Che cosa ne è oggi, nel cosiddetto “occidente democratico”, della libertà di parola e della libertà di espressione? E che cosa ne è dei revisionisti che, nonostante tutto, continuano a esprimere le loro ragioni?
La situazione non è allegra, come stiamo per vedere. Cominciamo questo post con due notizie che sembrano buone ma che forse non lo sono del tutto: Horst Mahler e Ursula Haverbeck sono stati liberati dalle rispettive prigioni e sono tornati a casa.
Sembrano due buone notizie ma rimane il fatto che in Germania già vi sono dei pubblici ministeri che lavorano affinché i due tornino a breve dietro le sbarre.
Horst Mahler stava in galera dal 2009 (undici anni di prigione per “negazionismo della Shoah”!) mentre la novantaduenne Haverbeck ha scontato oltre due anni di prigione: questo è dunque il livello di civiltà e di tolleranza della “democratica” Germania!
Horst Mahler
Ursula Haverbeck
Passiamo ad una mia piccola disavventura personale. Qualche giorno fa sono stato censurato da Facebook. Censurato e redarguito: un mio post di qualche settimana fa aveva “violato le regole della community”. Cosa avevo fatto di tanto riprovevole? Avevo scritto che il revisionista Alain Soral è una vittima della lobby ebraica francese. Proibito nominare la lobby ebraica. Se lo si fa, si incorre nel reato di “odio”. Odio: è proprio questa la parola utilizzata da Facebook per stigmatizzare il mio post. Sono incorso nell’orwelliano psicoreato.
Per la verità, non potevo non dire che Soral è una vittima: sono stato indotto a farlo dall’ultima sciagura in cui è incappato il revisionista francese. È stato infatti condannato a pagare la cifra mostruosa di 134.400 euro (centotrentaquattromilaquattrocento) alla famigerata LICRA (Lega Internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo)!
Alain Soral
Per quale motivo? Per aver osato ripubblicare il libro di Léon Bloy, Le Salut par le Juifs (“Dagli ebrei la salvezza”), un libro la cui prima edizione in Francia risale al 1892. Da allora, il libro di Bloy è stato ripubblicato innumerevoli volte, sia in patria che all’estero, senza che i suoi editori abbiano mai ricevuto noie legali a causa del suo contenuto (tra l’altro il libro qui in Italia è stato pubblicato da Adelphi). Ma per Soral le cose sono andate diversamente. A lui, un tribunale francese aveva ordinato nel 2013 di espurgare il libro in questione eliminando 15 passaggi ritenuti antisemiti. Soral si era rifiutato di ottemperare al diktat del tribunale e aveva ripubblicato nel 2018 il libro nella sua versione integrale. Tanto era bastato ai suoi persecutori della LICRA per adire nuovamente il tribunale, che ha inflitto a Soral l’astronomica multa. Una decisione manifestamente persecutoria anche alla luce del fatto che la versione integrale del libro di Bloy è tuttora disponibile su Wikisource.
Quindi Soral è davvero una vittima della lobby ebraica francese: la LICRA infatti, pur presentandosi come associazione “antirazzista” è di fatto un’organizzazione ebraica. Mario Stasi, suo presidente dal 2017, è il primo presidente non ebreo: i suoi precedenti presidenti, dal 1927 al 2017, erano tutti ebrei (Bernard Lecache, Jean Pierre-Bloch, Pierre Aidenbaum, Patrick Gauber e Alain Jakubowicz).
La LICRA non pubblica da tempo una panoramica fotografica della leadership dell’organizzazione, forse perché sarebbe fonte di imbarazzo. In effetti, nessuna persona di colore fa parte dell’organo dirigente dell’organizzazione “antirazzista”. Una donna musulmana ha commentato: “Ecco l’[ex] Ufficio Esecutivo della LICRA, che evidentemente sceglie i suoi membri in base al colore della pelle e al cognome di famiglia”.
Voici le bureau exécutif de la #LICRA qui a visiblement choisi ses membres en fonction de leur couleur de peau et patronyme https://t.co/ICtahNDRqL pic.twitter.com/c3QLGpm1XG
— Nacéra (@NasNacera) August 6, 2020
La persecuzione di Alain Soral si è intensificata di molto quest’anno. I suoi due popolari canali Youtube sono stati cancellati e gli sono state inflitte diverse altre multe, oltre ad una sentenza di un anno di prigione. In effetti, Soral è finito addirittura in carcere, lo scorso mese di luglio ma è stato rilasciato grazie ad un cavillo giuridico. Secondo il sito unz.com, sembra probabile che Soral finirà presto in prigione come Hervé Ryssen, un altro scrittore francese incarcerato per aver criticato gli ebrei.
Ryssen, già. Sta in galera dallo scorso 18 settembre. Deve scontare tre condanne al carcere senza condizionale per “affermazioni antisemite o negazioniste”, tre condanne pronunciate tra il 2017 e il 2020 per un totale di 17 mesi di prigione.
In particolare, Ryssen è stato condannato nel 2017 e nel 2018 dalla corte d’appello di Parigi per dei messaggi giudicati “antisemiti” pubblicati su Twitter e su Facebook. Più di recente, nel gennaio 2020, Ryssen è stato condannato dal tribunale correzionale di Parigi, oltre che per “antisemitismo”, per “contestazione dell’esistenza di crimine contro l’umanità”, contestazione espressa in un libro pubblicato nel 2018 e intitolato l’Antisémitisme sans complexe ni tabou, Plaidoyer pour la liberté d’expression (“L’antisemitismo senza complessi né tabù: parteggiare per la libertà di espressione”).
Hervé Ryssen
Ha visto giusto Bruno Gollnisch, quando ha scritto che Ryssen “è stato imprigionato per reato d’opinione. Vi sono dunque dei prigionieri di opinione in Francia oggi”.
M. Hervé Ryssen emprisonné pour délit d’opinion. Il y a donc des prisonniers d’opinion en France aujourd’hui. M. Dupont-Moretti ignore-t-il le vibrant plaidoyer de M. Macron en faveur du « droit au blasphème » ? Ou bien ce droit ne fonctionne-t-il que dans un sens ?…
— Bruno Gollnisch (@brunogollnisch) September 20, 2020
Ma Soral e Ryssen non sono gli unici intellettuali francesi a essere finiti nei guai con la giustizia per reati di opinione. È di qualche giorno fa la notizia dell’ennesima condanna penale inflitta a Jérôme Bourbon, direttore di Rivarol, lo storico settimanale di destra su cui negli anni ’60 scrisse articoli anche Paul Rassinier, il fondatore del revisionismo olocaustico.
Mercoledì 4 novembre, Bourbon è stato condannato a tre mesi di prigione (pena sospesa), oltre che ad ammende varie, per pubblicazioni giudicate antisemite nel 2018 e nel 2019. In un primo affare, Bourbon è stato condannato a 3 mesi di prigione per dei tweet pubblicati sul suo account personale (account poi bloccato da Twitter) tra il 15 e il 17 maggio 2018. I messaggi pubblicati da Bourbon facevano riferimento alla carneficina di 59 palestinesi uccisi dai cecchini israeliani alla frontiera tra Israele e la striscia di Gaza.
Un secondo procedimento giudiziario ha invece riguardato un tweet del 12 febbraio 2019 pubblicato da Bourbon sull’account di Rivarol (anche questo account è stato poi bloccato da Twitter) in cui l’autore affermava che “non si può non essere giudeofobi. Radicalmente, definitivamente, dalla vita alla morte”. Per questa affermazione, Bourbon è stato condannato a 1.500 euro di ammenda per “provocazione all’odio”, con possibilità di incarcerazione in caso di non pagamento della multa.
In un terzo caso, è stato multato di 1.000 euro d’ammenda per “ingiuria razziale”, dopo la diffusione di un video il 16 maggio 2018 intitolato Faut-il détruire l’État d’Israël (“Dovremmo distruggere lo Stato di Israele”), video postato sull’account Youtube di Rivarol.
Jérôme Bourbon
Il tribunale lo ha anche condannato a due multe da 500 euro, sempre per ingiuria razziale, questa volta a causa di un editoriale e di un tweet del luglio 2018 sull’ingresso di Simone Veil nel Pantheon, e di un tweet che citava uno spettacolo di Dieudonné.
Jérôme Bourbon è stato condannato una dozzina di volte per reati simili negli ultimi anni. Il 19 giugno, ha ricevuto tre condanne a tre mesi con sospensione della pena: in particolare, per “contestazione di crimine contro l’umanità” (la locuzione con cui in Francia vengono condannate le affermazioni revisioniste) e per “provocazione all’odio”. Non ha presentato appello.
A questo quadro sconfortante mi sento di aggiungere una considerazione personale: nella fonte da cui ho tratto le precedenti notizie, manca un dato essenziale: il punto di vista del condannato Bourbon. Per ovviare a questa lacuna, consiglio i miei lettori (perlomeno, a quelli che capiscono il francese) di consultare il canale Youtube di Rivarol e di guardare il seguente video:
Dopo aver parlato di Bourbon, parliamo di un altro bersaglio ricorrente della (mala) giustizia francese: Vincent Reynouard. Non sapevo che in Francia esiste il Bureau National de Vigilance Contre l’Antisémitisme (Ufficio Nazionale di Vigilanza contro l’Antisemitismo): BNVCA.
Si tratta dell’ennesima organizzazione di cui dispone la polizia del pensiero d’oltralpe. Il 26 ottobre scorso, il sito del BNVCA pubblicava la seguente notizia: il BNVCA sarà presente all’udienza del tribunale correzionale di Parigi del 4 novembre 2020 per sostenere la causa promossa dalla predetta organizzazione contro Vincent Reynouard.
Il 4 novembre 2019, il BNVCA aveva denunciato Reynouard per “contestazione di crimini contro l’umanità”, contestazione che figura nel suo nuovo libro intitolato Pourquoi Hitler était-il antisémite? (“Perché Hitler era antisemita?”). Il BNVCA cita poi alcune frasi del libro:
“Il écrit «le prétendu génocide des juifs est un mythe? Aucune extermination systématique n’a été ni ordonnée ni planifiée ni perpétrée…en particulier les prétendues chambres à gaz hitlériennes n’ont jamais existé»”.
Traduzione: “egli scrive: «Il preteso genocidio degli ebrei è un mito? Nessuno sterminio sistematico è stato né ordinato né pianificato né perpetrato…in particolare le presunte camere a gas hitleriane non sono mai esistite»”.
I persecutori di Reynouard annunciano anche che “il BNVCA, tramite il suo avvocato, Charles Baccouche, chiederà il sequestro e la distruzione di tutti i manoscritti in oggetto; che la loro vendita venga proibita, e che delle ordinanze vengano pubblicate che richiedano il ritiro di questi libri da tutti i depositi delle librerie”. Il BNVCA ha aggiunto che “richiederà una pena molto severa ed esemplare al fine di impedire a Vincent Reynouard di essere recidivo”.
Ignoro l’esito dell’udienza: ne sapremo di più nei prossimi giorni.
Vincent Reynouard
Occupiamoci ora del caso della revisionista inglese Michèle Renouf. Ella era sotto processo in Germania per un discorso da lei tenuto nel febbraio 2018 a Dresda, nel corso di una commemorazione dei bombardamenti terroristici angloamericani effettuati contro la città di Dresda nel febbraio del 1945. Troviamo un ragguaglio della sua vicenda sul sito della CAFE: Canadian Association for Free Expression (Associazione Canadese per la Libertà di Espressione):
“Il 16 ottobre 2020, una cittadina britannica nata in Australia viene processata a Dresda per “istigazione” – non per terrorismo o minacce, ma a causa di un discorso di 10 minuti tenuto a 300 persone in lutto in occasione della commemorazione del bombardamento terroristico di Dresda nel 1945 da parte degli Alleati. Le accuse sono state portate in base alla draconiana legge tedesca sul Volksverhetzung – paragrafo 130 del codice penale, contro Lady Michèle Renouf…Nel febbraio 2018 Lady Renouf aveva partecipato a una commemorazione pubblica nel centro di Dresda, in occasione dell’anniversario del bombardamento terroristico del 1945 da parte della Royal Air Force e dell’USAAF [l’aviazione americana]. In risposta ad un commento anti-britannico di qualcuno tra la folla, Lady Renouf era stata invitata a tenere un breve discorso spontaneo nel quale ella aveva riconosciuto la vergogna della Gran Bretagna per la sua deliberata politica omicidiaria nei confronti dei civili nel corso della guerra”.
Ebbene, mi giunge ora la notizia che Lady Michèle Renouf è stata prosciolta da tutte le accuse. Questa è davvero una buona notizia!
Ecco cosa scrive in proposito l’agenzia di notizie revisioniste Bocage-Info (traduzione rapida):
“È dunque possibile confermare la grande notizia proveniente da Dresda: lo stato tedesco ha abbandonato tutte le accuse contro Lady Michèle Renouf! […] Con un voltafaccia dell’ultimo minuto, i procuratori tedeschi e un giudice del tribunale di Dresda hanno messo fine alle azioni penali intraprese contro Lady Michèle Renouf, mettendo un termine ad un affare che appassionava l’opinione pubblica vista la posta in gioco. […] «Una tale conclusione è straordinaria, veramente sensazionale», ha dichiarato il suo avvocato Wolfram Nahrath, che sottolinea che un tale proscioglimento in un processo legato all’Olocausto è una novità in Germania. […] La legge §130 è stata utilizzata per imprigionare degli scienziati, degli storici e persino degli avvocati tedeschi in questi ultimi anni. Le infrazioni legate alla negazione pubblica dell’Olocausto comportano quasi inevitabilmente delle lunghe pene di prigione. Eppure, le circostanze nelle quali Lady Renouf ha pronunciato il suo discorso a Dresda nel 2018 hanno indotto il pubblico ministero ad abbandonare le accuse”.
Lady Michèle Renouf
Spostiamoci ora negli Stati Uniti, e precisamente in Florida, da dove ci giunge una notizia molto meno buona: William Latson, preside di un liceo di Boca Raton, lo Spanish Community River High School, è stato licenziato per aver fatto nel 2018 la seguente affermazione: “Non posso dire che l’Olocausto è un evento fattuale, storico”.
In seguito a questa affermazione Latson era stato rimosso dal liceo di Boca Raton. Nell’ottobre 2019, il consiglio di istituto votò 5-2 per licenziarlo, citando non solo l’affermazione ma anche il rifiuto di Latson di fornire spiegazioni in merito. Latson aveva fatto causa alla sua scuola, sostenendo di essere stato licenziato illegittimamente e, in agosto, il giudice aveva concluso che il preside dovesse essere rimproverato, e non licenziato. Il successivo 7 ottobre, il consiglio d’istituto aveva deciso di riassumere Latson, per evitare una lunga e costosa battaglia legale.
Il caso di William Latson aveva però assunto una dimensione nazionale suscitando le irate proteste degli “Holocaust survivors”: i “sopravvissuti dell’Olocausto”. E così il consiglio d’istituto ha rivisto ancora una volta la sua decisione, decidendo infine all’unanimità di licenziare Latson. Il Times of Israel, che riporta la notizia, riferisce che “la contea di Palm Beach è pesantemente ebraica”, e che il liceo diretto da Latson “ha molti studenti ebrei”. In una e-mail a un genitore che aveva chiesto informazioni sul curriculum scolastico riguardante l’Olocausto, Latson aveva scritto: “Non posso dire che l’Olocausto è un evento storico e fattuale perché non sono nella posizione di farlo come impiegato del distretto scolastico. Lei ha le sue opinioni, ma noi siamo una scuola pubblica e non tutti i nostri genitori hanno le stesse convinzioni”.
William Latson
Chiudo questa rassegna con una delle notizie più gravi degli ultimi tempi: il voltafaccia di Facebook e di Twitter nei confronti del revisionismo (e quindi nei confronti della libertà di espressione). Questi social-media hanno deciso infatti di rimuovere dalle proprie rispettive piattaforme i contenuti “negazionisti” della Shoah.
Scrive in proposito La Stampa che questa decisione costituisce “Una inversione a U rispetto a quanto pensava [Facebook] fino a due anni fa quando, sostenendo la scelta di mantenere la libertà di espressione della piattaforma, si era attirata una valanga di critiche”. All’epoca, a protestare contro la decisione di Zuckerberg di difendere la libertà di espressione c’era l’immancabile Anti-Defamation League. Adesso, a plaudire il voltafaccia, troviamo lo Yad Vashem, il Museo della Shoah di Gerusalemme, la stessa istituzione che aveva preteso nel 2017 che Amazon non mettesse più in vendita i libri revisionisti.
Questa è la “libertà di espressione” nel cosiddetto “mondo libero”.
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