Tacito, Flavio Giuseppe e quella fatidica profezia di Daniele

Si conoscevano, lo storico romano Tacito e lo storico ebreo Flavio Giuseppe? È possibile, se non probabile. Ha scritto in proposito il preterista americano Jay Rogers:

“Tacito riferisce anche la profezia dell’aspettativa messianica emersa a Gerusalemme. È probabile che Tacito ne apprese l’esistenza parlando con Flavio Giuseppe. Entrambi erano a Roma nell’epoca in cui scrissero le loro storie”[1].

Leggendo il libro di Rogers, mi sono imbattuto in un brano di Tacito, che a me sembra una reminiscenza chiarissima di quanto a suo tempo aveva scritto Flavio Giuseppe nella Guerra giudaica, quando descrisse i segni premonitori della tragedia che si abbatté sul popolo ebraico ribellatosi ai Romani negli anni che vanno dal 66 al 70 dopo Cristo. Ecco cosa scrive Tacito:

“S’eran verificati dei prodigi; prodigi che quel popolo, schiavo della superstizione ma avverso alle pratiche religiose, non ha il potere di scongiurare, con sacrifici e preghiere. Si videro in cielo scontri di eserciti e sfolgorio di armi e, per improvviso ardere di nubi, illuminarsi il tempio. S’aprirono di colpo le porte del santuario e fu udita una voce sovrumana annunciare: «Gli dèi se ne vanno!» e intanto s’avvertì un gran movimento, come di esseri che partono. Ma pochi ricavavano motivi di paura; Valeva per i più la convinzione profonda di quanto contenuto negli antichi scritti dei sacerdoti, che proprio in quel tempo l’Oriente avrebbe mostrato la sua forza e uomini venuti dalla Giudea si sarebbero impadroniti del mondo. Questa oscura profezia annunciava Vespasiano e Tito, ma il volgo, come sempre sollecitato dalla propria attesa, incapace di fare i conti con la realtà anche nei momenti più difficili, interpretava a suo favore un destino così glorioso” (Tacito, Storie, V. 13).

Ed ecco cosa aveva scritto Flavio Giuseppe:

“Non molti giorni dopo la festa, il ventuno del mese di Artemisio, apparve una visione miracolosa cui si stenterebbe a prestar fede; e in realtà, io credo che ciò che sto per raccontare potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, dall’altra la conferma delle sventure che seguirono. Prima che il sole tramontasse, si videro in cielo su tutta la regione carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città. Inoltre, alla festa che si chiama la Pentecoste, i sacerdoti che erano entrati di notte nel tempio interno per celebrarvi i soliti riti riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo, e poi un insieme di voci che dicevano: «Da questo luogo noi ce ne andiamo»” (Flavio Giuseppe, Guerra giudaica, VI, 5, 3).

Ma qual era la profezia che, nella seconda metà del primo secolo dopo Cristo, aveva suscitato tante aspettative presso gli ebrei? Secondo Rogers, con tutta probabilità si trattava della profezia di Daniele 2:44:

“E al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non perirà mai, la cui sovranità non sarà trasmessa ad altro popolo e che stritolerà e distruggerà tutti quei regni e rimarrà per sempre”.

A quanto pare, questa profezia, che venne intesa dagli ebrei del primo secolo dell’era cristiana in modo materiale e carnale (come la promessa di un Messia militare che avrebbe dominato il mondo), venne intesa in senso politico da Flavio Giuseppe e da Tacito: i due storici vi videro prefigurata l’irresistibile ascesa imperiale di Vespasiano e di suo figlio Tito.

Per i cristiani, invece, Daniele profetizzò in realtà, nel sesto secolo avanti Cristo, l’avvento del regno di Dio di cui parlerà Gesù nei Vangeli: un regno eminentemente spirituale, inaugurato e incarnato dal Messia Crocifisso.   

 

[1] Jay Rogers, In the Days of These Kings – The Book of Daniel in Preterist Perspective, Media House International 2017, p. 550.

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