La Resurrezione di Gesù nel capitolo 20 di Giovanni: quello che ci si ostina a non capire

In queste ultime settimane, c’è stato un brano del Vangelo di Luca che mi ha fatto sorgere una domanda. Il brano in questione è il seguente (Luca 24, 33-43):

“In quell’ora stessa si alzarono e tornarono a Gerusalemme, e trovarono riuniti gli undici e quelli che erano con loro, i quali dicevano: «Realmente è risorto il Signore, ed è apparso a Simone!». Anch’essi raccontavano ciò che era accaduto per via e come lo avevano riconosciuto nell’atto di spezzare il pane. Mentre parlavano di queste cose Gesù in persona comparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e atterriti essi credevano di vedere uno spirito. Ed egli disse loro: «Perché vi turbate? Perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e constatate: uno spirito non ha carne ed ossa come vedete che ho io». E ciò detto mostrò loro le mani ed i piedi. E siccome, per la gioia, essi non credevano ancora ed erano stupefatti, disse loro: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli diedero una parte di pesce arrostito: ed egli lo prese e ne mangiò sotto gli occhi di tutti”[1].

La domanda che mi sono posto è: ma se gli apostoli già sapevano che Gesù era risorto (avendolo appreso da Pietro) come mai, quando Gesù appare di nuovo, rimangono “stupiti e atterriti”? Forse, nelle modalità dell’apparizione, ci fu qualcosa che li spaventò. Ma cosa? L’ipotesi che propongo è che il predetto brano lucano debba essere letto alla luce dell’analogo brano del Vangelo di Giovanni, anch’esso incentrato sulle apparizioni del Risorto ai discepoli (Giovanni 20, 19-26):

“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre per paura dei Giudei le porte del luogo dove si trovavano i discepoli erano chiuse, Gesù venne, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». E ciò detto mostrò ad essi le mani e il fianco. Nel vedere il Signore, i discepoli furono pieni di gioia. Egli disse di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi». E ciò detto alitò su di essi e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti». Tommaso però, uno dei dodici, quello che era chiamato Didimo, non era con loro quando era venuto Gesù. Gli altri discepoli gli dicevano: «Abbiamo veduto il Signore!» ma egli rispose: «Se non vedo nelle sue mani l’impronta dei chiodi e non metto il mio dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e Tommaso si trovava con loro. Gesù venne a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!».

Che cosa vuol dire Giovanni con l’espressione “venne a porte chiuse”? Infatti, non dice che Gesù aprì la porta ed entro, no: dice che “venne a porte chiuse”. La mia impressione è che Giovanni voglia intendere il fatto che Gesù entrò nel luogo dove si trovavano i discepoli in modo miracoloso: senza bisogno di aprire le porte. Deve essere stato questo il fatto che impaurì i discepoli.

Il corpo di Gesù era tornato a vivere, realmente, in carne ed ossa, ma le sue manifestazioni erano ormai svincolate dalle normali leggi della fisica. Il primo che l’aveva capito era stato proprio Giovanni, nel momento in cui era corso al sepolcro insieme a Pietro, quando, di fronte ai teli sepolcrali ormai vuoti, “vide e credette” (Giovanni 20, 1-8). Il brano in questione è celeberrimo, ma purtroppo non viene quasi mai tradotto in modo soddisfacente. Perché gli esegeti e i traduttori non si rendono conto quasi mai di cosa effettivamente videro Pietro e Giovanni quando entrarono nel sepolcro. Per verificarlo leggiamo la traduzione del passo giovanneo nella Bibbia curata da mons. Salvatore Garofalo, una pubblicazione per tanti versi ammirevole, ma che in questo caso non fa eccezione alla predetta incomprensione:

“Il primo giorno della settimana Maria di Magdala si reca al sepolcro sul mattino che era ancora buio, e vede la pietra tolta dal sepolcro. Corre allora da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e dice loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno messo!». Pietro uscì allora con l’altro discepolo e si recavano al sepolcro. Tutti e due correvano insieme, ma l’altro discepolo, più svelto di Pietro, lo precedette e arrivò primo al sepolcro. E, curvatosi, vide i pannilini per terra, ma non entrò. Giunse anche Simon Pietro, che lo seguiva, e vede i pannilini per terra e il sudario, che era sul capo di Gesù, non per terra con i pannilini, ma avvolto a parte, in un altro posto. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era arrivato primo al sepolcro, e vide e credette”.

Questa la traduzione di Garofalo. Ebbene, se i pannilini stavano davvero “a terra” e il sudario stava “avvolto a parte, in un altro posto”, non si capisce perché mai Giovanni “vide e credette”. Uno scenario del genere non dimostrava certo che Gesù era risorto. Se i pannilini stavano a terra non si poteva nemmeno escludere un trafugamento del cadavere. Ma Giovanni credette: evidentemente, quello che vide lo indusse a ritenere in modo certo la risurrezione di Gesù.

Queste difficoltà però non hanno indotto il pattuglione mainstream degli esegeti a cambiare approccio. Eppure, nel corso dei decenni, si è fatta strada un’altra interpretazione di Giovanni 20, più aderente e fedele al testo greco originale. Due esempi di questo approccio diverso li ho trovati nel libro della meritoria sindonologa Emanuela Marinelli, La sindone – un’immagine «impossibile»[2]. La prof. Marinelli, nelle pagine 58-59 del suo libro riporta le traduzioni di don Antonio Persili e di Gino Zaninotto. Leggiamole:

“Secondo la traduzione di Persili: «(Giovanni) chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entra. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese (afflosciate, vuote, ma non manomesse), e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, rialzato, ma non sostenuto nell’interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria, eccezionale, perché contro la legge della gravità)» (Gv 20, 5-7). Simile è la traduzione di Gino Zaninotto, professore di latino e greco: «Data una sbirciata (parakýpsas), scorge (blépei) distendersi i teli (blépei kèimena tà othonίa), tuttavia non entrò (non osò entrare). Giunge, quindi, pure Simon Pietro che gli stava dietro seguendolo, ed entrò nel sepolcro; e osserva (theoréi) che i teli sono distesi (giacenti, perché svuotati) (tà othonίa kèimena) e che il sudario, che era sul suo capo, non è disteso insieme con i teli, ma fuori (separatamente da essi) è ancora avvolto su un solo posto (quello del capo)» …Commenta Persili: «Quando Pietro e Giovanni entrarono nel sepolcro, le cento libbre di profumi erano del tutto scomparse, si erano volatilizzate; inoltre le fasce e il sudario erano asciutti. Il sudario non disteso è la prova non solo della risurrezione del corpo di Gesù, ma anche della totale scomparsa dei profumi, nell’istante della risurrezione. L’improvviso asciugarsi dei profumi irrigidì il sudario, permettendogli di resistere alla forza della gravità, che tendeva a farlo abbassare». Lo studioso sottolinea l’esistenza nel sepolcro di quattro tracce della resurrezione: le prime due sono costituite dalla posizione delle fasce e del sudario, le altre due dalla scomparsa del corpo di Gesù e degli aromi. «Queste quattro tracce (o prove) – conclude Persili – attestano, senza possibilità di dubbio, che il corpo di Gesù è risorto e non ammettono altre spiegazioni. Perciò Giovanni entrò, e vide e credette»”.

Ma il primo esegeta ad aver sostenuto che l’atto di fede di Giovanni dipese dalla posizione dei pannilini è stato quello che è forse il più grande esegeta italiano della seconda metà del Novecento: mons. Francesco Spadafora. Nel 1952, sulla rivista Divus Thomas di Piacenza, per la precisione. L’esegesi in questione l’illustre studioso l’ha poi riproposta nel Dizionario Biblico[3] (1963) e nel volume La resurrezione di Gesù[4] (1978):

“«Pietro e Giovanni osservano attentamente: il sudario stava avvolto, così come era stato avvolto (entetulighménon, participio perfetto = era stato e rimaneva avvolto; il verbo entulìsso ha soltanto questo significato: cf. Mt. 27, 59; Lc. 23, 53… e tutti i dizionari), la sera del venerdì, intorno alla testa del Redentore; allo stesso modo, le fasce (ta othònia = fasce e lenzuolo) che erano state legate (ἕδησαν Io. 19, 40, così come era costume presso gli Ebrei; vedi la risurrezione di Lazzaro Io. 11, 44, in modo da fare aderire il lenzuolo stretto intorno al corpo, dai piedi alle spalle), rimanevano così come le aveva viste avvolgere intorno al corpo, al momento della sepoltura. Solo che non stringevano più nulla; giacevano (kèimena) le fasce e il sudario, come se il corpo di Cristo si fosse volatilizzato”.

Questa esegesi ha trovato uno straordinario riscontro nelle ricerche dei sindonologi. Nel volume Cento prove sulla Sindone[5], di Giulio Fanti ed Emanuela Marinelli, leggiamo infatti:

La ST [Sindone di Torino] è autentica perché il lenzuolo si è «svuotato» del corpo che lo conteneva. Il contatto tra corpo e lenzuolo si è interrotto senza alterare i decalchi di sangue che sono rimasti estremamente nitidi. Se il corpo fosse stato estratto dal lenzuolo, qualche decalco di sangue dovrebbe mostrare segni di sbavature che invece non si trovano nella ST. Un’ipotesi per spiegare il fenomeno può essere l’attraversamento del corpo divenuto «meccanicamente trasparente» rispetto al lenzuolo, durante la resurrezione”.

Eppure, nonostante il lavoro, ormai pluridecennale, di esegeti come Spadafora e di sindonologi come Marinelli, ancora oggi capita di leggere traduzioni di Giovanni 20 del tutto inadeguate. Fino a quando?


[1] La traduzione del brano in questione è quella della Sacra Bibbia tradotta dai testi originali e commentata a cura e sotto la direzione di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti 1966.

[2] Emanuela Marinelli, La sindone – un’immagine «impossibile», Edizioni San Paolo 1996, pp. 58-59.

[3] Recentemente ripubblicato dalla casa editrice Effedieffe.

[4] Francesco Spadafora, La resurrezione di Gesù, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1978, p. 126.

[5] Giulio Fanti e Emanuela Marinelli, Cento prove sulla Sindone, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2000, p. 126.

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