Pepe Escobar: Afghanistan: tra gasdotti e ISIS-K, gli americani sono ancora in gioco

https://i2.wp.com/media.thecradle.co/wp-content/uploads/2021/11/Unknown-7.jpeg?w=620&ssl=1

AFGHANISTAN: TRA GASDOTTI E ISIS-K, GLI AMERICANI SONO ANCORA IN GIOCO[1]

Le forze di sicurezza afghane addestrate e armate dagli Stati Uniti si stanno unendo all’ISIS-K, il che fa apparire il “ritiro” americano dall’Afghanistan più come un “riposizionamento” per mantenere il caos violento

Di Pepe Escobar, 10 novembre 2021

Qualcosa di decisamente straordinario è accaduto all’inizio di novembre a Kabul.

Il Ministro degli Esteri ad interim talebano Amir Khan Muttaqi e il Ministro degli Esteri turkmeno Rashid Meredov si sono riuniti per discutere una serie di questioni politiche ed economiche. Soprattutto, essi hanno riesumato la leggendaria soap opera che all’inizio degli anni 2000 io definii Pipelineistan: il gasdotto Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI).

Chiamatela ancora un’altra notevole svolta storica nella saga afghana post-jihad, che risale alla metà degli anni Novanta quando i talebani presero il potere per la prima volta a Kabul.

Nel 1997, i talebani visitarono addirittura Houston per discutere del gasdotto, allora conosciuto come TAP, come ho riferito nella Parte 1 del mio e-book Forever Wars.

Durante la seconda amministrazione Clinton, un consorzio guidato da Unolocal – che ora fa parte di Chevron – stava per imbarcarsi in quella che sarebbe stata una faccenda estremamente costosa (circa 8 miliardi di dollari) per tagliare fuori la Russia nell’intersezione dell’Asia Centrale e Meridionale; come pure per spazzare via gli avversari: il gasdotto Iran-Pakistan-India.

I talebani furono debitamente corteggiati: a Houston e a Kabul. Un intermediario chiave fu l’onnipresente Zalmay Khalilzad, altrimenti noto come “l’afghano di Bush”, in una delle sue prime incarnazioni come interlocutore dei talebani e dei lobbisti di Unolocal. Ma poi, i bassi prezzi del petrolio e l’incessante mercanteggiamento sulle tasse di transito bloccarono il progetto. Questa era la situazione nel periodo che precedette l’11 settembre.

All’inizio del 2002, poco dopo che i talebani erano stati allontanati dal potere dall’ethos americano dei “bombardamenti per la democrazia”, un accordo per costruire quello che era ancora chiamato il TAP (senza l’India), venne firmato da Ashgabat, Kabul e Islamabad.

Mentre gli anni passavano, era chiaro che il TAPI, che si estende per circa 800 chilometri lungo le terre afghane e che potrebbe portare annualmente almeno 400 milioni di dollari in introiti di transito nelle casse di Kabul, non sarebbe mai stato costruito mentre era ostaggio di un ambiente dominato dalla guerriglia.

Tuttavia, cinque anni fa, Kabul decise di riesumare il TAPI e i lavori iniziarono nel 2018 – sotto massicce misure di sicurezza nelle province di Herat, Farah, Nimruz e Helmand, già in gran parte sotto il controllo dei talebani.

All’epoca, i talebani dissero che non avrebbero attaccato il TAPI e avrebbero persino fornito il loro contributo alla sicurezza. Il gasdotto avrebbe dovuto essere appaiato da cavi in fibra ottica – come nell’autostrada Karakoram in Pakistan – e da una linea ferroviaria dal Turkmenistan all’Afghanistan.

La storia non cessa mai di giocare scherzi nei cimiteri degli imperi. Che ci crediate o no, siamo tornati nella stessa situazione del 1996.

Il bastone tra le ruote

Se prestiamo attenzione ai cambiamenti di scenario in questa saga senza fine del Pipelineistan, non c’è nessuna garanzia che il TAPI verrà infine costruito. È certamente una quadrupla vittoria per tutti gli attori coinvolti – inclusa l’India – e un passo importante verso l’integrazione dell’Eurasia nel suo nodo asiatico centrale-meridionale.

Entra il bastone tra le ruote: l’ISIS-Khorasan (ISIS-K), il sussidiario di Daesh in Afghanistan.

L’intelligence russa sa da oltre un anno che i soliti sospetti stanno fornendo aiuto all’ISIS-K, almeno indirettamente.

Ma adesso c’è un nuovo elemento, confermato da fonti talebane, che molti soldati addestrati dagli Stati Uniti di quello che fu l’Esercito Nazionale Afghano si stanno unendo all’ISIS-K per combattere contro i talebani.

L’ISIS-K, che ostenta una mentalità jihadista internazionalista, considera tipicamente i talebani come un gruppo di sporchi nazionalisti. In precedenza, i membri della jihad venivano reclutati presso i talebani pachistani e presso l’Islamic Movement of Uzbekistan (IMU).

Ma ora, a parte gli ex soldati, essi sono soprattutto giovani afghani urbani disillusi, occidentalizzati dalla cultura pop scadente.

È stata dura per l’ISIS-K imporre la narrazione che i talebani sono collaboratori dell’occidente – considerando che la galassia della NATO continua ad antagonizzare e/o a liquidare i nuovi capi di Kabul.

Così la nuova strategia dell’ISIS-K è monomaniaca: fondamentalmente, una strategia del caos per screditare i talebani, con una sottolineatura di questi ultimi come incapaci di fornire sicurezza agli afghani normali. Questo è ciò che sta alla base dei recenti attacchi orribili contro le moschee scite e le infrastrutture governative, inclusi gli ospedali.

Parallelamente, la strategia del Presidente americano Joe Biden nota come “oltre l’orizzonte”, intesa a definire la presunta strategia americana per combattere l’ISIS-K, non ha convinto nessuno, a parte i vassalli della NATO.

Dalla sua creazione nel 2015, l’ISIS-K continua a essere finanziata dalle stesse fonti opache che hanno alimentato il caos in Siria e in Iraq. Il nome stesso è un tentativo di ingannare, uno strattagemma divisivo uscito dal copione della CIA.

Il “Khorasan” storico proviene da successivi imperi persiani, una vasta area che va dalla Persia e dal Caspio fino all’Afghanistan nord-occidentale – e non ha niente a che fare con il jihadismo salafita e i pazzi wahabiti che formano i ranghi del gruppo terrorista. Inoltre, questi jihadisti ISIS-K hanno le loro basi nell’Afghanistan sud-orientale, lontano dai confini dell’Iran, cosicché l’appellativo “Khorasan” non ha nessun senso.

Le intelligence russa, cinese e iraniana operano con la convinzione che il “ritiro” americano dall’Afghanistan, come in Siria e in Iraq, non è stato un ritiro ma un riposizionamento. Ciò che rimane è la tipica, pura strategia americana del caos applicata da attori sia diretti (le truppe che rubano il petrolio siriano) che indiretti (l’ISIS-K).

Lo scenario è chiarissimo quando si considera che l’Afghanistan era il prezioso collegamento mancante della Nuova Via della Seta cinese. Dopo l’exit americana, l’Afghanistan non è soltanto destinato a essere coinvolto pienamente nella Belt and Road Initiative (BRI) di Pechino, ma anche a diventare un nodo chiave dell’integrazione dell’Eurasia come un futuro membro a pieno titolo della Shanghai Cooperation Organization (SCO), della Collective Security Treaty Organization (CSTO), e della Eurasia Economic Union (EAEU).

Per contrastare questi positivi sviluppi, le pratiche abituali del Pentagono e della sua sussidiaria NATO rimangono in attesa in Afghanistan, pronte a sconvolgere il progresso politico, diplomatico, economico e della sicurezza nel paese. Potremmo entrare ora in un nuovo capitolo del copione dell’Egemonia americana: Closet Forever Wars [le Guerre Per Sempre Segrete].

La SCO strettamente connessa

Le quinte colonne hanno il compito di portare il nuovo messaggio imperiale all’Occidente. Questo è il caso di Rahmatullah Nabil, ex capo del National Directorate of Security (NDS) dell’Afghanistan, “il servizio segreto afghano con stretti legami con la CIA”, come viene descritto dalla rivista Foreign Policy.

In un’intervista presentata con una serie di tipiche menzogne imperiali – “la legge e l’ordine si stanno disintegrando”, “l’Afghanistan non ha amici nella comunità internazionale”, “i talebani non hanno interlocutori diplomatici” – Nabil, almeno, non si rende completamente ridicolo.

Egli conferma che l’ISIS-K continua a reclutare, e che gli ex operativi afghani della difesa/sicurezza si stanno unendo all’ISIS-K perché “essi vedono lo Stato Islamico come una migliore piattaforma per sé stessi”.

Egli è parimenti corretto quando afferma che la dirigenza talebana a Kabul teme che la “generazione giovane ed estremista dei suoi combattenti” possa unirsi all’ISIS-K, “che ha un’agenda regionale”.

Dire che la Russia “fa il doppio gioco” è solo stupido. Nell’inviato presidenziale Zamir Kabulov, Mosca mantiene un interlocutore di prima classe in costante contatto con i talebani, e non permetterebbe mai alla “resistenza”, come negli asset della CIA, di avere delle basi in Tagikistan con un programma di destabilizzazione dell’Afghanistan.

Sul Pakistan, è corretto che Islamabad sta “cercando di convincere i talebani a includere dei tecnocrati pro-pachistani nel loro sistema”. Ma questo non è “in cambio di un’azione di lobby per favorire il riconoscimento internazionale”. È un modo per rispondere alle esigenze di governabilità dei talebani.

La SCO opera in stretto concerto su quello che i suoi membri si aspettano dai talebani. Questo include un governo inclusivo e nessun afflusso di rifugiati. L’Uzbekistan, per esempio, in quanto principale porta di accesso all’Asia Centrale per l’Afghanistan, è impegnato a partecipare nel business della ricostruzione.

Da parte sua, il Tagikistan ha annunciato che la Cina costruirà una base militare del costo di 10 milioni di dollari nella geologicamente spettacolare regione autonoma del Gorno-Badakhshan. Per contrastare l’isteria occidentale, Dušanbe ha chiarito che la base ospiterà essenzialmente una speciale unità di reazione rapida del Dipartimento Regionale per il Controllo del Crimine Organizzato, subordinata al Ministero degli Interni del Tagikistan.

Questa includerà circa 500 militari, diversi veicoli con armamento leggero, e droni. La base fa parte di un accordo tra il Ministro degli Interni del Tagikistan e il Ministro della Sicurezza dello Stato della Cina.

La base è un compromesso necessario. Il Presidente tagiko Emomali Rahmon ha un serio problema con i talebani: si rifiuta di riconoscerli, e insiste su una migliore rappresentanza tagika in un nuovo governo a Kabul.

Pechino, da parte sua, non devia mai dalla sua priorità numero uno: impedire con ogni mezzo agli uiguri dell’East Turkistan Islamic Movement (ETIM) di attraversare i confini tagiki per provocare devastazioni nello Xinjiang.

Così tutti i principali protagonisti della SCO stanno agendo di concerto per un Afghanistan stabile. Mentre per quanto riguarda la Terra Americana dei Think Tank, come previsto, non ha una strategia, a parte auspicare il caos.

 

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://thecradle.co/Article/columns/3455

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor