IL TRIBUNALE DELLA STORIA
Di Vincenzo Vinciguerra
Non ci sono titoli in prima pagina.
“La Repubblica” relega a p. 14 la notizia che la procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio di due ordinovisti, Marco Toffaloni e Roberto Zorzi, quali autori materiali della strage di piazza della Loggia, a Brescia, il 28 maggio 1974.
Sono passati 48 anni da quell’eccidio e, ora, la magistratura bresciana ha dato un nome e un volto ai due “portatori di valigia” che hanno collocato la bomba omicida in quella piazza.
La decisione passa, di conseguenza, al giudice istruttore che, se riterrà fondate le accuse e sufficienti gli elementi di prova, disporrà il rinvio a giudizio dopo il quale seguiranno tre gradi di giudizio e, se la Corte di Cassazione annullerà con rinvio, ce ne sarà anche un quarto.
Diciamo una decina di anni ancora per arrivare a conclusione della vicenda giudiziaria con una condanna od una assoluzione.
Quasi sessant’anni per dire agli italiani che militanti di Ordine nuovo hanno compiuto anche la strage di Brescia, verità peraltro già affermata con la condanna di Carlo Maria Maggi, ispettore triveneto di Ordine nuovo, fedelissimo di Pino Rauti.
Fermo restando l’encomio che i magistrati della procura della Repubblica di Brescia meritano per il loro impegno, dobbiamo prendere atto che sul banco degli imputati ci saranno solo i “portatori di valigia” e non gli uomini dello Stato e i loro alleati americani.
“Ma nessun generale dell’esercito italiano o americano – si compiace di scrivere “Repubblica” – e nessun ufficiale dell’Arma o dei Servizi (non pochi sono ancora quelli in vita) finirà tra gli indagati, rendendo monco lo scenario più cupo”.
Ancora una volta una strage di Stato verrà presentata all’opinione pubblica italiana come opera della mai esistita “eversione nera”, del “terrorismo fascista” tanto caro alla sinistra italiana, in particolare al Partito democratico.
Non ci sono sufficienti indizi, non ci sono prove certe per portare sul banco degli imputati ufficiali italiani, così come non è stato possibile trovarne per le stragi di piazza Fontana e di via Fatebenefratelli, a Milano.
Non è responsabilità dei magistrati inquirenti, mentre altrettanto non si può dire per certa magistratura giudicante, ma della classe politica italiana di ieri e di oggi, ben attenta a circoscrivere la responsabilità ad oppositori che, in realtà, si sono opposti agli oppositori comunisti mai ad essa.
Pino Rauti ha diretto l’organizzazione stragista per eccellenza che era al servizio dei Servizi, cioè dello Stato e del regime, ed è stato premiato con la carica di segretario nazionale del Msi-Dn la cui eredità vanta Giorgia Meloni.
Benché indiziato di reato per le stragi di piazza Fontana e di Brescia, Pino Rauti è stato infine prosciolto per mancanza di sufficienti indizi, ma la verità giudiziaria non sempre coincide con quella storica.
La verità storica ci dice che a partire dal 12 dicembre 1969, dalla strage di piazza Fontana, a Milano, e di quelle fallite, a Roma, le altre sono state giustamente attribuite a militanti di Ordine nuovo.
E il capo, Pino Rauti, non sapeva niente, non vedeva, non capiva, ne veniva a conoscenza dalla lettura dei quotidiani o dai telegiornali?
Resterà una verità giudiziaria contrapposta a quella storica.
Per i burattini che l’hanno materialmente organizzata ed eseguita, la strage del 28 maggio 1974, a Brescia, avrebbe dovuto indurre il Pci ad una reazione violenta, tale da favorire i progetti degli aspiranti golpisti.
Certo, se una strage del genere fosse avvenuta dieci anni prima, i comunisti avrebbero incendiato le piazze come e più di quanto avevano fatto nel mese di luglio del 1960.
Ma nel 1974, Enrico Berlinguer ed i suoi compagni vivevano con la spada di Damocle di un colpo di Stato militare a breve scadenza, quindi hanno agito come un partito democratico, alieno da ogni violenza, ponendo addirittura il proprio servizio d’ordine a disposizione delle massime autorità dello Stato per salvaguardarne l’incolumità, subentrando alla polizia e ai carabinieri relegati nelle caserme.
La stagione dei golpe, la “sceneggiata” come la chiama il professor Angelo Ventrone, finisce quel maggio 1974 e con l’emarginazione del Pci dalla vita politica del Paese.
Il premio giunge subito: il 2 giugno 1974, nel corso della parata militare per la festa della Repubblica, per la prima volta sono ammesse a sfilare le bandiere delle brigate partigiane.
Ora, il Pci è un partito affidabile per la democrazia italiana. Il “lupo travestito da agnello” di cui parlava Pino Rauti nel convegno dell’Istituto “A. Pollio”, svoltosi a Roma nel maggio del 1965, ora è in effetti una pecora che non vuole essere portata al macello.
Era questo l’effetto che si proponevano di raggiungere i burattinai con la strage di Brescia?
Una messa in prova del Pci dopo la cura dei “golpe”, sempre minacciati mai attuati secondo una sapiente regia che mirava a piegare il Pci non a spezzarlo favorendo il suo progressivo distacco da Mosca?
La magistratura non potrà mai rispondere a queste domande che, ovviamente, per il compito che svolge nemmeno si pone. La storia sì, può farlo.
Deve farlo, perché la verità non può essere circoscritta ai soli “portatori di valigia”, deve andare oltre, alle origini di una tragedia collettiva e nazionale che, restando impunita questa classe dirigente, potrà ripetersi in un futuro più o meno lontano.
Evitiamolo.
Opera, 7 ottobre 2022
Per prima cosa un saluto a Vincenzo Vinciguerra che noi ex della Federazione Nazionale Combattenti RSI abbiamo sempre stimato. Oggi tra gli epigoni di una certa area ci si difende dando a Vincenzo del matto, ma vorrei ricordare che certe accuse di subalternità ai Servizi che Vincenzo ha elevato, le intuivamo perfettamente anche noi negli anni ’60 e ’70, sebbene al tempo non potevamo conoscere dettagli e particolari e ancora non si erano verificate certe stragi.
Non ci voleva però molto per capire che i dirigenti di AN e ON erano sotto controllo dei Servizi i quali a loro volta erano subordinati agli alti comandi Nato. Che si trattasse di furfanti dediti a ingannare i loro seguaci lo sapevamo bene, che fossero anche capaci di macchiarsi le mani di sangue italiano era però difficile immaginarlo.
E veniamo alla strage di Brescia.
Questa strage ha un sottofondo ambiguo. Certamente alla manovalanza che l’ha compiuta fu fatto credere che avrebbe spinto il Pci ad una reazione e quindi avrebbe innescato i presupposti per uno stato di emergenza, ma al tempo, diversamente dal 1969, i presupposti per ottenere questi risultati non c’erano.
Non ci vuole molto a capire che a partire da Brescia, al di là dei suoi autori, ora gli attentati stragisti avrebbero contribuito ad accelerare quella “modernizzazione progressista” del paese nello spostamento verso una sinistra gradita al “capitalismo illumminato” e che con Berlinguer si stava sganciando da Mosca e lì a poco avrebbe accettato anche la Nato (anche se non era ancora “maturo” per portarlo al governo), tutti cambiamenti che stavano, guarda caso, per verificarsi nella politica internazionale degli Stati Uniti post Nixon.
Chi ideò di porre una bomba a Brescia il 24 maggio 1974 ad un comizio sindacale antifascista, era ben conscio che morti e feriti sarebbero stati addebitati alla destra “neofascista”, visto che oramai da tempo:
a) erano in corso tutta una serie di inchieste, procedimenti giudiziari, arresti e così via nell’ambito dell’estremismo di destra da più parti ritenuto responsabile per Piazza Fontana ed erano note a tutti le pagliacciate del cosiddetto “Golpe Borghese” ridicolizzato persino in un film di Moniceli;
b) l’anno precedente era stato preso un neofascista, “Nico Azzi”, che nella toilette di un treno gli era scoppiato un detonatore in mano, mentre cercava di innescare una bomba da accollare ai “rossi;
c) si era inoltre appena avuta la grande ed epocale vittoria elettorale delle forze progressiste nel referendum sul divorzio e soprattutto,
d) dopo che pochi giorni prima un ragazzo della destra “neofascista”, Silvio Ferrari, era saltato per aria a causa dell’esplosivo che trasportava.
e) la magistratura diceva di aver appena smantellato iniziative di Golpe “bianchi”.
E proprio questo accadde, perché da quell’attentato così palesemente tinto di “nero”, se ne avvantaggiarono subito le sinistre e oltretutto, in quattro e quattr’otto, vennero anche facilmente chiusi dai sindacati contratti di lavoro che andavano avanti da tempo e come ricorda Vincenzo, pochi giorni dopo, per la prima volta vennero ammessi a sfilare nella parata militare del 2 giugno, reparti partigiani.
Ora il dubbio che si presenta è quello di capire se ON del triveneto che ha organizzato la Strage erano dei completi dementi a non rendersi conto di quello che sarebbe accaduto o erano doppiamente infami, perché innescavano avvenimenti che di li a poco avrebbero travolto il loro stesso ambiente.