MEMORIE DI UN’EBREA SALONICCHIOTA[1]
Di Panagiotis Heliotis, 2018
Erika Kounio è stata la curatrice del libro Testimonianze orali degli ebrei di Salonicco sull’Olocausto esaminato in un precedente articolo. Poiché ella è parimenti una sopravvissuta dell’Olocausto, daremo ora uno sguardo al suo memoriale specifico: 50 anni dopo: memorie di un’ebrea salonicchiota[2].
Kounio venne deportata insieme alla sua famiglia a Birkenau il 20 marzo 1943 all’età di 15 anni. Poiché ella e i suoi genitori potevano parlare tedesco, lavorarono come interpreti. In seguito venne trasferita ad Auschwitz dove lavorò come segretaria, compilando i registri mortuari. Il 18 gennaio 1945, quando il campo venne evacuato, venne inviata con una “marcia della morte” a Ravensbrück, e poi da lì ad una destinazione sconosciuta. Insieme ad altri prigionieri, riuscì a fuggire e a nascondersi in un fienile abbandonato. I russi li trovarono pochi giorni dopo, ed ella alla fine tornò in Grecia.
Nonostante il fatto che vi lavorasse come segretaria, ella visse un periodo davvero difficile ad Auschwitz. Ma cosa ci dice esattamente riguardo alle affermazioni sullo sterminio?
Propaganda radiofonica
Il primo fatto interessante che riferisce riguarda suo nonno, prima della deportazione. I suoi nonni vivevano nei Sudeti. Nel 1939, fuggirono dal paese per sfuggire ai tedeschi, e vennero in Grecia. Ecco cosa accadde una notte:
“Deve essere stato novembre, sempre nel 1942, quando la sera – come ogni sera – sentivamo alla radio le notizie della BBC. Ogni cosa era chiusa nella stanza, e la porta principale era chiusa a chiave. Ad un certo punto, sentimmo il radiocronista dire in modo indifferente che due ebrei polacchi erano arrivati alla stazione radiofonica quella mattina dopo essere fuggiti da un ‘campo’ chiamato ‘Lublino’. Lì – il radiocronista continuò in modo indifferente – vi erano uccisioni di massa degli ebrei. Senza ulteriori commenti, egli continuò con il resto delle notizie. Non dimenticherò mai il viso di mio nonno. Diventò tutto rosso con gli occhi fuori dalle orbite e spense la radio. Si rivolse ai miei genitori e disse: ‘Questa è propaganda inglese’. Era arrivato qui tre anni prima, come un profugo braccato, per trovare rifugio in Grecia, nella casa di sua figlia, e tuttavia ancora credeva che i tedeschi fossero un popolo superiore! E tutto quello che veniva da Londra era propaganda!” (p. 64).
Forse suo nonno ne sapeva più di lei?
Il momento della selezione
Dopo essere arrivata a Birkenau, seguì la solita procedura. I bambini, i malati e i vecchi vennero caricati su camion che stavano in attesa:
“La gente continuava a salire sui camion, che partivano non appena erano pieni. Dove andavano? Non si sa!” (p. 87).
Quando arrivarono poi al loro blocco, chiesero agli altri prigionieri spiegazioni su questo fatto. Ancora una volta ricevettero la solita risposta:
“Per un minuto vi fu un silenzio di tomba; qualcuno iniziò ad andare via, e due o tre ci dissero l’incredibile, l’inaudito: ‘Essi non sono più; li hanno tutti bruciati; li hanno trasformati in fumo che esce dai camini…’. Pazzesco, pensai, totalmente pazzesco, danno i numeri, non sanno quello che dicono” (p. 91).
Ma come al solito, non ci volle troppo tempo affinché anche ella vi credesse.
Il trattamento speciale
Kounio fornisce qualche informazione interessante riguardo a coloro che presuntivamente venivano inviati nelle camere a gas:
“Vicino l’’ufficio’ c’era il Block 25. C’era anche una baracca dove radunavano tutte le donne che avevano subito una ‘selezione’. Molte volte venivano tenute lì per tre o quattro giorni, fino a quando venivano condotte alla camera a gas. […] Gli elenchi con i nomi di coloro che erano finiti al Block 25 dovevano essere compilati, i nomi dovevano essere scritti velocemente e correttamente. […] Ecco un altro esempio della meticolosità tedesca. Comporre gli elenchi con i nomi dei ‘candidati a morire’, con i nomi scritti correttamente, e inserirli nelle loro cartelle” (p. 107).
Ella afferma che questo veniva fatto ad ogni selezione, sia che si trattasse di una selezione di massa tra i nuovi arrivi, o una di quelle effettuate quotidianamente prima o dopo il lavoro. Poche pagine dopo ella aggiunge:
“I nomi di tutti quelli che avevano subito una selezione nei campi di Birkenau e di Auschwitz venivano registrati su elenchi che venivano inviati agli uffici centrali della P. A. [Politische Abteilung, la sezione di polizia del campo] dove lavoravamo, per la registrazione. Su ognuno di questi elenchi c’erano anche scritte le discrete lettere S. B., che significano Sonder Behandlung, e cioè ‘trattamento speciale’. Le persone che stavano sugli elenchi S. B. venivano ‘trattate in modo speciale’, e cioè uccise con il gas” (p. 114).
Ma secondo la narrazione ortodossa, quelli che arrivavano al campo che venivano presuntivamente selezionati per le camere a gas non venivano registrati da nessuna parte. Se le persone che erano state selezionate venivano “meticolosamente” registrate, questo può solo significare che non sarebbero entrate in una camera a gas. Quanto al trattamento speciale, e alla parola “speciale” in generale, risulta da molti documenti che non ha niente a che fare con uccisioni[3]. Kounio scrive anche:
“Ogni volta che un bambino nasceva riceveva il suo numero di serie e gli elenchi dei neonati arrivavano nei nostri uffici per gli archivi” (p. 139).
Non avrebbe potuto fare un’affermazione peggiore! Registrazione di neonati? Come si può conciliare tutto ciò con lo sterminio degli inabili?
Lo sterminio
Così, arriviamo al punto principale: lo sterminio mediante gas venefico. Ma su questa questione cruciale, Kounio non ha assolutamente nulla di specifico da dire. Nulla sulle camere a gas, nulla sui crematori. Numero, ubicazione, operazione, sono totalmente assenti. Vi sono solo vaghe descrizioni come questa:
“Vissero per qualche mese lì, quando un giorno apprendemmo che il campo degli zingari era stato svuotato. Li mandarono tutti alle camere a gas” (p. 139).
O questa:
“Quasi ogni giorno c’erano nuovi arrivi, migliaia. La percentuale di coloro che entravano nel campo era circa la stessa ad ogni trasporto, dalle 200 alle 500 persone al massimo, uomini e donne insieme. Il resto delle migliaia andavano direttamente alle camere a gas” (p. 141).
Sulla stessa pagina, riguardo alla deportazione degli ebrei ungheresi nella primavera/estate del 1944, leggiamo:
“Migliaia, molte migliaia arrivano giornalmente alla ‘rampa’ di Birkenau. Da molti vagoni non scendono tutti insieme, aspettano ore interminabili dentro per il loro turno. È stata creata una ‘via’ che conduce dalla rampa direttamente alle camere a gas, senza passare con i camion attraverso il campo. I crematori stanno lavorando senza sosta e non possono stare al passo. Hanno aperto grandi fosse; vi gettano legna, cadaveri, e danno fuoco. Li bruciano lì, perché i crematori non bastano”.
Non solo la descrizione è vaga ma la storia su una strada costruita ex novo dalla rampa ferroviaria alle camere a gas non ha senso. In realtà, la linea ferroviaria stessa fu prolungata all’inizio del 1944 per entrare nel campo lungo la strada principale del campo, formando così una nuova rampa. Finiva proprio vicino ai crematori II e III all’estremità occidentale della strada principale. È chiaro che Kounio ripete un semplice sentito dire. Ella stessa lo ammette:
“Ancora una volta, una donna ci ha portato la notizia che bambini di due o tre anni di età sono stati gettati vivi nelle fiamme dalle SS, nelle fosse che avevano preparato” (p. 142).
Ovviamente, anche ella vi credette.
Riepilogo
Il memoriale di Kounio venne pubblicato per la prima volta nel 1996. Come ella afferma, decise di scrivere 50 anni dopo gli eventi perché sempre più persone stavano contestando l’Olocausto, e bisognava confutarle. Ma se si legge davvero il suo libro, la conclusione che se ne trae è che forse sarebbe stato meglio se fosse rimasta zitta. Le sue esperienze non confermano la versione ortodossa. Bisogna aggiungere che sia lei che sua madre si ammalarono seriamente mentre stavano al campo (sua madre contrasse il tifo) e tuttavia vennero mandate all’ospedale, non alla camera a gas, e ricevettero entrambe le cure necessarie per la guarigione. Riguardo alle affermazioni sullo sterminio, non offre nessuna informazione attendibile. Quindi, abbiamo un altro testimone credibile in cui la paura ha prevalso sul ragionamento.
Concludiamo con questo fatto illuminante:
“Un bambino della scuola elementare che visitò la mostra organizzata dalla nostra comunità nel 1993 con documenti, foto, e vari oggetti, tutti sull’Olocausto, chiese suscitando lo sconcerto di suo padre: i tedeschi furono tanto stupidi da conservare tutte queste prove?” (pp. 89 ss.).
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/10/1/5282#_ftnref2
[2] Erika Kounio-Amarilio, 50 χρόνια μετά: Αναμνήσεις μιας Θεσσαλονικιώτισσας εβραίας (50 chronia meta: Anamneseis mias Salonikiotissas Hebraias), Parateretes, Thessaloniki 1996/Ianos, Thessaloniki, 2006.
[3] Vedi Carlo Mattogno, Special Treatment in Auschwitz: Origin and Meaning of a Term, 2nd ed., Castle Hill Publishers, Uckfield 2016; and idem, Healthcare in Auschwitz: Medical Care and Special Treatment of Registered Inmates, ibid.
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