Pepe Escobar: Chi trae profitto dall’attentato suicida di Kabul?

CHI TRAE PROFITTO DALL’ATTENTATO SUICIDA DI KABUL?[1]

L’ISIS-Khorasan vuole dimostrare agli afghani e al mondo esterno che i talebani non possono proteggere la capitale

Di Pepe Escobar, 27 agosto 2021

L’orribile attentato suicida di Kabul introduce un vettore in più in una situazione già incandescente: esso vuole dimostrare, agli afghani e al mondo esterno, che il nascente Emirato Islamico dell’Afghanistan è incapace di proteggere la capitale.

Allo stato attuale, almeno 103 persone – 90 afghani (inclusi almeno 28 talebani) e 13 militari americani – sono state uccise e almeno 1,300 ferite, secondo il Ministero della Sanità afghano.

La rivendicazione dell’attentato è giunta con una dichiarazione sul canale Telegram di Amaq Media, l’agenzia di notizie ufficiale dello Stato Islamico (ISIS). Ciò significa che è giunta dal comando centrale dell’ISIS, anche se i perpetratori sono membri dell’ISIS-Khorasan o ISIS-K.

Presumendo di ereditare il peso storico e culturale delle antiche terre dell’Asia Centrale che dall’epoca della Persia imperiale si estendevano fino all’Himalaya occidentale, questo spin-off profana il nome di Khorasan.

L’attentatore suicida che ha effettuato “l’operazione martirio vicino all’aeroporto di Kabul” è stato identificato come un certo Abdul Rahman al-Logari. Questo suggerirebbe che costui è un afghano, proveniente dalla vicina provincia di Logar. E suggerirebbe anche che l’attentato potrebbe essere stato organizzato da una cellula dormiente dell’ISIS-Khorasan. Una sofisticata analisi elettronica delle loro comunicazioni lo potrebbe dimostrare – strumenti che i talebani non hanno.

Il modo in cui l’ISIS, esperto dei social, ha scelto di dare origine alla carneficina merita un esame approfondito. La dichiarazione su Amaq Media attacca i talebani per aver collaborato con l’esercito americano nell’evacuazione di “spie”.

Essa deride “le misure di sicurezza imposte dalle forze americane e dalle milizie talebane nella capitale Kabul”, poiché il suo “martire” è stato capace di raggiungere “una distanza non inferiore a cinque metri dalle forze americane, che stavano supervisionando le procedure”.

Così è chiaro che il nuovamente rinato Emirato Islamico dell’Afghanistan e l’ex potenza occupante hanno di fronte lo stesso nemico. L’ISIS-Khorasan comprende un manipolo di fanatici, denominati takfiri perché essi definiscono i loro correligionari musulmani – in questo caso i talebani – come “apostati”.

Fondato nel 2015 da jihadisti emigrati inviati nel Pakistan sudoccidentale, l’ISIS-K è oggi una bestia losca. Il suo attuale capo è un certo Shahab al-Mujahir, che era un comandante di medio livello della rete Haqqani il cui quartier generale si trovava nel Waziristan del nord, nelle zone tribali pachistane, essa stessa una congerie di mujaheddin disparati e aspiranti jihadisti sotto l’ombrello della famiglia.

Washington aveva catalogato la rete Haqqani come un’organizzazione terroristica nel lontano 2010, e considera diversi suoi membri come terroristi globali, incluso Sirajuddin Haqqani, il capo della famiglia dopo la morte del fondatore Jalaluddin.

Fino ad ora, Sirajuddin è stato il vice-capo dei talebani per le province orientali – allo stesso livello del Mullah Baradar, il capo dell’ufficio politico a Doha, che venne rilasciato da Guantanamo nel 2014.

Un dato cruciale è che lo zio di Sirajuddin, Khalil Haqqani, in precedenza responsabile dei finanziamenti esteri della rete, è ora responsabile della sicurezza di Kabul e lavora come diplomatico a tempio pieno.

I precedenti leader dell’ISIS-K sono stati annientati da bombardamenti aerei americani nel 2015 e nel 2016. L’ISIS-K ha iniziato a diventare una vera forza di destabilizzazione nel 2020, quando la banda riorganizzata ha attaccato l’Università di Kabul, un reparto di maternità di Medici Senza Frontiere, il palazzo presidenziale e l’aeroporto.

Informazioni della NATO raccolte da un rapporto delle Nazioni Unite attribuiscono un massimo di 2,200 jihadisti all’ISIS-K, divisi in piccole cellule. Significativamente, la maggioranza assoluta è costituita da non afghani: iracheni, sauditi, kuwaitiani, pachistani, uzbechi, ceceni e uiguri.

Il vero pericolo è che l’ISIS-K funziona come un magnete per ogni sorta di ex talebani delusi o di scombussolati signori della guerra regionali che non sanno dover andare.

Il perfetto bersaglio facile

Il trambusto dei civili attorno all’aeroporto di Kabul dei giorni scorsi era il perfetto bersaglio facile per il massacro targato ISIS.

Zabihullah Mujahid – il nuovo ministro talebano dell’informazione a Kabul, che in questa veste parla ai media globali ogni giorno – è colui che aveva effettivamente avvisato i membri della NATO su un imminente attentato suicida da parte dell’ISIS-K. I diplomatici di Bruxelles lo hanno confermato.

Parallelamente, non è un segreto tra i circoli dell’intelligence in Eurasia che l’ISIS-K è diventata straordinariamente più potente dopo il 2020 grazie ad una linea di trasporti da Idlib, in Siria, all’Afghanistan orientale, informalmente conosciuta nel gergo delle spie come la Daesh Airlines.

Mosca e Teheran, anche a livelli diplomatici molto alti, hanno direttamente incolpato l’asse Stati Uniti-Gran Bretagna come i facilitatori chiave. Anche la BBC riferì alla fine del 2017 di centinaia di jihadisti dell’ISIS a cui era stato concesso un trasbordo sicuro fuori da Raqqa, e fuori dalla Siria, proprio di fronte agli americani.

L’attentato di Kabul ha avuto luogo dopo due avvenimenti assai significativi.

Il primo è stato l’affermazione di Mujahid durante un’intervista con l’americana NBC News in precedenza questa settimana secondo cui non vi è “nessuna prova” che Osama bin Laden stesse dietro l’11 settembre – un argomento che avevo già accennato come imminente in questo podcast la settimana precedente.

Questo significa che i talebani avevano già iniziato una campagna per disconnettere sé stessi dall’etichetta di “terroristi” associata con l’11 settembre. La prossima mossa potrebbe prevedere il sostenere che l’esecuzione dell’11 settembre venne decisa ad Amburgo, con i dettagli operativi coordinati in due appartamenti del New Jersey.

Niente a che fare con gli afghani. E tutto rimane nei parametri della narrativa ufficiale – ma questa è un’altra storia immensamente complicata.

I talebani dovranno dimostrare che il “terrorismo” riguarda solo il loro nemico mortale, l’ISIS, e ben oltre l’al-Qaeda della vecchia scuola, a cui essi dettero rifugio fino al 2001. Ma perché dovrebbero essere timidi nel fare tali affermazioni? Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno riabilitato Jabhat Al-Nusra – o al-Qaeda in Siria – come “ribelli moderati”.

L’origine dell’ISIS è un materiale incandescente. L’ISIS è stata generata nei campi di detenzione iracheni, il suo nucleo costituito da iracheni, le loro abilità militari derivate da ex ufficiali dell’esercito di Saddam, un mucchio selvaggio attivato nel lontano 2003 da Paul Bremmer, il capo dell’Autorità provvisoria della coalizione.

L’ISIS-K prosegue regolarmente l’opera dell’ISIS dall’Asia sudoccidentale agli incroci dell’Asia centrale e meridionale in Afghanistan. Non vi sono prove credibili che l’ISIS-K abbia legami con l’intelligence militare pachistana.

Al contrario: l’ISIS-K è vagamente allineata con il Tehreek-e-Taliban (TTP), anche conosciuto come i talebani pachistani, il nemico mortale di Islamabad. L’agenda del TTP non ha niente a che fare con i talebani afghani guidati dal moderato Mullah Baradar che hanno partecipato al processo di Doha.

La SCO in soccorso

L’altro evento significativo legato all’attentato di Kabul è quello che ha avuto luogo solo un giorno dopo un’altra telefonata tra il Presidente Vladimir Putin e Xi Jinping.

Il Cremlino ha sottolineato la “prontezza nell’intensificare gli sforzi per combattere le minacce del terrorismo e del traffico della droga provenienti dal territorio dell’Afghanistan” da parte della coppia; l’”importanza dello stabilimento della pace”; e dell’”impedire la diffusione dell’instabilità nelle regioni limitrofe”.

E questo ha portato al fattore decisivo: essi si sono congiuntamente impegnati per “ottenere il massimo del potenziale” della Shanghai Cooperation Organization (SCO) (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai), che venne fondata 20 anni fa come i “Cinque di Shanghai”, anche prima dell’11 settembre, per combattere “il terrorismo, il separatismo e l’estremismo”.

Il summit della SCO è previsto per il mese prossimo a Dušanbe – quando l’Iran molto probabilmente, sarà ammesso come membro a pieno titolo. L’attentato di Kabul offre alla SCO l’opportunità di farsi avanti con forza.

Qualunque complessa coalizione tribale venga formata per governare l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, essa sarà intrecciata con il pieno apparato della cooperazione regionale economica e della sicurezza, guidata dai tre attori principali dell’integrazione eurasiatica: Russia, Cina e Iran.

La documentazione mostra che Mosca ha tutto quello che ci vuole per aiutare l’Emirato Islamico contro l’ISIS-K in Afghanistan. Dopo tutto, i russi hanno stanato l’ISIS da tutte le parti significative della Siria e l’ha confinato nel calderone di Idlib.

Alla fine, nessuno a parte l’ISIS vuole un Afghanistan terrorizzato, proprio come nessuno vuole una guerra civile in Afghanistan. Così l’ordine del business indica non solo un combattimento frontale guidato dalla SCO contro le cellule esistenti dell’ISIS-K in Afghanistan ma anche una campagna integrata per prosciugare ogni potenziale base sociale ai takfiri nell’Asia centrale e meridionale.

 

 

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://asiatimes.com/2021/08/who-profits-from-the-kabul-suicide-bombing/

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