La misteriosa scomparsa di Vincent Reynouard

VIDEO: The Holohoax exposed in 30 minutes - L'holocauste déconstruit en 30 minutes - Vincent Reynouard - Mediateca

CHE FINE HA FATTO VINCENT REYNOUARD SPARITO DA UN MESE SENZA LASCIARE TRACCE?

Di Jérôme Bourbon, 17 novembre 2021

Da un mese ormai, Vincent Reynouard è sparito senza lasciare tracce. E ciò che è allarmante, è che a nostra conoscenza egli non ha contattato nessuno, assolutamente nessuno, dopo questo famoso lunedì 25 ottobre alle ore 4 del pomeriggio quando è riuscito a piantare in asso i poliziotti britannici e dell’Interpol venuti a prenderlo al suo domicilio. Né la sua famiglia, né i suoi amici, né i suoi collaboratori stretti. Neppure in modo indiretto o minimalista. È sparito dai radar. Si è volatilizzato. Non abbiamo oggi neppure la certezza che sia vivo o che sia libero. È tuttavia probabile che, se fosse stato arrestato, dei siti comunitari avrebbero esultato e si sarebbero sentiti in dovere di annunciarlo urbi et orbi, di gridarlo sui tetti, di rivendicare questa incarcerazione come una vittoria. Ciò che lascia pensare che egli non si trovi attualmente dietro le sbarre.

Ma vi è all’origine di tutto questo affare qualche cosa di strano, di insolito, se non di decisamente inquietante. Innanzitutto, non è da Vincent non manifestarsi, in un modo o nell’altro, per un intervallo di tempo così lungo. Gli sarebbe stato in effetti possibile scrivere una lettera per fornire notizie senza ovviamente divulgare il luogo dove si trova, e spedirla assai lontano dal posto dove si nasconde, di inviare un messaggio rassicurante ad un suo collaboratore, per poi sbarazzarsi immediatamente dopo del telefono per non lasciare tracce, o di passare per l’intermediario di una terza persona per dare un segno di vita. Ma fino ad ora non ha fatto nulla del genere. Non è così che aveva agito nel corso delle sue fughe precedenti nel 2008-2009 (in Belgio e in Francia) e di nuovo nella primavera 2015 (nelle Fiandre), prima di esiliarsi in Inghilterra, il 16 giugno 2015.

Cosa sappiamo di certo o di quasi certo fino ad oggi? La polizia britannica e l’Interpol (se è di costoro che si tratta) hanno suonato al suo domicilio il lunedì 25 ottobre nel pomeriggio. Vincent scende le scale, apre la porta. Vedendo i poliziotti che gli dicono che vogliono parlare a Vincent Reynouard, quest’ultimo declina una falsa identità, poi chiude subito la porta in faccia ai poliziotti. Poiché la porta non si apre dall’esterno, questo lascia il tempo a Vincent di risalire in tutta fretta nel suo appartamento, e di telefonare alle ore 15.44 ad un collaboratore stretto, certamente per avvisarlo della situazione e forse per chiedergli aiuto. Ahimè, quest’ultimo, che sta sul treno, non sente la chiamata. Vincent non lascia un messaggio vocale. Non ne ha il tempo. Prende rapidamente, a quanto pare, il denaro di cui dispone grazie alle sue lezioni private, lascia tutto sul posto (il suo telefono, i suoi documenti di identità, la sua patente, i suoi computer portatili, non prende il resto). Sentendo i poliziotti che sono finalmente riusciti ad aprire la porta d’ingresso balzare sulle scale fino al secondo piano, egli ha giusto il tempo di fuggire per il cortile interno del piccolo immobile che conduce all’uscita sul retro dell’edificio in modo da poter seminare i suoi inseguitori.

Una mezzora più tardi al massimo, l’amico, accorgendosi che Vincent Reynouard l’ha chiamato, il suo numero essendosi registrato sul cellulare, gli telefona subito. Cinque volte di seguito. Le quattro prime volte, la chiamata suona a vuoto. Ma la quinta volta, la chiamata viene rifiutata. Manualmente. In quel momento, vi è dunque qualcuno nell’appartamento. Chi? Con ogni probabilità, la polizia che era forse ancora sul posto in quel momento. Ma perché allora non rispondere alla chiamata? Questo è sbalorditivo da parte di poliziotti che inseguono un fuggitivo e che abitualmente non trascurano nessuna pista per ottenere delle informazioni, e soprattutto non una chiamata telefonica che potrebbe rivelarsi determinante. Più sbalorditivo ancora, la polizia non ha preso niente nell’appartamento di Vincent. Né i computer, né il telefono, né gli archivi, né i documenti di identità. Tutto, a quanto pare, è stato lasciato intatto. Non fa parte delle abitudini della polizia non raccogliere le eventuali prove incriminanti, non procedere a delle perquisizioni meticolose dell’alloggiamento della persona ricercata, non sequestrare né il materiale informatico né il telefono che possono talvolta fornire delle preziose informazioni.

Si ha la sensazione che manchino degli elementi al puzzle. Qualcosa non va sin dall’inizio, suscita un malessere, legittima tutti i sospetti, autorizza tutte le ipotesi. È sicuro che si tratti dell’Interpol? È in ogni caso ciò che ha dichiarato la proprietaria dell’appartamento, ripetendo ciò che le avevano detto i (veri o falsi) poliziotti britannici. È quello che afferma egualmente Sarah Cattan nel suo articolo molto lungo del 3 novembre per Tribune juive. Ma, qualche giorno dopo, non era proprio la stessa versione. L’account Twitter intitolato Jugé coupable (che è animato dal collettivo anonimo BTA: Balance ton antisémite) ha improvvisamente indicato che “Vincent Reynouard non ha un avviso rosso dall’Interpol”, contrariamente per esempio a Boris Le Lay esiliato in Giappone dal 2014, il che lasciava intendere che non è stata necessariamente l’Interpol che ha suonato il 25 ottobre all’appartamento affittato dal militante revisionista nella Greater London.

Ma se non è stata l’Interpol, chi è stato? La polizia britannica? Forse, ma su richiesta di chi? In quale contesto? Su quale base legale? Certo, a tutt’oggi, Vincent Reynouard è stato condannato dopo il suo esilio in Inghilterra a 29 mesi di prigione dalle autorità francesi per aver contravvenuto alla legge Rocard-Fabius-Gayssot. Ma non c’è attualmente un equivalente di questa legislazione antirevisionista nel Regno Unito. Come si può dunque motivare legalmente una richiesta di estradizione? Certo, come disse il compianto professor Robert Faurisson, “quando si tratta di lotta contro il revisionismo non c’è né fede, né legge né diritto. Tutto è permesso”. La caccia al revisionista è aperta tutto l’anno, non importa dove, non importa quando, non importa come. Del resto, gli anonimi analfabeti odiatori di BTA non si vantano di essere dei “cacciatori di antisemiti”? E evidentemente la loro caccia non è regolamentata. Essa non è limitata a certi orari e a una o a due stagioni dell’anno. Essa è permanente, selvaggia e brutale, si esercita di notte come di giorno, non è gravata dal rispetto delle convenzioni, della morale, della probità e della verità.

È tutto molto facile per qualcuno che sia determinato a spacciarsi per un ufficiale di polizia senza esserlo in realtà. Vincent Reynouard aveva raccontato in un video di come, circa cinque anni fa, quando si trovava già in Inghilterra, due uomini erano venuti a intimidire una persona del suo entourage restata in Francia, come l’avevano seguita durante il giorno in macchina, poi come l’avevano attesa davanti alla porta del suo appartamento, e poi, quando era arrivata all’ingresso, come l’avevano costretta ad aprire loro la porta e a comunicare loro sotto minaccia le coordinate telefoniche e l’indirizzo esatto del domicilio di Vincent nel Regno Unito. E chiaramente, in quel caso, non si trattava della polizia. I due uomini non ebbero d’altronde la cortesia di presentarsi né di declinare la loro identità.

Ancora più strano, Vincent aveva raccontato come, una notte, poco più di un anno fa, degli sconosciuti si erano introdotti a casa sua mentre dormiva, nel precedente domicilio che occupava nei pressi di Londra e avevano, a quanto pare, esaminato le sue cose, i suoi archivi, i suoi documenti, come se essi cercassero assolutamente qualche cosa di preciso, di importante, e se ne erano andati. Se ne era accorto perché aveva accuratamente chiuso la porta a chiave la sera, prima di coricarsi, se lo ricordava benissimo e la porta era aperta la mattina presto quando si era svegliato!

Si può dunque immaginare di tutto nel presente affare, e più il tempo passa più il silenzio diventa assordante. Ogni giorno che passa alimenta il dubbio, accresce l’angoscia. Poiché se non è né l’Interpol, né la polizia britannica che ha suonato a casa sua quel giorno, chi poteva essere? Ma chi? Potrebbe essere questo il famoso “chi” di Claude Posternak che apostrofa il generale Delawarde il 18 giugno su Cnews?

Nel momento in cui è andato incontro al suo destino lunedì 25 ottobre verso le ore 16 ora di Londra (17 ora di Parigi) per non riapparire forse mai più, Vincent stava mettendo ultimando uno studio approfondito e aggiornato sul dramma di Oradour-sur-Glane. Si apprestava a inviarmelo per posta elettronica come memoria difensiva nell’ambito di un processo che mi è stato intentato due giorni dopo, il 27 ottobre, in seguito alla pubblicazione su Rivarol del 2 settembre 2020 di un lungo articolo di due pagine intere sulle scritte verniciate sul memoriale di Oradour e sull’isteria che questo graffito realizzato di notte, dal 20 al 21 agosto 2020, aveva suscitato nella classe politico-mediatica. Vincent desiderava di realizzare un libro dettagliato e ricco di illustrazioni, un’opera che stava per essere ultimata di cui era felice e fiero e che contava assolutamente di pubblicare e di mettere in vendita prima di Natale. Egli aveva fatto, così mi aveva confidato, delle scoperte importanti, se non sensazionali, di cui era impaziente ed eccitato di far conoscere il contenuto ai suoi lettori e che, secondo lui, erano di natura tale da chiarire con una luce nuova tutto questo tenebroso affare. Infine, questo documento non mi è mai stato inviato, nemmeno tramite un intermediario, o per mezzo di questo o quel trucco, di questo o quell’artificio, di questa o quella astuzia di cui Vincent non è tuttavia avaro.

Oradour-sur-Glane. Des tags sur le mémorial nient le massacre - Oise Hebdo

Tutto ciò decisamente non gli assomiglia, lui che, lavoratore accanito, e che non manca mai alle proprie promesse, ha sempre fatto l’impossibile, smosso mari e monti, per diffondere, pubblicare, trasmettere i suoi studi, i suoi lavori, le sue scoperte, le sue intuizioni, i suoi ragionamenti, i suoi argomenti per iscritto e con i video. In un modo assolutamente inspiegabile, non ha avvertito, né fatto avvertire da una terza persona, la ventina abbondante di allievi a cui faceva lezioni private e che si sono ritrovati dall’oggi al domani senza il loro professore, e senza alcuna notizia su di lui, allorquando le date erano state concordate, i corsi programmati, gli appuntamenti confermati. No, decisamente, tutto ciò non gli assomiglia. Certo, si capisce perfettamente che i primi giorni di una fuga si fanno le cose più urgenti e che la priorità è quella di nascondersi, di sopravvivere e che non si forniscono subito delle notizie. Forse questo silenzio prolungato si spiega solamente con la sua prudenza, la sua paura di essere reperito e acciuffato, un semplice principio di precauzione. Se dobbiamo coltivare l’ottimismo, questo è ciò che dobbiamo cercare di persuaderci. Ma oltre al fatto che questo non rientra nelle abitudini di Vincent, e non corrisponde affatto al suo modus operandi seguito fino ad ora, è passato un mese intero da che egli è scomparso nel nulla senza lasciare alcuna traccia, senza trasmettere il minimo messaggio, in maniera diretta o indiretta, franca o subliminale, per rassicurare la sua famiglia, i suoi amici, i suoi collaboratori, le sue relazioni, senza dare il minimo segno di vita. Ecco che affondiamo decisamente in un abisso di perplessità, anzi di angoscia. Ci sono dei silenzi che, quando si prolungano, sono ancora meno rassicuranti del ticchettio delle chiavi che chiudono a doppia mandata la cella di un prigioniero sfortunato.

https://jeune-nation.com/lectures/hebdo-nouveaute-quest-devenu-vincent-reynouard-disparu-depuis-un-mois-sans-laisser-de-traces-rivarol

 

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Recent Posts
Sponsor