Non c’è dubbio che il discorso di Gesù cosiddetto “escatologico” (Matteo, capitolo 24; Marco, capitolo 13; Luca, capitolo 21) sia il brano evangelico più travisato di tutta la storia dell’esegesi biblica.
L’errore più comune è quello di riferirlo – in tutto o in parte – alla fine del mondo, agli eventi che culmineranno nel Giudizio Universale, quando invece – come ha brillantemente dimostrato mons. Francesco Spadafora – esso si riferisce esclusivamente alla fine di Gerusalemme e del suo Tempio.
Ma c’è stato anche chi, pur non vedendovi dei riferimenti alla fine del mondo, ha finito comunque per travisarne il significato che, lo ribadiamo, è legato indissolubilmente alla catastrofe dell’anno 70.
È il caso del defunto prof. Eugenio Corsini il quale, in un libro peraltro non privo di meriti – “Apocalisse prima e dopo”[1] – ha sostenuto la tesi che, nei tre sinottici, solo il discorso riportato dall’evangelista Luca può essere riferito ai fatti del 70: Matteo e Marco riporterebbero invece l’ordine di Gesù agli apostoli di abbandonare il giudaismo e le sue istituzioni quando egli sarebbe stato crocifisso.
Ma vediamo più da vicino cosa sostiene Corsini. A pagina 74 del suo libro leggiamo:
“Qualcosa di analogo si può osservare per la predizione di Gesù relativa al tempio. In Matteo e in Marco non soltanto non c’è alcun collegamento esplicito tra la predizione e i fatti del 70, ma a ben guardare non sembra neppure trattarsi di una distruzione materiale: «Non resterà pietra su pietra…». Tuttavia sia in Matteo sia in Marco il seguito del discorso sembra far consistere quella rovina in un atto di profanazione. In ogni caso, la profanazione precede un eventuale distruzione, in quanto evidentemente suppone che sia ancora esistente il tempio in cui essa si verifica. Soltanto in Luca la rovina del tempio annunziata da Gesù all’inizio del suo discorso sembra inclusa in quella di Gerusalemme che ha luogo nel 70”.
E ancora, leggiamo a pagina 79 (sottolineature mie):
“In Luca, abbiamo visto, l’invito alla fuga rivolto da Gesù è messo in relazione con i fatti del 70. Ma ciò capovolge completamente l’impostazione che troviamo in Matteo e in Marco: in essi l’apparizione del «segno» della profanazione non soltanto precede la fuga ma la determina. Essa si verifica quando il tempio esiste ancora materialmente, pur contenendo già nel suo interno «l’abominazione della desolazione», cioè la profanazione che costringe i fedeli ad abbandonarlo. Che cos’è dunque questa profanazione del tempio? È l’uccisione di Gesù, concepita, ordita e patrocinata dai capi religiosi (i Sommi Sacerdoti), che hanno la loro dimora nel tempio. È la loro presenza che lo profana e lo contamina (in Marco infatti ciò che produce la profanazione è presentato con caratteri personali). E ciò che Gesù ordina e consiglia non è la fuga da Gerusalemme assediata, ma l’abbandono del giudaismo e delle sue pratiche cultuali. La rottura con esso, lungamente evitata, pur tra aspri scontri, diventa per Gesù inevitabile e doverosa dopo la sua uccisione che egli vede già in via di preparazione”.
Quindi, secondo Corsini, l’”abominazione della desolazione” di cui parlano Matteo e Marco consiste nella presenza – una presenza profanante – nel tempio dei Sommi Sacerdoti, una volta che costoro si saranno macchiati della messa a morte di Gesù. Di qui l’invito, che Gesù rivolgerebbe ai discepoli, di (ri)fuggire dal tempio.
La spiegazione di Corsini, pur non priva di ingegnosità, è storicamente infondata. In realtà, gli apostoli e i discepoli di Gesù continuarono a frequentare il tempio non solo negli anni ma addirittura nei decenni che seguirono alla messa a morte del Maestro.
Per accertarsene basta leggere la fine del vangelo di Luca e gli Atti degli apostoli. Presento a seguire i passi da cui si desume che i cristiani continuarono a considerare il tempo quale luogo di preghiera anche dopo la morte di Gesù:
“Poi li condusse fin verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. E, mentre li benediceva, si separò da loro e veniva portato su nel cielo. Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme pieni di gioia e stavano di continuo nel tempio, lodando e benedicendo Dio” (Luca 24, 50-53).
“I fedeli intanto si tenevano uniti e avevano tutto in comune. E man mano che se ne sentiva il bisogno vendevano beni mobili e immobili e ne facevano distribuire fra tutti il ricavato. E ogni giorno frequentavano unanimi il tempio e spezzavano il pane di casa in casa, nutrendosene in esultanza e semplicità di cuore, lodando Iddio e godendo la simpatia di tutta la gente” (Atti 2, 44-47).
“Un giorno Pietro e Giovanni stavano salendo al tempio verso l’ora nona per la preghiera” (Atti 3, 1).
“Per opera degli apostoli, poi, si compivano molti miracoli e prodigi tra la cittadinanza. E i cristiani stavano di solito insieme sotto il portico di Salomone” (Atti 5, 12).
“…chiamati gli apostoli, li fecero fustigare, proibirono loro di parlare nel nome di Gesù, poi li rimisero in libertà. Essi quindi uscirono da sinedrio felici dell’onore toccato loro di essere stati oltraggiati per amore di quella persona. E ogni giorno, nel tempio e di casa in casa, non cessarono di insegnare, cioè di annunziare che Gesù era il Messia” (Atti 5, 40-42).
“Allora Paolo prese i quattro e il giorno appresso si fece nazireo e con loro entrò nel tempio per notificare la scadenza del nazireato, finché poi furono offerti per ciascuno di loro i sacrifici” (Atti 21, 26).
“Anche dopo il mio ritorno a Gerusalemme mi capitò che, pregando nel tempio, fui rapito in visione” (Atti 22, 17).
Quindi, sia il vangelo di Luca che gli Atti degli apostoli descrivono gli apostoli intenti a pregare nel tempio anche dopo la morte e la risurrezione di Gesù. In realtà, è solo dopo la catastrofe del 70 che si verificò quella separazione tra cristianesimo e giudaismo di cui parla Corsini.
Ma allora, in cosa consistette l’“abominazione della desolazione” menzionata da Matteo e da Marco?
Secondo mons. Spadafora, si trattò di un atroce fatto di sangue perpetrato nel tempio dagli Zeloti all’epoca della guerra giudaica:
“Nel 68 d. C., quando Giovanni di Giscala s’impadronì del Santuario per farne la sua fortezza, il sangue umano corse a rivi nel luogo santo; due sommi sacerdoti e una folla di nobili vittime caddero sotto il pugnale degli Zeloti. Questa profanazione era il presagio dell’imminente rovina. S. Luca pose al posto di questo segno uno equivalente più intelligibile per i suoi lettori: «Quando vedrete Gerusalemme cinta di armate…», nel 69 le legioni romane occupavano Hebron, Emmaus, Betel, e Gerico; il cerchio di ferro si chiudeva intorno alla capitale”[2].
Inoltre, sempre a proposito dell’analisi di Corsini, ci sarebbe da aggiungere che, anche in Matteo e in Marco, e non solo in Luca, c’è un riferimento preciso alla necessità della fuga da Gerusalemme assediata: la menzione delle “donne incinte o allattanti” (Matteo 24, 19; Marco 13, 17). I guai di queste ultime non cominciarono evidentemente con la crocifissione di Gesù ma con le privazioni subite dalla popolazione civile durante la guerra giudaica negli anni 66-70.
Infine, c’è un ulteriore tesi espressa da Corsini che non condivido: quella che fa coincidere la morte di Gesù con la venuta del Figlio dell’uomo sulle nubi. Leggiamo cosa scrive in proposito (pp. 79-80):
“Nella sua morte egli [Gesù] addita perciò ai suoi discepoli l’adempimento della profezia di Daniele sull’uccisione del personaggio consacrato, la profanazione del culto. Ma addita anche il compimento delle altre profezie messianiche, soprattutto quella circa la venuta del Figlio d’uomo sopra le nubi. Essa alludeva alla rivelazione del Messia nel punto del suo massimo potere, consistente nell’attuazione del giudizio di Dio sul mondo. Gesù la cita in relazione alla sua prossima morte per dire che in essa, appunto, sarà compiuto il giudizio e sarà attuata la redenzione, cioè il raduno degli eletti dai quattro venti, da tutta l’umanità”.
“Con la morte di Gesù sarà attuata la redenzione”: concordo. E “sarà compiuto il giudizio”: nego. Il giudizio di Dio sulla nazione giudaica non si è attuato al momento della morte di Gesù ma circa 40 anni dopo, quando Gerusalemme e il suo tempio sono stati distrutti dalle truppe romane.
Su un punto però Corsini ha ragione: il discorso “escatologico” di Gesù ha in comune con l’Apocalisse “qualcosa di più del semplice genere letterario, delle fonti o di certi elementi formali” (p. 80).
Dopo aver letto questa considerazione mi sono posto una domanda. La domanda in questione riguarda il fatto che il predetto discorso, nella versione offertaci da Luca (il celebre capitolo 21), ha un’anticipazione nei versetti 17, 22-37 (versetti che devono essere parimenti riferiti alla sola fine di Gerusalemme). In particolare, leggiamo cosa scrive Luca nei versetti 28-30:
“Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma nel giorno in cui Lot uscì da Sodoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti. Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si rivelerà”.
Il verbo “rivelerà” traduce il verbo greco “ἀποκαλύπτεται”. La domanda è: c’è un legame tra questo verbo e il fatto che il testo profetico del Nuovo Testamento si chiami “Apocalisse”, che vuol dire, appunto, rivelazione?
Se il legame c’è, forse allora il libro dell’Apocalisse costituisce davvero una descrizione, effettuata con i modi e le caratteristiche dello stile profetico, della venuta del Figlio dell’uomo (il castigo della nazione giudaica) preannunciata dal discorso “escatologico” di Gesù.
Da questo punto di vista, allora, i versetti di Apocalisse 6, 15-17 potrebbero costituire l’adempimento del discorso rivolto da Gesù alle donne di Gerusalemme riportato da Luca nei versetti 23, 27-31.
Confrontiamo i due testi. Apocalisse 6, 15-17:
“Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?”.
Luca, 23, 27-31:
“Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?»”.
In conclusione, invito in ogni caso a leggere il libro del prof. Corsini, sia la prima edizione del 1980, che la seconda edizione del 2002, perché, anche se le sue argomentazioni non sempre sono condivisibili, trattasi comunque di una pubblicazione di grande importanza per tutti coloro che sono interessati all’Apocalisse (e al discorso “escatologico” di Gesù).
Il prof. Eugenio Corsini
[1] Eugenio Corsini, Apocalisse prima e dopo, SEI – Società Editrice Internazionale, 1980.
[2] Francesco Spadafora, Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in San Paolo, Rovigo 1971, p. 132.
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