LA MACCHINA DEL FANGO
Di Vincenzo Vinciguerra
Si è messa in moto lentamente, a partire dal 4 giugno 2021, data della mia prima testimonianza nell’aula della Corte di assise di Bologna, e non si è ancora fermata.
Nella Patria di Maramaldo, i suoi eredi sono chiamati ad attaccare quello che è ritenuto il soggetto più debole come un uomo che è in carcere da quasi 43 anni, privo di protezioni politiche e mediatiche, non in grado da una cella di rispondere – pensano – alle loro calunnie.
Credono di affondare il coltello nelle spalle di un uomo indifeso ma sbagliano, perché a differenza di Francesco Ferrucci io non sono in agonia, sono perfettamente in grado di rispondere agli attacchi.
L’assalto mediatico è portato alla persona con l’obbiettivo palese di screditarne la figura dinanzi ad una platea che non conosce lui e i fatti di cui si parla.
Per portare avanti l’operazione diffamatoria i protagonisti non portano fatti ma ipotesi affermate con tanta sicumera da apparire ai lettori come verità incontrovertibili, insinuazioni che come tali non necessitano di essere – secondo loro – provate, menzogne nella speranza che non possa querelarli per diffamazione.
Tutto questo gran mentire, calunniare, diffamare, insinuare ha però un fine diverso da quello dichiarato: la persona non va attaccata per quello che è, per quello che ha fatto e di cui si è assunta liberamente la responsabilità rifiutando, con loro grande dannazione, ogni beneficio di legge, ma per quello che afferma sul piano storico.
Non è difficile per esperti in disinformazione: è sufficiente iniziare dal principio affermando, senza ovviamente provare, che non ha detto la verità su sé stesso e su quello che ha fatto.
La prova, ultima in ordine di tempo, viene da un articolo a firma di Carlo Lucarelli, pubblicato sul solito “Venerdì” di Repubblica, dal titolo che è tutto un programma: “Nebbia fitta a Peteano”.
Carlo Lucarelli
A leggere l’articolo, poi, si scopre che la “nebbia” riguarda le motivazioni che hanno indotto il colonnello dei carabinieri Dino Mingarelli e il capitano Antonio Chirico a depistare le indagini.
Il poveraccio parla di ciò che non conosce perché secondo la mendace ricostruzione di Felice Casson a ordinare il depistaggio fu il generale dei carabinieri, Giovanni Battista Palumbo, comandante all’epoca della divisione dei carabinieri “Pastrengo”.
Secondo la verità storica a dare l’ordine di depistare le indagini fu il generale comandante dell’Arma dei carabinieri, Corrado San Giorgio, confermato dal generale che gli succedette al comando, Enrico Mino; per la polizia fu il prefetto Angelo Vicari; per i servizi segreti furono il generale Vito Miceli e il generale Gianadelio Maletti.
Per le responsabilità politiche ricordiamo che la Corte di assise di Venezia indagò l’allora ministro degli Interni, Mariano Rumor.
La nebbia c’è ma è quella sollevata da Felice Casson, altri magistrati, giornalisti e politici per coprire le responsabilità dei vertici politici e militari e della sicurezza spacciando come unico colpevole un generale dei carabinieri morto, non a caso, d’infarto il 16 agosto 1984.
Il Lucarelli lo conosciamo. Quando si sentiva qualcuno e conduceva una trasmissione televisiva si è distinto nell’affermare l’estraneità di Franco Freda dai fatti di piazza Fontana: “È innocente”.
Invece, sia pure con ritardo, Freda è stato ritenuto colpevole.
Si è prodigato con zelo a sostenere la causa dei “ragazzini” dei Nar, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, affermando la loro estraneità alla strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Oggi che, fortunatamente non è più nessuno, tanto che scrive sul “Venerdì” di Repubblica, il Lucarelli tocca un argomento di cui ignora tutto.
Un poveraccio? Mica tanto, perché riaffiora il diffamatore, difatti attribuisce proprio a me una motivazione per l’attentato del 31 maggio 1972 del tutto inedita e fantasiosa.
“Ha ammesso – scrive – di averla compiuta per punire le forze dell’ordine, e in particolare i carabinieri, che non appoggiavano a sufficienza i progetti golpisti dell’estrema destra”.
Leggere per credere.
È Carlo Lucarelli un caso psichiatrico? Dalla motivazione che attribuisce a me si potrebbe credere ma la sua è una follia indotta difatti, alla fine, svela le reali finalità dell’articolo per il quale è stato pagato.
Lucarelli allarga il discorso ampliandolo genericamente alle stragi per finire scrivendo che i responsabili “avvelenano il nostro vivere civile con messaggi, sottintesi e misteri”.
La furbata di non accusarmi direttamente lascia il tempo che trova perché parla dell’attentato di Peteano, parla di me e, allora, diciamo subito che a scorrere i miei libri, i miei articoli, i miei documenti, i miei verbali e le mie dichiarazioni in sede giudiziaria, nel corso di pubblici dibattimenti, non ci sono “messaggi e sottintesi” e, tantomeno, segreti.
Devo convenire che la disinformazione posta in atto da Carlo Lucarelli è più furba di quella grossolana e volgare dei Morando, dei Casson e dei Pisa.
Il titolo è astuto ed è quello che rimane impresso nella mente dei lettori, la motivazione attribuita a me è esattamente contrapposta a quella che ho sempre dichiarato ma chi legge l’articolo non lo può sapere, il finale è un capolavoro di insinuazioni.
Diciamolo pure: Carlo Lucarelli non è un poveraccio, non è un caso psichiatrico, è un lucido calunniatore.
Opera, 30 luglio 2022
Grazie per il lavoro che fate.