Lungi dall’essere “l’unica democrazia del Medio Oriente”, Israele ha un record impressionante di violazione dei diritti umani. E questo non da oggi ma dal 1948, anno della sua fondazione. Oggi però limitiamoci all’attualità, alle nefandezze perpetrate dallo stato ebraico in questo 2020.
Dall’inizio di quest’anno le autorità di occupazione israeliane hanno demolito più di 500 edifici palestinesi nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza: questo è quanto ha riferito lunedì scorso l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari. 506 edifici sono stati rasi al suolo dalle forze di occupazione israeliane in Cisgiordania con il pretesto che essi non avevano i permessi di costruzione. Solo nella Gerusalemme est occupata, in questo 2020, sono stati demolite 134 strutture abitative.
Nelle ultime due settimane gli israeliani hanno distrutto 22 edifici, rendendo profughi 50 palestinesi. Per quanto riguarda le ultime 12 demolizioni avvenute a Gerusalemme, otto sono state effettuate dagli stessi proprietari per evitare le multe e le sanzioni imposte dalle autorità di occupazione. Israele giustifica la demolizione delle case palestinesi sostenendo che sono prive dei permessi di costruzione, ma è un fatto che lo stato ebraico molto raramente rilascia i permessi ai palestinesi (mentre rilascia migliaia di permessi ai coloni che occupano illegalmente le terre palestinesi).
In tutto il 2020, Israele ha reso senza tetto circa 700 palestinesi – la maggior parte di essi durante la pandemia da coronavirus. Metà di loro sono bambini.
Ma le demolizioni non sono state limitate alle case dei palestinesi: esse hanno riguardato anche strutture igieniche e agricole. E poi c’è la confisca dell’acqua.
Già a suo tempo Amnesty International aveva accusato lo stato ebraico di negare ai palestinesi il diritto di un adeguato accesso all’acqua, mantenendo il controllo totale delle risorse idriche:
“Mentre il consumo giornaliero di acqua dei palestinesi raggiunge a malapena i 70 litri a persona, quello degli israeliani è superiore a 300 litri, quattro volte di più. In alcune aree rurali i palestinesi sopravvivono con solamente 20 litri al giorno, la quantità minima raccomandata per uso domestico in situazioni di emergenza. Da 180.000 a 200.000 palestinesi che vivono in comunità rurali non hanno accesso all’acqua corrente e l’esercito israeliano spesso impedisce loro anche di raccogliere quella piovana. Al contrario, i coloni israeliani, che vivono in Cisgiordania in violazione del diritto internazionale, hanno fattorie con irrigazioni intensive, giardini ben curati e piscine: 450.000 coloni israeliani utilizzano la stessa, se non una maggiore quantità d’acqua, rispetto a due milioni e trecentomila palestinesi”.
La persecuzione intrapresa dallo stato ebraico ha preso di mira soprattutto i palestinesi dell’Area C, quella zona cioè che corrisponde al 60% della Cisgiordania che rimane sotto il pieno controllo militare israeliano e che include i più grandi insediamenti (illegali) dei coloni. Israele nega praticamente sempre ai palestinesi il permesso di costruire nell’Area C e nella Gerusalemme est occupata, costringendoli a costruire senza permessi e a vivere quindi nella paura costante delle demolizioni.
Tutte queste prevaricazioni hanno lo scopo di cambiare la demografia dell’area per fare in modo che ad essere maggioritari siano i coloni ebrei. Si tratta in sostanza di pulizia etnica.
Ma Israele non è razzista solo con i palestinesi dei territori occupati: è razzista anche con i cittadini israeliani di etnia araba.
Israele è uno stato razzista fondato sull’apartheid: l’ennesima conferma è arrivata il mese scorso, quando il parlamento israeliano, la Knesset, ha respinto una proposta di legge presentata dal deputato arabo israeliano Yousef Jabareen a nome del partito della Lista Comune. La proposta di legge in questione aveva l’obbiettivo di assicurare piena eguaglianza a tutti i cittadini israeliani, a prescindere dalla loro etnia o dalla loro affiliazione religiosa. Il testo del disegno di legge sottolineava che i principi democratici dovrebbero essere applicati a tutti i cittadini dello stato: “Israele è uno stato democratico che garantisce eguali diritti, basati sui principi della dignità umana, della libertà e dell’eguaglianza, nello spirito della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite”, e nel contempo stabiliva che “lo stato assicura eguale e legale protezione per tutti i cittadini, e garantisce pienamente la specificità nazionale, culturale, linguistica e religiosa sia agli arabi che agli ebrei”.
Jabareen ha detto ai deputati di destra che hanno attaccato la sua proposta: “La pace con i cittadini arabi viene realizzata quando lo stato assicura il loro status di eguaglianza nella loro patria”. Ma i parlamentari dell’”unica democrazia del Medio Oriente” hanno respinto il disegno di legge, cementando ulteriormente la natura di apartheid dello stato sionista.
Yousef Jabareen
Ma il razzismo contro gli arabi e i palestinesi non alberga solo presso i deputati della Knesset: è diffuso anche presso considerevoli settori della popolazione israeliana. Per capire in che misura dobbiamo esaminare il caso del colono israeliano Amiram Ben–Uliel. Costui è l’autore del rogo di Duma (Nablus) in cui morirono i coniugi palestinesi Saad e Rihama Dawabshe, insieme al loro figlio di 18 mesi Ali. Il colono aveva lanciato una molotov nella stanza delle vittime mentre queste dormivano:
“Prima di procedere con il suo atto terroristico, aveva scritto con lo spray sui muri della casa parole come “Vendetta” e “Lunga vita al Messia”, seguendo la classica tipologia degli attacchi di rappresaglia dei coloni contro proprietà palestinesi (noti in inglese come “price tag”)”.
Unico sopravvissuto, il piccolo Ahmad Dawabshe (9 anni), che a causa dell’attacco ha però perso un orecchio e ha riportato gravi ustioni. Tutto ciò avveniva cinque anni fa, il 31 luglio 2015.
Il colono responsabile della strage è stato condannato qualche settimana fa, da un tribunale israeliano, a tre ergastoli. Subito dopo la sentenza, la moglie del colono ha lanciato su internet una raccolta fondi per pagare le spese legali del processo di appello. Ebbene, la raccolta fondi ha avuto un successo straordinario: in soli cinque giorni sono stati raccolti 1.38 milioni di sicli israeliani, corrispondenti a circa 341.000 euro. Questa campagna ha ricevuto fondi da oltre 4.900 contributori ed è stata sostenuta da un certo numero di eminenti personalità israeliane, compresi più di due dozzine di rabbini e uno dei figli del premier Netanyahu, Yair.
I rabbini hanno anche rilasciato una dichiarazione congiunta, che fra l’altro, recita:
“In preparazione dell’appello alla Corte Suprema, è stata costituita una squadra di difensori di prima categoria, con un costo particolarmente alto. Chiediamo all’opinione pubblica di contribuire generosamente…per questa campagna [di raccolta fondi] salva-vita”.
La predetta dichiarazione è stata firmata anche dal rabbino Haim Drukman, il più influente leader religioso di Israele.
A sostegno del colono condannato è sceso in campo anche Honenu, un gruppo di estrema destra la cui attività consiste appunto nel fornire supporto legale a quegli estremisti ebrei resisi responsabili di episodi di violenza a danno dei palestinesi.
Commenta a questo proposito il sito middleeastmonitor.com:
“La dichiarazione dei rabbini e un sostegno tanto eloquente da parte dell’opinione pubblica israeliana verso Ben-Uliel esemplifica la tendenza crescente di un sentimento anti-palestinese nella società israeliana che considera sempre più come degli eroi gli israeliani che attaccano e uccidono i palestinesi”.
C’è un esempio emblematico di tutto questo: si tratta di un video postato su Youtube che mostra una folla di israeliani danzanti che festeggiano la morte di Ali Dawabshe, il piccolo ucciso dall’attacco del luglio 2015.
Per quanto riguarda gli attacchi denominati “price tag” (letteralmente, “cartellino del prezzo”), sono un fenomeno in crescita, in quanto i coloni ebrei che li compiono si sentono incoraggiati a ripeterli dal clima di impunità che li circonda. Nei primi cinque mesi del 2020, l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha documentato 143 attacchi “price tag” che hanno provocato il ferimento di 63 palestinesi (inclusi 13 bambini) e il danneggiamento di oltre 3.700 alberi, di numerosi campi coltivati e di più di 100 veicoli.
Dobbiamo anche dire però che questo clima di impunità in cui prospera il razzismo israeliano è reso possibile dall’accondiscendenza della cosiddetta comunità internazionale. Per lo stato ebraico non sono previste sanzioni, qualunque barbarie venga commessa. I politici israeliani sanno che alla nazione che rappresentano tutto è permesso e quindi fanno la voce grossa, non solo in patria ma anche all’estero.
È di pochi giorni fa la dichiarazione minacciosa di Gilad Erdan, l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, nei confronti della stessa Onu. Costui si è permesso di dire che entro 75 anni le Nazioni Unite cesseranno di esistere se esse continuano a criticare Israele:
“Se l’organizzazione [le Nazioni Unite] non può prendere provvedimenti contro i peggiori regimi e continua ad aggrapparsi all’ossessione per i palestinesi, entro 75 anni non vi saranno più Nazioni Unite a segnare il proprio anniversario, perché semplicemente perderanno il proprio diritto di esistere”.
L’articolo di Erdan è apparso sul giornale Israel Hayom, un quotidiano di proprietà del mega-donatore repubblicano Sheldon Adelson.
Erdan si è permesso persino di rimproverare alle Nazioni Unite il loro sostegno ai rifugiati palestinesi:
“Quando esse finanziano agenzie come l’UNRWA che perpetuano solo la cultura delle menzogne ed evitano di affrontare le questioni critiche per la pace nel mondo, le Nazioni Unite rischiano di perdere gli ultimi resti della legittimità e della rilevanza”.
Gilad Erdan
Ricordiamo che la UNRWA, l’agenzia presa di mira da Erdan, fornisce aiuti vitali e assistenza umanitaria a più di cinque milioni di rifugiati palestinesi. Ricordiamo anche che proprio all’UNRWA, giusto due anni fa, Donald Trump ha tagliato i finanziamenti statunitensi fino a quel momento destinati all’agenzia: uno spudorato ricatto nei confronti dei palestinesi per indurli ad accettare le condizioni-capestro del “nuovo Medio Oriente” che il presidente americano ha disegnato in questi anni.
Quindi nemmeno le Nazioni Unite possono permettersi di criticare Israele. A questo siamo arrivati.
Criticare Israele è diventato pericoloso, a maggior ragione se a farlo sono private associazioni o i singoli cittadini. Adesso, per zittire qualunque discorso critico sullo stato ebraico e sulle sue violenze, viene utilizzata anche la definizione di antisemitismo adottata nel 2016 dall’IHRA, l’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto.
L’associazione Independent Jewish Voices Canada ha documentato più di due dozzine di casi in cui la definizione dell’IHRA è stata utilizzata per sopprimere il sostegno ai diritti dei palestinesi. Tutto ciò è avvenuto negli Stati Uniti, in Inghilterra e anche in Germania. A dar manforte a queste politiche liberticide ci si è messo nel 2019 il solito Trump, con un suo ordine esecutivo che equipara le critiche a Israele all’antisemitismo. Poco tempo dopo, il Dipartimento dell’istruzione americano metteva sotto inchiesta la University of California di Los Angeles (UCLA) per aver ospitato, l’anno precedente, la conferenza nazionale degli Students for Justice in Palestine.
Le politiche antipalestinesi di Israele avranno quindi sempre il sostegno degli Stati Uniti, qualunque sia il loro presidente (e tanto più se a vincere le prossime presidenziali sarà un super-falco sionista come Joe Biden). Le richieste dello stato ebraico vengono generalmente esaudite dagli Stati Uniti: le ultime in ordine di tempo riguardano la fornitura – che secondo il sito antiwar.com sarà gratuita – di 12 Boeing V-22s, di uno squadrone di F-35, e di due Boeing KC-46As. Il tutto per un valore di 8 miliardi di dollari. Questo, per mantenere il vantaggio qualitativo dello stato ebraico rispetto agli altri stati del Medio Oriente (alla luce della ventilata vendita degli aerei da guerra F-35 da parte degli americani agli Emirati Arabi Uniti).
Questo è il mondo che Stati Uniti e Israele stanno costruendo: altro che Fratelli tutti!
E QUI DANNO ANCHE CONTRO A MONI OVADIA QUANDO DA SINISTRA SI INFERVORA SUL COMPORTAMENTO CRIMINALE DELLA SUA ETNIA. BASTEREBBE LEGGERE LA BIBBIA, SAPERLA COGLIERE PER QUELLO CHE E’, CAPIRE CHE HANNO VISSUTO SU 3.000 E PIU’ ANNI DI MENZOGNE, ANCHE INERENTI L’ESODO, PER RENDERSI CONTO DEI LIVELLI A CUI E’ ARRIVATO IL POPOLO D’ISRAELE DALL’INIZIO DELLA STORIA UMANA. E SI SONO PERMESSI ANCHE DI DIRE CHE LORO LA TERRA PALESTINESE L’AVEVANO PAGATA. ALMENO COSI’ HO LETTO IN QUALCHE BLOG, ANZI AMEREI CHE QUALCUNO POTESSE CHIARIRMI QUESTA STORIA……….