UN NUOVO DOCUMENTO SUL “SILENZIO” DI PIO XII
Di Carlo Mattogno
“La Lettura” del Corriere della Sera del 17 settembre ha pubblicato un’intervista di Massimo Franco all’archivista vaticano Giovanni Coco, che ha scoperto un messaggio di Lothar König, gesuita tedesco antinazista, al segretario particolare di Pio XII, Robert Leiber.
La scoperta è rimbalzata come una notizia sensazionale sui mezzi di informazione, perché costituirebbe una “prova” del “silenzio” del Sommo Pontefice sull’Olocausto. Come commenta, sul medesimo giornale, Antonio Carioti, «una lettera ingiallita, datata 14 dicembre 1942, conferma che il pontefice Pio XII era a conoscenza dei crimini compiuti dai nazisti nei campi di sterminio»[1].
Questa “conoscenza” si basa sulla seguente frase del messaggio:
«Die letzten Angaben über “Rawa Russka” mit seinem SS-Hochofen, wo täglich bis zu 6000 Menschen, vor allem Polen und Juden, umgelegt werden, habe ich erneut über andere Quellen bestätigt gefunden. Auch der Bericht über Oschwitz (Auschwitz) bei Kattowitz stimmt»:
«Ho trovato ulteriormente confermate attraverso altre fonti le ultime informazioni su “Rawa Russka” col suo altoforno SS, dove ogni giorno vengono uccise fino a 6.000 persone, soprattutto Polacchi e Ebrei. Anche il rapporto su Oschwitz (Auschwitz) presso Kattowitz è vero».
Perfino nella prospettiva olocaustica, questa frase contiene una serie di scempiaggini enormi.
Anzitutto, Rawa Ruska non fu mai un centro di sterminio. I solerti commentatori della lettera pretendono che il gesuita si riferisse al presunto campo di sterminio di Bełżec[2], che però si trovava a una distanza di 25 km da Rawa Ruska, in direzione nord-ovest, sulla linea ferroviaria Lublino-Lemberg (Lwów). Questa giustificazione è alquanto pretestuosa, perché nessun documento e nessun rapporto testimoniale considera queste due località equivalenti, né le mette in correlazione riguardo al presunto sterminio ebraico. Con ciò bisognerebbe chiudere il discorso, perché il messaggio fornisce informazioni su un presunto centro di sterminio mai esistito, dunque è falso.
Supporrò tuttavia che esso si riferisca a Bełżec. Ciò però non risolve nulla.
In questo campo, infatti, non è mai esistito un “altoforno” (né un forno crematorio), che per di più, non si sa come, era lo strumento dello sterminio (le persone vi venivano bruciate vive?). Bełżec era olocausticamente dotato di camere a gas a gas di combustione di un motore, sicché il riferimento all’ “altoforno” è doppiamente errato. Rilevo inoltre che le informazioni su questa installazione inesistente costituivano per il gesuita una conferma ulteriore della sua esistenza a Rawa Ruska, il che significa che false informazioni confermavano altre false informazioni.
L’uccisione di Polacchi in questo fantomatico “altoforno” è un’altra scempiaggine, perché secondo la storiografia olocaustica, a Bełżec non furono uccisi Polacchi.
La cifra di 6.000 vittime al giorno, nelle presunte 6 camere a gas di Bełżec (di metri 4 x 4, superficie totale 96 metri quadrati, così progettate per uno sterminio di centinaia di migliaia di Ebrei!), è a sua volta ridicola perfino nella prospettiva olocaustica: lo storico Uwe Dietrich Adam attribuisce a tali impianti una capacità totale di sterminio di 200-250 vittime e suppone la durata di un’ora «per ogni asfissia collettiva»[3], sicché, per “gasare” 6.000 persone al giorno sarebbero state necessarie almeno 24 ore di procedura ininterrotta! E così per giorni…
Il riferimento a “Oschwitz (Auschwitz)” è del tutto irrilevante, ma il nome tradisce la fonte presumibile delle informazioni. Il giornale clandestino Notre Voix, nel numero del 1° agosto 1943, pubblicò un rapporto di un ebreo francese che menzionò il campo di “Oschewitz”[4] ed è noto che a Rawa Ruska vi era un campo per prigionieri di guerra francesi. Uno di questi era Jean Guérin, che nel 1945 scrisse un memoriale sul quale ritornerò sotto.
Premetto che il campo di Bełżec è menzionato, con la grafia errata “Belick”, negli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, dove si fa riferimento a un rapporto inviato il 30 agosto 1942 dall’ufficio di Ginevra della Jewish Agency for Palestina al governo americano e da questo trasmesso alla Santa Sede il 26 settembre 1942:
«La liquidazione del ghetto di Varsavia è in corso. Tutti gli Ebrei indistintamente, senza riguardo a età o sesso, vengono evacuati dal ghetto a gruppi e fucilati[5]. I loro cadaveri sono utilizzati per preparare grassi e le loro ossa per produrre fertilizzanti [!]. A questo scopo i cadaveri vengono perfino esumati [!]. Queste esecuzioni non avvengono a Varsavia, ma in campi appositamente allestiti allo scopo, uno dei quali si dice sia a Belzek»[6].
Il governo americano chiese alla Santa Sede se disponesse di conferme. Il cardinale Maglione rispose il 10 ottobre che «non aveva alcuna informazione particolare per confermare il rapporto di Ginevra»[7].
Il messaggio in discussione dev’essere inquadrato nel contesto dell’attività dei centri della propaganda nera ebraica e polacca e del flusso di false informazioni che diffusero a partire dal 1941, prima su Auschwitz e Chełmno e poi sui campi dell’ “azione Reinhardt” (Bełżec, Sobibór e Treblinka). In due studi specifici – Auschwitz nei rapporti polacchi e nelle testimonianze (1941-1947). Genesi e sviluppo della storia delle camere a gas (Effepi, Genova, 2019), e I campi dell’“Azione Reinhardt”. Bełżec, Sobibór, Treblinka. Propaganda nera, ricerche archeologiche, riscontri materiali (di prossima pubblicazione), ho analizzato dettagliatamente la genesi, la diffusione e l’evoluzione della propaganda nera ebraico-polacca riguardo a tali campi.
Lo studio delle fonti risalenti al periodo della seconda guerra mondiale – come ho rilevato nell’Introduzione della seconda opera – dimostra in modo inequivocabile che la storia dei presunti campi di sterminio nazionalsocialisti, soprattutto per quanto riguarda il sistema di uccisione che vi fu impiegato, si sviluppò nel corso degli anni da favole palesemente insensate fino ad approdare, attraverso varie fasi intermedie, alla versione “storica” considerata attualmente “vera”.
Riguardo alla genesi delle “camere a gas” dei presunti campi di sterminio dell’Azione Reinhardt – Bełżec, Sobibór e Treblinka –, vale a maggior ragione, si può dire, eminentemente a maggior ragione, il processo letterario che portò alla creazione delle “camere a gas” di Auschwitz, che ho descritto nel libro summenzionato. I presupposti sono identici e anche il punto di partenza.
Ciò è riconosciuto esplicitamente dalla storiografia olocaustica, la quale tuttavia insiste pervicacemente ad attribuire a queste favole un valore positivo.
Pierre Vidal-Naquet scrisse che «nel flusso di informazioni che proveniva dai territori occupati c’era del vero, del meno vero e del falso». Esse contenevano «inesattezze di tutti i generi», ma ci furono «anche le fantasie e i miti», che «però non sono esistiti per sé stessi, come una creazione sui generis o come una “voce” o una truffa inventata da un determinato ambiente, per esempio dai sionisti di New York. Sono esistiti come un’ombra proiettata dalla realtà, come un prolungamento della realtà»[8].
Nel caso specifico, ciò presuppone che già allora vi fosse una “realtà” ben definita, lo sterminio ebraico nei campi suddetti perpetrato in camere a gas col gas di scarico di un motore, che proiettò come ombre «le fantasie e i miti».
Ma è un dato di fatto che questa presunta realtà, a causa della totale mancanza di documenti e di reperti materiali, è esclusivamente testimoniale, vale a dire, appunto, letteraria, sicché, in pratica, essa non è altro che la scelta, operata dai tribunali e dagli storici, di una tra le varie versioni propagandistiche che circolavano durante la guerra – la versione meno diffusa!
Sono loro che decisero che lo sterminio doveva essere avvenuto nel modo summenzionato, e non, ad esempio, mediante folgorazione, camere a vapore, ad aspirazione d’aria o a cloro.
E ciò non avvenne perché, poi, fu accertato in base a prove irrefutabili che quella era stata la realtà, cosa impossibile appunto perché tali prove non esistevano: non c’erano (e non ci sono) ordini di istituzione di campi di sterminio, piante originali dei campi, documenti sulla loro costruzione o la loro amministrazione, fotografie aeree scattate durante la loro attività, nulla.
E qui si profila il problema fondamentale: come si formarono «le fantasie e i miti»? La risposta ammette soltanto due possibilità. O furono invenzioni della propaganda nera ebraica e polacca, e allora già per questo, in via di principio, non potevano rispecchiare alcuna “realtà”, sia pure deformata. Oppure provenivano da “testimoni oculari”, ma, in tal caso, come è possibile che queste testimonianze fossero state stravolte in favole deliranti?
Il problema è addirittura più grave, perché «le fantasie e i miti» ebbero tutte i loro sedicenti “testimoni oculari”, i quali dunque, nella prospettiva olocaustica attuale, sarebbero stati dei mentitori intenzionali.
Le prime notizie su Bełżec si diffusero già l’8 aprile 1942, poche settimane dopo l’apertura del campo. Zygmunt Klukowski, in questa data, annotò nel suo diario:
«Tra gli Ebrei spaventoso abbattimento. Sappiamo fin d’ora con tutta sicurezza che ogni giorno arriva a Bełżec un treno dalla direzione di Lublino e uno da Lwów, ognuno di 20 vagoni. Lì gli Ebrei vengono fatti scendere, sono portati dietro una recinzione di filo spinato e uccisi con la corrente elettrica [prądem elektrycznym] o avvelenati con i gas [gazami] e poi i cadaveri vengono bruciati [zwłoki palą]»[9].
Da allora la favola della folgorazione divenne la “verità” (propagandistica) ufficiale su questo campo e fu ripetuta in tutte le salse e con varianti demenziali.
Nel giugno 1942 Emanuel Ringelblum, Hersz Wasser e Eliahu Gutkowski stilarono un rapporto per l’archivio clandestino del ghetto di Varsavia Oneg Szabat intitolato “La gehenna degli Ebrei polacchi sotto l’occupazione hitleriana”, nel quale si legge:
«Dalla metà di marzo del 1942 al giorno odierno continua l’azione di sterminio degli Ebrei del distretto di Lublino a Bełżec, dove, secondo le informazioni fornite, si uccide per mezzo della corrente elettrica [przy pomocy prądu elektrycznego] e poi si crema in forni che sono stati installati [w zainstalowanych piecach]»[10].
Il 10 luglio 1942 il governo polacco in esilio a Londra ricevette un rapporto che diceva:
«Il treno di Ebrei, dopo l’arrivo alla stazione di Bełżec, si avvicina su un binario di raccordo ai reticolati che circondano il luogo di esecuzione, dove avviene la sostituzione del personale ferroviario. Dai reticolati [in avanti] il treno è condotto da macchinisti tedeschi fino al punto di scarico, dove i binari finiscono. Dopo essere stati scaricati, gli uomini vanno in una baracca a destra, le donne in una baracca situata a sinistra, dove si spogliano, pretesamente per un bagno. Dopo essersi spogliati, entrambi i gruppi entrano nella terza baracca, con una piastra elettrica [z płytą elektryczną], dove avviene l’esecuzione».
Il 25 luglio il capitano della Wehrmacht Wilm Hosenfeld (un Tedesco!) annotò nel suo diario le favole della propaganda nera ebraico-polacca che circolavano all’epoca:
«Da qualche parte, non lontano da Lublino, sono stati costruiti edifici che hanno locali riscaldabili elettricamente [elektrisch heizbare Räume], i quali vengono riscaldati coll’alta tensione come un crematorio [die durch Starkstrom, ähnlich wie ein Krematorium, geheizt werden]. Le sventurate persone vengono spinte in queste camere di riscaldo [in diese Heizkammern] e poi vengono bruciate vive. In un giorno si possono uccidere così migliaia [di persone]»[11].
In un rapporto redatto dopo il 22 agosto 1942 e intitolato “La liquidazione degli Ebrei a Varsavia” si legge che a Bełżec
«nell’arco di un mese (marzo-aprile 1942) sono state uccise con la corrente elettrica 80.000 persone»[12].
Il 15 novembre 1942 il dott. Ignacy Schwarzbart, membro del Consiglio Nazionale della Repubblica Polacca, rese una dichiarazione nella quale ufficializzò il rapporto del 10 luglio:
«Si ordina alle vittime di spogliarsi nude, apparentemente per un bagno, ed esse sono poi condotte in una baracca con una lastra di metallo per pavimento. Poi la porta viene chiusa, la corrente elettrica passa attraverso le vittime e la loro morte è quasi istantanea. I corpi sono caricati sui vagoni e portati ad una fossa comune a una certa distanza dal campo»[13].
Questa dichiarazione fu ripresa dieci giorni dopo dal bollettino informativo della Jewish Telegraphic Agency in un articolo intitolato “250.000 Ebrei di Varsavia condotti all’esecuzione in massa: Folgorazione introdotta come nuovo metodo di uccisione in massa di Ebrei”[14].
Il 26 novembre 1942 il noto mitomane Jan Karski consegnò ai Britannici un rapporto nel quale si legge quanto segue:
«Un centro di folgorazione è installato a Belzec. I trasporti di coloni evacuati arrivano a un binario morto, nel luogo in cui deve avvenire l’esecuzione. Il campo è sorvegliato da Ucraini. Si ordina alle vittime di spogliarsi nude, apparentemente per un bagno, ed esse sono poi condotte in una baracca con una lastra di metallo per pavimento. Poi la porta viene chiusa, la corrente elettrica passa attraverso le vittime e la loro morte è quasi istantanea. I corpi sono caricati sui vagoni e portati ad una fossa comune a una certa distanza dal campo»[15].
Pochi mesi dopo, questo patetico impostore inventò un’altra favola. Il 9 agosto 1943 egli ebbe un incontro a New York con i membri del World Jewish Congress, ai quali raccontò che, travestito da guardia lettone (ma le guardie di Bełżec erano ucraine) aveva visitato «un campo della morte a 12 chilometri [12 kilometres] fuori da Belzec (presso Lublino)», dove si trovavano 6.000 Ebrei. Costoro furono stipati in vagoni merci, che i Tedeschi avevano allestito in modo infernale:
«I pavimenti [sic] del carro erano stati ricoperti di uno strato di calce viva e cloruro [chloride]. Quando la massa umana espletò le sue normali necessità fisiche, la calce e il cloruro reagirono chimicamente e i fumi provenienti dal pavimento alla fine asfissiarono gli Ebrei. In questo modo i Tedeschi “liquidarono” rapidamente i 6.000 Ebrei che avevano deportato dal ghetto di Varsavia»[16].
Il 5 dicembre 1942 Schwarzbart inviò al Jewish Congress a New York un telegramma che diceva:
«Inviato speciale ufficiale gentile [non-Ebreo] fuggito e arrivato qui lasciata capitale quest’ottobre vide ghetto Varsavia agosto e settembre ultimi assistette uccisione in massa di un trasporto seimila Ebrei a Belzec [witnessed mass murder of one transport six thousand Jews at Belzec] parlai con lui 3 ore confermo tutte più orribili atrocità tutti Ebrei restanti ancora vivi affrontano morte»[17].
Questa favolistica contiene gli elementi del messaggio a Pio XII, i fantomatici forni crematori e la cifra magica delle 6.000 vittime.
Già il rapporto del 30 agosto 1942 citato sopra pretendeva che gli Ebrei deportati dal ghetto di Varsavia fossero uccisi anche a Bełżec e Karski (l’«inviato speciale» menzionato da Schwarzbart), lo confermò con esplicito riferimento alla cifra magica suddetta.
Tuttavia da questo ghetto nessun trasporto ebraico fu mai inviato a Bełżec, ma ciò non impedì a questa favola di circolare: essa apparve anche nel numero del 1° agosto 1943 del giornale Notre Voix, che pubblicò un libero adattamento della “testimonianza” di Jan Karski intitolato “L’orribile massacro di 6.000 Ebrei nel campo di sterminio di Belcek [sic]” che comincia così: «Era a Belcek. 6.000 Ebrei dei due sessi e di tutte le età erano arrivati dal ghetto di Varsavia»[18].
Nel 1944 la storia dell’impianto di folgorazione di Bełżec assunse tinte decisamente demenziali.
Il 12 febbraio il New York Times pubblicò un dettagliato racconto intitolato “Rapporto su una fabbrica nazista di esecuzioni in Polonia. Un fuggiasco racconta di uccisioni in massa in vasche elettrificate”:
«Stoccolma, Svezia, 11 febbraio (AP). Un giovane Ebreo polacco che è sfuggito ad una esecuzione in massa in Polonia grazie a documenti di identità falsi ha ripetuto oggi un racconto secondo cui i Tedeschi hanno messo in funzione una “fabbrica di esecuzioni” in ex fortificazioni russe nella Polonia orientale.
Gli Ebrei erano spinti nudi su una piattaforma metallica che funzionava come un elevatore idraulico che li calava in una enorme vasca piena d’acqua fino al collo delle vittime – egli ha detto. Essi venivano folgorati con la corrente elettrica attraverso l’acqua. L’elevatore poi sollevava i corpi fino a un crematorio che si trovava sopra – ha affermato il giovane.
Il giovane ha riferito di aver visto personalmente treni carichi di Ebrei partire al mattino da Rawna-Luska [Rawa-Ruska], nella Polonia orientale, alla volta del crematorio nei pressi di Beljec [Bełżec] e ritornare vuoti la sera. Egli ha detto che il resto del racconto gli era stato narrato da persone che erano fuggite dopo essere state realmente portate nella fabbrica. Le fortificazioni, ha aggiunto, erano state costruite dai Russi dopo che avevano occupato la Polonia orientale»[19].
La narrazione era dunque basata su “testimonianze oculari”!
Il primato della demenza propagandistica spetta senza dubbio a Stefan Szende, il quale, in un libro apparso a Stoccolma nel 1944, scrisse:
«I treni stipati di Ebrei entravano attraverso un tunnel in locali sotterranei, dove si trovava il luogo dell’esecuzione. […].
Essi venivano condotti in enormi sale, che potevano contenere parecchie migliaia di persone. Questi locali non avevano finestre, erano tutti di metallo e avevano un pavimento che poteva essere calato giù. Per mezzo di un meccanismo ingegnoso il pavimento, con tutte le migliaia di Ebrei, veniva calato in una cisterna che si trovava al di sotto del pavimento – ma solo finché l’acqua non arrivava ai loro fianchi. Allora attraverso l’acqua veniva fatta passare la corrente ad alta tensione e in pochi istanti tutte le migliaia di Ebrei erano stati uccisi.
Poi il pavimento, con tutti i cadaveri, veniva tirato fuori dall’acqua. Si inseriva un’altra linea elettrica e queste grandi sale diventavano ora roventi come un forno crematorio fino a quando tutti i cadaveri non erano inceneriti.
Potenti gru ribaltavano il pavimento ed evacuavano le ceneri. Il fumo veniva espulso attraverso grandi camini da fabbrica.
Il procedimento era concluso. Il treno successivo stava già nel tunnel, davanti all’ingresso, e aspettava»[20].
Un rapporto pubblicato dal rabbino Abraham Silberschein nel 1944 col titolo “Hinrichtungs- und Vernichtungslager Bełżec” (Il campo di esecuzione e di sterminio di Bełżec) come metodo di uccisione indica una non meglio precisata “stufa elettrica” (o “forno elettrico”) [«einen elektrischen Ofen»]»[21].
Nel suo rapporto ufficiale sui crimini tedeschi in Polonia preparato per il processo di Norimberga e presentato dai Sovietici come documento URSS-93, il governo polacco scrisse quanto segue:
«Il campo di Bełżec fu costruito nel 1940 ed era destinato ai deportati, in prevalenza agli Ebrei deportati. Ma a poco a poco fu organizzato per altri scopi e utilizzato per l’esecuzione di innumerevoli Ebrei. Nei primi mesi del 1942 fu riferito che in questo campo erano state introdotte installazioni speciali per l’esecuzione in massa degli Ebrei. Col pretesto di portarli a fare il bagno, essi venivano spogliati completamente e spinti nella costruzione. Attraverso il pavimento di questa costruzione passava la corrente ad alta tensione. Vi furono uccisi migliaia di esseri umani. Le guardie depredavano e derubavano i detenuti finché erano ancora vivi, e, dopo che erano stati uccisi, prendevano tutto ciò che gli Ebrei avevano lasciato»[22].
Nel 1945 il dott. Guérin riferì su un incontro che egli aveva avuto tre anni prima nel ghetto di Rawa Ruska con un soldato della Polizia di Sicurezza durante un rastrellamento di Ebrei:
«Allora egli tirò fuori una carta e ci mostrò il nome di un villaggio: Belsetz [sic]. I mezzi di sterminio: la folgorazione (l’électrocution). Le donne, i vecchi, i bambini erano condotti a piedi, nudi, in una sala dove c’erano delle piastre metalliche sul pavimento. Quando era riunito un certo numero di persone, una corrente ad alta tensione passava nelle piastre. Il nome di Belsetz ci fu confermato in due occasioni da altri tedeschi, però nessuno di coloro che avvicinammo poté affermare di aver assistito personalmente ai supplizi. Per altri, le esecuzioni avevano luogo nelle camere a gas, ma anche in questo caso non ci poté mai essere comunicato il luogo esatto»[23].
Di fatto il gesuita tedesco non fece altro (e non poteva fare altro) che raccogliere le voci deliranti della propaganda nera che ho delineato sommariamente sopra.
Credere che le chiese avessero canali informativi preferenziali e veritieri è a dir poco ingenuo; nel 1944 la chiesa evangelica svizzera avrebbe potuto mandare a Pio XII un “rapporto” su Bełżec nel quale si legge che gli Ebrei «poi vanno in una terza baracca con un focolare elettrico, dove avviene l’esecuzione»[24].
Ed era al corrente il Sommo Pontefice della “prova” propalata nel 1946 da Simon Wiesenthal relativa alla “Seifenfabrik Belsetz” (una fabbrica di sapone umano ottenuto dal grasso dei cadaveri)?
Certo, su Bełżec si potrebbero invocare, come “realtà” che proiettò come ombre «le fantasie e i miti» esposti sopra, le (tardive) testimonianze Rudelf Reder e di Kurt Gerstein sulle locali “camere a gas”, per le quali rimando al mio studio Bełżec. Rudolf Reder contro Kurt Gerstein. Analisi di due false testimonianze (Effepi, Genova, 2020).
Se non fosse che presentano un problema olocausticamente insolubile: nello stesso luogo e nello stesso tempo, Gerstein “vide” un motore Diesel i cui gas di scarico asfissiavano le vittime, Reder una “macchina” fantomatica che comprendeva un motore a benzina con un compressore, bombole di gas, ruote con raggi e tubetti di vetro, i cui gas di scarico non asfissiavano le vittime: «Questi gas erano convogliati dal motore direttamente all’esterno e non nelle camere [Gazy te były odprowadzane z motoru wprost na dwór a nie do komór]» (Dichiarazione del 29 dicembre 1945).
Altri solerti gesuiti avrebbero potuto inviare a Pio XII ulteriori “prove” sugli altri due presunti campi di sterminio, come quelle esposti sotto.
Sobibór:
Ber Moiseyevich Freiberg, dichiarazione in russo del 18 agosto 1944:
«Nella costruzione era in funzione una macchina elettrica [электрическая машина, elekrtičeskaja mašina] che produceva il gas asfissiante. Il gas prodotto passava in bombole e da esse attraverso tubi nel locale. Generalmente in 15 minuti tutti coloro che si trovavano nel locale erano asfissiati. L’edificio non aveva finestre»[25].
Srul Jankiel Fajgielbaum, interrogatorio del 5 novembre 1945:
«La camera della morte [komora śmierci] vera e propria era costruita vicino a me [al mio posto di lavoro]. Era rivestita di piastre di ferro e insieme ad altri lavoratori portai queste piastre sul posto. Di piastre erano rivestiti: il soffitto, le pareti e il pavimento. […]. Gli elettricisti raccontavano che le persone in questa camera erano uccise anche con la corrente elettrica [za pomocą prądu elektrycznego], che era prodotta all’interno della camera per mezzo di un motore speciale e di una macchina. La corrente era portata mediante speciali cavi racchiusi in tubi che arrivavano all’interno della camera»[26]
Icek Lichtmann, dichiarazione del 18 dicembre 1945:
«Essa si trovava a circa 200 metri dal campo. Dopo la gasazione si sollevava il pavimento [podnaszono podłagą], i cadaveri cadevano in fosse [do dołów], in fondo a queste fosse arrivavano dei carrelli [e] portavano via questi cadaveri, che venivano seppelliti in fosse [w dołach] nel bosco»[27].
Alexander Pechersky (alias Pieczerski, alias Pechorskii, alias Peczorskij), 1945, rapporto manoscritto intitolato “Memorie del campo della morte di Sobibór”:
«Tutti guardavano in alto. E dal soffitto, attraverso grandi ventilatori di metallo [przez szerokie metalowe wentylatory] li investivano nere, dense volute di gas pompato dai motori elettrici [czarne, gęste kłęby gazu wtłaczane przez elektryczne motory]. […].
Appena l’aria era purificata, egli dava un segnale e per mezzo di un altro meccanismo il pavimento si apriva e i cadaveri piombavano giù nello scantinato [i przy pomocy innego mechanizmu otwierała się podłoga i trupy zwalaly się w dół w piwnicę]. E lì dei vangoncini [wagonetki] già li aspettavano [i cadaveri]… Poi i vagoncini, carichi di cadaveri, li portavano fuori nel cortile»[28].
Alexander Pechersky, 1946:
«A prima vista si ha tutta l’impressione di entrare in un bagno come gli altri: rubinetti per l’acqua calda e fredda, vasche per lavarsi…appena tutti sono entrati le porte vengono chiuse pesantemente. Una sostanza nera, pesante, esce in volute da fori praticati nel soffitto. Si sentono urla raccapriccianti che però non durano a lungo perché si tramutano presto in respiri affannosi e soffocati e in attacchi di convulsioni. Si dice che le madri coprano i figli con il loro corpo.
Il guardiano del ‘bagno’ osserva l’intero procedimento attraverso una finestrella nel soffitto. In un quarto d’ora tutto è finito. Il pavimento si apre e i cadaveri piombano in vagoncini che aspettano sotto, nelle cantine del “bagno” e che, appena riempiti, partono velocemente. Tutto è organizzato secondo la più moderna tecnica tedesca. Fuori, i corpi vengono deposti secondo un certo ordine e cosparsi di benzina, quindi viene loro dato fuoco. È là che bruciano»[29].
Zelda Metz, 1944 o 1945:
«Poi entravano nelle baracche, dove alle donne venivano tagliati i capelli, indi nel “bagno”, cioè nella camera a gas. Venivano asfissiati col cloro [dusili chlorem]. Dopo 15 minuti erano tutti asfissiati. Attraverso una finestrella si verificava se erano morti tutti. Poi il pavimento si apriva automaticamente. I cadaveri cadevano in un vagone di una ferrovia che passava attraverso la camera a gas e portava i cadaveri al forno. Prima della cremazione si estraevano loro i denti d’oro. Il forno era un enorme focolare con una griglia a cielo aperto»[30].
Treblinka:
“Informacja bieżąca” (Informazione corrente), bollettino interno redatto dall’Ufficio Informazione e Propaganda della Delegatura, 17 agosto 1942:
«Le fosse sono scavate con macchine; la camera a gas è mobile e si sposta sopra alle fosse [kamera jest ruchoma i przesuwająca się nad dołami]»[31].
Rapporto su Treblinka nella relazione “Likwidacja żydowskiej Warszawy” (La liquidazione della Varsavia ebraica) redatta il 15 novembre 1942 dal movimento di resistenza clandestino del ghetto di Varsavia:
«Secondo il rapporto di un testimone oculare [wg relacji naocznego świadka], l’interno dell’edificio appare così: al centro corre un corridoio largo 3 metri e su ogni lato ci sono 5 locali, camere; ogni camera è alta circa 2 metri. La superficie di ogni camera è di circa 35 metri quadrati. Le camere di esecuzione non presentano finestre, ma hanno porte che si aprono sul corridoio e una specie di ribalta[32] nelle pareti esterne. Accanto a queste ribalte vi sono delle rampe con il pavimento leggermente incavato che fanno pensare a una grossa madia. Gli operai hanno installato dei tubi dai quali si doveva sprigionare il vapore acqueo. Questa dev’essere la casa della morte [dom śmierci] n. 2. […]. Questo edificio è perpendicolare alla casa della morte n. 2. È una costruzione in muratura molto più piccola di quella precedentemente descritta. Essa consta soltanto di tre camere e di una sala caldaie. Lungo il lato nord di questa casa di estende un corridoio dal quale, attraverso porte, si può entrare nelle camere. La parete esterna delle camere ha una ribalta (ancora fino a poco tempo fa aveva una porta, che è stata sostituita con una ribalta per motivi di praticità). Lì, all’altezza delle ribalte, c’è inoltre una rampa [rampa] a forma di madia (15[33]). Una sala caldaie [kotłownia] è collegata direttamente all’edificio (15a).
All’interno della sala caldaie c’è una grossa caldaia per produrre vapore acqueo [wewnątrz kotłowni znajduje się duży kocioł do wytwarzania pary wodnej] e, attraverso tubi, che corrono lungo le camere della morte [a za pomocą rur, które przebiegają przez komory śmierci] e presentano un adeguato numero di fori, il vapore acqueo surriscaldato si sprigiona nelle camere [przegrzana para wodna wydostaje się na zewnątrz do komór]»[34].
Con uno spregiudicato plagio, nel 1944 il “testimone oculare” Jankiel Wiernik[35] trasformò le “camere a vapore” in “camere a gas”, lasciando praticamente inalterati tutti gli altri dati del rapporto![36]
Nel 1987 lo storico israeliano Yitzhak Arad, lo specialista dei “campi Reinhardt”, citò ampiamente il rapporto del 15 novembre 1942 sulle “camere a vapore” di Treblinka, presentandolo come una fonte storica di primaria importanza:
«Questo è il primo rapporto che contenga una descrizione esauriente del campo di sterminio di Treblinka. I fatti, per la maggior parte, sono reali. La loro fonte è costituita da evasi dal campo che giunsero al ghetto di Varsavia e resero la loro testimonianza per l’archivio Ringelblum e per i gruppi clandestini di resistenza ebraici del ghetto di Varsavia. Perciò questo rapporto è basato sulle descrizioni di testimoni che videro personalmente il processo di sterminio, che vissero al campo per giorni o settimane come detenuti, che furono impiegati in vari compiti e che riuscirono a fuggire». Egli riportò correttamente stralci del rapporto, tranne che per un particolare non proprio insignificante: egli sostituì fraudolentemente immaginarie “camere a gas” alle originarie “camere a vapore”. La sua analisi si apre così:
«In questo documento c’è una descrizione della costruzione del campo di sterminio di Treblinka, della sua posizione, delle sue dimensioni, e una pianta dettagliata, incluso uno schizzo della zona. Questo rapporto comprende una descrizione delle dozzine di nuove camere a gas [a description of the dozens of new gas chambers] e altre strutture del campo».
Nel testo seguente egli sostituisce “camere a vapore” con “gas chambers” altre due volte!
Qui chiudo la digressione.
Rapporto di una commissione di inchiesta sovietico-polacca del 24 agosto 1944:
«Il “bagno” era una casa costituita di 12 cabine, ciascuna di metri 6 x 6. In una cabina si stipavano 400-500 persone alla volta. Aveva due porte, che si potevano chiudere ermeticamente. All’angolo tra il soffitto e la parete c’erano due aperture collegate a tubi. Dietro il “bagno” c’era una macchina che aspirava l’aria dal locale. Le persone morivano asfissiate in 6-10 minuti. Poi si apriva la seconda porta e si portavano i morti su carretti ai forni speciali».[37]
«Protocollo di una indagine preliminare e di un’ispezione provvisorie nell’ex campo di concentramento “Tremblinka” [sic]» redatto da una commissione di inchiesta sovietico-polacca il 15 settembre 1944:
«Dapprima vi si impiegò il metodo dell’aspirazione dell’aria dal locale per mezzo di un piccolo motore di automobile. Poi, in conseguenza del grosso numero dei condannati a morte, si cominciarono ad usare sostanze chimiche. In ogni locale si potevano pigiare circa 400 persone alla volta»[38].
Articolo di Vasilij Grossman, che si recò a Treblinka nel settembre 1944, intitolato “Treblinskij Ad”, “L’inferno di Treblinka”.
«Il secondo metodo adottato a Treblinka, quello usato più frequentemente, era il pompaggio dell’aria dalle camera per mezzo di pompe speciali [откачивание с помощью специальных насосов воздуха из камер / otkačivanie s pomoš’ju spetzial’nykh nasosov vozdukha iz kamer] – la morte cominciava per cause all’incirca simili all’avvelenamento da ossido di carbonio: le persone erano private dell’ossigeno»[39].
Nel rapporto del governo polacco sui crimini tedeschi in Polonia preparato per il processo di Norimberga (URSS-93), riguardo a Treblinka si legge:
«Quando cominciò il processo di sterminio ebraico, Treblinka fu il primo campo in cui furono portati gli Ebrei. Essi furono uccisi in camere a gas mediante vapori e mediante corrente elettrica»[40].
La storia delle “camere a vapore” di Treblinka fu notoriamente oggetto di un altro rapporto ufficiale del Governo polacco. Esso descriveva come segue l’“Accusa n. 6” contro Hans Frank:
«Le autorità tedesche, che agivano sotto la responsabilità del governatore generale dott. Hans Frank, istituirono nel marzo 1942 il campo di sterminio di Treblinka, destinato all’uccisione in massa di Ebrei per mezzo del soffocamento in camere piene di vapore».
Quante “prove” avrebbe potuto avere Pio XII, se solo i gesuiti fossero stati un po’ più efficienti!
Qualche considerazione finale sulla “conoscenza” che all’epoca avevano i governanti di Londra e di Washington. Ricordo che il messaggio in questione reca la data del 14 dicembre 1942. Tre giorni dopo vi fu la famosa “Dichiarazione delle Nazioni Unite”, che pose le basi per la costituzione dei futuri Tribunali Militari [41].
Il progetto della dichiarazione era stato discusso al Foreign Office, a Londra, fin dall’inizio di dicembre, dopo l’arrivo di molti rapporti propagandistici, l’ultimo dei quali, quello di Jan Karski, era stato da lui consegnato qualche giorno prima. Una nota datata 26 novembre 1942 e registrata il 1° dicembre informa:
«Sterminio di Ebrei in Europa.
Il sig. Law[42] riporta una conversazione col sig. Silverman[43] e col sig. Easterman[44] riguardo allo sterminio di Ebrei in Europa. Il sig. Silverman ha insistito perché il Governo di Sua Maestà intraprenda qualche azione per alleviare queste atrocità e ha suggerito che sia presentata dalle Nazioni Unite una dichiarazione delle Quattro Potenze la quale proclami che gli esecutori saranno debitamente puniti e anche che bisognerebbe fare trasmissioni radio per incoraggiare i non Ebrei ad aiutare gli Ebrei perseguitati»[45].
In una nota manoscritta del 27 novembre, David Allen, un funzionario della Direzione centrale del Ministero degli Esteri, consigliava che la dichiarazione «in mancanza di prove più chiare, [dovrebbe] evitare un riferimento troppo specifico al piano[46] di sterminio», ma doveva limitarsi a condannare la «politica tedesca» nei confronti degli Ebrei[47]. Un altro funzionario del Foreign Office, Frank Roberts, rilevò al riguardo lo stesso giorno:
«Una dichiarazione secondo le direttive summenzionate dovrebbe essere piuttosto vaga, perché non abbiamo nessuna prova reale di queste atrocità (since we have no actual proof of these atrocities), sebbene, penso, la loro probabilità sia sufficientemente grande da giustificare un’azione secondo le direttive summenzionate, se ciò è considerato essenziale al fine di soddisfare l’opinione parlamentare qui. I propagandisti potrebbero poi fare dichiarazioni secondo le direttive summenzionate come di loro iniziativa. Senza una tale dichiarazione, a mio avviso, sarebbe pericoloso imbarcarsi in una campagna propagandistica senza il fondamento di fatti citabili e comprovati»[48].
L’atto che istituiva i futuri Tribunali Militari alleati non si fondava dunque su alcuna «prova reale», ma su una mera «probabilità» delle «atrocità» tedesche[49].
Ancora il 30 agosto 1943 il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Cordell Hull, comunicò all’ambasciatore in Unione sovietica riguardo al testo della “Dichiarazione sui crimini tedeschi in Polonia”:
«Su suggerimento del Governo britannico, il quale dice che ci sono prove insufficienti per giustificare la dichiarazione relativa all’esecuzione in camere a gas, è stato concordato di eliminare l’ultima frase del paragrafo 2 della “Dichiarazione sui crimini tedeschi in Polonia” che comincia con “dove” e finisce con “camere”[50], facendo così terminare il secondo paragrafo con “campi di concentramento”. Prego informare il Commissariato degli Affari Esteri del cambiamento di testo»[51].
Gli Editori degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale informano che «perfino nell’agosto 1943 non si avevano ancora prove sicure [di stermini mediante gas]; si veda la comunicazione del 30 agosto del Segretario di Stato degli Stati Uniti: “…ci sono prove insufficienti per giustificare la dichiarazione relativa a esecuzione in camere a gas”, FRUS [= Foreign Relations of the United States 1943] 1943, I, p. 416 sg.»[52]
In conclusione, la scoperta dell’archivista Giovanni Coco è una semplice goccia che si aggiunge alla torbida pozzanghera della propaganda nera ebraico-polacca.
[1] A. Carioti, «Pio XII sapeva della Shoah: la prova in una lettera scritta nel 1942 da un gesuita tedesco» https://www.corriere.it/cultura/23_settembre_16/pio-xii-sapeva-s…2-un-gesuita-tedesco-380489dc-53fb-11ee-8884-717525326594.shtml
[2] Questo campo fu aperto il 17 marzo 1942 e cessò la sua attività l’11 dicembre dello stesso anno.
[3] Uwe Dietrich Adam, «Les chambres à gaz», in: Colloque de l’École des Hautes Études en sciences sociales. L’Allemagne nazie et le génocide juif. Gallimard, Parigi, 1985, p. 249 e nota 81 a p. 259.
[4] Stephane Courtois, Adam Rayski (a cura di), Qui savait quoi? L’extermination des Juifs 1941-1945. La Découverte, Parigi, 1987, pp. 201-203.
[5] Gli Ebrei del ghetto di Varsavia furono pretesamente gasati a Treblinka e soltanto in questo campo.
[6] Foreign relations of the United States, 1942, vol. III, p. 775.
[7] Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale. Le Saint Siège et les victimes de la guerre, janvier-1941-décembre 1942. Libreria Editrice Vaticana, 1974, volume 8, p. 52.
[8] P. Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria. Editori Riuniti. Roma, 1993, pp. 81-82.
[9] Z. Klukowski, Dziennik z lat okupacji (Diario degli anni dell’occupazione). Ludowa Spółdzielnia Wydawnicza, Lublino, 1959, p. 254, annotazione dell’8 aprile 1942.
[10] «Gehenna Żydów polskich pod okupacją hitlerowską», in: Żydowski Instytut Historyczny im. Emanuela Ringelbluma. Archiwum Ringelbluma. Konspiracyjne Archiwum Getta Warszawy. Tomo 11, p. 326.
[11] Markus Roth, Herrenmenschen. Die deutschen Kreishauptleute im besetzten Polen – Karrierwege, Herrschaftspraxis und Nachgeschichte. Wallstein Verlag, Gottinga, 2009, p. 228.
[12] Maria Tyszkowa, «Eksterminacja Żydów w latach 1941-1943. Dokumenty Biura Informacji i Propagandy KG AK w zbiorach oddziału rękopisów buw» (Lo sterminio di Ebrei negli anni 1941-1943. Documenti dell’ufficio dell’informazione e propaganda del comando generale dell’Armata Nazionale nelle collezioni dei manoscritti della Biblioteca dell’Università di Varsavia), in: Biuletyn Żydowskiego Instytutu Historicznego w Polsce, n, 4 (164), 1992, Likwidacja Żydów w Warszawie, p. 53.
[13] American Federation for Polish Jews, The Black Book of Polish Jewry. New York, 1943, p. 131.
[14] «250000 Warsaw Jews led to mass execution: electrocuting introduced as new method of mass killing of Jews», in: Jewish Telegraphic Agency, “Daily News Bulletin”, vol. XXIII, n. 273, 25 novembre 1942, p. 2.
[15] TNA (The National Archives, Kew Richmond, Gran Bretagna), FO, 371/30923, “News is reaching the Polish Government in London about the liquidation of the Jewish ghetto in Warsaw”, pp. 74-75 (dattiloscritto originale) e 76-79 (due trascrizioni).
[16] «Minutes of meeting of representation of Polish Jewry Held in office of World Jewish Congress August 9, 1943 – on occasion of the visit of Mr. Jan Karski – the Delegate of the Polish Government to the Underground in Poland», in: Archives of the Holocaust. An International Collection of Selected Documents. Henry Friedlander and Sybil Milton General Editors. Volume 8. American Jewish Archives, Cincinnati. The Papers of the World Jewish Congress 1939-1945. Edited by Abraham J. Peck. Garland Publishing Inc. New York e Londra, 1990, Documento 79, pp. 287-294.
[17] TNA, FO 371-30924, p. 29.
[18] S. Courtois, A. Rayski, Qui savait quoi? L’extermination des Juifs 1941-1945, op. cit., pp. 203-205.
[19] «Nazi Execution Mill Reported in Poland. Fugitive Tells of Mass Killings in Electrically Charged Vats», in: The New York Times, 12 febbraio 1944, p. 6.
[20]S. Szende, Den siste juden från Polen. A. Bonniers förlag, Stoccolma, 1944, pp. 297-299.
[21] A. Silberschein, «Die Hölle von Bełżec», in: Die Judenausrottung in Polen, Ginevra, 1944, V, pp. 21-22.
[22] Die Republik Polen in der Sache gegen: 1. Deutsche Kriegsverbrecher; 2. deren Körperschaften und Organisationen bezeichnet unter Anklage Nr. 1 vor dem Internationalen Kriegsgericht, p. 42. Rapporto ufficiale del Governo polacco per il processo di Norimberga, documento URSS-93, pp. 41-42.
[23] J. Guérin, Rawa Ruska, Editions Oris, Parigi, 1945, p. 148.
[24] Soll ich meines Bruders Hüter sein? Weitere Dokumente zur Juden- und Flüchtingsnot unserer Tage. Evangelischer Verlag A.G. Zollikon, Zurigo, 1944, p. 56.
[25]YVA, P.21.1-56, p. 2.
[26]YVA, O.21-27, pp. 3-6.
[27] Archiwum Żydowskiego Instytutu Historycznego (Archivio dell’Istituto Storico Ebraico), Varsavia, sygn. 301/1204, pp. 3-5
[28] A.A. Pieczerski, Wspomnienie z Obozu Śmierci Sobibór. Archiwum Państwowego Muzeum na Majdanku (Archivio del Museo di Stato di Majdanek), Lublino, sygn. VII-353, pp. 124-125.
[29] A. Pechersky, «La rivolta di Sobibor», in: Yuri Suhl, Ed essi si ribellarono. Storia della resistenza ebraica contro il nazismo. Milano, 1969, p. 31. Nel testo originale in jiddisch il passo è a p. 9.
[30] Wydawnictwa Centralnej Żydowskiej Komisji Historycznej w Polsce, Dokumenty i materiały. Opracował mgr (a cura del dott.) N. Blumental. Tomo I, Obozy. Łódź, 1946, p. 211.
[31] Krystyna Marczewska – Władysław Ważniewski, «Treblinka w świetle akt Delegatury Rządu RP na Kraj» (Treblinka alla luce degli atti della Delegatura del Governo della Repubblica Polacca nel Paese), in: Biuletyn Głównej Komisij Badania Zbrodni Hitlerowskich w Polsce, vol. XIX, Varsavia 1968, pp. 136-137.
[32] “Klapa”, la porta esterna ribaltabile.
[33]I numeri tra parentesi tonda rimandano a una pianta del campo allegata al rapporto.
[34] Archiwum Żydowskiego Instytutu Historycznego Archiwum Getta, 300.Ring II/192. Mf. ŻIH-836, pp. 24-29. Cfr. Żydowski Instytut Historyczny im. Emanuela Ringelbluma. Archiwum Ringelbluma. Konspiracyjne Archiwum Getta Warszawy. Tomo 11. Opracowały Aleksandra Bańkowska, Tadeusz Epsztein. Varsavia, 2013, pp. 357-364; Krystyna Marczewska – Władysław Ważniewski, Treblinka w świetle akt Delegatury Rządu RP na Kraj, articolo citato, pp. 139-145.
[35] J. Wiernik, Rok w Treblince (Un anno a Treblinka). Nakładem Komisji Koordynacyjnej. Varsavia, 1944.
[36] Ho documentato questo fatto nel capitolo 9 dell’opera sui campi Reinhardt menzionata sopra («La genesi letteraria delle “camere a gas” di Treblinka»).
[37]Akt (Atto) 24 agosto 1944. GARF, 7021-115-9, pp. 103-110.
[38] GARF (Gosudarstvennyj Arkhiv Rossijskoj Federatsii, Archivio di Stato della Federazione Russa), Mosca, 7021-115-11, pp. 43-47.
[39]V. Grossman, Treblinskij ad, GARF, 7021-115-8, pp. 168-203.
[40] URSS-93 (Die Republik Polen, come sopra), p. 44. Il paragrafo su Treblinka è seguito da un capitolo intitolato “Una fabbrica di sapone con grasso umano”.
[41] Trial of the Major War Criminals Before the International Military Tribunal: Nuremberg 14 November 1945-1 October 1946, vol. XII, p. 364.
[42] Richard Law, sottosegretario di Stato al Ministero degli Esteri.
[43] Sydney Silverman, un membro del Parlamento britannico.
[44] Alexander Easterman, all’epoca segretario politico del Congresso Mondiale Ebraico, Sezione britannica.
[45] TNA, FO 371-30923 XP004257, p. 62.
[46] Sottolineato nell’originale.
[47] TNA, FO 371-30923 XP004257, pp. 64-65.
[48] TNA, FO 371-30923 XP004257, pp. 66-67.
[49] Tra i vari rimproveri che Walter Laqueur lancia alle potenze che si resero presuntamente complici della “congiura del silenzio”, c’è questo: «Che dire del Foreign Office che verso la fine del 1943 decise di cancellare ogni riferimento all’uso di camere a gas perché le testimonianze non erano degne di fede?». Il terribile segreto. La congiura del silenzio sulla “soluzione finale”. Giuntina, Firenze, 1983, p. 151.
[50] «… o inviati con le donne e i vecchi in campi di concentramento, dove ora sono sistematicamente messi a morte in camere a gas».
[51] Foreign Relations of the United States, Diplomatic papers, 1943, vol. I, p. 416; citato in: Barbara Kulaszka (a cura di), Dix Six Million Really Die? Report of the Evidence in the Canadian “False News” Trial of Ernst Zündel. Samisdat Publishers, Toronto, 1992, pp. 317-318.
[52]Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, op. cit., vol. 9, p. 274, nota 2.
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