Panagiotis Heliotis: recensione del libro “Lo sterminio degli ebrei europei” di Christian Gerlach

RECENSIONE DEL LIBRO “LO STERMINIO DEGLI EBREI EUROPEI” DI CHRISTIAN GERLACH[1]

Di Panagiotis Heliotis, 2018

Questa volta ci occuperemo dell’ultima elaborazione sistematica sull’Olocausto scritta da uno storico mainstream: The Extermination of the European Jews (Lo sterminio degli ebrei europei) (Cambridge University Press, 2016) dello storico tedesco Christian Gerlach, professore di storia moderna all’Università di Berna e direttore associato del Journal of Genocide Research. Il contenuto del libro è organizzato nel modo seguente:

  1. Introduzione

Parte I: La persecuzione da parte dei tedeschi

  1. Prima del 1933
  2. Dall’emigrazione forzata agli schemi territoriali: 1933-1941
  3. Dallo sterminio all’annientamento complessivo
  4. L’estensione della distruzione di massa: 1942-45
  5. Strutture e agenti della violenza

Parte II: La logica della persecuzione

  1. Il razzismo e il pensiero antiebraico
  2. Il lavoro forzato, la violenza tedesca e gli ebrei
  3. Le politiche della fame e lo sterminio
  4. L’economia della separazione, dell’espropriazione, dell’ammassamento e della rimozione
  5. Il contrasto alla resistenza e la persecuzione degli ebrei

Parte III: La dimensione europea

  1. Le leggi contro gli ebrei in Europa: un raffronto
  2. Società divise: l’impulso popolare alla persecuzione degli ebrei
  3. Oltre le leggi: le politiche non tedesche della violenza
  4. Nei labirinti della persecuzione: i tentativi di sopravvivere
  5. Conclusione: distruzione di gruppo in società estremamente violente

L’Olocausto, e cioè i suoi eventi fondamentali, è sostanzialmente esaminato nella Parte I (140 pagine), così ci concentreremo su questa. Le Parti II e III riguardano altri argomenti.

Le soluzioni immaginate

Gerlach inizia con la situazione prima del 1933. In un sotto-capitolo intitolato “Soluzioni immaginate” egli scrive:

Viene detto spesso che tutti avrebbero dovuto sapere prima del 1933 che Hitler e i nazisti volevano distruggere gli ebrei. Tuttavia, importanti documenti non rendono questo così ovvio. Secondo il programma del 1920 del Partito Nazista, che venne in seguito dichiarato ‘immodificabile’, gli ebrei avrebbero dovuto essere privati della loro cittadinanza tedesca, tutti gli ebrei avrebbero dovuto essere legalmente considerati come stranieri, e, come tali, i tedeschi avrebbero dovuto avere la priorità su di loro riguardo agli impieghi lavorativi, con il suggerimento di una possibile opzione di espellere i concorrenti ebrei. Gli ebrei dovevano essere rimossi dal servizio civile, dal giornalismo e dalla proprietà di riviste e giornali; tutta l’immigrazione doveva essere messa fuori legge e tutti gli immigrati (non solo gli ebrei) arrivati dopo il 2 agosto 1914 dovevano essere espulsi. […] Nel suo libro, Mein Kampf, Hitler non disse esplicitamente che voleva uccidere gli ebrei. Il suo paragonare gli ebrei ai parassiti in diverse occasioni era indicativo di questo fatto, ma non era senza precedenti nel discorso antiebraico in Germania” (p. 33).

Egli osserva anche:

Gli attivisti tedeschi non erano i soli a voler cacciare gli ebrei dal loro paese o da tutta l’Europa. Un certo numero di figure pubbliche in Europa sostenevano questo. In realtà, alcuni intellettuali avevano immaginato di rimuovere tutti gli ebrei dall’Europa a partire dalla fine del diciottesimo secolo. Paul de Lagarde sembra essere stato il primo – alla fine del diciannovesimo secolo – a suggerire esplicitamente il Madagascar come una destinazione possibile, un pensiero che divenne in seguito largamente condiviso e che venne ripreso dai nazisti negli anni 1940-41. Negli anni ’30, tuttavia, molte altre possibili zone di insediamento per gli ebrei vennero discusse” (p. 35).

E quale fu la politica dopo il 1933?

Se vi fu una meta globale da parte delle autorità centrali dopo il 1933, fu l’emigrazione. Tutti gli ebrei avrebbero dovuto lasciare la Germania, e i provvedimenti nel paese dovevano servire a tale scopo” (p. 48).

Dopo lo scoppio della guerra, questa politica venne cambiata. I reinsediamenti al posto dell’emigrazione furono il nuovo piano:

Un tale pensiero non era esclusivamente tedesco. I politici statunitensi, britannici, francesi, polacchi e giapponesi suggerirono progetti di reinsediamento. Il Primo Ministro polacco in esilio, Władisław Sikorski, suggerì il reinsediamento di 3.5 milioni di ebrei polacchi al Ministro degli Esteri britannico Anthony Eden, nel gennaio 1942. Altre destinazioni di deportazioni suggerite furono l’Alaska, la Guyana olandese e vari altri paesi sudamericani, la Manciuria, l’Angola, l’Etiopia, la Rodesia settentrionale e le Filippine. L’emigrazione ebraica in Palestina si aggiunse alle opzioni di reinsediamento territoriale. Durante la conferenza di Evian, diplomatici polacchi e rumeni esortarono (senza successo) il Presidente Roosevelt degli Stati Uniti a includere l’emigrazione dei propri ebrei nell’opera della Commissione intergovernativa sui rifugiati politici” (p. 60).

Fin qui, tutto bene. Ma come e quando tutto questo diventò lo sterminio totale?

La strada verso lo sterminio

Gerlach descrive l’evoluzione della politica nazista sugli ebrei nel modo seguente:

Nel giro di un anno e mezzo, dalla primavera del 1941 alla tarda estate del 1942, arrivarono i piani per la concentrazione territoriale degli ebrei che includevano sempre più violenza combinati con idee sullo sterminio selettivo degli ebrei nell’Unione Sovietica che doveva essere occupata. Questo condusse alle intenzioni di uccidere praticamente tutti gli ebrei sovietici; a cui si aggiunsero poi piani di uccidere quegli ebrei polacchi che erano considerati improduttivi, fino a che, infine, venne sviluppato il piano di uccidere tutti gli ebrei europei. Si arrivò a questa politica attraverso un complesso processo che coinvolse diverse autorità e agenzie centrali e regionali – a differenti livelli delle loro gerarchie – e questa fu il risultato di un certo numero di motivazioni intrecciate. La pratica si evolse di conseguenza – sebbene in modo irregolare – dalle fucilazioni di massa selettive ad un annientamento quasi completo nei territori sovietici occupati nel 1941, sebbene in alcune regioni grandi numeri di ebrei vennero risparmiati per un anno o più; e dalle deportazioni selettive da molti paesi a centri di sterminio di nuova costruzione; e poi alla cancellazione quasi completa delle comunità ebraiche nel 1942” (p. 66).

Secondo Gerlach, il sistema nazista era “semi-decentralizzato e permetteva un buon margine di flessibilità, coordinamento informale e autonomia” (p. 119). Egli conclude:

Gli storici hanno prestato molta attenzione a questo processo decisionale tedesco, e ai cambiamenti nelle politiche antiebraiche. Dopo decenni di ricerche è diventato chiaro che non vi fu un piano generale nazista fin dall’inizio e che il processo decisionale fu un processo complesso e prolungato che coinvolse molti attori a molti livelli” (p. 438).

Quindi in breve, Gerlach si posiziona fondamentalmente in linea con Hilberg. Non vi fu nessun piano centrale, nessun budget, nessuna speciale agenzia per sterminare gli ebrei. Vi furono “idee”, “intenzioni”, processi complessi”, “differenti autorità e agenzie regionali”, “motivazioni intrecciate”, e “molti attori”. Se tutto ciò suona confuso, è perché lo è.

La decisione di Hitler

Nondimeno, ci deve essere stata una qualche sorta di decisione da parte di Hitler di uccidere tutti gli ebrei europei. In effetti, nel suo sotto-capitolo “La decisione di Hitler in linea di massima per uccidere tutti gli ebrei europei”, Gerlach ci informa che:

Come un cumulo di documenti mostra, Hitler annunciò la sua decisione in linea di massima di uccidere tutti gli ebrei d’Europa il, o intorno al, 12 dicembre 1941” (p. 80).

Ma il lettore attenderà invano che Gerlach mostri questo “cumulo” (nelle sue note a piè di pagina egli in realtà cita soprattutto autori, non documenti). Invece, egli cita la seguente annotazione del diario di Goebbels:

Riguardo alla questione ebraica il Führer è determinato a sparecchiare la tavola. Ha ammonito gli ebrei che se essi provocheranno un’altra guerra mondiale, essa condurrebbe alla loro distruzione. Queste non erano vuote parole. Ora la guerra mondiale è venuta. La distruzione degli ebrei deve essere la sua necessaria conseguenza. Non possiamo essere sentimentali riguardo a ciò” (ibid.).

Naturalmente, Gerlach tace sulle annotazioni successive che spiegano cosa Goebbels intendeva con la parola “distruzione”, come quella del 14 dicembre 1941:

Parlo con il Führer della questione ebraica. Egli è determinato ad intraprendere un’azione rilevante e a non essere dissuaso dal sentimentalismo borghese. Soprattutto, gli ebrei devono lasciare il Reich”.

O quella del 5 febbraio 1942:

La questione ebraica ci sta dando un altro mal di testa; questa volta, tuttavia, non perché siamo andati troppo lontano, ma perché non stiamo andando abbastanza lontano. Tra larghi settori del popolo tedesco si sta facendo largo l’idea che la questione ebraica non possa essere risolta fino a quando tutti gli ebrei non avranno lasciato il Reich”.

Cercando qualche prova solida, passiamo al sotto-capitolo “Toward a plan for swift, direct extermination” (“Verso un piano per uno sterminio rapido e diretto”):

La decisione di Hitler in linea di massima non condusse immediatamente allo sterminio o all’erezione di nuovi centri di sterminio. La famigerata conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942 – una riunione intergovernativa di alto livello riguardante la persecuzione degli ebrei – getta luce sul perché non lo fece. Essa fornisce informazioni sulle strutture del processo politico. Ma poiché la conferenza non quadra bene con le periodizzazioni di molti storici, alcuni sono stati messi in difficoltà da essa e hanno concluso di conseguenza che non era molto importante” (p. 84).

Fortunatamente, Gerlach è qui per salvare la situazione. Egli continua:

Alla conferenza Heydrich presentò solo vaghi piani per ‘rastrellare l’Europa da Ovest a Est’, portando gli ebrei catturati nell’Europa orientale, lasciandone morire la maggior parte durante il trasporto e i lavori forzati, e poi uccidendo il resto” (p. 85).

Sfortunatamente, non vengono menzionate uccisioni nel Protocollo di Wannsee. Le sole parole che compaiono sono espulsione e emigrazione. Gerlach lo sa, così non fa nessuna citazione. In realtà, il passaggio a cui si riferisce recita:

Nel corso dell’esecuzione pratica della soluzione finale, l’Europa sarà rastrellata da ovest a est. La Germania vera e propria, incluso il Protettorato di Boemia e Moravia, dovrà essere gestita per prima a causa dei problemi di alloggiamento e delle ulteriori necessità sociali e politiche. Gli ebrei evacuati verranno dapprima inviati, gruppo per gruppo, nei cosiddetti ghetti di transito, da cui saranno trasportati all’Est”.

Le vittime del lavoro sono menzionate nel passaggio precedente:

Sotto una guida adeguata, nel corso della soluzione finale gli ebrei dovranno essere assegnati ad un lavoro appropriato all’Est. Gli ebrei abili, separati secondo il sesso, saranno portati in grandi colonne lavorative in queste aree per lavorare alle strade, nel corso della cui azione senza dubbio una gran parte sarà eliminata per cause naturali. I superstiti, poiché costoro saranno la parte più resistente, devono essere trattati di conseguenza, perché sono il prodotto della selezione naturale e agiranno, al momento del rilascio, come il seme di una nuova rinascita ebraica”.

Nonostante quello che gli storici vorrebbero farci credere, non vi è qui nessun piano di sterminio. Il testo in realtà si riferisce solo agli ebrei abili che riusciranno a sopravvivere alle dure condizioni, e al momento del rilascio, aiuteranno la rinascita ebraica. Così, dovevano essere tenuti in detenzione, non uccisi.

Gerlach inoltre scrive:

Josef Bühler, il Segretario di Stato del Governatorato Generale, e Alfred Meyer, il vice-Ministro dei territori sovietici occupati, chiesero che lo sterminio fosse effettuato prima di tutto nei loro territori perché – come una delle osservazioni di Bühler venne riassunta, ‘motivi di politica del lavoro non impedirebbero il corso di questa azione’” (ibid.).

Ecco cosa il Protocollo dice davvero su Bühler:

Il Segretario di Stato dr. Buehler ha dichiarato che il Governatorato Generale apprezzerebbe se la soluzione finale di questo problema potesse iniziare nel Governatorato Generale, poiché da un lato il trasporto non esercita un ruolo così grande qui né problemi di disponibilità di manodopera ostacolerebbero questa azione. Gli ebrei devono essere rimossi dal territorio del Governatorato Generale il più rapidamente possibile, poiché è specialmente qui che l’ebreo come portatore di epidemie rappresenta un estremo pericolo e d’altro canto provoca un caos permanente nella struttura economica del paese mediante il mercato nero”.

È chiaro che Gerlach inganna il lettore selezionando proposizioni e ricucendole assieme nel suo scenario sterminazionista, la tattica preferita degli storici dell’Olocausto. Ancora peggio, egli non esita a ricorrere a falsificazioni indirette. Per esempio:

Il 19 luglio Himmler ordinò che i soli ebrei rimasti nel Governatorato Generale entro fine dell’anno dovessero essere confinati in cinque grandi campi di concentramento. Questo era necessario, egli sostenne, per la ‘separazione delle razze e dei popoli necessaria per un nuovo ordine in Europa’, per ragioni di sicurezza, e perché gli ebrei erano una ‘fonte di infezione morale e fisica’” (p. 91).

Quell’ordine era diretto al SS Obergruppenführer Krüger e dice (NO-5574):
Io perciò ordino che il reinsediamento dell’intera popolazione ebraica del Governatorato Generale debba essere effettuata e completata entro il 31 dicembre 1942. Dal 31 dicembre 1942, nessuna persona di origine ebraica può rimanere all’interno del Governatorato Generale, a meno che si trovi nei campi di concentramento di Varsavia, Cracovia, Czestochowa, Radom e Lublino. Tutti gli altri lavori in cui è impiegata manodopera ebraica devono essere finiti entro quella data, o, nell’eventualità che ciò non sia possibile, devono essere trasferiti in uno dei campi di concentramento”.

Ma poche pagine dopo riferendosi allo stesso ordine Gerlach scrive:

Il 19 luglio 1942, Himmler aveva ordinato che tutti gli ebrei del Governatorato Generale dovevano essere o uccisi o portati nei campi delle SS entro il 31 dicembre” (p. 107).

Il testo sottolineato è un’aggiunta furtiva di Gerlach. Egli usa lo stesso trucco poco dopo riguardo ad un altro ordine di Himmler del 21 giugno 1943. L’ordine dice (NO-2403):
1) Ordino che tutti gli ebrei ancora rimasti nei ghetti nell’area dell’Ostland vengano radunati in campi di concentramento. 2) Proibisco il ritiro degli ebrei dai campi di concentramento per lavoro [all’esterno] dal 1 agosto 1943. 3) Un campo di concentramento deve essere finito vicino Riga in cui sarà trasferita l’intera manifattura dell’abbigliamento e dell’equipaggiamento ora gestita dalla Wehrmacht all’esterno. Tutte le ditte private saranno eliminate. Le officine devono essere esclusivamente officine di campi di concentramento. Al Capo dell’Ufficio Principale Economico e Amministrativo delle SS è assegnato il compito di accertarsi che non ci siano carenze nella produzione richiesta dalla Wehrmacht come conseguenza di questa riorganizzazione. 4) I detenuti dei ghetti ebraici che non vengono richiesti devono essere evacuati all’Est. 5) Il maggior numero possibile di maschi ebrei devono essere portati nei campi di concentramento nell’area del petrolio di scisto per l’estrazione del petrolio di scisto. 6) La data fissata per la riorganizzazione dei campi di concentramento è il 1 agosto 1943”.

Ed ecco cosa sostiene Gerlach:
Il 21 giugno egli ordinò che tutti i ghetti dell’Ostland dovevano essere svuotati entro il 1 agosto e che una certa parte dei loro abitanti dovevano essere uccisi, mentre i restanti dovevano essere trasferiti in campi di concentramento” (p. 110).

Ovviamente, nessuna fonte viene fornita.

I campi della morte

Sorprendentemente, in un libro sull’Olocausto, i campi della morte compaiono raramente. C’è una descrizione molto breve sulle operazioni di uccisione a Belzec, Sobibor e Treblinka (p. 92), e pochi altri riferimenti come questo:

Sotto la diretta amministrazione tedesca la rimozione degli ebrei tedeschi, austriaci e cechi, inclusi molti che stavano a Theresienstadt, fu in gran parte completata nell’agosto 1943. La maggior parte di tutti costoro vennero uccisi ad Auschwitz. Ripetutamente, gli ebrei rimasti nei territori polacco e sovietico occupati dalla Germania vennero suddivisi secondo l’abilità o la capacità di lavorare. Grandi numeri vennero uccisi nel corso del procedimento e il resto venne gradualmente trasferito nei campi. La maggior parte dei ghetti vennero liquidati” (p. 102).

O come questo:

Le deportazioni su larga scala iniziarono il 15 maggio 1944, solo due mesi dopo l’invasione tedesca, e 430,000 ebrei ungheresi vennero portati ad Auschwitz nel giro di otto settimane; circa il 75% vennero uccisi immediatamente al loro arrivo” (p. 114).

O come questo:

Le prime uccisioni nelle camere a gas di Belzec iniziarono nel marzo 1942, prendendo di mira gli ebrei dei distretti di Lublino e della Galizia. Avevano lo scopo di uccidere le persone inabili al lavoro – circa il 60% della popolazione, esclusi coloro che avevano un’età tra i sedici e i trentacinque anni” (p. 243).

C’è anche una tabella con alcune informazioni basilari (p. 120). Gerlach elenca cinque dei sei campi della morte (lascia fuori Majdanek), la loro area di responsabilità, il metodo di uccisione, la data di costruzione, il periodo di operatività, e i numeri e le origini degli ebrei uccisi. E questo è tutto. Nessun dettaglio, niente foto e, naturalmente, nessun testimone. Egli semplicemente cita libri scritti o da lui stesso o da storici come lui, quali Berger, Browning, Pohl, Schelvis e Tuchel.

Gerlach ha una risposta per questa scelta (be’, una sorta di spiegazione):
Perché questo libro non analizza i metodi delle violenze o delle uccisioni più dettagliatamente? Le comparazioni delle violenze contro una varietà di gruppi suggerisce cautela per le seguenti ragioni. Innanzitutto, una vasta gamma di forme di violenza vennero applicate allo stesso gruppo (per esempio, gli ebrei in Ucraina). Secondariamente, lo stesso metodo di violenza venne utilizzato contro gruppi differenti (per esempio, gli inabili, gli ebrei, i prigionieri di guerra sovietici, gli zingari, i polacchi e gli oppositori politici sovietici vennero tutti gasati). In terzo luogo, la stessa unità o individuo poteva usare vari metodi di violenza. Inoltre, nella misura in cui persone diverse da quelle impiegate nelle unità di uccisione decidevano chi doveva essere ucciso o deportato, e quando, i modi in cui le uccisioni avvenivano non spiegano gli eventi. Tutto ciò implica che i metodi di violenza impiegati non dicono necessariamente molto sul rapporto tra i perpetratori e le vittime, e presentano poche informazioni utili a capire perché un atto di violenza ebbe luogo” (p. 140).

Ma prima di spiegare perché qualche cosa accadde, dobbiamo sapere esattamente cosa accadde. Sfortunatamente, l’autore non aiuta, molto probabilmente per ragioni molto differenti da quelle dichiarate.

Riepilogo

Questo libro avrebbe dovuto essere intitolato La persecuzione degli ebrei europei, poiché uno spazio molto piccolo è dedicato alla parte riguardante lo sterminio (non compare nemmeno la parola Zyklon), e questa parte è anche molto confusa. Gerlach usa i trucchi abituali utilizzati dagli storici dell’Olocausto: interpolazioni, soppressione di prove, omissioni, falsificazioni. Ma tira fuori una domanda interessante:

Perché così pochi si opposero allo sterminio? È vero che le autorità non annunciarono la distruzione pubblicamente, e che la maggior parte delle persone all’interno della Germania sentivano solo dicerie, frammenti di informazioni o le informazioni trasmesse dalle stazioni radio nemiche. Nei paesi occupati, tuttavia – dove ebbe luogo la maggior parte dello sterminio – è rimarchevole il sostegno diffuso e attivo e una quasi totale mancanza di opposizione. Spiegare in maniera esaustiva tutto ciò rimane un compito per future ricerche” (p. 446).

Per i revisionisti la risposta è facile: non vi fu uno sterminio a cui opporsi. Ma per gli storici ortodossi, ebbene, buona fortuna con questo.     

  

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/10/1/5288

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