NELLA BATTUTA DI ARRESTO DI WASHINGTON, IRAN E CINA FIRMANO UN ACCORDO STRATEGICO[1]
Di Amir Handjani, 29 marzo 2021
Il recente accordo economico e di cooperazione sulla sicurezza firmato da Iran e Cina avrà conseguenze di ampia portata per la geopolitica nel Medio Oriente. Di sicuro, lo sforzo guidato dagli Stati Uniti per contenere l’Iran a livello regionale e per strangolarlo finanziariamente ha spinto entrambi i paesi in questa direzione.
L’accordo fornisce a Teheran un partner vitale, anche se volubile, per contribuire a resistere alle sanzioni economiche imposte da quando l’amministrazione Trump si ritirò dall’accordo nucleare nel 2018. Da allora, l’economia dell’Iran è pesantemente arretrata. Gli investimenti diretti esteri sono colati a picco con Teheran che ha sempre meno acquirenti per il suo petrolio – a parte la Cina, che ha pesantemente aumentato le sue importazioni l’anno scorso.
Per Pechino, l’accordo segna un’importante copertura nei suoi rapporti con gli stati del Golfo Persico produttori di petrolio, che sono partner di lungo corso degli Stati Uniti per ciò che concerne la sicurezza. Mentre i termini dell’accordo non sono stati ancora pubblicizzati, esso ha lo scopo di fornire un solido e stabile flusso di petrolio iraniano alla Cina in cambio degli agognati investimenti nelle infrastrutture critiche dell’Iran – dai porti alle ferrovie ad alta velocità, all’energia al settore petrolchimico. Se le tensioni geopolitiche tra Pechino e Washington raggiungeranno il punto di ebollizione mentre gli stati arabi sono sottoposti alle pressioni degli Stati Uniti per scegliere da che parte stare, la Cina può restare sicura che Teheran sarà un partner affidabile.
Dalla prospettiva dell’Iran, l’accordo posiziona gli interessi finanziari e strategici di Teheran stabilmente nell’Asia. Da molto tempo l’Iran desidera aderire all’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO) – l’alleanza eurasiatica economica e per la sicurezza guidata da Cina e Russia. Il sogno SCO di Teheran potrebbe presto diventare realtà, poiché l’Iran ha un posto di primo piano nell’ambiziosa iniziativa della Nuova via della seta della Cina. Attualmente, l’Iran detiene lo status di osservatore. Viceversa, il fallimento del JCPOA [Piano d’azione congiunto globale][2] nel fornire a Teheran gli agognati investimenti stranieri e lo sviluppo economico che era stato promesso pone ora un ostacolo ai dirigenti iraniani moderati e riformisti che cercavano di migliorare i rapporti con l’Occidente e di evitare un eccessivo affidamento geopolitico su Cina e Russia.
Lo spazio politico per migliori rapporti tra Washington e Teheran è attualmente più ristretto dai politici nazionali di entrambi i paesi. Se la preferenza dell’Iran è sempre stata per la tecnologia e gli investimenti americani ed europei, esso si accontenterà ora di quelli cinesi – con minori problemi. Pechino non presenta richieste sulla politica interna, sulle politiche regionali o sul programma missilistico dell’Iran, come Bruxelles e Washington fanno invariabilmente.
Inoltre le politiche della Cina non sono troppo influenzate dai suoi altri rapporti strategici nel Medio Oriente – essa agisce indipendentemente da essi. La Cina preferisce legami bilaterali con attori autonomi che essa percepisce come affidabili di fronte alla pressione americana. Ciò si adatta molto bene a Teheran, fintantoché questa può partecipare ad un sistema finanziario basato sullo yuan, che non lo soffoca con lo sviluppo economico basato sui capricci di ogni nuovo occupante della Casa Bianca.
La classe dirigente dell’Iran è occupata ad assorbire qualunque sanzione gli venga imposta, ed essi sembrano adattare l’economia iraniana di conseguenza. Alcuni all’interno dell’establishment politico dell’Iran – in particolare gli elementi più oltranzisti – vedono con favore le avversità che le sanzioni hanno portato nell’economia perché queste hanno costretto Teheran a diversificare rispetto alle esportazioni di energia, e a dare invece la priorità alla produzione e al consumo interni. La loro speranza è che le sanzioni americane diventino meno impattanti nel corso del tempo, poiché l’Iran darà la priorità sia alla sua economia interna che agli scambi con paesi che stanno in opposizione al sistema finanziario guidato dagli Stati Uniti. Un accordo con la Cina (ed eventualmente con la Russia) costituirebbe l’adempimento logico di tale speranza.
Vi sono prove che l’approccio di Teheran sta funzionando. All’inizio del secolo, il petrolio costituiva il 50% del prodotto interno lordo. Oggi, esso costituisce il 15%. I sostenitori della campagna della “massima pressione” da parte degli Stati Uniti sosterrebbero che il risultato è che la nazione iraniana è più povera – avendo visto la sua economia ridursi di oltre il 15% da quando Donald Trump si è ritirato dall’accordo sul nucleare, e le sanzioni ridurre tremendamente le sue esportazioni di petrolio. Ma la “massima pressione” non ha indotto l’Iran a ridimensionare il suo ruolo regionale, né ha indotto il governo ad arrendersi.
In realtà, le prove suggeriscono che l’economia dell’Iran sta diventando più resiliente: il Fondo Monetario Internazionale prevede che l’economia dell’Iran cresca del 3.2%nel 2021. Nel suo recente discorso di Nowruz alla nazione, il capo supremo Ali Khamenei ha preannunciato all’opinione pubblica ulteriori sanzioni in futuro. Gli oltranzisti di Teheran e di Washington vogliono la stessa cosa, ma per ragioni differenti.
Dove rimane Washington in tutto questo? I sostenitori della diplomazia speravano che l’amministrazione Biden ritornasse rapidamente all’accordo nucleare, creando perciò il necessario spazio politico in entrambe le capitali per discutere altre questioni di reciproco interesse. Poiché l’Iran si avvicina alla Cina e alla Russia, questa speranza potrebbe svanire. Se gli oltranzisti conquistano le leve del potere a Teheran dopo le elezioni presidenziali della prossima estate, aspettiamoci una propensione molto minore a tali colloqui. Al contrario, Teheran giocherà il gioco lungo. Si unirà ad altre economie asiatiche che hanno agganciato il loro carro al commercio e allo sviluppo cinese, nel bene e nel male. Se l’Occidente vuole accordarsi con l’Iran, potrebbe trovarsi di fronte un negoziatore molto più anti-occidentale di quando il JCPOA venne negoziato nel 2015. Adesso, il Presidente Hassan Rouhani e il Ministro degli Esteri Javad Zarif sono visti entrambi dall’establishment politico iraniano come riformatori che cercano un accomodamento e non lo scontro con Washington.
Se oggi viviamo in un mondo di grande competizione tra potenze, questo può essere visto solo come un autogol da parte di Washington. Proprio come i paesi asiatici che si sono mossi per formare il proprio blocco commerciale o per unirsi alla Cina dopo che Washington è uscita dal Partenariato Trans-Pacifico, Teheran ha deciso di scommettere su un paese che secondo le sue previsioni sopravanzerà gli Stati Uniti nella superiorità economica e tecnologica. Il tempo dirà se questa è stata una buona scommessa.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://responsiblestatecraft.org/2021/03/29/iran-and-china-sign-historic-trade-and-security-deal/
[2] Nota del traduttore: JCPOA è l’acronimo che sta per Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo sul nucleare iraniano raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 tra l’Iran, i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’Unione Europea.
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