Vincenzo Vinciguerra: Memoria processuale inviata al giudice di Bologna in relazione alla querela per diffamazione presentata da Silvia Signorelli

MEMORIA PROCESSUALE INVIATA AL GIUDICE DI BOLOGNA IN RELAZIONE ALLA QUERELA PER DIFFAMAZIONE PRESENTATA DA SILVIA SIGNORELLI

Di Vincenzo Vinciguerra

Egr. Sig.

Giudice monocratico

II Sezione penale

Tribunale di Bologna

Bologna

Il sottoscritto, Vincenzo Vinciguerra, nato a Catania il 03.01.1949, in relazione alla querela per diffamazione presentata da Silvia Signorelli il 14.06.2021, per la quale è fissata l’udienza per la data del 05.12.2022, espone quanto segue:

Paolo Signorelli è stato dirigente nazionale di “Ordine nuovo”, organizzazione diretta da Giuseppe Rauti, detto Pino, fin dal 1954 all’interno del Movimento sociale italiano, dal quale è uscita nel 1956 per condurre, ufficialmente, politica autonoma dal partito.

In via preliminare è, di conseguenza, doveroso segnalare che “Ordine nuovo”, a partire dal 1956, si è posto a disposizione dei servizi segreti italiani, militare e civile, con i quali ha collaborato attivamente fino al 1974.

Prova ne sia che il Sismi, in coincidenza con le dichiarazioni rese dal sottoscritto ai magistrati di Bologna in data 07 agosto 1984, relative a “Ordine nuovo” e ad una dozzina di esponenti e militanti dell’organizzazione che indicava come informatori dei servizi di sicurezza, fra il 06 e il 07 agosto 1984, provvedeva a distruggere 93 documenti su 804 registrati, riferiti agli anni 1956-1960 e annotati nel registro segretissimo del cui contenuto non viene lasciata nemmeno una traccia. Altri 15 documenti risulteranno distrutti senza annotazione di data, mentre altri 64 saranno distrutti nel corso del 1985 sempre in coincidenza con le dichiarazioni rese dallo scrivente all’A. G.

Non vi sono dubbi sul fatto che la soppressione dei documenti fosse derivante da una necessità “difensiva” da parte del Sismi: ovvero cancellare le prove dei rapporti stabilitisi in quel periodo, 1956-1960, fra “Ordine nuovo” e il Servizio nel timore delle indagini della magistratura.

A conferma di questa realtà, i magistrati romani che hanno accertato i fatti, nella loro richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ammiraglio Fulvio Martini, ex direttore del Sismi, ed altri ufficiali del Servizio per le vicende connesse alla struttura denominata “Gladio”, il 15 luglio 1996, scrivono:

“Le distruzioni non sono giustificabili per il decorso di periodi di tempo prestabiliti e per oggetto. In tutto il periodo antecedente (1960-1984) vi erano stati complessivamente 51 documenti soppressi; nel periodo successivo non ve ne saranno altri…

“Si sottolinea la coincidenza temporale con il fatto che nel giugno 1984 (e poi per tutto il mese di luglio fino al 19 agosto) Vincenzo Vinciguerra aveva iniziato a rendere davanti all’Autorità giudiziaria di Venezia e Bologna le dichiarazioni circa coperture asseritamente godute dopo aver commesso la strage di Peteano che avrebbero infine portato alle richieste di esibizione del materiale relativo a Gladio”[1].

Coperture poste in essere perché era stato fino al rientro della organizzazione rautiana nel Movimento sociale italiano, reggente di Ordine nuovo a Udine ed era, ovviamente, in rapporti con Carlo Maria Maggi, ispettore triveneto di Ordine nuovo.

Ordine nuovo non era solo un’organizzazione politica come ha avuto modo di testimoniare dinnanzi al giudice istruttore veneziano Carlo Mastelloni, il generale Vittorio Emanuele Borsi di Parma il 30 dicembre 1997:

“Sapevamo – afferma l’alto ufficiale – dal Sifar dell’esistenza di un’organizzazione paramilitare di destra, chiamata Ordine nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato che aveva compiti di guerriglia e di informazione in caso di invasione. Si trattava di civili e militari che, all’emergenza, dovevano comunicare alla nostra Armata [la III con sede a Padova – Ndr] i movimenti del nemico. Si trattava di un’organizzazione tipicamente americana munita di armamento e di attrezzature radio”[2].

Il riferimento è alla struttura clandestina di “Ordine nuovo” inserita nell’organizzazione “Gladio” dal suo capo, Giuseppe Rauti detto Pino.

Presentato per decenni dalla stampa come “nazista”, Giuseppe Rauti lavora come giornalista nel quotidiano romano “Il Tempo” di stretta osservanza democristiana e a disposizione dei servizi di sicurezza.

Rauti è uno stretto collaboratore del generale Giuseppe Aloja, capo di Stato maggiore dell’Esercito, prima, e della Difesa, dopo, nonché in contatto con l’ammiraglio Eugenio Henke, direttore del Sid.

Non solo in stretti rapporti di collaborazione con i vertici delle Forze armate e i servizi di sicurezza italiani, ma Pino Rauti ed i suoi compagni erano anche legati alla Central intelligence agency.

Lo ha dichiarato, senza essere smentito, il generale Gianadelio Maletti, ex responsabile dell’ufficio “D” del Sid (sicurezza interna) dall’estate del 1971 all’autunno del 1975.

Nel corso di una intervista resa al quotidiano “La Repubblica”, pubblicata sotto il titolo “Maletti, la spia latitante. La Cia dietro quelle bombe”, il 04 agosto 2000, l’ex capo del controspionaggio militare dichiara che la “Cia voleva creare attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento a sinistra…”.

E, ancora, alla domanda del giornalista:

In che modo la Cia utilizzò Ordine nuovo?”

Maletti risponde:

“Con i suoi infiltrati e i suoi collaboratori. In varie città italiane e in alcune basi Nato: Aviano, Napoli. La Cia aveva funzioni di collegamento tra diversi gruppi di estrema destra e dettava le regole di comportamento. Fornendo anche il materiale”[3].

Una conferma viene dagli accertamenti svolti dal giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, nel corso dell’inchiesta da lui condotta sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

Salvini accerta che Carlo Digilio e Marcello Soffiati, militanti di Ordine nuovo in Veneto (a Venezia, il primo, a Verona il secondo) sono stati, rispettivamente, agenti della Cia come informatore, il primo, ed operativo, il secondo, mentre Carlo Maria Maggi, troppo esposto pubblicamente per essere inserito nel servizio americano, era un collaboratore esterno.

Non è per mera coincidenza che Carlo Digilio sia stato riconosciuto colpevole per concorso nelle stragi di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, e di Brescia, il 28 maggio 1974, per la quale ultima sono stati condannati anche Marcello Soffiati e Carlo Maria Maggi.

Non è, pertanto, fuori luogo indicare in Pino Rauti, capo di “Ordine nuovo, il referente della Cia per quanto riguarda la sua organizzazione, perché è chi comanda che si pone come l’interlocutore privilegiato dei vari Servizi segreti con i quali entra in contatto.

Difatti, è ampiamente provato in sede storica e giudiziaria il rapporto intercorso fra Pino Rauti e Yves Guerin Serac, responsabile della agenzia di stampa “Aginter presse”, con sede a Lisbona che, in realtà, occultava un servizio segreto parallelo operante in Europa, Africa ed America latina, specializzato in attività varie che andavano dallo spionaggio al sabotaggio, alla sovversione all’interno degli Stati in cui operava in stretta dipendenza dai servizi segreti americani e francesi in particolare.

Sul ruolo di “Ordine nuovo” nella storia italiana degli anni Sessanta e Settanta non ci sono dubbi di sorta perché su quello avuto da Pino Rauti e dalla sua organizzazione ci sono riscontri probatori e testimonianze convergenti.

Il 30 dicembre 1994, Carlo Maria maggi, nel corso di un colloquio investigativo, dichiara al capitano dei carabinieri, Massimo Giraudo, che “Pino Rauti era il vero gestore dei rapporti fra la Cia e destra eversiva veneta”[4].

Il 14 dicembre 1996, è Carlo Digilio che, in sede giudiziaria, a Milano, afferma che David Carret e Marcello Soffiati gli avevano indicato Pino Rauti come elemento “in contatto con la struttura Cia come informatore e fiduciario”[5].

E, ancora, su “Ordine nuovo”, in sede giudiziaria, il generale Umberto Nardini, già comandante dello Sme/Operazioni, dichiara:

“Noi sapevamo dal Sifar dell’esistenza di una organizzazione paramilitare di estrema destra, probabilmente chiamata Ordine nuovo, sorretta dai servizi di sicurezza della Nato…ma noi non avevamo rapporti con la stessa”[6].

La dichiarazione del generale Nardini, resa il 17 settembre 1996, anticipa quella del generale Vittorio Emanuele Borsi di Parma del 31 dicembre 1997, confermando la dipendenza di Pino Rauti e di Ordine nuovo dai servizi segreti americani e italiani.

Se Ordine nuovo era un’organizzazione a doppia struttura, così che quella clandestina era inserita, con funzioni informative e operative, all’interno degli organismi segreti italiani e Nato, anche coloro che militavano nella struttura ufficiale e politica non potevano non collaborare con i servizi segreti e le forze di polizia in veste di informatori e confidenti.

Il professor Angelo Ventrone in un suo saggio intitolato “La dinamite e la rivoltella, pubblicità subliminale. La strategia della tensione come ‘messa in scena’”, riporta, a p. 15, quanto accertato dal professor Aldo Giannuli, nel corso della perizia svolta per la procura della Repubblica di Brescia sulla strage del 28 maggio 1974 a piazza della Loggia, sulla quantità e la qualità dei confidenti di Ordine nuovo.

“Un confidente dei carabinieri…uno della Guardia di finanza, un ufficiale del Sios-Esercito…un confidente del servizio segreto tedesco, quattro informatori della Cia, tre informatori dell’ufficio Affari riservati, nove tra confidenti del Sifar/Sid…e due persone in contatto con elementi del Sifar/Sid e della Cia. Senza contare i contatti con il Sifar del leader nazionale Pino Rauti”[7].

Il professor Aldo Giannuli, nella sua perizia per l’autorità giudiziaria di Brescia, segnala ben 22 nominativi di confidenti ordinovisti a disposizione dei servizi segreti italiani e stranieri, ma il loro numero è di gran lunga maggiore.

Ne ricordiamo alcuni:

Armando Mortilla, segretario personale di Pino Rauti, confidente del Sid e della divisione Affari riservati del ministero degli Interni, con il criptonimo “Aristo”;

Gianni Casalini, a Padova, informatore del Sid con il criptonimo “Turco”;

Maurizio Tramonte, informatore del Sid, a Padova, con il criptonimo “Tritone”, condannato con sentenza passata in giudicato per la strage di Brescia del 28 maggio 1974;

Giancarlo Montavoci, guardaspalle di Carlo Maria Maggi, confidente del Sid, a Venezia, con il criptonimo “Mambo”;
Carlo Digilio, agente informatore della Cia e confidente del Sid, a Venezia, con il criptonimo “Erodoto”;

Marcello Soffiati, agente operativo della Cia e informatore del Sisde, a Verona, con il criptonimo Eolo”;

Manlio Portolan, reggente di Ordine nuovo a Trieste, informatore del locale Centro di controspionaggio insieme al padre Filippo;

Delfo Zorzi, informatore della divisione Affari riservati del ministero degli Interni, a Mestre;

Cesare Turco, informatore della divisione Affari riservati, a Udine;

Lino Franco, agente della Cia con funzioni di capo-rete a Vittorio Veneto;

Nico Azzi, militante del gruppo “La Fenice” di Milano, informatore del Sid per sua stessa ammissione;

Giancarlo Rognoni, responsabile del gruppo “La Fenice”, informatore del Centro di controspionaggio di Milano dal 1967;

Aldo Tisei, militante del gruppo “Drieu La Rochelle” di Tivoli (Roma), diretto da Paolo Signorelli, confidente dei carabinieri;

Sergio Calore, militante del gruppo “Drieu La Rochelle” di Tivoli (Roma), diretto da Paolo Signorelli, confidente dei carabinieri;

Fabio e Alfredo De Felice, a Roma, informatori dei servizi segreti e dei carabinieri;

Massimiliano Fachini, informatore, a Padova, del Sid;

Caterino Falzari, informatore del Sid, a Cattolica.

Sono solo alcuni dei nomi di persone che hanno prestato il loro servizio ai servizi segreti e alle forze di polizia.

Persone con le quali Paolo Signorelli ha avuto, in buona parte, ottimi rapporti per anni.

Non si è mai accorto di nulla?

Paolo Signorelli aveva sottoscritto la scheda di adesione ad Ordine nuovo e non aveva notato nulla di strano, di singolare nelle domande che venivano poste ai richiedenti l’iscrizione?

Scrive lo storico Aldo Giannuli, nel suo libro “Storia di Ordine nuovo”, che l’ispettore di Ps, Michele Cacioppo, “svolgendo attività di riscontro alle dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra” secondo il quale la scheda di adesione ad Ordine nuovo rappresentava “la smentita plateale alle affermazioni sull’organizzazione politico-culturale di Ordine nuovo”, ha trovato pieno riscontro alle stesse:

“Dall’esame del documento [la scheda di adesione – Ndr] si rileva che i vertici del movimento ‘culturale’ Ordine nuovo tra le altre cose, risultavano interessati a conoscere:

L’orientamento politico del datore di lavoro…;

il possesso della patente d’auto, di moto, di nautica o il brevetto aeronautico, il possesso di autovettura, moto, imbarcazioni e velivoli; in caso affermativo il tipo e la targa;

il possesso della patente di caccia o porto d’armi;

il possesso del passaporto e per quali Paesi;

il possesso di conoscenze utilizzabili ai fini del “Cca”;

se pratica sport e presso quali associazioni, in quali orari, l’orientamento politico dell’associazione;

se aveva assolto obblighi militari, con quale grado e specializzazione;

se era appartenuto alle Forze armate prima o dopo l’8 settembre 1943;

in quali Reparti, a quali campagne di guerra aveva partecipato, se aveva riportato ferite e ricevute decorazioni;

se apparteneva a Associazioni d’Arma;

se si possedevano conoscenze in ambienti militari (Maggi scrive: ‘Sì, a Verona’”. Storia di Ordine nuovo – pp. 12-13)[8].

La scheda di adesione costituiva un primo esame per valutare la possibilità d’impiego dei richiedenti in campi che di culturale e politico nulla avevano a che fare.

Il dirigente nazionale di Ordine nuovo, Paolo Signorelli, non ha mai compreso gli scopi di una scheda di adesione alla sua organizzazione così compilata?

La premessa si è resa necessaria per illustrare cosa sia stato Ordine nuovo alle dipendenze di Giuseppe Rauti, detto Pino.

La premessa non si basa su opinioni ma su fatti accertati sul piano giudiziario, con sentenze passate in giudicato, sorretti da documenti ufficiali provenienti anche dagli archivi dei servizi segreti italiani e dalle forze di polizia che restituiscono l’immagine di Ordine nuovo per quella che l’organizzazione di Pino Rauti è stata nella realtà: una struttura che, dal 1956, si è posta al servizio dello Stato partecipando attivamente alla “strategia della tensione” con la complicità e le coperture offerte dai servizi segreti italiani ed esteri con i quali collaborava.

La realtà di Ordine nuovo, ora sommariamente descritta, è sconosciuta, almeno in apparenza, alla procura della Repubblica di Bologna che mi contesta di aver riaffermato i rapporti di Paolo Signorelli con i servizi segreti il 04 giugno 2021 nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte di assise di Bologna.

Paolo Signorelli, però, non è stato un semplice aderente ad Ordine nuovo nel quale ha militato a Forlimpopoli o a Canicattì, viceversa è stato un dirigente nazionale dell’organizzazione, all’interno della quale ha svolto attività per alcuni decenni a Roma, in stretto contatto, fin dagli esordi, con Pino Rauti.

Appare, pertanto, singolare la pretesa che Paolo Signorelli sia stato il solo ed unico esponente nazionale di Ordine nuovo a non rendersi conto, a partire dagli esordi del gruppo – dalla fine degli anni Cinquanta per intenderci – che la sua organizzazione ed il suo capo erano in rapporti di collaborazione con istituzioni militari, ufficiali e segrete, italiane ed estere.

Paolo Signorelli non avrebbe mai saputo che Pino Rauti collaborava con il capo di Stato maggiore dell’Esercito e, poi, della Difesa, generale Giuseppe Aloja, con il direttore del Sid, ammiraglio Eugenio Henke, che ha partecipato al convegno dell’Istituto “A. Pollio”, svoltosi a Roma nel mese di maggio del 1965, su invito dell’ufficio di guerra psicologica del Sifar, che ha preso parte alla “guerra dei generali” (Aloja e De Lorenzo) scrivendo con Guido Giannettini e Edgardo Beltrametti il libello “Le mani rosse sulle Forze armate”?

Paolo Signorelli lavorava a fianco di Pino Rauti e, di conseguenza, è pacificamente esclusa l’ipotesi che egli nulla avrebbe mai saputo e, ancora meno, compreso di quanto faceva Pino Rauti e di cosa rappresentasse la sua organizzazione, impegnata ad agire di concerto con i servizi di sicurezza italiani e stranieri allo scopo di creare “uno Stato forte contro la sovversione rossa”.

Collaborare, in veste di informatori, con l’Arma dei carabinieri e i servizi segreti militari e civili non è un reato e, di conseguenza, nessun beneficio ulteriore potevano trarre i “collaboratori di giustizia”, Aldo Tisei e Sergio Calore, fedelissimi allievi di Paolo Signorelli nell’indicare costui come la persona che li aveva indotti a passare informazioni sulla sinistra ai carabinieri.

I due pentiti, in sede giudiziaria, indicano fatti, circostanze e fanno i nomi degli ufficiali con i quali, su richiesta di Paolo Signorelli, hanno lavorato: il maggiore Sergio Vecchione, il capitano Sandro Spagnoli, il capitano Marzacchera.

Il maggiore Sergio Vecchione sarà arrestato, a Roma, il 19 febbraio 1982, e scarcerato il 26 febbraio dopo aver ammesso di aver avuto come proprio confidente Aldo Tisei.

Fare i confidenti e utilizzare confidenti non è penalmente rilevante e così, in mancanza di fatti-reato, il rapporto fra Paolo Signorelli, Aldo Tisei, Sergio Calore ed i carabinieri di Tivoli passa nel dimenticatoio della giustizia, non in quello della storia.

Nessun intento calunnioso ha mosso i due ex fedelissimi di Paolo Signorelli a segnalare ai giudici il suo ed il loro rapporto con i carabinieri, anzi Sergio Calore giustificherà, in sede dibattimentale, tale collaborazione affermando che, “nel momento in cui si parlava della possibilità di partecipare ad operazioni di tipo golpista non è che poi uno si doveva scandalizzare più di tanto se esistevano rapporti con esponenti dell’Arma dei carabinieri”.

Giusta osservazione, quella di Sergio Calore.

Perché se in Italia, a partire dal 1960 e fino a tutto il 1974, si sono progettate azioni golpiste alle quali tutta l’estrema destra ha fervidamente partecipato, il rapporto con le forze militari e di polizia, prima l’Arma dei carabinieri, che dovevano attuarle rientrava nella logica e nella necessità dell’operazione.

Sull’attendibilità, su punto, di Sergio Calore i magistrati bolognesi non nutrirono alcun dubbio e, nelle loro motivazioni, scrivono:

“Sergio Calore ha poi riferito d’aver appreso, in carcere, a Novara, da Franco Freda di come costui avesse saputo da Guido Giannettini che il Signorelli per conto del Sid aveva effettuato schedature di ufficiali dei reparti operativi dell’Esercito operanti nel settore Nord-Est. Il Giannettini aveva riferito ciò per sottolineare come il Signorelli fosse stimato negli ambienti del Sid.

“La notizia doppiamente ‘de relato’, non sarebbe in sé utilizzabile – scrivono i giudici – se dell’attività di schedatura di ufficiali da parte del Signorelli non vi fosse in atti un irresistibile riscontro documentale.

“Il 28 agosto 1980, nel corso di una perquisizione effettuata nella abitazione dell’imputato, in Roma, veniva sequestrato, tra l’altro, un appunto manoscritto redatto in codice. Una volta decriptato, l’appunto risultò essere un elenco di alti ufficiali dell’Arma, con l’indicazione dei reparti di appartenenza.

“Si è visto come il Signorelli, in dibattimento, a contestazione dell’appunto, si sia prima difeso – secondo un non edificante paradigma giudiziario – sostenendo che si trattava di un assemblaggio di numeri o di un fotomontaggio, e come solo alla ripresa dell’interrogatorio, due giorni più tardi, ‘re melius perpensa’, abbia ritenuto bene modificare tale linea non essendo peraltro riuscito ad escogitare nulla di meglio della tesi secondo cui si sarebbe trattato di un elenco – da lui manoscritto – di ‘provocatori’ spacciantisi per ‘camerati’.

“L’uso del codice cifrato sarebbe valso ad evitare che eventuali occhi indiscreti, quali quelli dei domestici, potessero cogliere il contenuto dell’appunto. Nella medesima occasione di cui si è detto, al Signorelli fu sequestrato anche un altro biglietto, recante, a chiare lettere e senza l’uso di codici cifrati, in forma dattiloscritta, i nominativi di quattro ufficiali con l’indicazione per tre di essi, dei reparti di appartenenza. Si trattava, in questo caso, di ufficiali di Artiglieria…Non si è premurato il prevenuto di spiegare come e perché l’appunto fosse finito nella sua abitazione”[9].

La necessità di Paolo Signorelli di spiegare, dopo due giorni, la presenza nella sua abitazione di un elenco di alti ufficiali dei carabinieri con il fatto che si trattava di “provocatori” nei confronti dei “camerati” si commenta da sola, così come la mancata spiegazione sui nomi di altri quattro ufficiali dell’Esercito in suo possesso, perché evidentemente il personaggio non vuole – e non può – ammettere la sua collaborazione con l’Arma dei carabinieri ed il servizio segreto militare di cui è stato, con buone probabilità, molto più di un semplice informatore.

I rapporti di Signorelli con il Sid sono confermati, in sede giudiziaria, anche da Paolo Aleandri il quale ricorda che

“nell’estate del 1978, mentre mi trovavo nella casa di Incardona a Trabia, il giorno successivo al rilascio dall’Ucciardone dove ero stato portato per un’accusa di rissa, sopraggiunse una persona…la quale chiese del Signorelli. Mi disse che aveva saputo del mio arresto e che lavorava all’Ucciardone. Nell’attesa di Signorelli mi pose domande sulla mia collocazione politica ed altre richieste di natura riservata. Quando sopraggiunsero Signorelli e la moglie, li vidi entrambi sbiancare in volto per l’evidente disagio che dava loro la presenza di quello sconosciuto in casa tanto che si allontanarono precipitosamente con lui da casa.

“Quando successivamente chiesi al Signorelli di chi si trattasse questi mi disse che era persona interna ai servizi e che si trovava in Sicilia per svolgere indagini circa probabili sequestri che gruppi di destra potevano aver progettato in Sicilia.

“Signorelli mi spiegò di essere stato aiutato da questo uomo dei servizi quando molti anni prima era stato arrestato e sua moglie era riuscita ad avere rapporti con lui ed aveva risolto una serie di problemi legati alla sua detenzione. Mi disse che fu proprio lo sconosciuto a presentarsi alla moglie e a mettersi a sua disposizione. Ciò ovviamente avvenne a Roma”[10].

Non risulta che ad altri sia accaduto che un agente del Sid si sia presentato, di sua spontanea volontà, a casa per offrire il proprio aiuto disinteressato.

Se ne deve ricavare la certezza che Paolo Signorelli è stato un personaggio particolarmente fortunato o, con aderenza alla realtà, che il servizio segreto militare non abbandona i propri confidenti ed interviene per proteggerli.

Il rapporto di fiducia con il Sid da parte di Paolo Signorelli e di altri esponenti e militanti di Ordine nuovo si ricava anche dalla loro partecipazione alla riunione svoltasi a Cattolica dal 28 febbraio al 03 marzo 1974.

Scriverà in proposito il giudice istruttore bolognese, Vito Zincani:

“Il titolare della pensione Giada, Caterino Falzari, era infatti un collaboratore dei servizi segreti italiani e, comunque, di questa sua qualità si sono dichiarati a conoscenza i promotori della riunione. Ora è perlomeno insolito che i dirigenti di un movimento illegale scelgano, quale luogo di riunione, proprio quello in cui sanno di poter essere sorvegliati…Resta la sola spiegazione che quello fosse l’unico posto sicuro ove operare fidando di opportune coperture”.

Un posto talmente sicuro, la pensione “Giada” a Cattolica, diretto da un confidente del Sid che Pietro Benvenuto, invitato alla riunione da Paolo Signorelli e Clemente Graziani, riferisce ai magistrati di Bologna, il 17 marzo 1986, che, in quella occasione, “nel corso di un colloquio riservato Graziani e Signorelli ci proposero di compiere un attentato dimostrativo contro la casa natale di Taviani, situata a Bavari nell’immediato retroterra genovese”[11].

Benvenuto riferisce che lui e il suo amico Torriglia “non accettammo tale proposta e ripartimmo immediatamente per Genova”.

La fiducia di Paolo Signorelli (e dei suoi amici) nel Sid era totale se si permetteva di richiedere ad un militante dell’organizzazione di compiere un attentato contro la casa natale del ministro degli Interni in carica, Paolo Emilio Taviani.

Certo, si potrà anche affermare che, come nel caso di Pino Rauti, anche nel caso di Clemente Graziani, Paolo Signorelli ignorasse la sua contiguità con i servizi segreti, provata anche dal fatto che costui [Graziani], dopo che si era dato alla latitanza, non era stato nemmeno inserito nel bollettino delle ricerche da parte del ministero degli Interni, così come il governo italiano non risulta che abbia richiesto la sua estradizione dal Paraguay, congiuntamente a quella del veronese Elio Massagrande.

Signorelli riteneva costoro rivoluzionari, “nazionalrivoluzionari” per l’esattezza, che combattevano contro il regime “corrotto e corruttore” per “tutto distruggere e tutto ricostruire”?

Era, parimenti, convinto, Paolo Signorelli, che anche Giancarlo Rognoni, militante del Movimento sociale italiano mai espulso dal partito, inserito però in Ordine nuovo e capo del gruppo milanese de “La Fenice”, fosse della stessa tempra rivoluzionari di Rauti, Graziani, Falzari ecc. ecc.

Nella sua ingenuità, il “nazionalrivoluzionario” Paolo Signorelli era il capo di Giancarlo Rognoni.

“E il superiore gerarchico di Rognoni, capogruppo locale per Milano, era per ammissione dello stesso Rognoni (cfr. int. al G. I. di Bologna, 21.10.1985…) appunto il prof. Paolo Signorelli”[12], scrive il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, nella sua ordinanza del 18 marzo 1995.

Giancarlo Rognoni, condannato con sentenza passata in giudicato per la mancata strage sul direttissimo “Torino-Roma” del 07 aprile 1973, aveva nella sua agenda quattro utenze telefoniche dei carabinieri, una delle quali era in uso al maresciallo Chiari, in forza al Centro di controspionaggio di Milano con il quale collaborava dal 1967.

Giancarlo Rognoni, Nico Azzi e tutti i componenti del gruppo “La Fenice” erano di casa nella caserma dei carabinieri di via Moscova a Milano, per loro stessa ammissione.

Il loro capo, Paolo Signorelli, ignorava questa realtà?

Pare di no, perché con la sua ordinanza del 18 marzo 1995, il giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, rinvia a giudizio Paolo Signorelli, in concorso con Sergio Calore e Giancarlo Rognoni, “per avere in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo [disegno] criminoso, detenuto e portato in luogo pubblico numerose bombe a mano mod. SRCM. Bombe a mano costituenti la dotazione del gruppo La Fenice di Milano, poi trasportate a Roma a seguito dei fatti del 12.4.1973, durante i quali fu ucciso l’agente di polizia Antonio Marino e consegnate a Signorelli Paolo, dirigente del parallelo gruppo “Drieu La Rochelle” di Tivoli, facente parte anch’esso dell’area di Ordine nuovo, 38 delle quali affidate personalmente da Signorelli a Calore affinché costituissero la stabile dotazione del gruppo di Tivoli e fossero usate in attentati dimostrativi…” (Ord. Cit. – p. 7).

Il passaggio delle bombe a mano da Rognoni a Signorelli avviene dopo il tentativo di strage compiuto materialmente da Nico Azzi, confidente del Sid per sua stessa ammissione, il 07 aprile 1973, e l’omicidio dell’agente di Ps, Antonio Marino, a Milano, il 12 aprile 1973, fatti per i quali il capo del gruppo “Drieu La Rochelle” non si è sorpreso tanto da accettare le bombe a mano dei suoi subalterni milanesi per usarle, se del caso, a Roma.

Come capo di Giancarlo Rognoni e dei suoi colleghi che nulla sapeva, niente capiva e ancor meno vedeva, Paolo Signorelli non è stato imputato per concorso nella strage del treno “Torino-Roma” del 07 aprile 1973, ma solo (si fa per dire) per le bombe a mano ricevute da Rognoni.

C’è da aggiungere che il Signorelli sarà prosciolto per prescrizione di reato dalla Corte di assise. Sarà cioè riconosciuto colpevole ma non punibile per il tempo decorso, particolare che Silvia Signorelli e il suo legale si dimenticano opportunamente di segnalare nelle loro querele.

Rimane il fatto che Paolo Signorelli, subalterno di Pino Rauti legato al Sid, è stato, a sua volta, superiore gerarchico di Giancarlo Rognoni, legato al Centro di controspionaggio di Milano.

Non si è accorto di nulla?

Paolo Signorelli non ha mai saputo che i suoi subalterni di Milano dividevano il loro tempo fra il comando dei carabinieri di via Moscova e la sede del Centro di controspionaggio?

Si può anche ritenere che nulla, il Signorelli, abbia mai saputo, se si crede alle favole, beninteso.

Lo scrivente, oltre alle notizie raccolte in anni di attività politica in Ordine nuovo, prima, e Avanguardia nazionale, dopo, ha avuto modo di riscontrare personalmente il rapporto intercorso fra Paolo Signorelli, i carabinieri e il Sid.

Paolo Signorelli conosceva la responsabilità di Carlo Cicuttini nell’attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972, come “telefonista”, perché era stato chi scrive ad affidarlo, a Padova, a Massimiliano Fachini la sera del 06 ottobre 1972, dopo il fallito dirottamento aereo di Ronchi dei legionari nel corso del quale perse la vita Ivano Boccaccio, che lo condusse a Roma, da Paolo Signorelli che, a sua volta, lo indirizzò a Mauro Meli, a Genova, che gli diede l’indirizzo di Luis Garcia Rodriguez a Barcellona (Spagna) dove il Cicuttini giunse il 07 ottobre 1972 per iniziare la sua latitanza.

Il depistaggio delle indagini sull’attentato di Peteano, compiuto dalle forze di polizia (Guardia di finanza, Pubblica sicurezza, Arma dei carabinieri) e servizi segreti militari e civili è stato provato dopo – e per – la propria assunzione di responsabilità il 28 giugno 1984.

Il depistaggio, materialmente attuato dall’Arma dei carabinieri, era finalizzato a coprire la matrice politica dell’attentato nel quale era coinvolto lo scrivente, già reggente di Ordine nuovo di Udine, e Carlo Cicuttini, segretario federale del Msi a Manzano del Friuli.

Nel mese di febbraio del 1973, da Cesare Turco lo scrivente apprende che Paolo Signorelli propone l’eliminazione fisica di Carlo Cicuttini che, per essere stato il ‘telefonista’, rappresenta un pericolo che deve essere sventato, non potendo negare in caso di arresto la sua responsabilità.

Lo scrivente aveva parlato dell’episodio a p. 16 di “Ergastolo per la libertà”, libro pubblicato nel mese di ottobre del 1989 e uscito nelle librerie il mese successivo.

Nel ricordare un incontro avuto con Paolo Signorelli il 31 marzo 1974, a Roma, lo scrivente proseguiva:

“Paolo Signorelli l’avevo visto un anno prima sempre a Roma, dove mi ero recato per chiedergli conto di quanto mi era stato riferito sulle sue intenzioni di trovare una “soluzione rivoluzionaria”, così la chiamava, per la persona che aveva telefonato ai carabinieri di Peteano. Gli avevo ricordato che il responsabile ero io e che non accettavo minimamente la possibilità che si procedesse all’eliminazione fisica di quella persona, per la quale rispondevo io e nessun altro…”[13].

Nel libro, lo scrivente non faceva il nome di Carlo Cicuttini perché la sentenza non era ancora passata in giudicato e, pertanto, manteneva nei suoi confronti il massimo riserbo avendone affermato in Corte di assise l’estraneità al fatto.

Paolo Signorelli sapeva, però, perfettamente a chi si riferiva e ha taciuto.

Non hanno letto il libro, lui e la figlia Silvia? Può essere.

È indubbio, però, che Paolo Signorelli, se non sua figlia Silvia, ha letto con molta attenzione l’ordinanza di rinvio a giudizio emessa dal giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, il 18 marzo 1995, che lo rinviava a giudizio per aver preso da Giancarlo Rognoni le bombe a mano del gruppo “La Fenice”.

A p. 88 dell’ordinanza, Signorelli ha quindi avuto tempo e agio per leggere quanto lo scrivente aveva dichiarato il 30 novembre 1991, in sede giudiziaria.

Passata in giudicato la sentenza di condanna emessa dalla Corte di assise di Venezia, il 25 luglio 1987, confermata in secondo grado, con sentenza della Corte di cassazione del 30 gennaio 1990, non aveva, lo scrivente, motivi per tacere il nome di Carlo Cicuttini, per il quale la possibilità di una revisione del processo era preclusa non potendosi egli sottoporre a perizia fonica.

Il 30 novembre 1991, pertanto, lo scrivente dichiarava:

“Fu Cesare Turco che viveva a Udine ma studiava a Roma e quindi era un po’ un elemento di collegamento e di diffusione di notizie, a dirmi che Signorelli stava progettando l’eliminazione fisica di Carlo Cicuttini spacciandola per “soluzione rivoluzionaria” in quanto era a conoscenza della responsabilità di Cicuttini per Peteano e anche che se Cicuttini fosse rientrato in Italia, una perizia fonica sulla voce registrata con la telefonata lo avrebbe inchiodato alla sua responsabilità.

“Signorelli aveva avuto voce che Cicuttini fosse in qualche modo intenzionato a rientrare in Italia, almeno a dire dello stesso Signorelli, e temeva che una evidenziazione delle responsabilità di Ordine nuovo per l’attentato di Peteano potesse danneggiare pesantemente la strategia di Paolo Signorelli che poggiava anche sull’accordo fra destre e forze militari e, in particolare, i carabinieri.

“Preciso che non fu solo Turco a raccontarmi del progetto di Paolo Signorelli, ma anche in un successivo periodo, nell’aprile del 1974, in Spagna, Delle Chiaie me lo confermò, e anche lo stesso Cicuttini.

“Appreso questo progetto da Turco mi recai subito a Roma con la macchina assieme ad un amico e presi un appuntamento con Signorelli. Questi ammise che il progetto c’era e che secondo lui era necessario perché, sempre secondo lui, se Cicuttini fosse rientrato in Italia sarebbe stato un pericolo per la sicurezza di tutti. Io gli risposi che era un progetto inammissibile e che comunque, come Cicuttini aveva obbedito ad un ordine mio, che ero reggente a Udine, così solo io potevo eventualmente decidere una cosa del genere se avessi avuta la prova certa che Cicuttini voleva effettivamente rientrare in Italia.

“Signorelli ammise che avevo ragione.

“Sull’episodio faccio notare come il progetto di Paolo Signorelli maturi poche settimane prima che i Carabinieri procedano all’arresto dei sette cittadini goriziani incolpandoli dell’attentato di Peteano. Personalmente ritengo che non si tratti di una mera coincidenza temporale, anche perché i Carabinieri nulla potevano avere contro quelle persone”[14].

Paolo Signorelli l’ordinanza del giudice istruttore milanese, Guido Salvini, la legge attentamente perché è imputato ma, sul punto, non ha nulla da dire.

A distanza di 49 anni dal fatto, di 33 anni dalla pubblicazione di “Ergastolo per la libertà”, di 31 anni dalle dichiarazioni dello scrivente in sede giudiziaria, di 27 anni dalla pubblicazione dell’ordinanza del giudice istruttore milanese, Guido Salvini, Silvia Signorelli ritiene diffamatoria la narrazione di un episodio sul quale il padre ha prudentemente sorvolato scegliendo di tacere perché altro non poteva fare.

Non è stata, giusto rilevarlo, una coincidenza che Paolo Signorelli abbia progettato l’omicidio di Carlo Cicuttini nello stesso periodo di tempo in cui il colonnello Dino Mingarelli, comandante della Legione carabinieri di Udine, in ottemperanza agli ordini impartitigli dal comandante generale dell’Arma, generale Corrado Sangiorgio, consegnava alla procura della Repubblica di Gorizia il rapporto con il quale si accusavano falsamente sette cittadini goriziani di aver compiuto l’attentato di Peteano di Sagrado il 31 maggio 1972.

La morte di Carlo Cicuttini avrebbe, difatti, reso impossibile l’accertamento della verità, costituendo la voce dello stesso la sola prova della matrice politica dell’attentato.

Gli stretti legami intercorrenti fra Paolo Signorelli e l’Arma dei carabinieri e il Sid giustificano il sospetto che l’idea di uccidere Carlo Cicuttini gli sia stata suggerita da qualche suo interlocutore nell’Arma o nel Sid.

E quanto fossero stretti questi legami di Paolo Signorelli con carabinieri e spie, lo scrivente ne ha avuta la prova proprio in occasione dell’incontro avuto con lui a Roma in quella circostanza, riferendone successivamente in sede giudiziaria.

“In occasione dell’incontro con Signorelli a Roma a seguito del quale il capo di Ordine nuovo – scrive il giudice istruttore Guido Salvini nell’ordinanza citata a p. 88 – aveva desistito dal progetto di eliminare Cicuttini, Vincenzo Vinciguerra aveva informato Signorelli del tentativo di un certo capitano Gatti, presentatosi come Carabiniere ma probabilmente in servizio presso il S. I. D., di prendere contatti con Cesare Turco al fine di stabilire un rapporto informativo. Il discorso fra Vinciguerra e Signorelli era quindi caduto sui nomi conosciuti degli ufficiali dei Carabinieri per verificare se Signorelli conoscesse il capitano Gatti o sedicente tale. Signorelli pur affermando di non conoscere il Gatti aveva allora sciorinato a Vinciguerra una dozzina di nomi di ufficiali dei carabinieri in servizio presso il S. I. D. dimostrando così di avere in quell’ambiente non poche conoscenze”[15].

In questo caso, la narrazione del giudice istruttore, Guido Salvini, è parzialmente inesatta perché, in realtà, lo scrivente non ricordava il nome del capitano dei carabinieri che aveva preso contatto, tramite un suo confidente, con Cesare Turco al quale aveva fatto dare un numero telefonico per contattarlo al comando della divisione di fanteria “Mantova”, se ben ricorda.

In ragione di questo vuoto di memoria, Paolo Signorelli gli aveva fatto i nomi di una dozzina di ufficiali del Sid in servizio in Friuli-Venezia-Giulia.

Per anni lo scrivente si è chiesto come facesse Paolo Signorelli, residente a Roma, a conoscere i nomi di una dozzina di ufficiali del Sid in servizio in Friuli-Venezia-Giulia, fino al giorno in cui, nel corso delle sue ricerche storiche, si è imbattuto nelle dichiarazioni di Sergio Calore, fedelissimo di Paolo Signorelli e poi “pentito”, in Corte di assise a Bari, il 06 maggio 1985, sulla “funzione informativa” svolta da Signorelli sul conto di “ufficiali del settore Nord-Est” per conto del Sid.

È apparsa evidente, a quel punto, la ragione per la quale Paolo Signorelli conoscesse i nomi di una dozzina di ufficiali del Sid operanti in Friuli-Venezia-Giulia perché la sua attività informativa sul conto di ufficiali in servizio in quell’area poteva averla svolta solo in collaborazione e, comunque, con il supporto di ufficiali del servizio segreto militare residenti sul posto.

È lecito, pertanto, il dubbio già dallo scrivente espresso in varie occasioni sul fatto che Paolo Signorelli sia stato qualcosa di più di un semplice informatore del servizio segreto militare o dell’Arma dei carabinieri, un agente civile alla stregua di Guido Giannettini e Lando Dell’Amico, per fare due esempi.

Non ha compreso, lo scrivente, se il pubblico ministero gli contesti anche gli affermati rapporti fra Paolo Signorelli e Valerio Fioravanti ma, nel dubbio, ricorda quanto segue:

il 20 dicembre 1980, a Roma, al giudice istruttore, Paolo Signorelli dichiara:

“Fioravanti venne varie volte a mangiare a casa mia, spesso auto-invitandosi. In un’occasione portò con sé Marco Maria Massimi. Se non sbaglio tale cena fu antecedente la scarcerazione di Calore. Dopo tale cena non si fece più vedere a casa mia, ma continuai a vederlo nella zona di Vigna Clara”[16].

La conferma viene da un fedelissimo di Paolo Signorelli, Aldo Tisei che, il 20 dicembre 1984, ai magistrati di Bologna, dichiara:

“…A Pisa, nel 1978, conobbi Valerio Fioravanti il quale mi disse che all’epoca era in contatto con Paolo Signorelli con il quale aveva ‘un notevole rapporto e ne frequentava la casa’”[17].

Il 07 maggio 1983, è un pentito che aveva agito sotto la sigla “Nar”, Walter Sordi, a dichiarare in sede giudiziaria:

“Io sapevo che Valerio Fioravanti aveva rapporti personali e politici con personaggi del M. R. P., come ad esempio Signorelli e Calore…”[18].

Sergio Calore, braccio destro di Paolo Signorelli a Tivoli, ha agito insieme a Valerio Fioravanti. Lo ha fatto all’insaputa del capo?

Difficile crederlo.

Il gruppo dirigente di “Costruiamo l’azione”, del Movimento rivoluzionario popolare, le Comunità organiche di popolo era costituito dai fratelli Fabio e Alfredo De Felice, Massimiliano Fachini, Aldo Semerari e Paolo Signorelli, come accertato in sede giudiziaria e politica.

I rapporti con i servizi segreti militari e civili dei fratelli De Felice, Semerari e Fachini sono provati al di là di ogni ragionevole dubbio.

Solo Paolo Signorelli sarebbe stato ignaro ed estraneo a questi rapporti?

Non lo era, come la verità esige.

Dal 1977, a Roma, è stata attuata una strategia che richiamava i metodi e gli obbiettivi di quella della “tensione”, con attentati rivendicati con un linguaggio di sinistra (quelli compiuti dal Mrp con a capo Paolo Signorelli, Massimiliano Fachini), infiltrazioni a sinistra (vedi Egidio Giuliani in ottimi rapporti con Paolo Signorelli) e quanto altro poteva determinare disordine e destabilizzazione.

In una realtà siffatta, Paolo Signorelli ha rivestito un ruolo preminente certificato dalla condanna che gli è stata inflitta a Roma per associazione sovversiva e banda armata, divenuta irrevocabile il 12 ottobre 1993.

L’eversione di Stato non è oggetto di analisi in questa memoria, pertanto lo scrivente si limita ora ad osservare che Silvia Signorelli ritiene diffamatoria l’accusa che il sottoscritto lancia al padre di essere stato un collaboratore dei servizi segreti, ma il suo legale non l’ha informata che egli non è il solo a sostenerla.

Nelle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di assise di Bologna l’11 luglio 1988, che aveva visto Paolo Signorelli condannato per banda armata, i giudici scrivono che costui era “da data remota collegato ad ambienti militari e di sicurezza”, e non esitano a definirlo “apprezzato collaboratore del Sid”[19].

Nelle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di assise di Bologna il 07 gennaio 2021, i giudici non esitano, a p. 918, a definire Paolo Signorelli “inequivocabile e proficuo collaboratore dei Servizi”[20].

La legge non vieta di denunciare e/o querelare i magistrati, ma sia Silvia Signorelli che il suo legale sanno perfettamente che il giudizio della magistratura bolognese sul conto di Paolo Signorelli quale “apprezzato” e “proficuo” collaboratore dei servizi segreti non scaturisce dalle dichiarazioni dello scrivente, ma da un complesso, impressionante per quantità e qualità di testimonianze ed elementi probatori che rendono vana la speranza della figlia di ripulire l’immagine del padre.

Paolo Signorelli, per la magistratura e la storia, resterà sempre un dirigente nazionale di Ordine nuovo che, alla pari di Pino Rauti, Carlo Maria Maggi, Giancarlo Rognoni e tanti altri, ha sempre collaborato con i servizi di sicurezza e le forze di polizia per opporsi all’avanzata elettorale del Partito comunista italiano, ritenuto la “quinta colonna sovietica” in Italia.

Svanita l’immagine dell’organizzazione “nazista”, Ordine nuovo appare oggi per quella che è stata: una diversione strategica che fingendosi oppositrice del regime si è posta, occultamente, al servizio dello Stato e dei suoi apparati di sicurezza, non rifuggendo dalla collaborazione con servizi segreti esteri come la Central intelligence agency, l’Aginter presse, la Pide portoghese, fra gli altri.

È, questa, una verità storica e giudiziaria alla quale molto c’è ancora da aggiungere per renderla definitivamente nota, nonostante l’opposizione ancora attuale dei servizi di sicurezza e di forze politiche ostili alla stessa.

È doveroso aggiungere a quanto già scritto sul conto di Paolo Signorelli, che risulta da una testimonianza mai smentita, che è stato lui a trovare un avvocato per Friedrich Schaudinn, condannato a 22 anni di reclusione per concorso nella strage del Rapido 904, il 25 febbraio 1989.

Il 23 ottobre 1993, nel corso di un’intervista concessa a Rai 3, Friedrich Schaudinn rivela che furono i servizi segreti italiani a farlo fuggire dall’Italia.

Racconta, difatti, che un funzionario dei servizi “venne a casa, mi informò delle mie vicende giudiziarie e, nel giro di una decina di giorni, lui stesso mi portò il passaporto nuovo”.

A trovare l’avvocato per uno stragista protetto dai servizi segreti italiani è stato Paolo Signorelli[21].

Difficile pensare che sia stata una coincidenza.

Lo scrivente non ha mai avuta alcuna animosità nei confronti di Paolo Signorelli con il quale, a proprio onore, ha avuto degli sporadici contatti che ha rivelato prima nel libro “Ergastolo per la libertà” e, poi, in sede giudiziaria.

Lo prova il fatto che, su propria richiesta, ha testimoniato al processo per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio a favore degli imputati, fra i quali Paolo Signorelli, che, con altri, ha usufruito dell’intervento difensivo.

Lo scrivente si trova, per propria scelta, da oltre 43 anni in carcere perché non si è mai proposto di “collaborare con la giustizia” e Paolo Signorelli, se fosse vivo, potrebbe testimoniare quanto vantaggiosa per lui sia stata questa scelta.

Le dichiarazioni rese dallo scrivente non hanno mai avuto l’intenzione di aggravare la posizione processuale del Signorelli perché la collaborazione con gli apparati segreti dello Stato e l’Arma dei carabinieri non è penalmente rilevante come non lo è la proposta di uccidere Carlo Cicuttini, rimasta lettera morta.

L’accanimento di Silvia Signorelli, erede di un padre che credeva nella “giustizia rivoluzionaria”, nel richiedere alla giustizia “borghese” la condanna dello scrivente per diffamazione nei confronti del defunto padre avrebbe senso se fosse solo lo scrivente a parlare di costui come “uomo dei servizi”.

Non è così.

Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, a carico di Paolo Signorelli ci sono le testimonianze, non la propria, e i riscontri documentali raccolti in anni di indagini svolte dalla magistratura bolognese che hanno obbligato i presidenti di due Corti di assise di Bologna a definirlo “apprezzato” e “proficuo” collaboratore dei servizi segreti.

Per questa ragione, lo scrivente trova arrogante e pretestuosa la pretesa del pubblico ministero, Antonello Gustapane, di rivalutare gli interrogatori di Paolo Signorelli che nega i rapporti con i servizi segreti, ignorando (o fingendo di ignorare) che gli stessi sono stati dichiarati falsi e mendaci dai magistrati della procura della Repubblica, dell’ufficio istruzione e di due Corti di assise di Bologna.

Il pubblico ministero, Antonello Gustapane, che lo scrivente ritiene che goda della stima e dell’appoggio del procuratore della Repubblica Federico Umberto Amato [recte: Giuseppe Amato], ha ritenuto doveroso chiedere all’Aisi e all’Aise di riferire sul conto della collaborazione di Paolo Signorelli con i servizi ricevendo, ovviamente, risposta negativa.

A parte i documenti distrutti il 06-07 agosto 1984, mentre lo scrivente testimoniava dinanzi ai magistrati di Bologna, fra i quali avrebbe potuto essercene qualcuno che riguardava l’arruolamento di Paolo Signorelli (Pino Rauti ecc.) come informatore o agente civile, eventualità che una persona onesta non dovrebbe escludere, c’è da ricordare che per tre decenni i servizi segreti hanno distrutto diverse migliaia di documenti così che, nel 2022, la sola risposta giusta che i due organismi avrebbero dovuto dare sarebbe stata quella di “non possiamo confermare né smentire”.

In quanto all’attendibilità dei servizi segreti italiani per fatti e persone riferite agli anni ’60-’70-’80, sarebbe giusto ricordare le decine di processi nei quali sono comparsi per aver inquinato prove, protetto confidenti, distrutto documenti, depistato le indagini.

Il dubbio sull’attendibilità delle risposte dell’Aisi e dell’Aise, visti i precedenti, è doveroso.

Ricorda, inoltre, che i servizi segreti non hanno l’obbligo, per legge, di fornire i nomi dei loro informatori alla magistratura, cioè sono autorizzati a negare e a mentire.

Prende atto che le “prove” con le quali il pubblico ministero intende riabilitare la figura di Paolo Signorelli sono rappresentate dalle sue menzognere dichiarazioni alla magistratura e alle note inattendibili dell’Aisi e dell’Aise.

Lo scrivente chiederà, altresì, l’acquisizione agli atti del verbale del 07 agosto 1984 che tanto timore ha ispirato al Sismi e che il pubblico ministero non conosce.

È pertinente ricordare in questa sede che il tentativo di ribaltare la verità giudiziaria e storica sul conto di Paolo Signorelli, portato avanti dal pubblico ministero con la richiesta di rinvio a giudizio è stato interpretato da certi ambienti politici e istituzionali come il segnale per un’aggressione contro lo scrivente che ha avuto come protagonisti l’ufficio matricola del carcere di Opera che, il 28 gennaio 2022, ha tentato di non farlo giungere a tempo alla udienza in Corte di assise fissata per le ore 11 dello stesso giorno; il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) che, dopo 37 anni, ha bloccato i suoi rapporti con l’esterno; un tentativo di linciaggio mediatico affidato a due calunniatori, Felice Casson e tale Paolo Morando.

Nessuna responsabilità, sia chiaro, lo scrivente attribuisce al responsabile della procura della Repubblica di Bologna e al sostituto Antonello Gustapane, ma rileva semplicemente come dalla data del 04 giugno 2021, quando ha testimoniato in Corte di assise a Bologna, si è sviluppata un’operazione che non ha per obbiettivo la persona ma la verità di cui si è fatto portatore dal 20 giugno 1984, senza conoscere smentite.

Ribadisce ora l’accusa a Paolo Signorelli di essere stato un collaboratore dei servizi segreti. E non teme smentite.

Vincenzo Vinciguerra

 

Opera, 28 ottobre 2022

 

 

[1] Richiesta di rinvio a giudizio a carico dell’ammiraglio Fulvio Martini ed altri – Procura della Repubblica di Roma – 15.07.1996.

[2] Interrogatorio del generale Vittorio Emanuele Borsi di Parma – Venezia – 30.12.1997.

[3] “Maletti, la spia latitante” – La Repubblica – 04.08.2000.

[4] Carlo Maria Maggi al capitano dei carabinieri Massimo Giraudo – 30.12.1994.

[5] Carlo Digilio – interrogatorio – 14.12.1996.

[6] Umberto Nardini – interrogatorio – 17.09.1996.

[7] “La dinamite e la rivoltella, pubblicità subliminale. La strategia della tensione come ‘messa in scena’” – A. Ventrone – p. 15.

[8] Storia di Ordine nuovo – A. Giannuli – Mimesis – Milano-Udine – 2017 – pp. 12-13.

[9][9] Sentenza Corte di assise – Bologna – 14.07.1988.

[10] Sentenza Corte di assise – Bologna – 14.07.1988.

[11] Pietro Benvenuto – interrogatorio – 17.03.1986.

[12] Ordinanza di rinvio a giudizio – G. Salvini – Milano – 18.03.1995.

[13] “Ergastolo per la libertà” – V. Vinciguerra – Arnaud – Firenze – 1989 – p. 16.

[14] Vincenzo Vinciguerra – interrogatorio – 30.11.1991.

[15] Ordinanza cit. – G. Salvini – 18.03.1995 – p. 88.

[16] Paolo Signorelli – interrogatorio – 30.12.1980.

[17] Aldo Tisei – interrogatorio – 20.12.1984.

[18] Walter Sordi – interrogatorio – 07.05.1983.

[19] Sentenza cit. – Corte di assise – Bologna – 14.07.1988.

[20] Sentenza Corte di assise – Bologna – 17.01.2021 – p. 918.

[21] “La strategia dell’inganno” – S. Limiti – Chiarelettere – Milano – 2017 – p. 58n.

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