Trump e Netanyahu condividono gli stessi valori

Uccidi per primo: La storia segreta degli omicidi mirati di Israele eBook: Bergman, Ronen, Crimi, Sara, Tasso, Laura: Amazon.it: Kindle Store

Qualche giorno fa ho comprato questo libro. Si tratta di “Uccidi per primo – La storia segreta degli omicidi mirati di Israele”. Non l’ho ancora letto. Mi sono però già formato un’impressione, dopo aver sfogliato le numerose illustrazioni del libro. Il libro, scritto da un giornalista israeliano, è già stato tradotto nelle lingue inglese, francese e italiana: è quindi un’operazione editoriale internazionale. Un’operazione che cerca di spacciare quest’opera come un libro coraggioso, scritto sfidando il clima di segretezza che avvolge le operazioni del Mossad. Mi sono accorto però che le illustrazioni del libro cercano di mettere in cattiva luce proprio le vittime dei servizi segreti israeliani, presentando i palestinesi e gli iraniani come “terroristi”. Il libro che doveva svelare i meccanismi del terrorismo ebraico si risolve quindi in una subdola apologia del terrorismo ebraico medesimo. D’altra parte, se fosse stato un libro simpatetico con le vittime non sarebbe stato pubblicato da una casa editrice mainstream come Mondadori. Gli israeliani uccidono, i loro giornalisti esaltano gli assassini e cercano pure di spacciarsi per giornalisti coraggiosi, che non guardano in faccia a nessuno. C’è un vocabolo ebraico per definire tutto questo: “chutzpah“.

Facciamo un esempio. In una delle illustrazioni del libro c’è un’immagine di Leila Khaled. La didascalia descrive l’immagine nel modo seguente:

“Leila Khaled, terrorista e dirottatrice palestinese, ritratta nel 2001 sul muro che divide Israele e i territori dell’autorità palestinese”.

Nella predetta didascalia troviamo due informazioni, una palese e una subdola. L’informazione palese è la definizione di Khaled quale “terrorista”. Quella subdola è la seguente: se i palestinesi hanno disegnato sul muro l’immagine di una terrorista vuol dire che sono terroristi pure loro.

Ma davvero Leila Khaled è stata una terrorista?

Wikipedia Italia definisce Leila Khaled come “politica”: “Leila Khaled…è una politica palestinese. È membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”.

Indi prosegue:

“La Khaled divenne nota per la sua partecipazione al dirottamento del volo TWA 840 del 29 agosto 1969, prima donna in assoluto coinvolta in un’azione simile. Si ripeté l’anno dopo, partecipando ad uno dei quattro dirottamenti simultanei terminati a Dawson’s Field il 6 settembre 1970, tentando di sequestrare l’aereo della compagnia di bandiera israeliana El Al, uno degli avvenimenti che fecero precipitare la Giordania nel drammatico periodo detto del Settembre Nero”.

Questi due dirottamenti sono le due uniche azioni attribuite alla “terrorista” Leila Khaled. Wikipedia precisa che in nessuna delle due azioni vi furono vittime tra i passeggeri. Nel primo episodio non vi furono né morti né feriti. Nel secondo episodio il compagno di Khaled venne ucciso da un agente israeliano mentre Khaled venne catturata: “Sebbene avesse con sé due granate a mano, la Khaled sostenne di aver ricevuto rigide istruzioni di non mettere in pericolo i passeggeri dell’aereo civile”.

Quindi, la pur sionista Wikipedia definisce Leila Khaled come “politica” e non usa il termine “terrorista”. L’autore del libro “Uccidi per primo”, Ronen Bergman, la definisce “terrorista e dirottatrice”. Ma in che senso costei sarebbe anche terrorista se le uniche due azioni che le sono state imputate furono appunto due dirottamenti?

Certo, per un certo periodo, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, l’organizzazione alla quale Leila Khaled appartiene, sostenne la necessità della lotta armata contro lo stato ebraico. Ma in questo non ci trovo nulla di scandaloso. Anche il defunto leader socialista Bettino Craxi, sicuramente non un estremista, disse in un celebre discorso parlamentare che la lotta armata dei palestinesi era moralmente legittima anche se politicamente non opportuna.

Il discorso di Craxi risale agli anni ’80 e appartiene ormai alla storia così come appartiene alla storia la resistenza armata dei palestinesi contro lo stato ebraico. Ma domandiamoci: cosa hanno guadagnato i palestinesi dalla rinuncia all’opzione della lotta armata? Risposta: non hanno guadagnato nulla. Ecco come Al-Jazeera descrive la situazione corrente dei palestinesi:

“Negli ultimi anni, Israele ha ulteriormente cementato la sua morsa sulla Palestina. L’elenco delle perdite palestinesi è deprimente: il forte movimento verso il riconoscimento internazionale di Gerusalemme come l’indivisa capitale di Israele, l’annessione ufficiale delle terre palestinesi, l’aumento del numero dei coloni e lo sviluppo delle colonie nelle terre palestinesi, l’orribile assedio di Gaza e la partecipazione del mondo all’assedio, la “decrescita” dell’economia palestinese, le disinibite uccisioni e mutilazioni dei palestinesi, le soffocanti restrizioni della mobilità, le violenze nelle prigioni e nei checkpoint basate sul gender, le continue demolizioni delle case palestinesi, la repressione contro l’attivismo e la libertà di parola a favore dei palestinesi nell’Europa occidentale e nell’America del Nord, e la crescente tendenza della normalizzazione diplomatica tra Israele e gli stati arabi”.

ARIJ: Palestinians lose $270m per year due to military checkpoints – Middle East Monitor

Eppure, nonostante tutto ciò, a essere bollati come “terroristi” nell’opinione pubblica occidentale continuano ad essere i palestinesi e non gli israeliani. Il terrorismo ebraico è un argomento tabù sui media mainstream.

Ricordiamo allora che lo stato ebraico è nato proprio grazie al terrorismo: al terrorismo contro i nativi palestinesi. Israele ha demolito circa 166.000 abitazioni palestinesi da quando lo stato ebraico venne fondato nel 1948 e oltre un milione di palestinesi sono diventati profughi a causa della pulizia etnica della Palestina intrapresa dallo stato ebraico:  la rivelazione giunge da uno studio del Land Research Centre of the Arab Studies Association.

E un altro studio, in questo caso un libro scritto da uno storico israeliano, Adam Raz, afferma chiaramente che i primi coloni ebrei in Palestina “rubarono le proprietà degli arabi”: il libro in questione spiega perché Ben-Gurion arrivò a dire che “la maggior parte degli ebrei sono ladri”.

Lo storico israeliano Adam Raz

Una recensione del libro di Raz è stata pubblicata sul quotidiano israeliano Haaretz con il titolo “Jewish soldiers and civilians looted Arab neighbors’ property en masse in ’48. The authorities turned a blind eye” (“I soldati e i civili ebrei rubarono in massa nel ’48 le proprietà dei vicini arabi. Le autorità chiusero un occhio”). Un altro noto editorialista di Haaretz, Gideon Levy, ha osservato che le parole “la maggior parte degli ebrei sono ladri” “non sono state espresse da un leader antisemita, da un odiatore degli ebrei o da un neo-nazista, ma dal fondatore dello Stato di Israele, due mesi dopo che venne fondato”. Levy ha poi aggiunto:

“Il saccheggio attuò uno scopo nazionale: completare rapidamente la pulizia etnica della maggior parte del paese dai suoi abitanti arabi e assicurare che 700.000 rifugiati non avrebbero mai neppure immaginato di ritornare nelle proprie case”.

Lo scrittore israeliano ha quindi precisato: “Anche prima che Israele riuscisse a distruggere la maggior parte delle case e a cancellare dalla faccia della terra più di 400 villaggi, questo saccheggio di massa avvenne per svuotarli, in modo che i rifugiati non avessero motivo di tornare”. Levy ha anche detto che i saccheggiatori “erano motivati non solo dalla brutta avidità di possedere proprietà rubate subito dopo la fine della guerra, proprietà appartenenti in alcuni casi a persone che erano i loro vicini solo il giorno prima, e non solo dal desiderio di arricchirsi rapidamente saccheggiando oggetti e arredi domestici, alcuni dei quali molto costosi …, ma hanno assolto, consciamente o inconsciamente, il progetto di purificazione etnica che Israele ha cercato invano di negare nel corso degli anni “.

Ecco come è nato Israele: con la “purificazione etnica” attuata contro i nativi palestinesi. In una parola: con il terrorismo. Questo è il “peccato originale” dello stato ebraico.

E le nuove ingiustizie si sommano a quelle vecchie: il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che annetterà ulteriori aree della Cisgiordania occupata, nel quadro dell’”Accordo del Secolo” siglato con il Presidente americano Donald Trump, e questo nonostante le critiche ricevute dalla comunità internazionale.

L’occupazione delle terre palestinesi da parte dello stato ebraico assomiglia sempre più al vecchio apartheid sudafricano: lo dice un osservatore autorevole come John Dugard, che è stato per sette anni Relatore Speciale sui Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati. Dugard ricorda che un aspetto cruciale dell’apartheid sudafricano era costituito dalla frammentazione territoriale: ai neri sudafricani erano stati assegnati quattro stati Bantustan presuntivamente indipendenti e sei territori non indipendenti ma auto-governati. Similmente, il territorio palestinese è diviso in tre parti: Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. La Cisgiordania è ulteriormente divisa in tre zone, sottoposte alle forze di occupazione israeliane. Non basta: posti di blocco militari, insediamenti israeliani illegali e un muro illegale costruito da Israele in Cisgiordania hanno infine frammentato il territorio palestinese in cantoni separati attorno alle principali città.

Dugard rimarca poi come migliaia di palestinesi siano stati cacciati dalle loro terre per permettere la costruzione di oltre 130 insediamenti israeliani, che ospitano 700.000 coloni, oltre alla costruzione di un muro che ha sequestrato di fatto un decimo della Cisgiordania in favore di Israele: “Proprio come in Sudafrica, questo soppiantamento è stato accompagnato dalla distruzione di case. Ma Israele ha fatto un passo ulteriore, imponendo la distruzione della casa di famiglia contro qualunque palestinese che osi prendere le armi contro l’occupante”.

Il prof. John Dugard

Domandiamoci ancora una volta: cosa hanno ottenuto i palestinesi dalla loro rinuncia alla lotta armata? Nulla! I politici occidentali non solo non difendono i loro diritti ma li rimproverano addirittura di non aver colto le occasioni per addivenire ad un accordo con gli israeliani (quando invece sono gli israeliani che non hanno mai voluto una pace rispettosa dei diritti della controparte).

Quanto siano mistificatori i rimproveri rivolti ai palestinesi dai sostenitori di Israele sui media mainstream occidentali lo si può verificare dalla vulgata – propugnata dai sionisti di sinistra in Israele e dai sionisti liberal negli Stati Uniti – secondo cui gli accordi di Oslo del 1993, e la persona di Yitzhak Rabin in particolare, furono un fattore di pace. Secondo costoro, Rabin, se non fosse stato ucciso, avrebbe potuto contribuire a realizzare la soluzione dei “due Stati”. In realtà, le parole “Stato palestinese” non compaiono negli accordi che Rabin firmò a suo tempo:

“un mese prima del suo assassinio, Rabin disse alla Knesset che la sua visione era quella di dare ai palestinesi “un’entità che è meno di uno stato” – un precedente allo “stato meno” sostenuto oggi da Netanyahu e delineato nell’”Accordo del Secolo di Trump”. Rabin insistette pure sul fatto che la Valle del Giordano sarebbe rimasta il “confine di sicurezza” di Israele – proprio il piano che ha suscitato proteste internazionali quest’anno, quando Netanyahu si è impegnato ad annettere formalmente l’area”.

Lo scopo di Rabin non fu di porre termine all’occupazione ma di ristrutturarla minimizzandone i costi per Israele. L’onere di controllare la popolazione occupata venne trasferito all’Autorità Palestinese, che aveva e che ha tuttora il compito di reprimere la resistenza non violenta e di prendere di mira per conto di Israele i pochi militanti ancora armati. Chiosa a questo proposito il blogger Amjad Iraqi:

“Il Protocollo di Parigi, che di fatto ha tenuto l’economia palestinese e le sue risorse in ostaggio della discrezione israeliana, ha ulteriormente cementato lo sfruttamento economico dei palestinesi. Questi sistemi sono ancora in vigore oggi, due decenni dopo la data di scadenza di Oslo”.

Quindi c’è una continuità ben precisa tra il presunto “uomo di pace” Rabin e l’attuale Premier israeliano Netanyahu.

Yitzhak Rabin

Queste cose non le troverete mai raccontate sui media mainstream. E parlarne su internet diventa sempre più difficile. Se lo stato ebraico cementa sempre più il suo potere sui palestinesi, la Israel lobby cementa sempre più la sua presa sugli Stati Uniti e, da qui, sul mondo intero.

A questo proposito porgo ai lettori due notizie degli ultimi giorni. La prima è che nella Camera dei rappresentanti americana è stato introdotto un disegno di legge bipartisan che, se approvato, accrescerebbe il potere di condizionamento dello Stato di Israele sulle vendite di armi degli Stati Uniti in Medio Oriente. Il disegno di legge imporrebbe al Presidente degli Stati Uniti di consultarsi con il governo israeliano per garantire che le preoccupazioni di mantenere il vantaggio militare qualitativo di cui gode lo stato ebraico vengano risolte. La Jewish Telegraphic Agency riferisce che l’”AIPAC, l’eminente Israel lobby, sostiene la nuova misura”.

La seconda notizia è che Facebook, dopo aver a lungo difeso la libertà di parola e di espressione dei propri utenti, ha infine capitolato: ha infatti deciso di proibire sulla propria piattaforma “ogni forma di negazionismo dell’Olocausto”.

Facebook ha dichiarato infatti lunedì che rimuoverà tutti i contenuti – anche su Instagram – che “negano o distorcono l’Olocausto”. Lo Yad Vashem e il World Jewish Congress hanno espresso la loro soddisfazione. Tutto ciò, alla faccia del primo emendamento della Costituzione americana. Quindi, in tutto il mondo, la versione sionista della deportazione ebraica durante la seconda guerra mondiale, quella versione sionista che è tuttora l’arma propagandistica più potente di cui dispongono lo stato ebraico e la Israel lobby, non potrà più essere sottoposta al vaglio critico degli utenti del più grande social network del mondo.

Nothing new under the sun – More lies spread by the #Israel lobby Inc. | Latuff Cartoons

Ma c’è una terza notizia di cui mi sembra opportuno ragguagliare i lettori di questo blog: si tratta delle nuove sanzioni dell’Amministrazione Trump contro l’Iran. “L’Amministrazione Trump impone schiaccianti sanzioni contro l’Iran a dispetto delle preoccupazioni umanitarie europee”, titolava lo scorso 8 ottobre il Washington Post. Trump ha imposto giovedì nuove sanzioni che andranno a colpire il settore finanziario iraniano, e questo nonostante che gli alleati europei avessero avvertito che la mossa potrebbe avere conseguenze umanitarie devastanti su un paese sconvolto dal coronavirus e da una crisi valutaria. Secondo i governi europei la mossa di Trump “diminuirà probabilmente i canali utilizzati dall’Iran per importare beni umanitari, come cibo e medicine”.

Trump e i suoi collaboratori sono personaggi di una ferocia ripugnante. Non ho mai avuto simpatia per il suo predecessore Obama ma non posso fare a meno di notare che Obama con l’Iran aveva raggiunto e sottoscritto un accordo. Non solo Trump ha calpestato quell’accordo ma ora infierisce sugli incolpevoli iraniani allo stesso modo in cui le autorità israeliane infieriscono sui palestinesi.

È chiaro che Trump e Netanyahu condividono gli stessi valori: la brutalità e la sopraffazione elevate a sistema.

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