REVISIONISMO A METÀ: L’ULTIMA PRESA DI POSIZIONE DI DAVID CESARANI[1]
Di Panagiotis Heliotis, 2019
David Cesarani (1956-2015) è stato uno storico inglese specializzato in storia ebraica. Ha detenuto incarichi in varie università incluse le Università di Leeds, l’Università di Southampton e l’Università di Londra. Questo articolo si occuperà del suo canto del cigno – il libro Final Solution: The Fate of the Jews 1933-1949 (Macmillan, 2016) (“La soluzione finale: il destino degli ebrei 1933-1949”).
Composto da oltre 1,000 pagine, questa è un’opera che chiaramente rivaleggia con l’opus magnum di Raul Hilberg. E se si prende una tale opera come pietra di paragone tutto ciò sembra come un duello David contro Golia. Nondimeno, manterremo la rotta! I contenuti sono i seguenti:
Prologo
Uno IL PRIMO ANNO 1933
Due JUDENPOLITIK 1934-1938
Tre POGROM 1938-1939
Quattro GUERRA 1939-1941
Cinque BARBAROSSA 1941
Sei SOLUZIONE FINALE 1942
Sette GUERRA TOTALE 1943
Otto L’ULTIMA FASE 1944-1945
Epilogo
Conclusione
Così, per un nuovo libro sull’Olocausto, vengono in mente due domande basilari: perché l’autore lo ha scritto e cosa dice sullo sterminio degli ebrei? Esaminiamo queste domande.
Perché questo libro?
Nell’Introduzione Cesarani innanzitutto presenta la seguente osservazione:
“Tuttavia c’è un abisso spalancato tra la comprensione popolare di questa storia e la storiografia corrente sull’argomento. Tutto ciò non è affatto sorprendente dato che la maggior parte delle persone acquisisce la conoscenza del passato nazista e del destino degli ebrei attraverso romanzi, film, o sincere ma poco informate lezioni a scuola, che frequentemente si basano su romanzi per giovani adulti o sulle loro versioni cinematografiche. Le idee sbagliate sono rafforzate dalle versioni pubblicate e strumentalizzate propugnate da enti che fanno campagne e dalla costellazione di organizzazioni impegnate nell’istruzione e nella commemorazione. Sebbene questi sforzi vengano fatti in buona fede, sono subordinati ad agende estranee, che siano il desiderio di coltivare un’identità nazionale inclusiva o la lodevole determinazione di combattere l’antisemitismo, il razzismo, l’omofobia e altre forme di intolleranza politica, religiosa o etnica” (p. XXV).
Poi egli spiega i suoi ragionamenti nel modo seguente:
“Questo libro è nato da una preoccupazione sulla discordanza tra, da un lato, evocazioni dell’Olocausto nella cultura popolare, nell’istruzione e nelle sue commemorazioni e, dall’altro, le rivelazioni dei ricercatori in molte discipline, operanti sia all’interno che fuori dell’ambito accademico” (p. XXVIII).
In altre parole, mettiamo le cose in chiaro. Ma questo significa che possiamo aspettarci una qualche sorta di revisione della storia ufficiale? In realtà, sì:
“A differenza della maggior parte delle narrazioni precedenti, questo racconto contesta che la politica antiebraica nazista fu sistematica, coerente o persino premeditata. […] Mentre è possibile individuare dichiarazioni programmatiche da parte di attori chiave, in particolare delle SS, non vi fu una politica coerente, centralizzata e complessiva fino alla fine del 1938. Se può esservi stato un largo consenso antisemita all’interno del movimento nazista e nelle istituzioni governative, e se anche la politica percorse una direzione verso misure sempre più aspre, questo non significa che una cosa conducesse ad un’altra logicamente, necessariamente, o persino deliberatamente” (p. XXXI).
In realtà, Cesarani è anche più esplicito. Egli scrive che fu il corso della guerra piuttosto che ogni piano preconcetto a scatenare la discesa in un genocidio su scala europea (p. XXXVI). Ma allora sorge un’ovvia domanda: ci sarebbe stato un genocidio se i tedeschi fossero stati vittoriosi? Cesarani ignora tale domanda. Così esaminiamo ciò che ha da dire sull’Olocausto.
Il piano
Come possiamo vedere, Cesarani inizia la sua narrazione partendo dal 1933, e la sua prima osservazione riguardo alla politica di Hitler verso gli ebrei è la seguente:
“La priorità di Hitler nell’assumere il potere fu di mantenere la sua promessa di riparare l’economia e di ripristinare l’unità nazionale. Abrogare la democrazia parlamentare fu sia un mezzo per questo scopo che un fondamentale obbiettivo nazista. Hitler fece poco che apparisse immediatamente rilevante nei confronti degli ebrei tedeschi in quanto ebrei. Le drastiche restrizioni sui diritti individuali e l’estensione dei poteri di polizia sembrarono avere più a che fare con la guerra politica. In quelle prime euforiche settimane non c’era nulla che suggerisse che lo stato poneva una minaccia nei confronti di cittadini innocenti che appartenevano ad una innocua minoranza religiosa” (p. 35).
Dopo di che, il libro si concentra sulle varie forme di persecuzione, le leggi, le espulsioni, i ghetti, le confische e così via, dove Cesarani fornisce molti dettagli, e infine naturalmente, il piano di espellere tutti gli ebrei dall’Europa. Riguardo a ciò, egli scrive:
“Il 25 maggio 1940, Heinrich Himmler sottopose a Hitler un memorandum intitolato ‘Alcune considerazioni sul trattamento della popolazione straniera all’Est’. Esso conteneva i suoi suggerimenti per la germanizzazione della Polonia annessa. Himmler raccomandava che la popolazione indigena dovesse essere riorganizzata in categorie etniche, sebbene nessuna coscienza nazionale dovesse essere permessa. Piccole minoranze di tutte queste persone potevano essere usate per fornire sindaci e funzionari della polizia locale; i polacchi avrebbero dovuto ricevere solo l’istruzione più elementare. Dovevano essere insegnati loro solo l’aritmetica semplice e precetti religiosi di base come ‘il comandamento di Dio di essere obbedienti ai tedeschi’. I bambini ‘del nostro sangue’, opinava Himmler, avrebbero dovuto essere portati nel Reich dove sarebbero stati cresciuti come membri del Volk, sia che i loro genitori fossero o non fossero d’accordo. Il ‘resto degli inferiori’ sarebbe finito nel Governatorato Generale, dove avrebbe fornito una riserva di lavoro non specializzato e a basso costo. Alcuni gruppi etnici sarebbero semplicemente scomparsi. Significativamente, egli menzionò, per inciso, che questo sarebbe stato il destino degli ebrei. ‘Spero di vedere il termine “ebreo” completamente eliminato mediante la possibilità di emigrazione su vasta scala di tutti gli ebrei in Africa o in qualche colonia’” (p. 299).
Egli continua:
“Hans Frank fu informato del progetto da Hitler in persona l’8 luglio 1940. Fu eccitato dall’idea, se non altro perché la prospettiva di una soluzione imminente significava che Hitler era d’accordo nel sospendere ulteriori deportazioni di ebrei nella sua giurisdizione. Pochi giorni dopo Frank riferì ai suoi subordinati a Cracovia: ‘È previsto che dopo la pace l’intera cricca ebraica verrà trasportata il prima possibile dal Reich, dal Governatorato Generale e dal Protettorato in qualche colonia africana o americana. Il Madagascar, che la Francia fornirebbe per questo scopo, è la soluzione prevista…Cercherò di fare in modo che gli ebrei del Governatorato Generale possano parimenti fare uso di questa possibilità per costruire la propria vita in questo territorio’. Il progetto Madagascar ebbe perciò un effetto immediato in Polonia” (p. 301).
E poi:
“Ribbentrop incontrò Hitler il 17 settembre e propose che la Germania si vendicasse trasferendo gli ebrei dell’Europa centrale nei territori orientali. Così, tra il 15 e il 17 settembre Hitler alla fine ordinò la deportazione degli ebrei dal Reich e dal Protettorato. La soluzione del problema ebraico sarebbe andata avanti a prescindere da quello che succedeva sul fronte orientale. Come egli aveva predetto: gli ebrei pagheranno” (p. 423).
Molto bene. E allora come evolse tutto ciò nell’Olocausto per come lo conosciamo? Per le risposte, passiamo al Capitolo 6 sulla Soluzione Finale (p. 450) dove Cesarani inizia con una trattazione della Conferenza di Wannsee:
“Tuttavia, Heydrich allora ritornò alle questioni più prosaiche. Basandosi su un riassunto statistico elaborato da Eichmann, egli fornì ‘una disamina della lotta condotta fino ad ora contro questo nemico’. Vale a dire, egli fornì una visione d’insieme dello sviluppo della politica ebraica nel Terzo Reich dall’esclusione sociale ed economica all’espulsione degli ebrei dallo spazio vitale tedesco. Fu come se egli leggesse da un copione che era stato composto solo per gli ebrei del Reich. Come egli spiegò, l’emigrazione accelerata era stata ‘la sola soluzione provvisoria’ ed era stata presa in carico dalla Sipo-SD[2] attraverso l’ufficio centrale dell’emigrazione del Reich. Nonostante varie difficoltò, oltre 530,000 ebrei erano andati via legalmente dalla Germania, dall’Austria e dal Protettorato. Ma con l’inizio della guerra, l’emigrazione forzata aveva fatto il suo tempo. Dovette essere sostituita dall’’evacuazione degli ebrei all’Est, come un’ulteriore soluzione possibile, con la previa autorizzazione del Führer” (p. 455).
Ma, come si poteva prevedere, l’autore del libro non ha aspettato a lungo nel giocare la carta assai consumata del “linguaggio in codice”:
“Gli ebrei sarebbero stati ‘sarebbero stati utilizzati per il lavoro all’est’, riuniti in grandi colonne lavorative segregate per genere, e impiegati nella costruzione di strade. Sarebbero stati trasferiti anche più ad est con l’estensione delle strade. Con l’attuazione di questo progetto, a parte i più forti sarebbero tutti morti ‘attraverso una riduzione naturale’ e i restanti sarebbero stati sottoposti ad un ‘trattamento speciale’. Nei campi di concentramento, Sonderbehandlung o ‘trattamento speciale’ era già un eufemismo per l’uccisione. Egli poi precisò il motivo: la storia avrebbe mostrato che i sopravvissuti del programma della costruzione di strade potevano diventare la cellula germinale di una ‘nuova rinascita ebraica’. Così, sebbene l’evacuazione non prevedesse la morte immediata degli ebrei si sarebbe alla fine risolta nella distruzione del popolo ebraico” (p. 456).
Riguardo a questi sopravvissuti, la traduzione del Protocollo [di Wannsee] accolta negli atti del Tribunale Militare Internazionale a Norimberga in realtà afferma:
“Sotto una guida appropriata, nel corso della soluzione finale gli ebrei devono essere assegnati ad un lavoro appropriato all’Est. Gli ebrei abili, separati secondo il sesso, saranno presi in grandi colonne lavorative in queste zone per lavorare su strade, nel corso della cui azione senza dubbio una gran parte sarà eliminata per cause naturali. Gli eventuali rimanenti, poiché in questi consisterà la parte più resistente, devono essere trattati di conseguenza, perché sono il prodotto della selezione naturale e quindi, al momento del rilascio [bei Freilassung], si comporteranno come il seme di una nuova rinascita ebraica”.
L’espressione al momento del rilascio, significa che queste persone avrebbero dovuto continuare a essere detenute, non uccise (né rilasciate). Cesarani, naturalmente, impiegando i soliti trucchetti degli storici dell’Olocausto, la omette. Nondimeno, egli ammette:
“Vi sono numerosi aspetti poco chiari della riunione di Wannsee. Mentre uccisioni di massa utilizzando i camion a gas erano già in corso a Chelmno e un campo di sterminio, Vernichtungslager, con camere a gas fisse, era in costruzione a Belzec nel Governatorato Generale, Heydrich non collegò il suo piano a queste operazioni – nemmeno mediante cauti eufemismi. D’altronde, queste strutture omicide potevano a malapena aver gestito deportati provenienti da tutta Europa per il ‘trattamento speciale’. In realtà, nessuno dei siti dello sterminio che presero forma nei mesi successivi erano adatti agli scopi enunciati dall’uomo che dirigeva la ‘soluzione finale’. Né furono impiegate molte risorse per preparare un’impresa così colossale” (p. 458).
Egli inoltre aggiunge quest’affermazione altamente illuminante:
“Paragonata alla costruzione delle fortificazioni costiere nell’Europa nord-occidentale, alle difese contraeree nel Reich, o a praticamente ogni altro aspetto dello sforzo bellico, in termini materiali la guerra contro gli ebrei fu un evento di secondaria importanza. Venne pianificato male, sottocosto, e attuato a casaccio a rotta di collo” (p. 459).
Sì, avete letto bene. La guerra contro gli ebrei fu un EVENTO DI SECONDARIA IMPORTANZA[3], senza piano e senza fondi. E questo è tutto! Senza nessun altro commento, Cesarani semplicemente prosegue.
I campi
Riguardo alla parte sullo sterminio, e cioè, i campi della morte, Cesarani presenta una trattazione molto breve su Chelmno, seguita da Belzec con qualche dettaglio in più e da Sobibor poche pagine dopo. Una lunga trattazione è dedicata a Treblinka mentre Auschwitz riceve l’attenzione maggiore con diverse pagine e molti dettagli. Ma riguardo a tutto ciò Cesarani non ha assolutamente nulla di nuovo da offrire, basandosi principalmente su ciò che hanno detto altri storici (Van Pelt, Piper, Arad, Browning, Longerich, ecc.) e facendo occasionalmente intervenire alcuni testimoni, come il poco credibile Rudolf Reder su Belzec o l’ancor meno credibile Filip Müller su Auschwitz. Egli tira in ballo anche Rudolf Vrba e Alfred Wetzler:
“La prima fuga riuscita con questo scopo in mente venne effettuata da Alfred Wetzler e da Rudolf Vrba, due ebrei slovacchi che erano arrivati a Birkenau nella primavera del 1942. Il 7 aprile 1944 entrarono nel prolungamento parzialmente costruito di Birkenau conosciuto come ‘Messico’ e si nascosero sotto una catasta di legname. Il loro piano attentamente studiato dovette aspettare tre giorni fino a che i tedeschi tolsero il blocco attorno al campo che solitamente intrappolava i fuggiaschi. Quando il clamore cessò, essi fecero la loro mossa. Wetzler portò con sé l’etichetta di un barattolo di Zyklon B ottenuta con grande rischio da Filip Müller. Vrba, che aveva lavorato nei magazzini Canada per oltre un anno e poi nell’ufficio di registrazione del campo della quarantena, imparò a memoria un riassunto sbalorditivamente accurato degli arrivi e del numero degli uccisi. Dopo undici giorni di cammino la coppia raggiunse la Slovacchia e prese contatto con la comunità ebraica, trasmettendo tutto quello che sapevano ed esortando i dirigenti della comunità ebraica slovacca a informare il mondo” (p. 743).
Purtroppo, Cesarani non ci dice nulla di più su questo “riassunto sbalorditivamente accurato”, forse a causa del fatto che il detto rapporto è completamente fasullo.
Per quanto riguarda Treblinka, Cesarani ripete le fandonie di Yankiel Wiernik, come quella sui corpi utilizzati come combustibile:
“I cadaveri venivano ammucchiati in cima alla griglia, e la pira veniva poi cosparsa di benzina e accesa. Accumulato il calore sufficiente la carne iniziava a sciogliersi, poi fondeva e produceva grasso che finiva sul fondo della fossa. ‘Si scoprì che le donne bruciavano più facilmente degli uomini’, ricordò Yankiel Wiernik. ‘Di conseguenza, i cadaveri delle donne venivano utilizzati per accendere i fuochi’. Quando il grasso prendeva fuoco, la pira produceva un calore enorme e consumava le carcasse gettate in cima” (p. 641).
C’è uno storico da scrivania tutto per voi. E come abbiamo già notato, per Cesarani lo sterminio degli ebrei fu un evento di secondaria importanza e non lo scopo principale dei tedeschi. Così per ciò che concerne l’Operazione Ungherese, quando presuntivamente 400,000 ebrei ungheresi vennero deportati a Birkenau e uccisi, egli scrive:
“La deportazione degli ebrei veniva regolarmente fermata per assicurare che i rifornimenti affluissero al fronte ma nessuna azione militare venne mai sospesa per assicurare che la consegna degli ebrei alle camere a gas continuasse senza interruzione. Quando la penuria di lavoratori nel Reich divenne acuta, gli ebrei vennero percepiti come una risorsa preziosa. I tedeschi occuparono l’Ungheria nel marzo 1944 in parte per mettere le mani sui lavoratori ebrei; le esigenze militari guidarono la politica antiebraica, non il contrario” (p. XXXIII).
Così alla fine quanti ebrei perirono secondo Cesarani? Questo è interessante. Innanzitutto, la cifra dei sei milioni non compare (in realtà compare solo una volta ma riferita ai tedeschi). Nell’Introduzione Cesarani scrive che sul fronte orientale vennero uccisi circa 1.5 milioni di ebrei mentre 960,000 vennero uccisi ad Auschwitz, sebbene alla fine del libro egli riduca il numero a 900,000 (p. 747). Insieme ai 1,700,000 ebrei uccisi nei campi dell’”Aktion Reinhard” e ai più di 97,000 ebrei di Chelmno, arriviamo ad una cifra di circa 4,200,000. Il che significa che secondo gli accademici mainstream, possiamo stare certi che il numero dei 6,000,000 è sparito per sempre. Forse sarà questa la tattica d’ora in avanti. Focalizzarsi sui numeri parziali ed evitare i totali.
Le foto
Supponiamo che un lettore voglia farsi un’idea sui contenuti del libro. Lo apre e scorre le foto (48 in totale). Ecco cosa scoprirà:
- Hitler e Hindenburg che si stringono la mano nel “Giorno di Potsdam” il 21 marzo 1933.
- Un soldato dei reparti d’assalto esegue il boicottaggio dei negozi ebraici, 1 aprile 1933.
- [Un manifesto antisemita in una strada di Berlino].
- Un cartello alla periferia di un villaggio tedesco che dichiara che “gli ebrei sono la nostra disgrazia”.
- Ebrei messi a pulire i marciapiedi a Vienna il 13 marzo 1938.
- L’arresto di massa di uomini ebrei a Oldenburg, il 9 novembre 1938.
- La sinagoga Horovitz sulla Bornestrasse di Francoforte in fiamme…
- L’esito della “Kristallnacht” a Magdeburgo.
- Visita medica di bambini ebrei profughi in Olanda, autunno 1938.
- Ragazze ebree profughe dalla Germania ispezionate da un poliziotto britannico, autunno 1938.
- Raymond-Raoul Lambert [un veterano di guerra francese].
- Norbert Troller [un veterano di guerra ceco].
- Philip Mechanicus [un giornalista olandese].
- Ruth Maier [una scolara deportata ad Auschwitz].
- Abraham Krouwer, Abraham Asscher e David Cohen.
- Victor Klemperer [un protestante convertito dal giudaismo che registrò la vita quotidiana sotto i nazisti].
- Philipp Manes [un veterano di guerra tedesco].
- Hélène Berr [studentessa alla Sorbona].
- Mary Berg [scolara di Lodz].
- Adam Czerniaków [ingegnere polacco e capo del ghetto di Varsavia].
- L’ingresso del ghetto di Riga, dall’esterno del recinto del ghetto.
- Bambini ebrei a Lublino… 1941 circa.
23 e 24. Scene da un mercato nel ghetto di Varsavia…primi anni 1940.
- Un francobollo del ghetto di Lodz, che reca un ritratto di Chaim Rumkowski.
- Una bottega nel ghetto di Lodz, circa 1941-1942.
- Un gruppo di donne ebree lettoni costrette a svestirsi poco prima di essere fucilate da soldati tedeschi a Liepaja, 15 dicembre 1941.
- Una donna ebrea maltrattata durante il pogrom di Lvov, dal 30 giugno al 3 luglio 1941.
- Donne ebree provenienti da Kishinev radunate dalla guardia militare rumena.
- Ebrei del ghetto di Kaunus fatti salire su autocarri durante un’azione di deportazione.
- Il benvenuto al comandante di Sachsenhausen, febbraio 1941.
- Prigionieri ebrei nel campo di internamento di Drancy a Parigi, 1942.
- Membri dell’Ordedienst (servizio d’ordine ebraico) assistono prigionieri ebrei su un treno per deportati nel campo di transito di Westerbork circa 1942/43.
- Ebrei ungheresi salvati dalla deportazione dal Raoul Wallenberg, 1944.
- Un coro di internati che cantano in un cortile di Theresienstadt, circa 1943.
- Detenuti ebrei di Theresienstadt, inizi 1945.
- Fotografia aerea di Auschwitz-Birkenau…, 1944.
- Donne e bambini ungheresi che arrivano ad Auschwitz, maggio/giugno 1944.
- Uomo ebreo anziano che arriva ad Auschwitz, maggio/giugno 1944.
- Un trasporto di donne ungheresi che arrivano ad Auschwitz, maggio/giugno 1944.
- Vittime selezionate ad Auschwitz, maggio/giugno 1944.
- Una delle baracche di Bergen-Belsen poco dopo la liberazione del campo nel 1945.
- Guardie femminili delle SS che seppelliscono vittime di Bergen-Belsen in una fossa comune.
- Foto aerea di Treblinka, circa 1943.
- Copertina della pubblicazione del 1946 della testimonianza di Rudolf Reder su Belzec.
- Campo profughi di Potsdamer Chaussee a Berlino-Zehlendorf, 1946.
- Detenuti ebrei in un campo di internamento a Cipro, 1948.
- Il primo treno che trasportava ebrei diretto in Palestina, circa 1947.
Dieci di queste 48 fotografie riguardano campi di concentramento. La didascalia di un’immagine presume che i soggetti stiano per essere fucilati. Nessuna immagine di camere a gas, nemmeno di crematori. Come si può vedere, l’Olocausto è fondamentalmente assente. Tutto ciò non è affatto sorprendente: tutti gli storici dell’establishment impiegano la stessa tattica quando si tratta delle fotografie. O le omettono del tutto o ne mostrano alcune irrilevanti. Perché sanno che una foto vale migliaia di parole. In questo caso, la sua assenza è anche più emblematica.
Riepilogo
Il lettore può aver notato che parole come Olocausto, sterminio o distruzione non compaiono nel titolo del libro o nemmeno nei capitoli. Questo libro si presume che sia un’opera onnicomprensiva, che include l’Olocausto ma che non ci si concentra troppo. Per Cesarani, la parola stessa è superata. Secondo le sue stesse parole, “il termine ha probabilmente superato la sua data di scadenza” (p. XXIX). I revisionisti aggiungerebbero: “e non solo questo”.
Così, dal punto di vista revisionista, il prof. Cesarani si dimostra molto meno di un Golia. Il suo libro è scritto in uno stile facile da leggere e certamente svolge la sua funzione di fornire un resoconto complessivo del destino degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ma quando si tratta di contrastare il revisionismo, non c’è semplicemente nulla. Cesarani, come c’era da aspettarsi, tace sui revisionisti, e ovviamente non può offrire nulla di nuovo nemmeno inavvertitamente né occultamente. Al contrario, le sue varie omissioni e anche più le sue dichiarazioni esplicite mostrano la sua consapevolezza che la storia ufficiale è traballante e che la sola cosa che gli storici possono fare per sostenerla è di continuare a riciclare il suo debole contenuto sperando di tenere a galla la nave che affonda.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/11/2/6767
[2] Nota del traduttore: la Sicherheitpolizei o Sipo (Polizia di Sicurezza) si occupava specificamente della sicurezza del Reich sotto il profilo politico e criminale. https://it.wikipedia.org/wiki/Sicherheitspolizei
[3] Nota del traduttore: il termine originale è molto più icastico: “sideshow”.
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