Ho appena finito di (ri)leggere il libro di Eugenio Corsini Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni[1]. Il volume in questione costituisce una ripresa e un aggiornamento di un precedente volume dell’autore, sempre dedicato all’Apocalisse: Apocalisse prima e dopo, pubblicato una ventina di anni prima, nel 1980.
Il prof. Corsini, che è morto nel 2018, è stato docente di Letteratura cristiana antica e di Letteratura greca all’Università di Torino.
Il suo ultimo libro è un’opera che denota una grande erudizione ma devo dire subito una cosa: l’ho trovato teologicamente discutibile. Intendiamoci: non tutto quello che scrive è sbagliato, ma molto è sicuramente sbagliato.
Due sono le tesi di fondo del suo libro: la tesi secondo cui ai martiri dell’Antico Testamento è stata concessa la vita eterna prima della venuta storica di Gesù Cristo e la tesi secondo cui la morte di Gesù rappresenta l’”inizio del giudizio di Dio sul mondo”.
Spiegazione a beneficio del lettore: chi sono i martiri dell’Antico Testamento? Sono tutti coloro che, prima e durante l’antica Alleanza, sono stati uccisi a causa della loro fedeltà a Dio. Proprio Gesù li nomina, nel corso della sua invettiva contro gli scribi e i farisei, nel Vangelo secondo Matteo (23, 34-35):
“Perciò, ecco che io vi mando profeti, sapienti e scribi: ne ucciderete e crocifiggerete, ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e ne perseguiterete di città in città, affinché ricada su di voi tutto il sangue innocente sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che avete assassinato fra il santuario e l’altare”.
Ora, secondo Corsini, a questi giusti uccisi Dio ha concesso, in via eccezionale, la vita eterna già al momento della loro morte. Detto in termini cattolici: costoro sarebbero andati in Paradiso prima che Gesù venisse al mondo. Per quanto riguarda invece tutti gli altri morti dell’antica Alleanza, per essere giudicati “secondo le loro opere” hanno dovuto aspettare la morte di Gesù, che ha sancito un vero e proprio “giudizio universale” (Corsini adopera più volte proprio questa espressione).
Però, in queste sue tesi Corsini è smentito dalla teologia cattolica: secondo il magistero cattolico tradizionale (quello vigente prima del Concilio Vaticano II) a nessun giusto dell’Antico Testamento, neppure in via eccezionale, è stata concessa la beatitudine eterna prima della venuta e della morte di Gesù. Prima della venuta di Gesù, infatti, i giusti venivano relegati nel Limbo. Secondo il Catechismo di S. Pio X è stato proprio Gesù il primo a varcare le porte del Paradiso dopo la sua morte. Per tutti gli altri morti invece, quelli che non si sono salvati, c’era già il giudizio particolare anche prima della venuta di Gesù, e quindi non hanno dovuto aspettare la sua morte per essere giudicati.
I predetti errori teologici, perché di errori si tratta, Corsini li ha reiterati in tutto il corso del suo libro e ne ha fatto la base della sua interpretazione del libro di Giovanni. Seguendo questa strada, il professore torinese è però incorso almeno in un abbaglio: quando ha identificato appunto con i predetti martiri veterotestamentari i 144.000 segnati col sigillo del capitolo 7 dell’Apocalisse. Ricordiamo, sempre a beneficio del lettore, cosa dice il passo in questione (Apoc. 7, 2-3):
“E vidi un altro angelo che saliva dall’Oriente, che aveva un sigillo del Dio vivente, e gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali fu dato il compito di danneggiare la terra e il mare, dicendo: «Non danneggiate la terra né il mare né gli alberi, finché non abbia segnato col sigillo i servi di Dio nostro sulle loro fronti»”.
Se i “servi di Dio” di cui qui si parla fossero davvero dei morti ammazzati non avrebbero nessun bisogno di una misura protettiva come quella costituita dal sigillo. Se c’è la necessità di preservarli dal danneggiamento della terra e del mare è perché, nella visione di Giovanni, sono evidentemente delle persone ancora vive e vegete.
Dicevo che le argomentazioni di Corsini sono spesso discutibili. Per dare al lettore un’idea più precisa dell’operato dell’illustre studioso, ho pensato di riportare a seguire alcuni estratti del suo libro chiosati dai miei commenti. Riporto prima il numero della pagina, poi, tra parentesi, il relativo passo dell’Apocalisse, poi il testo di Corsini in corsivo. I miei commenti sono in grassetto.
p. 36. “In quanto incarnazione di Satana, l’impero romano è il persecutore più crudele, che riuscirà con l’aiuto delle autorità religiose e civili giudaiche (bestia dalla terra, prostituta, falso profeta) e di Satana stesso, salito dall’abisso, a compiere «la persecuzione, quella grande», cioè a uccidere Gesù Cristo”. Mio commento: non sono d’accordo con Corsini. Nell’uccisione di Gesù il ruolo primario non è stato quello di Pilato ma quello delle autorità religiose ebraiche. Pilato avrebbe fatto volentieri a meno di far uccidere Gesù. È più probabile che “la persecuzione, quella grande” sia un riferimento alla prima vera persecuzione operata contro i cristiani dall’impero: quella di Nerone.
pp. 161-164 (Apocalisse 7, 1-8): “Non è difficile individuare nelle due visioni la rappresentazione delle due fasi dell’intervento divino, cioè dell’antica e della nuova Alleanza, in ciò che esse rappresentano ai fini della salvezza. Possiamo, infatti, notare come nella prima visione tutta l’operazione relativa al procacciamento della salvezza è affidata interamente agli angeli: un segno inequivocabile, se teniamo conto della funzione di mediatori che Giovanni loro attribuisce nell’ambito dell’economia antica. Sono gli angeli che segnano sulla fronte i «servi di Dio» con il «sigillo del Dio vivente». Ma l’operazione stessa della segnatura è resa possibile dall’angelo che sale dall’Oriente e impone ai quattro angeli di «non danneggiare la terra né il mare» mediante i «quattro venti» (7, 1 ss.) – una scena sulla quale ci siamo già soffermati. Che cosa rappresenta questa segnatura sulla fronte? Il fatto che lo strumento con cui essa viene fatta sia definito «il sigillo del Dio vivente» ci autorizza a vedere in questo atto una comunicazione di vita divina. Il che, in altre parole, viene a significare che questi «servi di Dio» segnati sulla fronte sono dei salvati, analogamente a quelli del quinto sigillo. Sono forse gli stessi? Quanto Giovanni ci dirà dei centoquarantaquattromila all’inizio del capitolo 14 (cfr. 14, 1 ss.) ci permette fin d’ora di rispondere in maniera affermativa. Egli li vedrà raccolti intorno all’Agnello «sopra il monte Sion», recando «scritto sulle loro fronti il suo nome [cioè il nome dell’Agnello] e il nome del Padre suo» (14, 1). Di essi, inoltre si dice che «sono quelli che seguono l’Agnello ovunque vada» (14, 4), parole che l’antichità cristiana ha inteso come riferite al martirio. Quindi, anche i centoquarantaquattromila sono dei martiri e hanno reso, al pari degli uccisi del quinto sigillo, la duplice testimonianza alla Legge e alle profezie messianiche. Che la scena della segnatura in fronte riguardi l’economia antica è provato ancora da altri elementi: dal numero dei «segnati» e dalla loro provenienza. Il numero, pur nella sua dimensione puramente simbolica, è ben delimitato, relativamente esiguo e, in ogni caso, indicativo di una severa selezione. La provenienza è limitata alle «tribù dei figli d’Israele» (cfr. 7, 4). Sono qui implicitamente richiamati due caratteri negativi che Giovanni imputa anche altrove (cfr. soprattutto i capp. 10-11) all’economia antica: lo scarsissimo numero dei salvati, limitato per di più a un solo popolo, quello ebraico. Non a caso questi due aspetti verranno contraddetti nella visione successiva, della folla biancovestita: il suo numero non si può contare, e la sua provenienza è da tutta l’umanità…In ogni caso, non si può partire da una base così fragile per stabilire l’identità del «sigillo» con il battesimo e dedurre da questa circostanza che i centoquarantaquattromila sono il «nuovo Israele», cioè la Chiesa e, quindi, perfettamente identici alla «folla grande» di cui si parla subito dopo. La distinzione tra i due gruppi è troppo evidente per poterla superare con simili accorgimenti. Non a caso, fin dall’antichità, sono stati numerosi i commentatori che hanno individuato nei «centoquarantaquattromila» un gruppo particolare di cristiani: Giudei convertiti oppure i Giudei che si convertiranno alla fine dei tempi”. Mio commento: ma se i centoquarantaquattromila sono dei martiri, quindi dei morti ammazzati, che senso avrebbe l’ordine dell’angelo (7, 3) di “Non danneggiare la terra e il mare…”? Se i salvati sono già morti non c’è pericolo che vengano danneggiati (e quindi non hanno nessun bisogno di un sigillo). Piuttosto il predetto sigillo richiama la “segnatura” menzionata nell’Esodo, oltreché la visione di Ezechiele (Ez 9, 4 ss.). È invece possibile che il numero dei 144.000 simboleggi i primi giudei cristiani, quelli che si convertirono prima della distruzione di Gerusalemme e, in particolare, quelli che scamparono i guai della guerra giudaica rifugiandosi a Pella.
p. 214 (Apoc. 11, 13). “Ora, è nostra convinzione, più volte espressa, che il giudizio di Dio sull’umanità abbia inizio con la morte di Cristo e la sua risurrezione”. Mio commento: veramente, bisogna distinguere tra il giudizio riguardante l’intera umanità e quello riguardante Israele. Nei confronti di Israele in quanto nazione non c’è stato nessun giudizio immediato susseguente alla morte di Cristo. Il giudizio su Israele ha avuto il suo compimento quarant’anni dopo con la distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani. Per quanto riguarda l’umanità, anche prima della morte di Cristo era in vigore il giudizio particolare, quello che riguarda ogni defunto.
pp. 221-222. “Nel capitolo 14, riprendendo dal sesto sigillo la visione dei centoquarantaquattromila segnati sulla fronte con il sigillo del Dio vivente, Giovanni celebra il trionfo delle vittime dei due poteri satanici, cioè la concessione eccezionale della vita eterna dopo la morte violenta”. Mio commento: ma ai 144.000, sempre ammesso (e non concesso) che siano i martiri dell’Antico Testamento, non può essere stata concessa la vita eterna. Lo dice il Catechismo di S. Pio X: “Perché le anime dei santi Padri non furono introdotte nel paradiso prima della morte di Gesù Cristo? Le anime dei santi Padri non furono introdotte nel paradiso prima della morte di Gesù Cristo, perché pel peccato di Adamo il paradiso era chiuso, e conveniva che Gesù Cristo, il quale con la sua morte lo riaprì, fosse il primo ad entrarvi.»”.
p. 223. “I settenari dell’Apocalisse – questa è la nostra convinzione, espressa più volte – non sono predizione di eventi che si verificheranno in un futuro più o meno prossimo, bensì la meditazione, nelle forme e negli schemi della letteratura apocalittica, sulla fase antica della storia della salvezza”. Mio commento: la convinzione di Corsini è smentita dall’analisi del testo dell’Apocalisse. Come ha giustamente osservato Lupieri[2]: “L’aggettivazione dei termini indicanti il «tempo» mostra un’innegabile tensione verso un’escatologia ravvicinata: il «momento» è detto «vicino» due volte (1, 3 e 22, 10) su tre ricorrenze, in apertura e chiusura del libro; il «periodo» è detto «corto» una volta su quattro ricorrenze (a 12, 12, dove traduco «poco tempo»); il «tempo» è detto «breve» due volte su quattro (6, 11 e 20, 3). A 10, 6, infine, Giovanni afferma che «non vi sarà più tempo». Pare difficile negare all’Apocalisse l’esistenza di una tale tensione (cfr. 3, 11 e 22, 7.12), tanto più che essa è presente sia in testi tradizionali sia in brani cronologicamente vicini a Giovanni”.
pp. 226-227 (Apoc. 12, 3-4). “Nell’inno che segue alla guerra tra gli angeli si parla soltanto della realizzazione del «regno» di Dio; del Cristo-Messia si dice che si è realizzato il «potere», il che significa semplicemente la sua vittoria su Satana. Non è ancora la sua vittoria definitiva, quella che egli conquisterà nella battaglia di Harmaghedon e lo consacrerà «Re dei re e Signore dei signori» (19, 16). È una vittoria parziale e temporanea, che tuttavia inaugura già «la salvezza», almeno per gli uccisi «a causa delle parole di Dio e per la testimonianza di Gesù», vale a dire per i «martiri» dell’antica alleanza”. Mio commento: no. I martiri dell’antica alleanza dopo la morte sono stati confinati nel Limbo, dal quale Gesù li ha tratti per portarli in Paradiso quando è disceso agli inferi dopo la sua morte.
p. 279 (Apoc. 14, 1-20). “Egli [Cristo], quindi, si trova al centro di un universo, quello angelico, che da lui viene illuminato, ma che al tempo stesso, in qualche modo, lo genera [!] e lo esprime dal suo seno [!]. È un concetto comprensibile soltanto alla luce della funzione degli angeli nell’Apocalisse, su cui ripetutamente ci siamo soffermati: essi non sono degli intermediari tra Dio e gli uomini sempre operanti; questa funzione è stata da loro esercitata a pieno titolo soltanto nell’economia antica, prima della venuta di Cristo”. Mio commento: a parte che Cristo non può essere “generato” dagli angeli (è generato, non creato, solo da Dio Padre), c’è da dire che gli angeli continuano ad apparire anche nel Nuovo Testamento: pensiamo alle ripetute apparizioni degli angeli dopo la resurrezione di Gesù e dopo l’ascensione; ma pensiamo anche all’angelo che libera Pietro dal carcere negli Atti degli Apostoli”.
Ibidem. “Il secondo [angelo] annuncia la caduta di Babilonia che qui è da intendere come allusione alla caduta di Satana [!], il primo a sfidare la potenza e la sovranità di Dio (14, 8) ed è stato una prima volta già sconfitto dagli angeli (cfr. 12, 7 ss.). Il terzo pronuncia la condanna e la punizione dell’idolatria, qui riassunta come adorazione della bestia e della sua statua, assunzione del suo marchio sulla fronte e sulla mano (14, 9 aa.), il tutto da intendersi nel senso pieno che sopra abbiamo visto e non già come semplice adesione al culto imperiale romano. Alla condanna e alla punizione di Satana, dei suoi aiutanti e dei loro seguaci segue l’annuncio della vita eterna concessa «fin da ora», cioè già nell’economia antica, ai «santi», cioè «quelli che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (14, 12). Mio commento: a parte il fatto che non si capisce perché mai Giovanni usi il termine “Babilonia” per indicare Satana (ogni volta che lo ha nominato infatti lo ha sempre indicato esplicitamente) ma qui Corsini sembra contraddirsi. Qui infatti, secondo lui, anche i semplici “santi” del Vecchio Testamento godono della vita eterna “fin da ora”, cioè prima della venuta di Cristo (quando in precedenza aveva più volte sostenuto che gli unici esponenti dell’Antico Testamento a godere della vita eterna “fin da ora” erano i “martiri”, vale a dire i morti ammazzati).
p. 283: “A questo punto diventa fondamentale, per l’interpretazione di tutto il libro di Giovanni, la distinzione che sopra abbiamo operato tra i due gruppi di salvati: i centoquarantaquattromila e la «folla grande». Confonderli tra loro, come fa la maggior parte degli interpreti moderni, li mette in difficoltà inestricabili”. Mio commento: è giusto distinguere i due gruppi ma la distinzione operata da Corsini secondo me è sbagliata. A suo giudizio, il primo gruppo è costituito da morti ammazzati mentre il secondo è costituito da viventi. Secondo la Bibbia Garofalo[3], invece, la situazione è opposta: il primo gruppo è costituito dai fedeli (viventi) di Cristo, l’”Israele di Dio”, mentre il secondo gruppo è costituito dai martiri (sempre cristiani) trionfanti in cielo. Io penso che abbia ragione mons. Garofalo e torto Corsini. Forse, si potrebbe aggiungere che il primo gruppo è costituito da quegli ebrei che accolsero nel primo secolo il messaggio di Gesù e che quindi costituiscono la “primizia” dei salvati.
p. 285 (Apoc. 14, 4) “… qui il significato di primizie come «primi frutti» è reso evidente dalle visioni finali del capitolo in cui si parla di mietitura e di vendemmia. Se queste scene, come io penso, si riferiscono alla morte di Cristo e al giudizio di salvezza (mietitura) e di condanna (vendemmia e pigiatura) che ha inizio con quell’evento, è chiaro che la raccolta delle primizie ha luogo prima della venuta storica di Gesù Cristo”. Mio commento: prima della venuta storica di Gesù? Non è detto. La mietitura e la vendemmia potrebbero riferirsi anche a quei contemporanei cui Gesù si rivolse durante il suo apostolato. Personalmente, ritengo che il giudizio “forte” sui suoi contemporanei ha avuto luogo con la distruzione di Gerusalemme dell’anno 70. A quell’evento fanno riferimento la “mietitura” e la “vendemmia”.
p. 286. “Se i centoquarantaquattromila sono coloro che hanno rifiutato l’idolatria imposta dalle bestie, essi sono stati messi a morte (cfr. 13, 15). E non si tratta di martiri cristiani: essi sono nella situazione degli uccisi del quinto sigillo e del regno millenario, alle anime dei quali viene concessa, in via eccezionale rispetto a tutti gli altri uomini, la vita eterna dopo la morte”. Mio commento: qui Corsini reitera il suo errore teologico. Secondo lui, questi “uccisi” veterotestamentari vengono ammessi alla “vita eterna dopo la morte”. Detto in termini cattolici: dopo la morte, sarebbero andati in Paradiso. Ma questa soluzione è smentita dal magistero cattolico, per cui prima della venuta storica di Gesù sia le anime dei martiri che quelle dei giusti non andarono subito in Paradiso ma vennero accolte nel Limbo.
pp. 286-287. “Nella scena del capitolo 14 questo privilegio [quello del Paradiso dopo la morte] è espresso dalle parole «seguire l’Agnello dovunque egli vada»: l’hanno seguito nel martirio e ora sono con lui «ritto in piedi», cioè «risorto, sul monte Sion», e quindi anch’essi risorti e in possesso della vita eterna”. Mio commento: da parte mia, sempre in riferimento ai 144.000, rispetto alla soluzione proposta da Corsini preferisco la spiegazione della Bibbia Garofalo: “Poiché seguire Cristo è di tutti i cristiani, essi sono detti vergini probabilmente nel senso di intatti nella fede, essendo la fornicazione, nel linguaggio biblico, sinonimo di idolatria. Cfr. anche Gal 5, 24; 2 Cor 11, 2”[4].
p. 290. “Stando così le cose, la «beatitudine» del capitolo 14 riceve una spiegazione adeguata. Si spiega il tono solenne – voce del cielo e intervento dello Spirito – perché qui viene proclamata una verità del tutto nuova: i giusti e i profeti dell’antica Alleanza che sono stati uccisi per la loro fedeltà alla Legge («i comandamenti di Dio») e alla loro missione profetica («testimonianza di Gesù») hanno ricevuto la vita eterna prima della venuta storica di Gesù Cristo. Acquista così un senso plausibile l’espressione «fin da ora», cioè già nell’antica Alleanza. A questi salvati è stato consentito – ovviamente, in virtù del sacrificio di Cristo il cui valore è in atto «dalla creazione del mondo» – l’accesso al «riposo» e sono stati riconosciuti i loro meriti («le loro opere»), mentre gli altri morti devono aspettare il giudizio universale che avviene alla morte di Cristo e continua per tutta la storia (cfr. 20, 11 ss.)”. Mio commento: qui Corsini sostiene che alla morte di Gesù è avvenuto un “giudizio universale”. Ma allora quanti sono i giudizi universali, due (uno alla morte di Cristo e uno alla fine del mondo)? Eppure, per la teologia cattolica c’è un solo giudizio universale: quello che avverrà alla fine dei tempi. Inoltre, sempre stando a quanto dice Corsini, i giusti non martiri del Vecchio Testamento non hanno avuto accesso al “riposo” prima della morte di Cristo. Ma allora in che cosa è consistito il loro periodo di sosta prima dell’accesso al Paradiso?
pp. 295-296 (Apoc. 14, 19-20). “Se i cavalli che affogano sono le forze demoniache, il sangue in cui affogano non può essere che quello di Cristo. Non è del tutto improbabile che in questa scena ci sia una reminiscenza di un episodio dell’esodo ebraico dall’Egitto, quando la cavalleria del faraone viene sommersa nei flutti del Mar Rosso (cfr. Es 14, 26 ss.). Sono le forze demoniache, quindi, l’obbiettivo della collera di Dio non già le uve, nella cui condizione di piena maturazione è da vedere adombrato Gesù Cristo, la più alta espressione della «vigna»-Israele”. La pigiatura delle uve nel tino «fuori dalla città» diventa così un’allegoria precisa della crocifissione e della morte di Gesù Cristo…”. Mio commento: quindi, secondo Corsini, le uve rappresentano Gesù. Ma allora Dio Padre, nella sua ira, pigerebbe e calpesterebbe il Figlio! Qui, più che perplesso, sono decisamente sconcertato.
p. 302 (Apocalisse 15, 5). “… Qui non soltanto l’arca non è menzionata, ma si dice che nessuno può entrare nel Tempio fino a che sia compiuto il versamento delle coppe. Se nessuno entra nel Tempio, ciò significa che non può svolgersi il culto: del resto, ne sono usciti gli angeli che alcuni commentatori ritengono angeli officianti. Non è difficile vedere qui adombrata la circostanza del «silenzio nel cielo» che segue all’apertura del settimo sigillo. Là il silenzio dura «come per mezza ora»: l’abbiamo inteso come allusione alla «mezza settimana» simbolica in cui Cristo rimane in potere della morte. Qui l’assenza del culto dura per il tempo del versamento delle coppe, che non è una successione cronologica, ma la descrizione degli effetti del giudizio di Dio che si verifica mentre Cristo è in balìa delle forze malvagie che l’hanno ucciso”. Mio commento: che Gesù sia stato “in balìa delle forze malvagie” una volta ucciso è un’affermazione inaccettabile non solo per i cattolici ma anche per quei protestanti attenti al rispetto della Parola di Dio. D’altra parte, non è una novità che Corsini ignori la discesa agli inferi di Gesù e le sue implicazioni teologiche.
pp. 327-328 (Apoc. 17, 9-10). “Non è difficile, infatti, scorgere nell’ordine di successione di questi «sette monti-re» demoniaci, esposto dall’angelo, un chiaro riferimento alle speculazioni sulla cosiddetta «settimana cosmica», assai diffuse negli scritti apocalittici giudaici. Facendo corrispondere mille anni a ciascun giorno della creazione, la durata del mondo veniva fissata in settemila anni: nel sesto millennio, corrispondente al giorno della creazione dell’uomo, era collegato l’avvento del Messia, il cui regno avrebbe coperto tutto il settimo millennio. Giovanni è chiaramente al corrente di queste speculazioni che stanno alla base stessa dello schema dei settenari. Egli, però, elimina da questa concezione ogni riferimento alla dimensione cronologica e, soprattutto, trasforma in senso negativo il settimo «millennio», in cui l’attesa millenaristica collocava il regno messianico, inteso in senso materialistico. Questo ci spiega le parole dell’angelo relative ai «sette monti-re» demoniaci. «Cinque sono caduti»: sono quelli che hanno governato la storia prima di Gesù Cristo, che ora è venuto e si trova nel momento del governo dell’«uno (che) è»; il settimo «non è ancora venuto e, quanto verrà, deve restare per poco», perché il suo regno sarà distrutto dalla vittoria riportata da Cristo con la sua morte”. Mio commento: la tesi dei “monti-re” demoniaci mi sembra teologicamente debole. È sempre Dio, infatti, che presiede agli eventi della storia, non i demoni. Inoltre, se è vero, come Corsini ripete in continuazione, che la morte di Gesù ha sancito la distruzione delle forze del male non si capisce come, nel momento in cui Giovanni scrive il suo libro, a regnare sull’umanità sia un “monte-re” demoniaco. Peraltro, se è Gesù che “si trova nel momento del governo dell’«uno (che) è» [il sesto]” è questo sesto che dovrebbe essere “distrutto dalla vittoria riportata da Cristo”, e non il settimo. Da parte mia, preferisco la spiegazione più consueta secondo cui le sette alture menzionate da Giovanni sono i sette colli di Roma e i “re” sono imperatori romani.
p. 354 (Apoc. 20, 1-10). “Ma ci sono paradossi di assai più difficile soluzione. Se il regno millenario significa la concessione della vita eterna ai giusti cristiani, che senso ha il fatto che a propiziarlo sia la vittoria di un angelo su Satana, una vittoria che è, per di più, di carattere temporaneo («per mille anni»)? Questa vittoria fa chiaramente riferimento alla «guerra nel cielo», conclusa vittoriosamente a favore degli angeli fedeli contro gli angeli malvagi”. Mio commento: forse, anche qui Corsini si sbaglia. Quella che lui definisce come “la vittoria di un angelo su Satana”, sembra essere solo la conseguenza finale della vittoria riportata dal Logos nel capitolo 19. Una conseguenza della battaglia di Armagedon, non della battaglia degli angeli fedeli contro gli angeli malvagi del capitolo 12. A questo proposito, vorrei ricordare che non sempre i commentatori ecclesiastici hanno interpretato l’Armagedon dei capitoli 16 e 19 come un evento escatologico. Il preterista americano Francis Gumerlock, nel suo libro Revelation and the First Century (“L’Apocalisse e il primo secolo”), ha citato un brano di Cesario di Arles in cui questo commentatore del sesto secolo vide raffigurato nella battaglia di Armagedon l’esito della guerra giudaica degli anni 66-70 d.C. Scrisse a tal proposito Cesario: “A proposito di questo passaggio [Apoc 16, 14] il ‘gran giorno’ si può intendere come la desolazione di Gerusalemme assediata da Tito e da Vespasiano, quando, con l’eccezione di coloro che furono portati in schiavitù, si dice che vi furono un milione e centomila morti”[5].
p. 357. “L’interpretazione che abbiamo esposto suppone che Giovanni abbia applicato alla lettura di eventi del passato categorie, come il regno millenario e il giudizio di Dio, che erano largamente diffuse nell’apocalittica giudaica, ma venivano applicate a eventi futuri. Così intesa, l’Apocalisse diventa paradossalmente un testo antiapocalittico, nel senso che l’autore, interpretando quelle categorie in funzione dell’evento culminante della storia della salvezza, cioè la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, svuota di ogni contenuto le attese legate all’avvento di un futuro regno messianico, attese che erano diffuse non soltanto nel mondo giudaico, ma anche in certi ambienti cristiani. Ragione per cui il libro di Giovanni sarebbe non solo antiapocalittico ma anche antimillenaristico”. Mio commento: veramente, è Corsini, non Giovanni che svuota di ogni contenuto le attese legate all’avvento di un futuro regno messianico. Il regno messianico futuro è profetizzato da Gesù già nei vangeli sinottici (Mt 16, 28; Mc 9, 1; Lc 9, 27): è il regno di Dio che verrà “con potenza” quando Gerusalemme e il suo tempio verranno distrutti dalle truppe romane. L’attesa di questo regno pervade anche l’Apocalisse di Giovanni: non è un caso che, nel suo commento (pp. 108-109), Lupieri parli significativamente di “escatologia ravvicinata”. Corsini invece è assolutamente implacabile nel recidere qualunque legame del testo di Giovanni con il futuro prossimo (fine di Gerusalemme) e con il futuro remoto (fine del mondo).
p. 371 (Apoc. 20, 11-15). “La sostituzione da parte di Giovanni del «mare» alla «terra» come ricettacolo dei morti in vista della resurrezione per il giudizio non può essere casuale, e non la si può spiegare sul piano letterale e fisico. È assai più probabile, come sopra si è cercato di illustrare, che con il termine «mare» l’autore indichi il complesso delle forze malvagie, diaboliche e umane (la bestia dal mare), che hanno dominato la storia umana fino alla venuta di Cristo. I morti che vengono «restituiti dal mare» costituiscono l’umanità vissuta prima di Cristo, la quale, ad eccezione degli uccisi per cause religiose, non poteva essere sottoposta a giudizio”. Mio commento: veramente, il giudizio particolare su ogni defunto era in vigore anche prima della venuta di Gesù. Da quello che dice Corsini, se ne deve dedurre che, per lui, prima della venuta di Gesù, l’inferno era vuoto. Ma le cose non stanno così. Anche prima della venuta di Gesù i defunti venivano giudicati “secondo le loro opere”: i malvagi andavano all’inferno (come dimostra la parabola del ricco epulone: Luca 16, 19-31) mentre i giusti andavano nel Limbo (da dove vennero portati in Paradiso da Gesù disceso agli inferi).
p. 372. “Dire, allora, che in questa nuova creazione «il mare non c’è più» significa semplicemente che le forze malvagie, di cui esso è il simbolo, non possono più tenere in loro possesso i morti, che d’ora in avanti, e fino alla fine del mondo, sono soggetti al giudizio di Dio”. Mio commento: quindi, secondo Corsini, i giusti dell’Antico Testamento che non sono morti di morte violenta erano, prima della venuta di Cristo, prigionieri delle forze malvagie. Un’evidente assurdità.
p. 397 (Apoc. 22, 6-21). “Alla «testimonianza» delle Scritture Giovanni si appella per annunciare che «il momento (kairós) è vicino», vale a dire si è compiuto «il mistero di Dio», il momento supremo della storia della salvezza: la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Ed esso «è vicino», cioè è messo a disposizione dell’umanità, così come era «vicino», cioè prossimo a verificarsi, quando era annunciato nell’antica Alleanza (cfr. 1, 3)”. Mio commento: veramente, qui Corsini compie una sottile violenza sul testo di Giovanni. Il versetto dell’Apocalisse (1, 3) citato da Corsini recita infatti: “Beato colui che legge e coloro che ascoltano le parole della profezia e osservano le cose scritte in essa! Il tempo infatti è vicino”. Che cosa significa “vicino”? il senso piano e cronologico del testo, a mio giudizio, si riferisce ad un “tempo” imminente, anche se non ancora compiuto. Non può riferirsi alla morte e risurrezione di Gesù che, da un punto di vista cronologico, nel momento in cui scrive Giovanni, è un evento passato. Ma il punto è proprio questo: Corsini, nella sua lettura origenista dell’Apocalisse, espunge inflessibilmente (e arbitrariamente) ogni valenza cronologica dal termine kairós. Dal mio punto di vista, invece, Giovanni si riferisce a un evento futuro, anche se ormai prossimo. Infine, al tempo dell’antica Alleanza, la morte e risurrezione di Gesù non era un evento “vicino, cioè prossimo a verificarsi”, come sostiene Corsini. No: al tempo di Abramo (ma anche di Mosè) la morte di Cristo era un evento tutt’altro che “vicino”.
p. 412. “…abbiamo cercato di dimostrare come per Giovanni sia esistita una «testimonianza di Gesù» che ha avuto effetti salvifici già nell’antica economia. Abbiamo individuato questo aspetto nelle visioni degli «sgozzati» del quinto sigillo, della segnatura in fronte dei centoquarantaquattromila, dei «decapitati» del regno millenario. E abbiamo credito di vedere allegorizzata la salvezza concessa ai giusti dell’economia antica, uccisi «a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù» nell’episodio dei «due testimoni». Mio commento: qui Corsini riassume la tesi centrale di tutto il suo libro ma se il Limbo c’è, come è teologicamente certo, l’impianto della sua interpretazione ne viene decisamente compromesso.
FINE DELLE MIE OBIEZIONI AL LIBRO DI CORSINI
A questo punto mi si potrebbe obbiettare che l’esistenza del Limbo non è teologicamente certa. Ad esempio, Wikipedia[6] riporta una serie di pareri, a cominciare da quello, espresso nel 1984 dall’allora cardinale Ratzinger, secondo cui quella del Limbo “è sempre stata soltanto un’ipotesi teologica”. Le cose però non stanno così: a parte i pronunciamenti di due autorità come S. Agostino e S. Tommaso, c’è il giudizio, che ho riportato nel corso della mia esposizione, del Catechismo di San Pio X. Che oggi l’esistenza del Limbo venga negata e persino irrisa non fa molta differenza: del parere di certi teologi ne facciamo volentieri a meno.
[1] Eugenio Corsini, Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, Società Editrice Internazionale, Torino 2002.
[2] L’Apocalisse di Giovanni a cura di Edmondo Lupieri, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editore, marzo 1999, pp. 108-109.
[3] La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali e commentata, a cura e sotto la direzione di mons. Salvatore Garofalo, Marietti 1966, p. 463, nota 4.
[4] La Sacra Bibbia, op. cit., p. 470, nota 4.
[5] Francis Gumerlock, Revelation and the First Century – Preterist Interpretations of the Apocalypse in Early Christianity (“L’Apocalisse e il primo secolo – interpretazioni preteriste dell’Apocalisse nel cristianesimo antico”), American Vision Press, 2012, pp. 149-150. I riferimenti al testo di Cesario riportati da Gumerlock sono i seguenti: Cesario di Arles, Esposizione dell’Apocalisse di san Giovanni, Omelia 13, Germain Morin, ed., Sancti Caesarii Arelatensis opera varia, Vol. 2 (Maretioli [Bruges, Belgio]: Desclée, 1942). Il testo latino originale di Cesario è il seguente: “Potest hoc loco dies magnus intellegi desolation, quando a Tito et Vespasiano obsessa est Hierusolima, ubi exceptis his qui in captivitatem ducti sunt, undecies centena milia mortua referuntur”.
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