IL NEMICO INTERNO: DOCUMENTI STATUNITENSI DECLASSIFICATI MOSTRANO CHE GLI OLIGARCHI RUSSI SOSTENNERO L’ESPANSIONE DELLA NATO
Documenti provenienti dall’amministrazione Clinton confermano le servili politiche filo-occidentali dell’oligarchia criminale post-sovietica.
Questo articolo dai nostri archivi è stato pubblicato per la prima volta su RI[1]nell’aprile 2015.
Questo articolo è apparso originariamente su Business New Europe
Quindici anni dopo che l’allora sconosciuto Vladimir Putin conquistò la presidenza russa, gli analisti cercano ancora di capire come egli arrivò alla carica. Documenti appena declassificati provenienti dall’amministrazione del Presidente Bill Clinton, trasmessi a bne IntelliNews, mostrano come la candidatura di Putin fu un compromesso dopo una feroce battaglia per il potere in Russia tra gli oligarchi filo-americani e i conservatori filo-statali. In gioco non era solo il potere in Russia, ma la questione cruciale dei rapporti della Russia con l’Occidente.
L’”oligarchia” della Russia prese il potere durante la rielezione di Yeltsin nel 1996, quando costoro utilizzarono la sua dipendenza dai finanziamenti dei sette principali banchieri russi per acquisire la crema delle risorse produttive del paese.
Secondo i documenti dell’amministrazione Clinton, che sono stati divulgati nell’ambito di una declassificazione obbligatoria, uno dei principali ideologi del sistema oligarchico russo fu il banchiere e magnate dei media Vladimir Gusinsky, proprietario della Most Bank e del canale televisivo NTV.
Gusinsky si presentò ad un pranzo nel novembre 1996 con funzionari dell’ambasciata americana con un importante messaggio: gli oligarchi sono qui per restare, ma non devono essere temuti dagli Stati Uniti. L’oligarchia è un sistema di governo appropriato per la Russia e indirizzerebbe il paese su una rotta filo-americana.
“La Russia – spiegò Gusinsky – non è un paese democratico o europeo; è un paese asiatico”, disse, secondo le registrazioni dell’ambasciata, con il nome di Gusinsky censurato ma implicito. “Il paese è guidato da un’oligarchia, di cui uomini d’affari come lui sono parte integrante, e lo saranno per qualche tempo”, disse Gusinsky ai diplomatici americani.
“I nostri amici dell’Occidente” avevano ragione a criticare gli oligarchi in passato, egli disse, ma ora essi si sono assunti “le responsabilità degli interessi nazionali della Russia”.
Gusinsky “non negò che molti uomini d’affari russi, incluso lui stesso, si erano impegnati in attività equivoche, specialmente all’inizio delle loro operazioni e nella fase di accumulazione dei capitali”, egli disse ai diplomatici. “Nondimeno, ora erano emersi un certo numero di grandi uomini d’affari: per esempio, i sette banchieri di Berezovsky [lo stesso Boris Berezovsky, Vladimir Gusinsky, Mikhail Fridman, Vladimir Vinogradov, Aleksandr Smolensky, Mikhail Khodorkovsky, Vladimir Potanin] – che erano così grandi e influenti che non dovevano più impegnarsi in tali attività e non lo facevano più”, recita il documento. Gusinsky affermò che le accuse di legami degli oligarchi con la criminalità organizzata erano state diffuse dai servizi di sicurezza russi, con l’obiettivo di arginare la fuga di capitali.
Il dominio dei sette banchieri
Di tutti gli oligarchi degli anni ’90, nessuno era più potente di Berezovsky, che coniò la frase “il dominio dei sette banchieri”. Berezovsky raggiunse un’alta posizione politica, che gli permise di plasmare direttamente la politica della sicurezza russa interna ed estera – e nello stesso tempo di essere un cittadino di Israele. Berezovsky riconobbe che il suo potere era basato sul suo controllo del canale televisivo ORT. “Il 90% di tutta l’influenza televisiva è concentrata sui primi tre canali: ORT, RTR e NTV”, disse Berezovsky ai diplomatici statunitensi nel 2000, secondo i documenti declassificati. Di questi, il suo ORT era di gran lunga il più potente, disse.
Con l’ORT come sua base di potere, Berezovsky si distinse da tutti gli altri oligarchi quanto alle sue ambizioni politiche. Egli cercò e guadagnò influenza non solo nelle più importanti questioni politiche interne, inclusa l’integrità territoriale del paese, ma anche direttamente sulla politica estera della Russia.
Al culmine del suo potere, Berezovsky era vice capo del potente consiglio di sicurezza russo, ma, come chiariscono i documenti, il capo del consiglio di sicurezza Ivan Rybkin era solo la sua pedina.
Da tale posizione, Berezovsky nel 1996 cercò attivamente l’appoggio degli Stati Uniti per quella che egli promise sarebbe stata una “politica radicalmente filo-occidentale”, secondo un resoconto fornito nel 1996 ai diplomatici americani dall’allora presidente georgiano ed ex ministro degli esteri sovietico Eduard Shevardnadze.
Shevardnadze era appoggiato in Georgia dallo stretto partner di affari e amico di Berezovsky, Bardi Patarkatsishvil, e sembra aver agito come spalla di Berezovsky per approcciare gli Stati Uniti nel 1996.
In un incontro a Tbilisi con un ambasciatore statunitense nel dicembre 1996, Shevardnadze disse ai diplomatici americani che Berezovsky era una “persona straordinaria”, che voleva “una politica estera radicalmente differente, volta a mettere la Russia in perfetta sintonia con l’Occidente”. Egli meritava il sostegno degli Stati Uniti, consigliò Shevardnadze, ma tale sostegno doveva essere somministrato con le giuste dosi. Col tempo, sarebbe diventato un uomo “utile e necessario”, disse Shevardnadze.
In particolare, disse Shevardnadze, Berezovsky era interamente libero da qualunque interesse volto ad espandere l’influenza russa nello spazio post-sovietico, e che vedeva per esempio i piani embrionali per un’unione doganale post-sovietica come “un’assurdità”.
I piani di Berezovsky per una rivoluzione filo-occidentale nella politica estera russa dovevano trovare il modo di contrastare l’allora ministro degli esteri Evgenny Primakov. Primakov era stato capo del KGB ed era estremamente scettico riguardo alle intenzioni dell’Occidente verso la Russia. Secondo Shevardnadze, Berezovsky voleva minare la posizione di Primakov poiché “voleva creare qualcosa come un segretario di stato all’interno del consiglio di sicurezza russo”. I poteri del consiglio di sicurezza non erano definiti nella costituzione, e i critici temevano che avrebbe potuto essere utilizzato per creare un governo parallelo immune da ogni controllo parlamentare. Nello stesso tempo, Berezovsky cercò di escludere Primakov. “Berezovsky sentiva che la politica russa avrebbe dovuto cambiare in modo radicale, e capiva che questo sarebbe stato impossibile senza cambiamenti nel personale politico”, disse Shevardnadze.
I diplomatici statunitensi erano ben consapevoli dei resoconti negativi sia sui media occidentali che su quelli russi che sostenevano che Berezovsky, il cosiddetto “padrino del Cremlino”, era coinvolto in attività di corruzione come il dirottamento di fondi dalla compagnia statale Aeroflot e come il vantaggio ottenuto da privatizzazioni clientelari. Non c’è traccia nei documenti che costoro lo abbiano mai sostenuto, come Shevardnadze desiderava. “Il vice-presidente del consiglio di sicurezza Berezovsky è una figura pericolosa”, disse ai diplomatici americani Pavel Gusev, editore di giornali e direttore del principale quotidiano russo Moskovsky Konsomolets. “È un puro mafioso, e la sua nomina è la prova che importanti gruppi criminali hanno raggiunto i più alti livelli del governo”.
L’unica questione di illeciti discussa nei documenti declassificati è l’ammissione di Berezovsky di detenere la cittadinanza israeliana insieme a quella russa, il che era illegale e particolarmente discutibile per il vice capo del consiglio di sicurezza. “Lo feci nel 1993 e me ne ero totalmente dimenticato”, disse ai diplomatici americani in modo assai poco credibile. Egli sostenne anche di aver recentemente revocato la propria cittadinanza israeliana. “A giudicare da una conversazione telefonica che egli ebbe in presenza del capo della polizia, stava cercando di antidatare la revoca prima della sua nomina nel consiglio di sicurezza”, commentò seccamente il dispaccio.
“Fatelo rapidamente”
Gli oligarchi giunsero al potere nella stessa epoca in cui la NATO lanciò la sua spinta verso oriente. I diplomatici statunitensi registrano di avere incontrato una profonda ostilità nei confronti di tale mossa a Mosca. “Le dichiarazioni sull’indesiderabilità dell’espansione della Nato e sulla necessità di ‘accordi speciali’ sono state ascoltate fino alla nausea in città”, scrissero i diplomatici americani nel 1997.
Mentre gli Stati Uniti cercavano di avere la meglio sulla contrarietà dei russi, gli oligarchi offrirono un canale ovvio, dato il loro monopolio sulla TV russa e la loro ricerca di una legittimazione internazionale. Gli oligarchi così non persero tempo nel mostrarsi come i più forti sostenitori in Russia dell’espansione della NATO. Berezovsky appoggiò persino un’apparente offerta alla Russia di unirsi all’alleanza militare. “Fu un errore per la Russia quello di non capitalizzare immediatamente l’invito della NATO alla Russia di diventare membro”, disse Berezovsky ai diplomatici americani in un incontro tenutosi nel febbraio 1999. Berezovsky disse nel corso della riunione che c’era un considerevole supporto per gli Stati Uniti in Russia presso l’intellighenzia, sia “come il portatore di ideali democratici che come un paese potente con piani globali”.
Igor Malashenko, il braccio destro di Gusinsky e presidente della nave ammiraglia di Gusinsky, il canale televisivo NTV, era persino più entusiasta degli stessi diplomatici americani dell’espansione della NATO. Mentre i diplomatici americani erano disposti a lavorare con la Russia per superare i dubbi sulla questione, Malashenko semplicemente consigliò i diplomatici americani durante una riunione nel 1997 di “farlo silenziosamente”.
Malashenko paragonò la posizione della Russia relativa all’Occidente negli anni Novanta alla posizione della Germania o del Giappone dopo le loro capitolazioni alla fine della seconda guerra mondiale, ma disse che la dirigenza del paese non riusciva a riconoscerlo. “La Russia ha perso la Guerra Fredda, ma non sentirete mai nessuno dei nostri capi dire questo”, disse Malashenko, secondo il resoconto dei diplomatici americani.
“L’invito di Malashenko agli Stati Uniti di andare avanti con l’allargamento della NATO ‘ma di farlo silenziosamente’ è un utile avvertimento della necessità di una mano abile nell’attuale atmosfera politicamente carica”, fu il commento americano relativo a tale incontro.
Da Primakov a Putin
L’aperto sostegno degli oligarchi all’espansione della NATO potrebbe aver aggravato i sospetti riguardo all’alleanza con l’occidente delle figure conservatrici della politica estera e dell’élite della sicurezza russa, che temevano che gli oligarchi fossero pronti a svendere il loro paese all’Occidente.
I dispacci diplomatici mostrano come le posizioni sulla politica estera allora in competizione – i filo-statunitensi contro i russo-centrici – si intrecciarono rapidamente con la lotta interna per il potere e per il denaro alla fine dell’era di Yeltsin. La lotta di Berezovsky per la supremazia politica contro Primakov, che egli definiva il suo “nemico ideologico”, correva parallela all’azione di Primakov contro le pratiche affaristiche di Berezovsky nel 1999.
Primakov era diventato primo ministro nel settembre 1999 in seguito al default della Russia dell’agosto 1998. All’inizio del 1999 egli era il principale favorito nella corsa alla presidenza, con le elezioni che erano previste per il marzo 2000, con Yeltsin impossibilitato a candidarsi per un terzo mandato. Sotto Primakov, le agenzie governative avevano effettuato controlli sull’impero degli affari di Berezovsky. Primakov nello stesso tempo si oppose all’Occidente riguardo all’azione militare contro la Serbia di Slobodan Milosevic.
Berezovsky cercò direttamente di ottenere il sostegno degli Stati Uniti per estromettere Primakov dalla carica di primo ministro nel maggio 1999, e in tal modo far fallire le ambizioni presidenziali di Primakov, rivela il documento.
In un incontro cruciale con i diplomatici americani nel febbraio 1999, dopo i primi controlli governativi sui suoi affari, Berezovsky avvertì che “Primakov attualmente è rosso come un pomodoro”, e che “Primakov non sarebbe stato più primo ministro dopo maggio”. Berezovsky disse che si stava muovendo “in modo indiretto” per estromettere Primakov e cercò di assicurarsi dagli Stati Uniti che costoro avrebbero sostenuto quella che egli aveva definito la “caduta morbida” di Primakov a favore di un nuovo governo.
Berezovsky poi passò a parlare in inglese per chiedere il sostegno americano ad un nuovo governo. “Un tale governo capirebbe e avrebbe un approccio ‘più chiaro’ su come e da chi l’economia dovrebbe essere guidata. In questo caso, egli chiese, gli Stati Uniti sarebbero pronti ad aiutare a stabilizzare la situazione in Russia? Gli Stati Uniti sarebbero capaci di far progredire il paese?”, riferiva il documento.
I diplomatici americani furono cauti nel farsi coinvolgere in faide interne, nonostante i vantaggi per la politica estera che queste promettevano loro. “La domanda appena velata di Berezovsky sul sostegno degli Stati Uniti in una tale circostanza e la sua ben sviluppata propensione per gli intrighi dovrebbero essere interpretate come un avvertimento a essere più cauti nel reagire troppo rapidamente a voci o eventi nei prossimi mesi”, scrissero.
Alla fine, Yeltsin licenziò Primakov il 12 maggio, sconvolgendo la politica russa. Yeltsin nominò Sergei Stepashin come successore di Primakov, per sostituirlo solo sei settimane dopo con il politicamente sconosciuto Vladimir Putin.
Un anno dopo che Berezovsky aveva cospirato per estromettere Primakov, Vladimir Putin era presidente e Berezovsky stava per uscire di scena.
Morte di un oligarca
Perché Berezovsky sottovalutò Putin così malamente? La ragione principale citata nei dispacci diplomatici americani è esattamente la lunga faida e la paura di Berezovsky nei confronti di Primakov. “Putin è migliore di Primakov”, disse Berezovsky senza mezzi termini ai diplomatici americani nel 2000. Al contrario di Primakov, Putin aveva detto che non avrebbe sottoposto a revisione le controverse privatizzazioni degli anni Novanta, attraverso cui gli oligarchi avevano acquisito le proprietà di beni chiave nel settore delle risorse [naturali].
Berezovsky sembrò non capire che Putin avrebbe tagliato le ali politiche degli oligarchi, forse perché per lui e per gli oligarchi suoi amici il potere politico ed economico erano la stessa cosa. Il mix ideologico di Putin di capitalismo e di autoritarismo conservatore era nuovo in Russia, che era abituata ad un’opposizione binaria tra forze stataliste filo-sovietiche e sostenitori di politiche liberiste filo-occidentali.
Berezovsky fu lento a capire. “Putin sta sulla strada di Peron o di Pinochet – non cercando uno stato autoritario di per sé, ma perseguendo la meta di uno stato democratico per mezzo di una strada autoritaria”, disse Berezovsky ai diplomatici americani alla fine del 2000.
Non solo Putin era contro gli oligarchi, ma era anche sospettoso delle loro preferenze politiche filo-americane. “Putin non teme né gli Stati Uniti né la NATO, ma pensa che gli Stati Uniti hanno posizioni contrarie agli interessi russi”, avvertì Berezovsky gli Stati Uniti.
Contrariamente ai resoconti secondo cui Berezovsky aveva scelto Putin come candidato alla presidenza, sembra che Putin e Berezovsky non ebbero contatti reciproci prima che Putin divenne presidente, il che potrebbe essere stato un altro fattore che indusse Berezovsky a giudicarlo in maniera erronea. Lo stesso Berezovsky disse ai diplomatici americani che egli aveva appoggiato il nuovo ministro degli esteri Ivan Ivanov come successore di Primakov nel 1999, sebbene Putin alla fine ottenesse la carica, dopo un intervallo di sei settimane.
Il banchiere oligarca Piotr Aven confermò ai diplomatici americani che non c’era nessun legame speciale tra Putin e Berezovsky, osservando perfino che “era stato lui a presentarli”, scrissero i diplomatici americani. “Putin non conosce nessuno”, disse Aven ai diplomatici, riconoscendo nello stesso tempo che gli oligarchi non hanno “nessuna influenza su di lui”.
Presto Berezovsky capì che i suoi sforzi per estromettere Primakov avevano avuto un effetto contrario, e che il suo potere era in declino. “Comprendiamo che sin dagli inizi dell’amministrazione Putin, Berezovsky aveva perduto il suo accesso privilegiato al Cremlino, e doveva ogni volta chiedere il permesso per entrarvi”, scrissero nel 2000 i diplomatici americani.
Berezovsky si mostrò spavaldo, vantandosi della sua volontà di resistere al Cremlino. “Possono mettermi in prigione ma non aiuterà”, si vantò con i diplomatici. Alla fine lasciò il paese per evitare il carcere in seguito ad accuse di truffa relative all’Aeroflot e alla concessionaria di automobili LogoVAZ che egli controllava, e si stabilì nel Regno Unito, da dove continuò i tentativi di organizzare l’opposizione a Putin.
Solo una volta i diplomatici americani videro un Berezovsky diverso e ansioso, che potrebbe aver presagito il suo suicidio a causa della depressione nel 2013, dopo una devastante sconfitta in tribunale a Londra contro l’ex partner Roman Abramovich nel 2012. Dopo che il governo di Primakov aveva ordinato i primi controlli sulle attività di Berezovsky nel 1999, segnando l’inizio della fine del suo impero finanziario, gli “evidenti segni di preoccupazione [si sono riflessi] sul volto e nella voce del presunto oligarca”, che “parlava a bassa voce”, scrisse l’ambasciatore degli Stati Uniti sul suo turbato ospite.
[1] Russia Insider.
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