I MANOSCRITTI DI MARCEL NADJARI[1]
Di Panagiotis Heliotis, 2018
Μαρσέλ Νατζαρή (Marcel Nadjari), Χειρόγραφα 1944-1947: Από τη Θεσσαλονίκη στο Ζόντερκομάντο του Άουσβιτς (Hirografa 1944-1947: Apo ti Thessaloniki sto Sonderkommando tou Aousvits), Alexandria Publications, Athens 2018, 978-960-221-768-9, 21 cm × 14 cm, 240 pagine, €14.
Salve a tutti. Ricordate Marcel Nadjari? Era un ebreo greco deportato ad Auschwitz nell’aprile 1944 dove presuntivamente lavorò nel Sonderkommando del Crematorio III. Dopo l’evacuazione del campo, venne inviato a Mauthausen, poi a Melk, poi a Gusen II, poi di nuovo a Mauthausen prima della liberazione. Nel 1951, si trasferì a New York dove morì nel 1971 all’età di 54 anni.
In precedenza avevamo dato un breve sguardo alla sua testimonianza pubblicata in un libro che conteneva estratti della sua memoria Chronicle 1941-1945 (Etz Ahaim 1991), che, deve essere osservato, non fu mai distribuita commercialmente[2]. Ma poche settimane fa è stata pubblicata un’edizione aggiornata con un nuovo titolo: Manoscritti 1944-1947 – da Salonicco al Sonderkommando di Auschwitz (Alexandria 2018). Così ora possiamo permetterci un excursus complessivo. Iniziamo.
Il manoscritto A
Come abbiamo già detto, Nadjari scrisse due manoscritti, A e B. Il manoscritto A venne scritto il 3 novembre 1944, ed è una lettera ad un amico. Venne trovato nel 1980 seppellito nel campo. Recentemente è stato restaurato al 90% e viene pubblicato qui per la prima volta, pagina per pagina (pp. 39-50). Il contenuto è il seguente (chiosato da commenti quando necessario).
PAGINA 1
“Bitte diessen Brief
Senden am […]
[…] Griechischen
Konsulat.
#
Bardzo proszę […]
w konsulatie Grecji
[…] ce quelque mots
[…] mort
[…] plus
[…] Consulat de Grece afin que
[…] ahier […] et a są destin
Dimitrios A. Stefanides
Rue Kroussovo No 4
Thessaloniki
GRECE”
La prima pagina non è in greco ma appare come sopra. Sembrano essere istruzioni in varie lingue per inviare la lettera.
PAGINA 2
“Ai miei amati,
Dimitrios Athan. Stefanides,
Elias Cohen – Georgios Gounaris.
Alla mia cara compagna, a Smaro Efremidou (di Atene) e ai tanti altri che ricordo sempre, e per finire, alla mia cara madrepatria la Grecia, di cui sono sempre stato un buon cittadino.
Iniziammo dalla nostra Atene il 2 aprile 1944, dopo di che fui spiato al campo di Haidari, dove ricevevo sempre i pacchi della buona Smaro e i suoi sforzi per me che sono indimenticabili in questi duri giorni che sto passando. Io […] sempre […] cercare […] il mio Metsos e qualche volta […] a […] ma abbi cura di […] il suo indirizzo […] il nostro Elias e abbi sempre cura di lui […] e che Manolis non li ha dimenticati.
Metsos si riferisce a Dimitrios Stefanides, e Manolis (Emanuele) è il vero primo nome di Nadjari.
PAGINA 3
“E ancora di più di questo c’è che, purtroppo, sembra che non ci incontreremo mai più.
Dopo dieci giorni di viaggio, l’11 aprile siamo arrivati ad Auschwitz dove siamo stati mandati nel campo di Birkenau per stare circa un mese in quarantena e da lì hanno preso i sani e i forti. Dove? Dove? Il mio Metsos? Ad un crematorio, spiegherò anche il simpatico lavoro che l’Onnipotente ha voluto che facciamo.
C’è un grande edificio con una larga ciminiera con 15 (quindici) fornaci. Sotto un giardino vi sono due grandi e vaste camere sotterranee. Una viene utilizzata per spogliarsi e l’altra è la camera della morte dove le persone entrano nude e dopo che è piena con circa 3,000 persone viene chiusa e li gasano, consegnano lo spirito.
Il nostro lavoro consisteva innanzitutto nel riceverli. La maggior parte di loro”.
Vi sono qui delle serie inesattezze da parte di qualcuno che ha trascorso 8 mesi al campo.
Innanzitutto, egli parla di un grande edificio con quindici fornaci dove ve ne erano due. In secondo luogo, le camere non si trovavano sotto un giardino poiché non c’era nessun giardino e le camere non erano completamente sotto terra, poiché il loro tetto si trovava un metro sopra il terreno. In terzo luogo, erano grandi ma certamente non “vaste”. La stanza che fungeva da camera a gas era lunga 30 metri, poco più di un campo di pallacanestro (28 metri). Aveva un’area di superficie di circa 210 m2. Se assumiamo come massima densità possibile di assembramento circa 10 persone per metro quadro, questo equivarrebbe a 2,100 persone. Ma questo avrebbe richiesto una disciplina di tipo militare!
Questa descrizione non sembra provenire da un’osservazione diretta.
PAGINA 4
“non ne conoscevano il motivo, piangevano quando veniva detto loro che sarebbero andati a fare una doccia e andavano ignoranti verso la morte. Fino ad oggi […] dicevano che essi sono per il forno […] dire loro menzogne io direi solo che non capivo il linguaggio che essi parlano e alle persone, uomini e donne che ho visto condannati, direi la verità. Dopo […] camminavano verso la camera della morte. Lì i tedeschi avevano collocato dei tubi sul soffitto […] per far pensare loro che avevano preparato la doccia. Col frustino in mano i tedeschi li costringevano ad ammassarsi per quanto possibile, una vera scatola di sardine per essere umani, poi chiudevano la porta ermeticamente. I barattoli del gas arrivavano con l’auto della Croce Rossa tedesca con due S. S. […] Sono uomini del gas che attraverso alcuni”.
Queste affermazioni sono poco chiare. Innanzitutto, Nadjari sostiene che il loro primo compito era di accogliere le vittime (sottintendendo nello spogliatoio) dove egli spifferava tutto a quelli destinati a morire mentre stava zitto con gli altri. Ma cosa stavano facendo lì? Solo gli inabili al lavoro venivano mandati al crematorio. Ancora, le vittime sembrano piangere quando sentono parlare di doccia, ma nello stesso tempo rimangono ignoranti mentre entrano. Questo non ha alcun senso, e presto vedremo che i dettagli di questa storia sono diversi nel secondo manoscritto.
PAGINA 5
“aperture gettavano su di loro il gas.
Dopo mezzora aprivamo le porte e il nostro lavoro iniziava. Trasportavamo i cadaveri di queste donne e bambini innocenti al montacarichi che li portava nella camera delle fornaci e da lì li collocavano nelle fornaci dove sarebbero bruciati senza uso di combustibile a causa del grasso che contenevano. Da un essere umano si producevano solo circa 640 grammi di cenere […] che i tedeschi ci costringevano a frantumare, a passarla attraverso un fitto setaccio e poi un’auto l’avrebbe presa in consegna per gettarla nel fiume vicino a noi, la Vistola, e questo è come loro cancellavano ogni traccia.
I drammi che i miei occhi hanno visto sono indescrivibili. Di fronte ai miei occhi sono passati circa 600,000 (seicentomila) ebrei dall’Ungheria – francesi – polacchi da Litzmanstad, circa 80,000 e recentemente”.
A parte il fatto che la descrizione della gasazione è molto vaga, l’affermazione secondo cui le fornaci funzionavano senza combustibile è così assurda che getta persino ulteriori dubbi sul fatto che Nadjari abbia mai lavorato in un crematorio. Inoltre, è un fatto risaputo che le ceneri ottenute dalla cremazione di un corpo ammontano a circa il 5% del peso iniziale del corpo[3]. Assumendo un peso medio di 60 chili, le ceneri avrebbero ammontato a circa 3 chili, non a soli 640 grammi. Tuttavia, se i resti della cremazione dovevano essere frantumati e setacciati, questo indica una cremazione incompleta, quindi una quantità di resti ancora più grande.
PAGINA 6
“Stanno iniziando ad arrivare circa 10,000 (diecimila) ebrei da Theresienstadt in Cecoslovacchia. Oggi è arrivato un trasporto da Theresienstadt ma grazie a Dio non li hanno portati da noi, li hanno tenuti in un lager, dicono che è arrivato l’ordine di non uccidere più ebrei e sembra che sia vero, alla fine hanno cambiato idea, ma ora nessuno ebreo è rimasto in Europa. Ma per noi è diverso, noi dobbiamo scomparire dalla faccia della terra perché sappiamo troppo dei loro modi inimmaginabili di fare violenza e vendetta.
Il nostro commando è chiamato Sonder kommando (commando speciale), inizialmente era costituito da 1,000 (mille) elementi, 200 dei quali greci e il resto polacchi, e ungheresi e dopo una resistenza eroica perché volevano eliminarne 800 (ottocento) i cento caddero tutti fuori dal campo”.
PAGINA 7
“e gli altri dentro.
I miei buoni amici Vicko Vrudo e Mois Aaron da Salonicco sono caduti.
Ora che questo ordine è arrivato elimineranno anche noi, siamo 26 greci in tutto e i restanti sono polacchi. Almeno per i greci siamo determinati a morire come veri greci, poiché ogni greco sa come morire, mostrando fino all’ultimo, nonostante la superiorità dei malvagi, che il sangue greco scorre nelle nostre vene come abbiamo mostrato nella guerra italiana.
Miei cari vi chiederete leggendo del lavoro che ho fatto, come potevamo io Manolis o chiunque altro fare questo lavoro bruciando i miei correligionari, mi chiesi lo stesso all’inizio, pensai molte volte di andare via”.
PAGINA 8
“con loro per farla finita ma la vendetta mi ha sempre trattenuto. Desideravo e desidero vivere per vendicare la morte di papà, di mamma e della mia cara sorella Nellie. Non ho paura della morte, come potevo aver paura di lui dopo tutto quello che i miei occhi hanno visto? A causa di questo mio Elias, mio caro cugino, se muoio tu e tutti i miei amici dovreste conoscere il vostro dovere. Ho saputo dalla mia piccola cugina, Sarrika Houli (la ricordi a casa mia), ella oggi vive, che Nellie era con la tua piccola sorella Errika durante i suoi ultimi momenti.
Il mio unico desiderio è che le tue mani ricevano quello che sto scrivendo”.
PAGINA 9
“Affido a te Metsos – Dimitrios Athanasiou Stefanides – le sorti della mia famiglia con la richiesta di prendere con te mio cugino Elias.
Elias è un Cohen, e consideralo come se avessi me stesso, prenditi sempre cura di lui e se per caso tornasse Sarrika Houli, mia cugina, fai a lei mio Metsos quello che hai fatto alla mia cara nipote Smaragda, perché stiamo tutti soffrendo qui come nessuna mente umana può immaginare.
Ricordami qualche volta come io ricordo te.
Non era destinato a me vedere la nostra Grecia libera come tu l’hai vista il 12/10/44.
A chiunque chieda di me digli che non sono più e che me ne sono andato come un vero greco. Aiuta, mio Metsos, quelli che tornano dal campo”.
PAGINE 10-11
“A Birkenau. Non mi dispiace, mio Metsos, che morirò, ma che non potrò vendicarmi come voglio e so.
Se ricevi qualche lettera dai nostri parenti all’estero rispondi appropriatamente che la famiglia di A. Nadjari è perita uccisa dai civilizzati tedeschi (Nuova Europa), mio Giorgio ricordi?
Il pianoforte della mia Nellie, Metsos, prendilo dalla famiglia Sionidou e dallo a Elias che lo abbia sempre con sé in modo che possa ricordarla, l’ha amata così tanto, ed ella anche.
Quasi ogni volta che essi uccidono mi chiedo se c’è un Dio e nondimeno ho sempre creduto in lui e ancora credo che Dio lo voglia, sia fatta la sua volontà.
Muoio felice sapendo che ora la nostra Grecia è libera, non vivrò, che vivano gli altri, la mia ultima parola sarà Lunga Vita alla Grecia.
Marcel Nadjari”.
PAGINA 12
“Sono quasi quattro anni che uccidono gli ebrei […] hanno ucciso polacchi, cechi, francesi, ungheresi, slovacchi, olandesi, belgi, russi e tutti i salonicchioti tranne circa 300 che continuano a vivere ad Atene, Arta, Corfù, Coo, e Rodi.
In totale circa 1,400,000. Generale […] miei cari.
#
[…] nel 3/11/44.
[…] mio amato zio […] Gabbai o Evangelos Fragiades […] (Pericles 52) (Stadiou 60) Atene.
Queste sono le mie ultime parole e […] sono felice […] che stai e il tuo amato […] nella Nuova Verità […]”
PAGINA 13
“La Venerabile Ambasciata Greca dopo aver ricevuto questo biglietto è pregata da un bravo civile greco chiamato Emanuele o Marcel Nadjari da Salonicco ex residente Italy Street N°9 a Salonicco,
mandare questo biglietto all’indirizzo sotto.
Dimitrios Athanasiou Stefanides
Via Kroussovo No 4
Salonicco
Grecia
Questo è il mio ultimo desiderio, condannato a morte, dai tedeschi perché la mia religione è ebraica.
Riconoscente
- Nadjari”.
Il manoscritto B
Ora diamo uno sguardo al manoscritto B. Si tratta di una memoria più dettagliata scritta nel 1947. Come scrive Nadjari, dopo l’arrivo a Birkenau, essi dapprima andarono alla Sauna, dove consegnarono i vestiti e gli oggetti di valore. La mattina dopo, ricevettero il loro tatuaggio prima di fare la doccia e il taglio integrale dei capelli (testa e corpo). Dopo di che stettero in quarantena per un mese. Fu allora che Nadjari sentì parlare per la prima volta delle uccisioni di massa:
“Iniziarono a circolare varie dicerie, che quelli che erano rimasti sui camion dopo essere scesi dal treno erano stati bruciati, dopo che li avevano uccisi. Naturalmente non ci credemmo e pensammo che i polacchi nel campo ci dicevano questo per demoralizzarci, per farci ammalare e prendere il nostro pane” (p. 76).
Alla fine venne inviato al Block 13, il block dei Sonderkommandos, dove venne assegnato a lavorare nel Crematorio III. Così vediamo la descrizione di una gasazione (pp. 86-91). La prima fase era la seguente:
“Arrivavano nel nostro cortile e poi scendevano le scale che portavano verso l’Auskleidungsraum [spogliatoio] dove li ricevevamo. Dicevamo loro per prima cosa di sedersi e stare lì per un po’, se naturalmente i tedeschi non guardavano, poi i tedeschi gridavano seguiti da noi ‘Ausziehen’, che significa spogliarsi. Le bambine si vergognavano e avevano molti problemi a spogliarsi, piangevano per la vergogna e non perché sarebbero morte in pochi minuti poiché non sapevano questo. Altre donne ci davano monete d’oro dicendo che era un dono. Le prendevamo, sebbene non potessimo usarle, in modo che i tedeschi che si aggiravano come corvi non le avessero. Ancora altre donne più mature e intelligenti si rivolgevano a noi chiedendo se sarebbero morte. Dicevo sempre che non capivo il tedesco o qualunque altra lingua a parte il greco”.
Indi seguiva la seconda fase:
“Quando le donne avevano finito di spogliarsi, entravano attraverso la porta in gruppi di cinque, nude, con le scarpe in mano e molte con una saponetta. […] Dopo di che, erano gli uomini a scendere nello spogliatoio, chiedendo se potevano avere indietro i loro vestiti, poiché si erano tutti trasformati in un mare, seguiva la stessa procedura, e anche loro entravano nella camera a gas. Poi, dopo che era stata riempita e tutti erano entrati nella camera a gas, la porta veniva chiusa e, subito dopo, i due esperti del gas salivano sopra e aprivano 4 barattoli e li svuotavano dall’alto ridendo o chiacchierando di varie cose irrilevanti. Riposizionavano la lastra di cemento. Molte volte scendevano giù per guardare nel piccolo finestrino sopra la porta, con in mano un cronometro, e osservare i minuti necessari in modo che nessuno rimanesse vivo (una questione di 6-7 minuti). Nel momento in cui la porta veniva chiusa bene ed essi gettavano il primo barattolo con il gas dal buco, le persone capivano che stavano per morire”.
Le contraddizioni con la versione ufficiale sono già state fatte notare nel precedente articolo. Quello che rimane sono due contraddizioni con il Manoscritto A.
Innanzitutto, in quel manoscritto i tedeschi forzano le vittime nella camera con frustini mentre qui usano l’inganno. In secondo luogo, in A leggiamo di “aperture” mentre qui c’è solo un “buco”.
“Dopo circa un’ora dall’uccisione di queste persone, speciali congegni di aerazione di cui disponevamo […] aspiravano l’aria inquinata così aprendo la porta sentivamo solo lo sbattere dei corpi radunati attorno alla porta che cadevano violentemente sul pavimento di cemento”.
Nel Manoscritto A le porte si aprono dopo mezz’ora e subito inizia il lavoro. Qui la ventilazione inizia dopo un’ora e va avanti per una quantità di tempo non specificata prima che la porta venga aperta.
“Erano tutti calmi. In questo mare umano osservavamo una tale serenità che avevo dei dubbi se questi fossero davvero gli stessi che poco prima stavano parlando con noi, che avevano urlato, i cui visi avevano l’espressione della paura, del terrore. Ora apparivano calmi come se stessero riposando, molti stavano ancora guardando verso l’alto e indicando il cielo con il loro dito indice”.
Come direbbero gli italiani, se non è vero è ben trovato.
Un ultimo fatto meritevole di essere menzionato prima di passare alla questione della sopravvivenza di Nadjari. Le pagine originali del manoscritto sono riprodotte nel libro. In alcune il testo è accompagnato da schizzi. Due esempi:
Sulla sinistra c’è la Sauna dove Nadjari indica con numeri tutte le stanze dove egli passò mentre sulla destra ci sono le baracche con i letti a castello. Così ecco la domanda: quanti schizzi del crematorio ci sono?
Risposta: nessuno! Per ragioni ignote, Nadjari ha omesso di raffigurare la parte più importante della sua testimonianza. Egli ha anche tracciato uno schizzo sommario del Bunker 2, come pure una mappa del campo che riempie un’intera pagina, ma il crematorio dove sta?
E infine, se Nadjari fu un membro del Sonderkommando, come sopravvisse? Ebbene, l’informazione che egli ci fornisce al riguardo è strana. Innanzitutto, sulla demolizione dei Crematori II e III (con l’aiuto di alcune ragazze) scrive:
“Io, ad ogni modo, cercavo di spiegare a Ninetta e alle altre ragazze come i tedeschi uccidevano così tante migliaia, il modus operandi, come bruciavamo i corpi. Sebbene li avessero davanti a loro, non potevano crederci. Spiegavo loro questo perché noi del Sonderkommando eravamo certi che non saremmo vissuti, ci avrebbero ucciso in anticipo, prima della liberazione, perché i nostri occhi avevano visto più di quanto avrebbero dovuto vedere. Questa non era una ragione per non essere allegri, e io lo ero davvero molto. Organizzai persino un teatro ed erano tutti eccitati, specificamente in realtà, il 1 gennaio 1945 recitai nello Auskleidungsraum del Crematorio I, dove Ninetta e Paulina erano presenti. Sembravano tutti molto soddisfatti” (p. 101).
Ci si chiede cosa sia più difficile da credere: che Nadjari fosse così di buon umore o che egli organizzò uno show nel crematorio?
“Il 18 gennaio 1945 l’evacuazione di Birkenau Auschwitz era ultimata. Noi, dal mattino, eravamo stati rinchiusi nel Block 13. Eravamo un centinaio. La nostra angoscia era indescrivibile. Mentre gli altri lasciavano il campo, noi eravamo rinchiusi. Avevano svuotato l’intero campo, i soli rimasti eravamo noi e qualche altro piccolo reparto e quasi tutti i tedeschi. Di tanto in tanto sentivamo delle esplosioni attorno a noi e specialmente nei crematori. All’imbrunire, vediamo improvvisamente un’enorme colonna di prigionieri che erano andati via nel pomeriggio ritornare al campo. Non potevamo stare più rinchiusi, uscimmo dal Block e ci mescolammo con gli altri. Ci cercarono un paio di volte ma nessuno di noi comparve” (p. 102).
Così fuggirono in questo modo. Si mescolarono con gli altri prigionieri e i tedeschi li persero. Anche se questo era possibile Nadjari si è dimenticato di spiegare qualcosa di molto semplice: in che modo esattamente uscirono dal block se erano rinchiusi?
Riepilogo
I manoscritti di Nadjari sono in contraddizione sia reciprocamente che rispetto alla versione ufficiale, e rendono persino difficile accertare se egli davvero lavorò in un crematorio. Quello che è certo è che contengono affermazioni ovviamente false che ogni storico vorrebbe che non fossero mai state lì.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://www.inconvenienthistory.com/10/2/5461
[2] https://codoh.com/library/document/5161/?lang=en
[3] W. Huber, Die Feuerbestattung – ein Postulat kultureller Entwicklung, und das St. Galler Krematorium, self-published by the author, St. Gallen 1903, p. 17.
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