IL FILO BIANCO
Di Vincenzo Vinciguerra
Leggo su “La Stampa” del 25 maggio scorso, un’intervista a Roberto Scarpinato, senatore del M5S ed ex magistrato, dal titolo “Un filo nero da Rauti a Meloni. I neofascisti dietro le stragi”.
Le affermazioni del senatore Scarpinato sono quasi del tutto condivisibili, dove il quasi si riferisce al passo in cui dichiara che “dopo il fascismo c’è il neofascismo…”.
Non è così.
Pur nella sua competenza, esperienza e lucidità, il senatore Scarpinato ripete un errore storico, lo stesso che ha favorito l’ascesa al governo della banda di “Fratelli d’Italia”: quello secondo cui in Italia, nel secondo dopoguerra, è esistito un neofascismo.
Nel nostro Paese – e per disgrazia di questo Paese – è esistito – ed ancora esiste – un partito che ha fatto l’esatto contrario del fascismo repubblicano che, ricordiamo, era antiborghese, anticapitalista, anticlericale.
Il Movimento sociale italiano è nato come costola della Democrazia cristiana per servire gli interessi della borghesia, difendere i capitalisti, genuflettersi dinanzi al Vaticano.
E questo hanno fatto i Michelini, gli Almirante, i Rauti, i Fini, e quanto fa e continuerà a fare Giorgia Meloni.
In quanto partito al servizio della Democrazia cristiana, dei servizi segreti militari e civili, delle Questure e delle caserme dei carabinieri, il Msi ha sfruttato cinicamente la buona fede e l’ignoranza storica ed ideologica di migliaia di italiani, presentandosi agli elettori come l’erede del fascismo che, con buona pace degli antifascisti, non ha rappresentato agli occhi degli italiani quel regno del terrore che vogliono ora presentare alle giovani generazioni.
Fedelissimi alla Patria americana, i missini si sono distinti nella lotta contro il comunismo ponendosi come forza d’urto al servizio dello Stato italiano e dei suoi alleati internazionali nella speranza di essere, un giorno, premiati per il loro impegno e chiamati a far parte dell’area governativa.
Mentre Giorgio Almirante invitava esplicitamente i suoi giovani allo scontro fisico con gli avversari politici, i militanti di Ordine nuovo rientrati nel partito nel mese di novembre del 1969, si spingevano oltre adottando lo stragismo di massa come metodo di lotta politica, per offrire ai governi in carica il pretesto per la proclamazione dello stato di emergenza, e ad uno schieramento politico-massonico-militare di attuare qualche “golpe” istituzionale con il consenso degli Stati Uniti, per fare dell’Italia una democrazia autoritaria in grado di mettere fuori legge il Partito comunista e le organizzazioni dell’estrema sinistra.
In sintonia con gli apparati di sicurezza dello Stato che, in ossequio alle direttive ricevute, lasciavano libertà d’azione agli uomini di Almirante e di Pino Rauti, i missini hanno dapprima tentato di sfruttare le stragi presentandole politicamente come eseguite da anarchici ed estremisti di sinistra, mai desistendo dal tentativo di difendere quanti venivano, via via, sul piano giudiziario indicati come esecutori materiali e organizzatori.
Dopo che Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri rilanciano a Gianfranco Fini l’invito fatto a suo tempo da Licio Gelli e Mario Tedeschi ad accantonare i riferimenti al fascismo e all’uso strumentale dei suoi simboli, i missini rinnegano tutto e si proclamano almeno ufficialmente antifascisti.
Uniti nell’infamia del passato, Giorgia Meloni e colleghi devono negare la verità ancora e poi ancora, insieme agli eredi dei partiti anticomunisti, dei servizi segreti e dei vertici delle Forze armate e, di conseguenza, difendere gli stragisti vivi e morti ai quali attribuire, sul piano mediatico, una patente d’innocenza smentita sul piano storico e giudiziario.
Nel propagandare le menzogne, Giorgia Meloni ed i suoi colleghi sono appoggiati da tanti esponenti della sinistra italiana che continuano a parlare dei “ragazzini” dei Nar, che pubblicano gli articoli di Valerio Fioravanti, che ne sostengono l’estraneità alla strage del 2 agosto 1980 a Bologna.
Se da mezzo secolo si combatte per sgretolare il muro di fango che afferma la menzogna contro la verità, oggi questo muro avanza e la battaglia si farà più aspra perché non ci sono solo giornalisti e politici da fronteggiare ma anche magistrati che, come a Bologna, tentano di riabilitare la figura di Paolo Signorelli per rilanciare la grottesca tesi dello “spontaneismo” di Fioravanti e complici.
Il sottosegretario Claudio Barbaro, scrive Roberto Scarpinato, ha fatto uscire Luigi Ciavardini e, non a caso, da due anni il Dap [Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria] a me nega la possibilità di incontrare storici, docenti universitari, giornalisti che vogliono scrivere un libro di storia, documentaristi che vogliono girare un documentario storico, mentre qui da oltre quattro anni mi impediscono di fare una semplice visita oculistica ospedaliera necessaria per procedere ad un’operazione alla cataratta.
Metodi infami e meschini che denunciano la necessità per tanti di imporre il silenzio a chi porta avanti una battaglia di verità sul piano storico.
Non è, quindi, un “filo nero” quello che collega Rauti alla Meloni ma è un passato ed un presente di menzogne e di codardia che oggi pretendono di proiettare definitivamente nel futuro.
Ci riusciranno?
Per quanto mi riguarda la risposta è una sola: no!
Opera, 5 giugno 2023
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