LETTERA APERTA A JEAN CASTEX
Di Vincent Reynouard, 11 febbraio 2022
Signor Castex,
lo scorso 27 gennaio, ad Auschwitz, lei ha sottolineato la lotta condotta dalla Repubblica francese contro il revisionismo: «È un combattimento giuridico, ma è innanzitutto un combattimento politico, ideologico, una visione della società e dell’umanità»[1]. Con queste affermazioni, lei ha ricordato che la Storia ufficiale è uno strumento ideologico e politico. Esso vi permette di imporre «una visione della società e dell’umanità». Ecco d’altronde perché la Shoah è insegnata nella scuola elementare, poi alle medie e al liceo. Una circolare apparsa il 17 luglio 2008 precisava:
“Iscritto nella sua dimensione storica, l’insegnamento della Shoah ha una finalità civica e risponde ad un obbligo morale. Non si tratta solamente di trasmettere una memoria e delle conoscenze: si deve fornire a tutti gli allievi gli elementi di cultura e di riflessione che permettano loro di rifiutare tutte le forme di razzismo e di discriminazione e di comprendere che, contrarie alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, esse rendono impossibile la democrazia”[2].
La memoria permette dunque di irreggimentare i giovani sotto la bandiera del mondialismo a base di “antirazzismo” e del rifiuto viscerale di certe ideologie.
Tuttavia, se questa memoria è falsa o adulterata, allora il modello che voi imponete rischia di condurre l’umanità al disastro. Per affermarlo, mi baso su un rapporto dettagliato del National Intelligence Council (NIC) degli Stati Uniti. Esso prevede, in modo prudente, degli scenari per gli anni a venire. Apparso nel marzo scorso sotto il titolo: Tendenze mondiali 2040: un mondo più contestato (Global Trends 2040: A more Contested World), annuncia un risanamento dell’economia? No.
Secondo i suoi autori, i prossimi venti anni vedranno «l’aumento dei debiti nazionali, un ambiente commerciale più complesso e frammentato, un’evoluzione degli scambi e nuove perturbazioni dell’impiego»[3]. Questi problemi colpiranno «in modo sproporzionato […] i paesi in via di sviluppo e le regioni più povere»[4]. Certo, emergeranno delle misure, ma esse saranno «poco suscettibili di essere ripartite uniformemente, lasciando delle popolazioni ai margini»[5].
“Nei paesi poveri, gli effetti del cambiamento climatico e la degradazione dell’ambiente che depauperano la biodiversità sono suscettibili di aggravare l’insicurezza alimentare, di rafforzare la penuria di acqua, di aumentare le migrazioni e di porre dei nuovi problemi di salute”[6].
L’aumento delle migrazioni è fatale, poiché queste popolazioni sacrificate sull’altare della mondializzazione liberale si rifiuteranno di marcire. Come tante altre da una trentina d’anni, esse cercheranno altrove la felicità (materiale) inaccessibile presso di loro. Gli autori sottolineano:
“Nel 2020, più di 270 milioni di persone vivevano in un paese di accoglienza, ossia 100 milioni più che nel 2000. Le conseguenze di questa migrazione mondiale metteranno a dura prova tanto i paesi di origine che quelli di destinazione, poiché bisognerà gestire i flussi e i loro effetti”[7].
Il rapporto non lo nasconde: queste sfide mondiali provocheranno «negli Stati e nelle società chiave tensioni generalizzate ma anche dei traumi che potranno essere catastrofici»[8].
Il disegno mondialista minaccia dunque di fare fallimento, il che provocherebbe delle calamità senza precedenti. Sapendo che la memoria della Shoah permette di imporre questa utopia, il nostro dovere è dunque di interrogarvi sulla veracità della tesi ufficiale. Il vostro, signor Primo Ministro, è di rispondere.
Questi doveri sono tanto più imperiosi in quanto che se la Storia insegnata nelle scuole è vera, allora essa dovrebbe contare sulla sola forza della verità per imporsi. Ma in Francia, la legge proibisce ogni contestazione pubblica. Essa instaura una censura implacabile. Ultimo esempio in ordine di tempo: due giorni prima del suo viaggio ad Auschwitz, il 25 gennaio 2022, il tribunale giudiziario di Parigi ha ordinato il blocco, in Francia, del mio blog (il blog Sans Concession) e del mio sito revisionista (la Shoarnaque).
Per giustificare la loro decisione, i giudici dichiarano che il mio sito diffonde «delle pretese dimostrazioni tendenti a negare l’esistenza del genocidio e a contestare le prove materiali»[9].
Tuttavia, essi non spiegano in cosa le dimostrazioni sarebbero false: «Non è il nostro compito», rispondono. «Non siamo qui per scrivere la Storia, ma per far rispettare la legge che proibisce di diffondere l’”odio in rete”». Certo, ma in cosa le tesi revisioniste sarebbero in senso stretto delle tesi odiatrici? La risposta: «Il negazionismo è un’espressione dell’antisemitismo. Ora, l’antisemitismo suscita l’odio nei confronti degli ebrei. Dunque le tesi negazioniste sono odiatrici». Scusate, ma voi non avete fatto che spostare i termini del problema: in cosa le tesi revisioniste sarebbero antisemite?
Poiché alla fine, le dimostrazioni che esse apportano si fondano innanzitutto sulla Scienza, indipendentemente dall’origine etnica o religiosa delle vittime: gli argomenti fisico-chimici sviluppati dai revisionisti sarebbero gli stessi se il presunto genocidio avesse preso di mira dei bretoni cattolici, dei bantù animisti o dei tibetani buddisti. D’altronde, un revisionismo esiste anche a proposito degli armeni della Turchia o dei francesi di Oradour-sur-Glane. La risposta dei magistrati cadrebbe allora come una mannaia: «La negazione dell’Olocausto è un’espressione di antisemitismo: l’ONU lo ha ricordato».
In effetti, lo scorso 20 gennaio, l’ONU ha adottato una nuova risoluzione, la terza, che «Respinge e condanna senza riserve ogni negazione della storicità dell’Olocausto, totale o parziale»[10]. Invito quelli che invocano la libertà di espressione in favore dei revisionisti a leggerla.
L’Assemblea riafferma «il ruolo positivo che l’esercizio del diritto alla libertà di opinione e di espressione e il pieno rispetto della libertà di ricercare, di ricevere e di diffondere delle informazioni possono esercitare nel rafforzamento della democrazia»[11]. Tutto comincia dunque molto bene. Immediatamente dopo, tuttavia, l’Assemblea ricorda che «l’esercizio del diritto alla libertà di espressione comporta dei doveri e delle responsabilità particolari e può dunque essere sottoposto a certe restrizioni»[12].
La libertà di espressione è dunque limitata. Da cosa? Risposta: queste limitazioni «non possono essere che quelle […] che sono necessarie al rispetto dei diritti o della reputazione altrui, alla protezione della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della salute o della moralità pubblica»[13]. Ora, due paragrafi sotto, l’Assemblea riafferma «che la memoria dell’Olocausto è essenziale per prevenire dei nuovi atti di genocidio»[14]. Essa aggiunge: «il fatto di ignorare la storicità di questi terribili eventi accresce il rischio che essi si ripetano»[15].
Di conseguenza, il revisionismo accresce il rischio di un nuovo genocidio, il che è contrario al diritto e alla sicurezza e alla vita di cui ogni essere umano deve beneficiare. Il pericolo è tanto più grande in quanto, precisa l’Assemblea, «la negazione dell’Olocausto sotto le sue diverse forme è un’espressione di antisemitismo»[16]. La conclusione si impone, il revisionismo essendo una forma di antisemitismo che rende possibile un nuovo genocidio, viola i diritti umani, dunque non sarebbe beneficiario della libertà di espressione. Punto finale.
Ecco perché, di fronte ai giudici, non ho mai invocato il mio diritto alla libertà di espressione. In effetti, nel momento in cui parlate di “diritto”, voi vi collocate nella logica dei Diritti dell’Uomo, dunque adottate le regole del gioco stabilite per assicurare la vostra disfatta. Da parte mia, rifiuto di giocare una partita con un arbitro che dice: «un nazista perde sempre».
Io sono nazionalsocialista, appartengo al campo dei vinti e so che i miei vincitori sono lontani da un Tse-Yu che, nel settimo secolo avanti Cristo, consigliava: «Fate in modo che i vinti possano felicitarsi di avervi per vincitori». I miei vincitori assomigliano soprattutto a Brenno che, tre secoli dopo, esclamerà: «Vae Victis!» («Guai ai vinti!»). Quando disse questo, il capo gallico gettava la sua spada nella bilancia – truccata – che pesava il riscatto richiesto ai romani sconfitti; i miei vincitori, loro, gettano la loro spada nella bilancia truccata della giustizia dicendo: «Nessuna libertà di espressione per i negatori». Le mie proteste sarebbero vane come quelle dei romani di fronte a Brenno.
Per contro, ho sempre invocato il dovere di dire la verità, poiché provenendo da Dio, questo dovere di verità trascende le leggi umane. Ecco perché dopo trent’anni, violo la legge Gayssot prendendola di petto. In realtà, io non violo niente, poiché una legge che contraddice un dovere imposto dal Creatore non ha alcuna forza.
Il dovere di dire la verità. A questo riguardo, sottolineo che la nuova risoluzione dell’ONU è stata adottata il giorno dell’80° anniversario della conferenza di Wannsee. Il testo della risoluzione dichiara:
[…]
“Ricordando che il 20 gennaio 2022 segnerà l’80° anniversario della “Conferenza di Wannsee”, nel corso della quale la messa in atto della sedicente ‘soluzione finale della questione ebraica’ venne discussa e coordinata dai responsabili della Germania nazista, che portò all’istituzione sistematica dei campi della morte nazisti, che si tradussero infine in crimini di guerra e in crimini contro l’umanità”[17]
[…]
L’Assemblea dell’ONU presenta dunque ancora Wannsee come la riunione durante la quale dei responsabili nazionalsocialisti avrebbero messo in atto lo sterminio degli ebrei.
Ma trent’anni fa, il professor Yehuda Bauer, dell’Università ebraica di Gerusalemme, qualificò questa tesi di «storia sciocca» [in inglese: “the silly story”]. Riferendo l’informazione, The Chicago Jewish Star titolò: «Un israeliano l’afferma: la Soluzione finale non è nata a Wannsee»[18]. Yehuda Bauer aveva dichiarato: «Il pubblico ripete ancora, ogni giorno, la storia sciocca secondo cui è a Wannsee che venne deciso lo sterminio degli ebrei»[19].
Un anno più tardi, Jean-Claude Pressac confermò:
“Se [a Wannsee] un’azione di ‘respingimento’ degli ebrei verso l’Est venne prevista con l’evocazione di un’’eliminazione naturale’ mediante il lavoro, nessuno parlò allora di liquidazione industriale. Nei giorni e nelle settimane che seguirono, la [Direzione delle costruzioni] di Auschwitz non ricevette né chiamata, né telegramma né lettera che chiedesse lo studio di un’installazione adeguata a questo scopo”[20].
Nel 2005, il ricercatore britannico Laurence Rees chiosò:
“Le discussioni di Wannsee non ebbero alcun effetto immediato su Auschwitz. I piani del cantiere di Auschwitz non vennero modificati sul campo per permettere di sistemarvi delle nuove camere a gas. E in gennaio non si dovette osservare alcun segno di cambiamento notevole nel funzionamento del campo”[21].
Più in generale, lo storico Nikolaus Waschmann spiega:
“Benché i dettagli restassero vaghi, a quanto pare non vi era posto per i campi di concentramento in questi piani genocidari, né in quanto centri di sterminio, né in quanto luoghi di morte mediante lavoro. A Wannsee, i campi di concentramento non figuravano nel programma e nessun rappresentante del sistema concentrazionario fu invitato alla riunione”[22].
Perché? Jean-Claude Pressac ha risposto: a Wannsee «nessuno parlò di liquidazione industriale». La consultazione del Protocollo della riunione lo conferma. Vi si legge:
“Con l’autorizzazione preventiva del Führer, l’emigrazione ha pertanto lasciato il posto ad un’altra possibilità di soluzione: l’evacuazione degli ebrei verso l’Est”[23].
Da cui il seguente programma:
“Ora, nel quadro della soluzione finale della questione ebraica e sotto la necessaria guida, gli ebrei devono essere utilizzati all’Est nei compiti lavorativi giudicati più opportuni. Inquadrati in grandi colonne e separati per sesso, gli ebrei abili al lavoro saranno condotti in quei territori a costruire strade, operazione durante la quale senza dubbio una gran parte di loro soccomberà per riduzione naturale”[24].
Poi veniva la conclusione:
“Quello che comunque alla fine resterà, vale a dire senza dubbio la parte più suscettibile di resistenza, dovrà essere trattato in modo appropriato perché, costituendo una selezione naturale, questo resto, alla sua rimessa in libertà, dovrà essere considerato come portatore in germe degli elementi di una rinascita ebraica”[25].
Se dunque si vuole credere che i nazionalsocialisti prevedevano di massacrare questa gente, bisogna ammettere che i tedeschi li avrebbero rilasciati prima di sequestrarli di nuovo per ucciderli!
Il 7 marzo 1942, d’altronde, Josef Goebbels scriveva nel suo diario:
“La questione ebraica deve al presente essere risolta in un contesto paneuropeo […] In un primo tempo, [gli ebrei] dovranno essere concentrati all’Est; è possibile che un’isola come il Madagascar venga loro assegnata dopo la guerra”[26].
Nel corso del suo processo, l’ex capo della Cancelleria del Reich, Hans Lammers, riferì che nella primavera del 1942, egli avrebbe voluto discutere con Hitler della questione ebraica. Il Führer rifiutò con la motivazione che
“[…] durante la guerra, non desiderava saperne di più sugli affari ebraici. Aveva delle cose più importanti da fare nel frattempo, e gli altri avrebbero dovuto avere delle cose più importanti da fare. Alla fine, disse chiaramente che desiderava che venisse messo un termine una volta per tutte a questi affari ebraici. Aggiunse che dopo la guerra, avrebbe deciso definitivamente dove gli ebrei sarebbero dovuti andare. Mi ricordo che egli disse che c’era abbastanza spazio all’Est o in altri luoghi per inviarvi gli ebrei”[27].
Una circolare generale alle armate, datata settembre 1942, lo conferma. Vi si legge:
“Tutte le misure concernenti la questione ebraica nei territori dell’Est devono essere prese considerando che la questione ebraica troverà una soluzione generale per tutta l’Europa dopo la guerra. Esse devono essere considerate come delle misure parziali preparatorie e devono accordarsi con le altre decisioni prese sul soggetto”[28].
Era chiaro: fintanto che il conflitto durava, la questione ebraica sarebbe stata lasciata in sospeso; solo delle misure parziali, necessitate dalle circostanze, sarebbero state prese.
Nell’invocare Wannsee per giustificare la sua condanna del revisionismo dell’”Olocausto”, l’Assemblea generale dell’ONU si è rivelata assai male ispirata. Ma potrebbe essere bene ispirata quando si condannano delle persone che dicono la verità? Voglio dirglielo, signor Castex: il revisionismo è una marea montante. Volervisi opporre, è come voler arginare il mare che monta…
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://blogue-sc.com/2022/02/lettre-ouverte-a-jean-castex
[1] https://fr.timesofisrael.com/a-auschwitz-birkenau-castex-veut-porter-le-combat-contre-le-revisionnisme/
[2] https://www.education.gouv/fr/bo/2008/29/MENE0800541N.htm
[3] https://www.dni.gov/index.php/gt2040-home/summary
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] https://www.dni.gov/index.php/gr2040-home/keythemes
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] https://www.nextinpact.com/article/49592/la-justice-ordonne-blocage-deux-sites-negationnistes
[10] https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N22/235/80/PDF/N2223580.pdf?OpenElement
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Lee Levitt, “’Final Solution’ not born at Wannsee, Israeli claims”, Chicago Jewish Star (Illinois), 31.1.1992, p. 13.
[19] Ibidem.
[20] Jean-Claude Pressac, Les crématoires d’Auschwitz: la machinerie du meurtre de masse (Paris: CNRS, 1993), p. 35.
[21] Laurence Rees, Auschwitz: les nazis et la «solution finale», tradotto dall’inglese da Pierre-Emmanuel Dauzat (Paris: Albin Michel, 2005), p. 145.
[22] Nikolaus Waschmann, KL: a History of the Nazi Concentration Camps (London: Little, Brown Book Group, 2015), p. 295.
[23] https://www.ghwk.de/fileadmin/Redaktion/PDF/Konferenz/protokoll-januar1942_barrierefrei.pdf
[24] Protocollo della conferenza di Wannsee, p. 7.
[25] Protocollo della conferenza di Wannsee, p. 8.
[26] Citato da Christopher Browning, Les origines de la Solution finale, tradotto dall’inglese da Jacqueline Carnaud e Bernard Frumer (Paris: les Belles Lettres, 2007), p. 875.
[27] Hans Lammers, «Extracts From The Testimony of Defendant Lammers: Direct Examination», in Trials of war criminals before the Nuernberg Military Tribunals under Control Council law n°10. Nuernberg October 1946-April 1949 [serie verde], vol. XIII “The Ministres” de International Military Tribunal [TMI] (Washington: US Government Printing Office, 1952), p. 416.
[28] Documento riprodotto in TMI, vol. XXXVI, p. 348 e seguenti.
bellissimo.