KEIR STARMER È UN BUROCRATE DI LUNGO CORSO DELLO STATO DI SICUREZZA BRITANNICO[1]
L’ossessione del leader per la bandiera britannica è qualcosa di più di una vuota propaganda elettorale
Di Oliver Eagleton, 2 marzo 2021
Il mese scorso un documento strategico trapelato ha rivelato che il leader del Partito Laburista Keir Starmer progetta di sfruttare la passione popolare per il Capitano Tom agitando bandiere britanniche ed elogiando le forze armate per conquistare la fiducia degli elettori disillusi. Da entrambe le ali del partito, il trapelamento è stato accolto con costernazione.
Per la sinistra, esso segna il culmine di una preoccupante tendenza influenzata dalla corrente del Blue Labour. Da quando è diventato leader, Starmer ha stroncato il “momento” del Black Lives Matter; ha approvato le condanne a dieci anni di prigione per i manifestanti che vandalizzano i memoriali di guerra; ha sostenuto l’immunità legale per gli agenti di polizia che commettono omicidio, tortura o violenza sessuale; e ha appoggiato protezioni analoghe per i soldati britannici. Egli ha reciso le ultime tracce dell’internazionalismo progressista di Jeremy Corbyn – allineandosi con segregazionisti di destra come Narendra Modi e Benjamin Netanyahu, come pure ospitando un’amichevole rimpatriata con Mike Pompeo. La settimana scorsa, ha dato istruzioni al suo ministro ombra della difesa per reclamizzare il sostegno “non negoziabile” del partito alle armi nucleari. Alla luce di queste azioni, i commentatori che a suo tempo credevano che Starmer avrebbe rivitalizzato la politica di Corbyn con una dose di competenza giuridica esprimono ora la propria disillusione in contriti elzeviri.
Per i suoi alleati della destra del Labour, il pensiero di Sir Keir che si ripropone come un Nick Griffin dei ricchi sta parimenti iniziando a risultare indigesto. Giornali simpatetici come il New Statesman e l’Economist esprimono dubbi su queste pose patriottiche, che nei loro timori evidenzieranno la mancanza di visione politica del Labour e faranno il gioco del Partito Conservatore. I deputati di Starmer sono preoccupati che le frasi ad effetto su “bandiera e famiglia” non reggeranno di fronte al “muro rosso” del proprio elettorato, che potrebbe non essere credulo come il membro [del Collegio] di Holborn e St Pancras presume.
Se la svolta sciovinista di Starmer ha irritato i suoi simpatizzanti in entrambi i lati del partito, bisogna chiedersi perché lo ha fatto. La risposta ovvia è che si tratta di un tentativo disperato di conquistare il Nord dell’Inghilterra, guidato dalla convinzione del suo direttore delle strategie che i valori conservatori sono la chiave del cuore proletario. Con questa logica, fare arrabbiare gli attivisti fuori della realtà di Momentum o i deputati Westminster-centrici è una misura del successo della sua strategia. Come ha osservato un membro del quartier generale del Labour in riferimento alla cerchia interna di Starmer: “Non credono a nulla di questa roba; dicono qualunque cosa pensano che farà loro avere voti”.
Il cinismo elettorale fa senza dubbio parte dell’equazione. Ma l’immagine di Starmer come un banale socialdemocratico liberale, che piega i suoi principi per sedurre l’Uomo di Workington, necessita di qualche correzione. In realtà, a quasi un anno dall’inizio del suo mandato, è un’indicazione di quanto poco si sappia sulle personali convinzioni di Starmer le cui azioni sono solitamente interpretate come aperture agli altri – i lavoratori favorevoli alla Brexit, il Board of Deputies, i grandi affaristi e così via.
Quando il decorato barrister è stato eletto lo scorso aprile, molti membri del Labour (incluso il sottoscritto) presunsero che il suo tipo di “sinistra soft” fosse essenzialmente malleabile: capace di modificare il suo aspetto a seconda del clima politico. In un certo senso, questa diagnosi è stata confermata. L’uomo che ha suo tempo propose lunghe condanne al carcere per i “truffatori di sussidi” e che si astenne sulla legge dei conservatori sull’assistenza sociale si è ora evidentemente adattato al consenso post-austerità. Tuttavia, mentre le opinioni di Starmer sulla politica economica hanno oscillato, quello che può essere descritto come il suo autoritarismo sociale – pro-esercito, pro-poliziotti, anti-manifestanti – è stato straordinariamente coerente, nonostante la sua auto-presentazione come un sostenitore senza macchia dei diritti umani. Contro la supposizione che il suo patriot act sia rivolto esclusivamente all’elettorato del “Leave”, dobbiamo considerare la possibilità che Starmer creda davvero a ciò che dice. Dopo tutto, è solo individuando gli aspetti più autentici e inflessibili della sua politica che la sinistra può formulare una risposta credibile.
C’è, in realtà, una chiara spiegazione biografica per la presa di posizione di Starmer che agita la bandiera. Durante gli anni cruciali della sua formazione politica, dopo una rapida associazione con il trotskismo pabloita e un periodo più lungo con il gruppo di attivisti Liberty, Starmer ha lavorato come esponente dello stato di sicurezza britannico, sia sul fronte interno che su quello internazionale. Nel 2003 venne assunto per consigliare il Policing Board of Northern Ireland (Consiglio di Polizia dell’Irlanda del Nord) sulla sua conformità allo Human Rights Act – un ruolo che pose fine al suo attaccamento alla politica di base dimostrando che il cambiamento si ottiene più efficacemente lavorando all’interno dei poteri costituiti (come egli in seguito ricordò ai giornalisti). Da lì fu solo un piccolo passo diventare il director of public prosecutions (DPP) (Direttore della pubblica accusa) – il giurista di grado più elevato del paese, responsabile di tutti i procedimenti penali in Inghilterra e nel Galles. Fonti del Crown Prosecution Service (CPS) (Servizio della Procura della Corona) sostengono che la sua nomina del 2008 venne vista dal governo del New Labour come una possibilità per rafforzare le sue precarie credenziali sui diritti umani dopo la guerra al terrorismo. Tuttavia una volta assunta la carica, Starmer cominciò a rimodellare il CPS come uno strumento della politica estera anglo-americana.
Mentre i servizi della pubblica accusa in Gran Bretagna venivano decimati dal taglio dei finanziamenti, Starmer scelse di ingrandire la divisione internazionale del CPS – un sotto-dipartimento fino a quel momento inattivo costituito per combattere le “minacce alla sicurezza nazionale” attraverso il lavoro legale all’estero. Il personale del CPS venne dispiegato per consigliare istituzioni giudiziarie straniere su questioni di interesse del governo britannico, inclusi il terrorismo, il contrabbando di droga e la migrazione irregolare. Buona parte di questo lavoro veniva supervisionato dal segretario permanente del Ministero degli Interni Mark Sedwill, già alto rappresentante civile della NATO in Afghanistan, il quale riteneva che la strategia di prevenzione dei reati commessi sul suolo britannico non dovesse essere limitata ai suoi confini: i pubblici ministeri devono piuttosto lavorare insieme al governo per identificare i “rischi” in luoghi lontani e neutralizzarli prima che raggiungano le nostre coste. Una rete di “consiglieri della giustizia penale” del CPS che spaziava in molti continenti venne costituita a questo fine. Starmer si coordinava con il Foreign Office, i servizi segreti e il Comando dell’Antiterrorismo per decidere se i suoi legali itineranti dovessero essere inviati. Il loro lavoro quotidiano era spesso banale: istruire autorità giudiziarie carenti di mezzi su come strutturare i loro uffici o aiutare ad affinare le tecniche dei colloqui di polizia. Ma in molti casi essi accrebbero le capacità giudiziarie di governi straordinariamente repressivi: nel consigliare stati in Africa Occidentale e nei Caraibi nel perseguire la guerra alle droghe, e nel fornire un sostegno di “antiterrorismo” a regimi clienti macchiati di sangue in Medio Oriente.
Un ex impiegato della Divisione Internazionale mi ha detto che, sotto Starmer, il suo lavoro era “di essere collegato con il governo […] Agivamo in modo che quello che facevamo fosse rilevantissimo per gli obbiettivi internazionali del Regno Unito”. Egli ha osservato anche che questi sforzi erano “una parte enorme della promozione del soft power britannico” sotto David Cameron. Quando i paesi erano riluttanti ad accettare interferenze esterne nei loro sistemi legali, Starmer a volte veniva portato fuori per incontrare i loro statisti e ragguagliato dalla locale Ambasciata Britannica su come convincerli. La sua brama di diventare un inviato de facto venne elogiata dai ministri del gabinetto conservatore, alcuni dei quali telefonavano all’ufficio di Starmer per congratularsi con lui sul suo straordinario lavoro all’estero. William Hague celebrò la collaborazione tra il Foreign Office e il CPS in un discorso del 2013, in cui liquidò le preoccupazioni sulla loro collaborazione con dittature da due soldi asserendo che, nel caso in cui un paese abbia commesso serie violazioni dei diritti umani, la Gran Bretagna deve “cooperare con costoro in un modo attentamente controllato e nel mentre sviluppare un approccio più esaustivo all’adesione ai diritti umani” (leggi: metterla in secondo piano). Le riforme di Starmer suscitarono ulteriore entusiasmo presso l’amministrazione di Barack Obama, che concordò di finanziare un certo numero di dispiegamenti del CPS tramite il Dipartimento di Stato – calcolando che, nei paesi dove l’intervento statunitense aveva avuto un cattivo esito, il DPP potesse essere utilizzato come un mandatario. Starmer debitamente diede luce verde ad un accordo con i funzionari americani che assicurava che il suo lavoro internazionale avrebbe integrato gli interessi della politica estera americana.
Questo lavoro congiunto del potere esecutivo e del potere giudiziario era malvisto da un certo numero di funzionari del CPS, che temevano avrebbe eroso l’indipendenza del secondo. A giudicare dalle decisioni domestiche di Starmer, le loro preoccupazioni non erano infondate. L’esempio più famigerato in cui le affinità politiche sembrano gravare sul giudizio del DPP è il caso Julian Assange. Nell’ambito della sua cooperazione con gli Stati Uniti, Starmer sviluppò un rapporto stretto e di reciproca stima con Eric Holder, il procuratore statunitense che nel 2010 aveva autorizzato diverse azioni mirate a perseguire il fondatore di Wikileaks. A quell’epoca, Assange era ricercato dalle autorità svedesi riguardo ad accuse di violenza sessuale, ma egli si rifiutò di andare in Svezia per paura di venire estradato negli Stati Uniti. I suoi legali perciò proposero una soluzione. Prima che Assange venisse costretto a trasferirsi nell’ambasciata equadoregna, essi incoraggiarono i pubblici ministeri svedesi a interrogarlo a Londra. Questo era il protocollo standard in tali casi: se per qualche ragione un sospetto non può tornare nel paese dove è ricercato, le autorità spesso viaggiano per incontrarlo, perché il non farlo rallenta inutilmente i procedimenti e nega la chiusura [del caso] alle vittime. Ma il CPS intervenne per bloccare questo corso dell’azione, suggerendo ai pubblici ministeri svedesi che il caso di Assange non avrebbe dovuto essere “trattato come un’altra estradizione”. Nei due anni successivi, il CPS fece continuamente pressione sulle sue controparti svedesi affinché l’indagine rimanesse aperta, con un legale che lavorava sotto Starmer che impartì la seguente (ora famigerata) ingiunzione: “Non osate avere dei ripensamenti!!!”.
Starmer presiedette alla distruzione di file sensibili del caso di Assange all’epoca in cui era DPP. Quelli che vennero diffusi, grazie alle ostinate richieste della giornalista d’inchiesta Stefania Maurizi in base al Freedom of Information [act], vennero pesantemente censurati, con dettagli cruciali cancellati. La richiesta di Maurizi di pubblicare la corrispondenza tra il CPS e l’ufficio di Holder venne respinta tout court con la motivazione che “sarebbe pregiudizievole alle relazioni internazionali”. Nel 2013, il CPS analogamente respinse la richiesta di Assange di vedere le informazioni personali che esso aveva raccolto su di lui, spiegando che il suo caso era ancora una “questione aperta”. Tuttavia, contraddittoriamente, quando gli venne chiesto di rendere conto della cancellazione massiccia di file relativi al caso, un portavoce del CPS dichiarò che [la questione] “non era aperta”, dopo tutto, essendosi “conclusa nel 2012”. È in parte in base a queste tergiversazioni e censure che il coinvolgimento personale di Starmer nell’affare Assange rimane opaco. Ancora non abbiamo traccia degli scambi rilevanti tra lui e i suoi subordinati. Ma sappiamo dalle dichiarazioni di Starmer che egli si aspettava di essere “regolarmente ragguagliato” su tutti i “casi di alto profilo” come questo, così possiamo dedurne la complicità nella gestione non ortodossa di esso; e sappiamo che Starmer si era impegnato ad aiutare gli interessi stranieri dell’amministrazione Obama, per la quale la cattura di Assange era di capitale importanza.
Sappiamo anche che Starmer lavorò direttamente con il Dipartimento della Giustizia (DoJ) americano per estradare altri sospetti. Quando venne nominato nel 2008, egli ereditò il caso di Gary McKinnon, un esperto informatico autistico che aveva violato i database militari americani sperando di trovare informazioni sugli UFO. Sebbene McKinnon non avesse mai pubblicato nessuna delle sue scoperte, la rottura dei dispositivi di sicurezza fu motivo di grande imbarazzo per lo stato americano, che emanò un’incriminazione che avrebbe visto l’hacker imprigionato con una pena fino a 70 anni. Starmer si impegnò a fare qualunque cosa in suo potere per consegnare McKinnon a Holder. L’imputato venne tormentato dai tribunali fino al 2012, diventando sempre più depresso e [potenzialmente] suicida poiché i successivi appelli vennero respinti. Ma quando sembrava che il suo destino fosse segnato, il ministro degli Interni Theresa May improvvisamente ritirò l’ordine di estradizione, concludendo che “dopo un’attenta considerazione di tutto il materiale rilevante […] l’estradizione del signor McKinnon comporterebbe un rischio così alto che egli ponga termine alla sua vita che la decisione di estradarlo sarebbe incompatibile con i diritti umani di McKinnon”. Si dice che Starmer abbia reagito con furia. Il giorno successivo egli prese un aereo per Washington e si incontrò con i vice di Holder per assicurare che questo episodio non avrebbe messo a repentaglio i loro rapporti futuri.
Starmer trattò gli alleati e gli impiegati dell’apparato di sicurezza angloamericano in modo un po’ differente rispetto agli avversari [del medesimo apparato]. Nel 2010 gli venne chiesto di decidere sul caso di Binyam Mohamed, un sospetto terrorista che era stato arrestato in Pakistan nel 2002 e che era stato torturato sotto la supervisione di quattro funzionari dell’FBI. Mohamed venne tenuto in una cella di metri 2×2.5, picchiato frequentemente con una cinghia di cuoio e appeso dal soffitto per un’intera settimana. Durante questo periodo, venne visitato da agenti dell’MI5, che osservarono personalmente il modo in cui veniva punito, e lo ammonirono che se egli non avesse risposto alle loro domande sarebbe stato inviato in un paese le cui leggi avrebbero permesso l’uso di tattiche di interrogatorio più estreme. Questo è esattamente quello che accadde tre mesi dopo. La CIA lo trasferì in una prigione segreta in Marocco, dove i suoi rapitori gli tagliarono ripetutamente il pene e il petto con lamette da barba, lo ustionarono con un liquido caldo e lo costrinsero a stare sveglio per periodi di 48 ore mentre facevano risuonare musica ripetitiva ad alto volume. Il MI5 continuò a sovrintendere all’operazione da lontano, fornendo agli interroganti di Mohamed domande specifiche sui suoi contatti nel Regno Unito e discutendo la durata della sua detenzione con loro. Dopo che egli venne rilasciato senza accuse, Mohamed produsse le prove del coinvolgimento britannico nelle sue torture, e ricadde su Starmer il decidere se il funzionario in capo dell’MI5 dovesse essere perseguito. Starmer dichiarò che non lo sarebbe stato. Egli in seguito prese la stessa decisione riguardo ad un funzionario dell’MI6 accusato di aver approvato la tortura dei detenuti nella base aerea di Bagram.
Un’altra destinataria della clemenza di Starmer è stata Tzipi Livni, l’ex ministro degli esteri israeliano che fece parte del gabinetto di guerra israeliano durante l’attacco del 2008 contro Gaza che uccise circa 1,400 palestinesi, 333 dei quali bambini. Quando ella arrivò in Gran Bretagna su invito di William Hague, alcuni degli ex colleghi di Starmer della Haldane Society of Socialist Lawyers gli consegnarono una istanza privata per il suo arresto in base ad accuse di crimini di guerra (sostenute da uno schiacciante rapporto delle Nazioni Unite sui crimini israeliani). Starmer avrebbe potuto approvare l’istanza immediatamente e trattenere Livni per interrogarla; ma, al contrario, egli ritardò l’arresto per il tempo sufficiente al Foreign Office di emettere un certificato che designava la sua visita come una “missione speciale” durante la quale ella avrebbe dovuto essere immune dal perseguimento. A quel punto, Starmer avrebbe parimenti potuto contrastare questo provvedimento legalmente dubbio portando avanti l’istanza. Ma egli fu indisponibile ad agire in tal modo, come un portavoce del CPS attestò: “Il DPP ha rifiutato di dare il suo consenso al privato accusatore di presentare un’istanza alla corte per un mandato di arresto. Nel considerare questa istanza, egli ha consultato il procuratore, ma la decisione è sua”.
Come questa casistica dimostra, l’approccio di Starmer alla “law and order” durante i suoi anni al CPS è stato sbilanciato – e dipendente a quanto pare dall’eventualità che l’accusato fosse interno all’ovile imperiale. Il quadro suddetto non è affatto esaustivo. Starmer sorprese anche i suoi ex colleghi sostenendo un “superdatabase” governativo che avrebbe raccolto tutte le comunicazioni telefoniche e via internet. Egli alterò le linee guida del CPS per facilitare il perseguimento di manifestanti pacifici e per punire presunti agitatori con condanne al carcere più dure. Ed egli ha notoriamente coperto lo scandalo “spycops”, proteggendo funzionari di polizia sotto copertura che avevano incriminato con prove false attivisti di sinistra.
Come si spiega un tale comportamento in un sostenitore dei diritti umani dichiaratamente progressista? Coloro che conoscono Starmer da decenni dicono che egli si è sempre considerato un “modernizzatore” – un’immagine che per lui è più importante dei suoi principi politici. Egli ha portato questo ethos blairiano nel CPS, che fino alla volta del millennio era stato un’istituzione largamente caotica e inefficiente. Ma la sua gestione è coincisa con l’era dell’austerità, compromettendo la sua capacità di costituire nuovi dipartimenti o di promuovere il patrocinio legale (come il suo predecessore aveva fatto). In queste circostanze, il governo era determinato ad assistere il CPS, finanziariamente e operativamente, su progetti che beneficiavano direttamente i suoi interessi per la sicurezza. Così, una delle poche strade suscettibili di sviluppo – dove Starmer poteva realizzare le sue ambizioni modernizzatrici – prevedeva la stretta collaborazione con i conservatori, i servizi segreti, e i loro alleati oltreoceano.
Keir Starmer viene qualche volta elogiato per essere un outsider nel mondo della politica (o deriso come troppo leguleio e insufficientemente politico). Ma in realtà, molto del suo lavoro come DPP ha reso indistinti i confini tra accusatore e politico – seguendo le direttive della coalizione Cameron, negoziando con funzionari stranieri a suo nome, e lasciando cadere o perseguendo casi a seconda dei suoi interessi. Così facendo, Starmer è stato integrato nell’establishment della sicurezza nazionale. Il tono nazionalista-militarista della sua dirigenza nel Labour può essere parzialmente determinato dalla sua convenienza politica – ma è anche un riflesso di questa storia più ampia. In quanto tale, è improbabile che ceda alle pressioni dal basso.
Oliver Eagleton è un redattore della New Left Review. Attualmente sta scrivendo un libro su Keir Starmer per Verso.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://novaramedia.com/2021/03/02/keir-starmer-is-a-long-time-servant-of-the-british-security-state/?fbclid=IwAR2dMKyxd4ytdjcF2Q3tVJL4JDwpwZu5Z20dBATRqiAsOH9c0jmYuj5x0IQ
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