IL DIARIO DEL PRIGIONIERO NUMERO 109565[1]
Di Panagiotis Heliotis, 2018
Abbiamo già esaminato le memorie di Erika Kounio. Adesso è la volta di suo fratello, Heinz Kounio, che parimenti ha scritto un libro di memorie: A Liter of Soup and Sixty Grams of Bread: The Diary of Prisoner Number 109565 (“Un litro di zuppa e sessanta grammi di pane: il diario del prigioniero numero 109565”) (pubblicato dapprima in greco nel 1981 con il titolo Ho vissuto la morte e poi in inglese e in tedesco).
Kounio venne deportato ad Auschwitz il 20 marzo 1943 all’età di quindici anni. Lui e suo padre vennero mandati a lavorare nel reparto del sarto dove rimasero fino all’evacuazione del gennaio 1945. Dopo di che venne inviato a Mauthausen, poi a Melk, e infine a Ebensee, dove venne liberato dagli americani il 6 maggio 1945. Mentre stava a Melk iniziò a tenere un diario che servì come base per il suo libro.
L’esperienza di Kounio è tipica della maggior parte dei sopravvissuti dell’Olocausto: duro lavoro, malattie, pestaggi, angoscia e fame estrema. Ma cosa può dire sulla storia dello sterminio?
Lo dice chi?
Come di consueto, dopo essere arrivato al campo, non ci volle molto prima che Kounio sentisse delle dicerie sulle uccisioni di massa:
“Sin dall’inizio ci eravamo chiesti che cos’era questo campo di concentramento. Avremmo rivisto di nuovo i nostri cari? Ci erano stati portati via così bruscamente. Non avevamo avuto nemmeno la possibilità di dire loro addio. Avevamo sentito che erano stati uccisi, che c’erano dei crematori dove i cadaveri venivano bruciati, ma non volevamo credere a tali dicerie. Pensavamo che queste storie erano solo un altro modo per terrorizzarci. Ma queste dicerie erano vere!” (p. 17).
Tuttavia egli non spiega come verificò che le dicerie erano vere. Si limita ad aggiungere:
“I trasporti dalla Grecia arrivavano uno dopo l’altro. Ogni terzo giorno, o una volta alla settimana, venivamo a sapere di un nuovo trasporto, e di quanti erano stati bruciati e di quanti nuovi arrivi erano entrati al campo” (ibid.).
Il che vuol dire che la fabbrica delle dicerie lavorava a pieno regime.
Non un giorno senza una selezione
Come il resto dei testimoni, Kounio sostiene che lo scopo di una selezione era di decidere chi doveva vivere e chi doveva morire:
“Cosa significa questa parola traumatica? Per capirlo, dovete comprendere che ogni giorno arrivava un nuovo trasporto, con nuovi arrivi che entravano nel campo. Venivano portati lì da tutte le parti dell’Europa. Da ogni arrivo, solo il 10% era selezionato per vivere. Il resto veniva destinato ai crematori” (p. 20).
E come il resto dei testimoni, non ha modo di confermare questo convincimento. Tuttavia, fornisce un’informazione interessante riguardo alle selezioni all’ospedale:
“Anche le donne dovevano passare nude di fronte al Dottore. Egli le esaminava con la stessa indifferenza con cui esaminava gli uomini. Molte volte, anche se un detenuto non mostrava nessun segno di debolezza, nondimeno cadeva vittima del maligno dottore. Sia gli uomini che le donne venivano condotti ai crematori, anche se non mostravano nessun segno di difetto [fisico]” (p. 22).
Ma se non mostravano nessun segno di difetto fisico, non era possibile che fossero mandati da qualche altra parte? Dopo tutto, se tu uccidi gli inabili al lavoro, perché in primo luogo hai bisogno di un ospedale?
A proposito, ecco l’esperienza di Kounio al riguardo:
“Personalmente sono sopravvissuto a sette selezioni. Durante l’ultima ero così debole. Ero sopraffatto dalla paura. Solo la mia fede in Dio mi aiutò a sopravvivere” (ibid.).
I crematori
Kounio fornisce molti dettagli sui crematori e la loro funzione (pp. 34-37). Così vediamo come le cremazioni di cui essi avevano “notizia” ogni terzo giorno venivano effettuate.
“I crematori erano costruiti con lo scopo esplicito di impedire ogni ritardo nello sterminio del maggior numero possibile di ebrei. Era qui che i cadaveri dei prigionieri venivano bruciati. I prigionieri venivano mandati a morte in grandi gruppi all’interno degli stessi edifici che ospitavano i crematori. Venivano uccisi mediante gas velenoso. Il gas utilizzato era lo Zyklon. Era preferito perché si diffondeva nell’aria velocemente e uccideva con grande rapidità. Nel giro di 10 minuti non c’era più segno di vita”.
Tuttavia, la caratteristica dello Zyklon B è la sua evaporazione lenta. Non era certamente un gas che potrebbe essere descritto come avente una diffusione veloce.
“Ogni crematorio era ospitato in un edificio che conteneva tre piani. Sul livello più basso c’erano due grandi stanze internamente collegate da una porta di metallo. Nella prima stanza c’era un grande armadio riempito di sapone. Accanto c’erano circa 150 docce, a trenta centimetri di distanza. Era l’infame camera a gas. Nessuno usciva vivo di lì, né si è mai sentito di qualcuno salvato per miracolo. Alla fine del corridoio c’era una porta mobile che conduceva ad un montacarichi, che lo collegava al piano superiore”.
Questa descrizione quadra in parte con i Crematori II e III (Kounio sembra ignorare che i restanti avevano una configurazione diversa). Nel seminterrato c’erano in realtà quattro stanze che formavano una Γ: la Morgue #1 (la presunta camera a gas), la Morgue #2 (il presunto spogliatoio), la Morgue #3 (in seguito suddivisa in un edificio più piccolo e in stanze di servizio), e un corridoio che le collegava tutte con il montacarichi che conduceva al piano di sopra[2]. Inoltre, Kounio colloca un armadio con saponette nella camera a gas, che non è stato menzionato da nessun altro testimone.
“Nel suo funzionamento normale, il crematorio aveva la capacità di bruciare oltre 2,000 cadaveri al giorno. Tutti i crematori messi assieme avevano la capacità di bruciare oltre 10,000 esseri umani al giorno”.
Ovviamente, questi numeri non hanno nulla a che vedere con la realtà. Tutti e quattro i crematori di Birkenau avevano in totale 46 muffole, sebbene non siano mai state contemporaneamente operative. Queste muffole potevano cremare un cadavere all’ora, quindi tutte le muffole messe assieme potevano teoricamente smaltire un massimo di 1,000 cadaveri al giorno, quindi un decimo di quanto sostiene Kounio[3]. E questo non è tutto. Descrivendo la deportazione degli ebrei ungheresi nella primavera/estate del 1944, Kounio fornisce numeri ancora più scandalosi:
“Durante la primavera e l’estate del 1944, quando gli ebrei dell’Ungheria, della Francia e del Belgio venivano annientati in massa, i crematori lavoravano a pieno regime. Le sole fornaci erano insufficienti a bruciare una tale quantità di persone. C’erano centinaia di migliaia che venivano gasati a morte, e i tedeschi costrinsero i prigionieri a scavare grandi fosse lungo i crematori. Ecco dove i restanti cadaveri vennero bruciati. Molte volte costoro gettarono davvero neonati vivi nelle pire! Durante questo periodo, il numero dei cadaveri bruciati ascese a 25,000 al giorno. Questo durò fino alla fine dell’estate del 1944. Dopo che questa operazione venne ultimata, essi nascosero le fosse. Il numero dei cadaveri bruciati non fu mai minore di 5,000 al giorno. In questo modo, più di 1,500,000 esseri umani scomparvero nei crematori di Auschwitz, e questo fu solo uno dei campi di concentramento”.
Le foto aeree scattate durante tale periodo, non mostrano però alcuna traccia di queste pire colossali[4].
Le gasazioni
Vediamo ora come venivano effettuate le esecuzioni (pp. 39-41).
“Nella camera adiacente c’erano i cosiddetti ‘bagni’. Qui, fino a 1,500 persone venivano ammassate in un ambiente soffocante. Venivano collocate sotto la ‘doccia’ e veniva detto loro di prepararsi per un bagno. Dal momento in cui la pesante porta metallica si chiudeva, la loro morte avveniva nel giro di pochi minuti. Per quelli di noi che stavano all’esterno, sembrava come un’eternità. I granuli del gas stavano in un contenitore che era avvitato in un buco nel mezzo del soffitto. Quando la porta veniva chiusa, svitavano il tappo e aprivano il contenitore del gas. Piccole pietre blu iniziavano a cadere dal contenitore. Il gas, chiamato ‘Zyklon’, iniziava a diffondersi rapidamente nell’aria”.
Questa descrizione è totalmente in contrasto con la narrazione ortodossa. I granuli di Zyklon B venivano presuntivamente versati da barattoli aperti attraverso le aperture sul tetto (Crematori II e III) o sui muri (Crematori IV e V). I barattoli non erano in alcun modo “avvitati” sul soffitto. Dopo tutto, se questo fosse stato il caso, come avrebbero potuto svitare il tappo del barattolo dall’esterno?
“Trascorsi 10 minuti, gli ufficiali delle SS, che osservavano da una piccola finestra sulla porta, aprivano la porta. Indossando maschere antigas, aprivano rapidamente gli sfiatatoi per rimuovere il gas”.
È chiaro che Kounio non ha idea di come una camera a gas, reale o immaginaria, funzioni. Qualunque ventilazione di una camera a gas, indispensabile ed efficiente, avrebbe dovuto essere meccanica. Innanzitutto, nessuno sfiatatoio avrebbe dovuto essere aperto, solo motori elettrici avrebbero dovuto essere accesi. E ogni camera a gas di esecuzione avrebbe dovuto essere ventilata a lungo prima di aprire in sicurezza qualunque porta. Anche nel caso delle stanze al pianterreno dei Crematori IV e V che presuntivamente fungevano da camere a gas omicide, le finestrelle sui muri che sarebbero state utilizzate sia per introdurvi lo Zyklon B che per ventilare successivamente le stanze erano chiuse con sportelli di legno che venivano azionati dall’esterno.
“Dopo di che, entravano con un gruppo di prigionieri del Sonderkommando. Questi prigionieri venivano cambiati ogni mezz’ora. I prigionieri erano divisi in due gruppi: 4 membri del gruppo separavano i cadaveri che si erano avviluppati e poi li gettavano ad altri 2, che li accatastavano vicino al montacarichi e poi li gettavano al suo interno. Quando il numero dei cadaveri raggiungeva i cinquanta, venivano condotti sul pavimento superiore, dove due altri prigionieri stavano aspettando”.
Il montacarichi improvvisato del Crematorio II era in realtà piuttosto piccolo e disponeva di un carico massimo di soli 300 chilogrammi, equivalente a 5 o 6 cadaveri. Nel Crematorio II, un montacarichi con un carico massimo superiore avrebbe potuto essere installato, ma anche questo non avrebbe potuto portare più di, forse, 20 cadaveri alla volta[5]. 50 cadaveri è un numero totalmente immaginario.
Ma Kounio non ha finito. Come ci informa, i nazisti utilizzavano anche altri tipi di sterminio:
“Se il numero dei prigionieri condannati era piccolo come cifra, essi non li uccidevano con il gas. innanzitutto, i prigionieri dovevano spogliarsi e venivano collocati in una camera. Uno dei membri del Sonderkommando li metteva in riga uno dietro l’altro. Un altro Sonderkommando poi li prendeva ognuno per l’orecchio e li conduceva in un’altra camera. Un ufficiale delle SS stava nascosto dietro la porta. Sparava ad ognuno colpendoli sulla tempia. La pistola aveva un silenziatore. Quando il prigioniero condannato cadeva, due altri detenuti lo trasportavano sul montacarichi. Se il numero dei prigionieri condannati era estremamente piccolo, i tedeschi non usavano il gas o la pistola per ucciderli. Li bruciavano vivi, gettandoli nel fuoco”.
E questo ci porta alla domanda più importante: come sapeva Kounio tutto questo? Lavorava come sarto ad Auschwitz e non mise mai piede a Birkenau. Chi gli fornì questa informazione? Un membro del Sonderkommando? Probabilmente no, perché non solo l’informazione è sbagliata, ma egli inoltre afferma:
“Non è facile descrivere il lavoro che il Sonderkommando faceva. Solo quelli che sopravvissero, potrebbero raccontarci questo inferno. D’altro canto, cosa ricorderebbe davvero qualcuno, dopo essere sopravvissuto a questo inferno inaudito e inimmaginabile?”
Tutto ciò lascia altri prigionieri quale fonte possibile. Ma chi esattamente? Lui non lo dice. Solo in seguito quando descrive due rivolte nel campo scrive che la narrazione proviene da una “conoscenza personale” che lavorava nei crematori che sopravvisse e che trasmise a lui l’informazione (p. 66). E ancora, l’informazione è sbagliata, poiché egli sostiene che durante la rivolta del Sonderkommando del 7 ottobre 1944, i Crematori II e III vennero incendiati, quando in realtà si trattò del Crematorio IV. Così abbiamo un’informazione sbagliata da una fonte sconosciuta. E questo è tutto.
Riepilogo
Dopo l’Epilogo, Kounio spiega la ragione per cui ha scritto il suo libro nel modo seguente:
“Questo libro è stato pubblicato dopo molti anni di silenzio. È stato pubblicato dopo che sono tornato e ho rivisto quei campi di concentramento nazisti dove ero stato tenuto prigioniero. Ho deciso di pubblicare questo libro per tre ragioni: la mia risposta personale al negazionismo dell’Olocausto, il rispetto per la memoria di coloro che non sono sopravvissuti, e come risposta alle suppliche dei miei figli” (p. 167).
Egli inoltre aggiunge:
“Non sono uno storico, e non c’è modo per cui possa riferire ogni cosa che accadde nel corso di quegli anni. Posso solo riferire ciò che ho vissuto personalmente” (p. 168).
E però il suo libro presenta una quantità di cose che egli certamente non visse, cose che sono tutte sbagliate e che non cerca neppure di avvalorare. Questo non aiuta la sua credibilità né la sua risposta al negazionismo dell’Olocausto. Peggiora solo le cose.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/10/1/5283
[2] Sulla configurazione di questi crematori vedi le varie planimetrie pubblicate in Jean-Claude Pressac, Auschwitz: Technique and Operation of the Gas Chambers, Beate Klarsfeld Foundation, New York, 1989, e.g. p. 277.
[3] Sulla capacità delle fornaci vedi Carlo Mattogno, Franco Deana, The Cremation Furnaces of Auschwitz: A Technical and Historical Study, Castle Hill Publishers, Uckfield 2015.
[4] vedi Germar Rudolf (curatore), Air Photo Evidence: World War Two Photos of Alleged Mass Murder Sites Analyzed, 5th ed, Castle Hill Publishers, Uckfield, UK, 2018, pp. 103-106.
[5] Sui montacarichi vedi C. Mattogno, The Real Case for Auschwitz, Castle Hill Publishers, Uckfield 2016, pp. 49-54.
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