta il suo messaggio”.
E ancora (pp. 27-28):
“La comunità cristiana è raffigurata come la controparte degli israeliti che vennero preservati dal giudizio, mentre gli egiziani stessi soffrirono spaventosi tormenti. Gesù Cristo è presentato come l’Agnello Pasquale. Ma chi o cosa nell’Apocalisse è la controparte dell’Egitto, su cui il giudizio ricade? Chi è il nuovo Faraone, il nuovo oppressore del popolo di Dio? L’autore stesso fornisce una chiave ai suoi lettori: c’è un’esplicita menzione del nome “Egitto”, ed è applicata alla “grande città… dove il loro Signore fu crocifisso” (11, 8). Questa frase finale sembra lasciare non adito a dubbi che l’autore ha in mente la città di Gerusalemme. Noi abbiamo perciò la prova prima facie che le piaghe dell’Apocalisse devono cadere su Gerusalemme”.
Personalmente, il sottoscritto era arrivato alla stessa conclusione di Beagley qualche mese fa, prima di aver letto il libro dello studioso australiano:
Il libro di Beagley è molto importante, e non a caso è stato elogiato da due grandi studiosi come il dr. Kenneth Gentry e il prof. Edmondo Lupieri. Come dicevo, ho da poco iniziato la sua lettura: quando l’avrò terminata spero di recensire il volume per i lettori di questo blog. Posso però già fare un’ulteriore anticipazione, che riguarda i versetti 8, 13 del testo di Giovanni:
“E vidi. E udii un’aquila che volava al vertice del cielo, dicendo a gran voce: «Guai! Guai! Guai! agli abitanti sulla terra, per i rimanenti squilli della tromba dei tre angeli che stanno per suonare!»”.
A questo proposito, Beagley fa un’osservazione molto interessante (p. 52):
“Giovanni potrebbe anche aver inteso un riferimento alle “aquile” romane, l’emblema dei loro stendardi, e potrebbe quindi aver voluto indicare l’occupazione romana di Gerusalemme (cfr. Mt 24,28; Luca 17,37)”.
Per comodità del lettore, riporto a seguire anche i rispettivi passi del Vangelo di Matteo e del Vangelo di Luca citati da Beagley.
Matteo 24, 28: “Dovunque sarà il cadavere si aduneranno le aquile”.
Luca 17, 37: “Gli domandano: «Dove Signore?». Disse loro: «Dov’è il corpo là si raduneranno anche le aquile»”.
Da parte mia, osservo che la Bibbia curata da mons. Salvatore Garofalo ha tradotto, nei due predetti passi di Matteo e di Luca, la parola greca ἀετοί con “avvoltoi”, mentre la Bibbia curata da Giuseppe Ricciotti riporta “aquile”. Anche la Vulgata traduce ἀετοί con “aquilae”. Mi sembra che la traduzione di Ricciotti (e della Vulgata) sia preferibile: i vocabolari greci traducono appunto ἀετός con “aquila”. La traduzione della Bibbia Garofalo fa perdere al testo evangelico la possibile allusione alle aquile delle truppe romane di cui parla Beagley.
[1] Walter de Gruyter, Berlin – New York 1987.
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