Mons. Francesco Spadafora pubblicò nel 1971 un volume memorabile intitolato Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in San Paolo.
Spadafora è stato un vero faro dell’esegesi biblica, capace di illuminare quei passi della Scrittura di difficile interpretazione che con gli esegeti ordinari rimangono oscuri e incomprensibili.
Nel predetto volume venivano espresse due tesi:
- Il discorso di Gesù cosiddetto escatologico (Matteo 24, Marco 13, Luca 21) è in realtà un discorso ecclesiologico: non riguarda in alcun modo la fine del mondo ma esclusivamente la fine di Gerusalemme e del suo tempio;
- Il termine “parusia” (o venuta del Signore Gesù) non ha un solo significato ma ne ha tre: può riguardare, certo, la venuta fisica di Gesù alla fine del mondo ma può anche significare il giudizio particolare cui ognuno di noi sarà sottoposto al termine della nostra vita, e, last but not least, la “venuta” del Cristo Giudice nei grandi eventi della storia, quando Gesù interviene a punire i pravi e a premiare i buoni.
La spiegazione (e le precisazioni) di Spadafora riguardo alla parusia furono quanto mai opportune e necessarie, in quanto gli esegeti (anche quelli di gran nome, talvolta), spessissimo, cadevano (e cadono tuttora, purtroppo) nell’errore di identificare la parusia esclusivamente con la fine del mondo.
Una delle conseguenze di questo errore è stata quella di relegare in un cono d’ombra la parusia di Gesù che si è realizzata storicamente nel 70 d.C., con la presa e la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio da parte delle truppe romane. Una parusia che per quanto “spirituale”, non fisica, fu nondimeno di portata epocale, tale da segnare i millenni a venire.
Ripeto, Spadafora è stato un grande esegeta, eppure la sua lezione sembra non essere stata raccolta come avrebbe meritato: uno dei pochi che ancora oggi, meritoriamente, lo nomina nei suoi libri, è il famoso giornalista Antonio Socci.
Da parte mia, dopo aver letto Gesù e la fine di Gerusalemme sono andato in cerca di quei passi dei vangeli che si riferiscono appunto alla fine di Gerusalemme. Nel corso di tale ricerca mi sono imbattuto in un passo del vangelo di Giovanni dove si parla di una venuta del Signore Gesù. Il passo, in cui Gesù si rivolge a Pietro è il seguente (Giovanni 21, 18-23):
“«In verità, in verità ti dico: quando tu eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorrai». Disse questo per indicare con qual morte avrebbe reso gloria a Dio. E detto ciò, gli soggiunse: «Seguimi». Pietro, voltatosi, vide venirgli appresso il discepolo prediletto da Gesù, quegli che durante la cena aveva posato il capo sul petto di Gesù e aveva chiesto: «Signore, chi è chi ti tradisce?». Pietro vedendolo domandò a Gesù: «Signore, e di costui che sarà?». Gesù rispose: «Se voglio ch’egli rimanga finchè io venga, che t’importa? Tu seguimi». Si sparse così tra i fratelli la voce che quel discepolo non muore; Gesù però non disse: «Non muore», ma: «Se voglio ch’egli rimanga finchè io venga, che t’importa?»”[1].
Questo passo, per come viene presentato di solito dagli esegeti – a parte l’esplicita profezia della morte di Pietro espressa dall’evangelista – rimane enigmatico: cosa voleva dire Gesù con l’espressione “Se voglio ch’egli rimanga finchè io venga, che t’importa?”.
Chiosa il Ricciotti:
“A causa della longevità di Giovanni, tra i suoi discepoli (i fratelli) s’era sparsa la voce che egli non sarebbe morto fino alla nuova venuta gloriosa di Gesù. Però qui Giovanni dissipa questa opinione, mostrando come essa non risulti dalle parole di Gesù”[2].
Dal canto suo, Mons. Salvatore Garofalo, nell’edizione della Bibbia da lui curata, osserva:
“Finché venga, per l’ultimo giudizio; l’estrema distanza nel tempo indica l’assoluta libertà del Cristo, e scoraggia ogni ulteriore resistenza”[3].
Per quanto riguarda Ricciotti, costui reitera due luoghi comuni: quello secondo cui il vangelo di Giovanni venne scritto alla fine del primo secolo e quello secondo cui la “venuta” di Gesù è sempre e solo quella escatologica, che avverrà alla fine del mondo.
Il primo di questi luoghi comuni è stato contestato a suo tempo da John Robinson nel suo studio sulla datazione del Nuovo Testamento:
“Che l’apostolo Giovanni visse fino ad un’età avanzata, nel regno di Traiano (98-117), e che fu l’ultimo evangelista a scrivere sono fatti ben attestati nella tradizione. Ma che egli scrisse in età avanzata è una deduzione che appare solo tardi e accompagnata da altre affermazioni che mostrano che essa è chiaramente secondaria e inattendibile”[4].
Secondo Robinson, il vangelo di Giovanni è stato scritto negli anni 60 del primo secolo e comunque prima del 70 d.C.
Garofalo, da parte sua, identificando la venuta di cui parla Gesù in Giovanni 21 con la venuta finale, parla di “estrema distanza nel tempo”. Ma Gesù qui non ha parlato di tempi estremi o finali.
Identificare la venuta di cui parla Gesù in questo passo con l’ultimo giudizio significa rendere il passo in questione non solo incomprensibile ma anche assurdo perché, a rigore, bisognerebbe dedurne, appunto, che Giovanni non è mai morto.
A questo punto, mi permetto di avanzare un’ipotesi: non è possibile che qui Gesù si riferisca precisamente alla venuta dell’anno 70? Nell’anno 70, Pietro era morto da pochi anni (nel 67, secondo Thiede) ma Giovanni era ancora ben vivo. Aveva quindi assistito alla venuta del Cristo Giudice contro la Gerusalemme deicida e persecutrice dei cristiani. Da questo punto di vista, l’”enigma” di Giovanni 21 acquisterebbe finalmente un senso compiuto. Alla luce del libro di Spadafora, una tale ipotesi mi sembra tutt’altro che insensata.
Questa possibilità mi sembra poi in armonia con la descrizione della “venuta” (parusia) del Figlio dell’uomo che leggiamo in Luca 21, 27-28:
“Allora si vedrà il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando tali cose cominceranno a venire, alzatevi e levate la testa perché la vostra liberazione è vicina”.
Questo è uno di quei passi da quali si capisce che la venuta di Gesù attesa dagli apostoli non era quella dell’ultimo giudizio ma quella rappresentata dalla punizione di Gerusalemme e della nazione giudaica, che giunse come una liberazione per i cristiani perseguitati. Spadafora lo ha evidenziato nel suo libro con straordinaria dottrina e dovizia di argomenti. Per questo è salutare leggerlo, per premunirsi “contro l’opinione diffusa da alcuni decenni, che vede dappertutto la fine del mondo”.
L’assedio di Gerusalemme nel 70 d.C.
[1] La Sacra Bibbia a cura di Giuseppe Ricciotti, Salani editore, ristampa del 1991, pp. 1535-1536.
[2] Ivi, p. 1536.
[3] La Sacra Bibbia, a cura e sotto la direzione di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti editore, Casale Monferrato 1964, p. 209, nota 22.
[4] John A. T. Robinson, Redating the New Testament, London 1976, pp. 256-257.
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