12 DICEMBRE 1969
Di Vincenzo Vinciguerra
Opera, 2001 (scritto assieme a Michela Maffezzoni Cipriani)
La cronologia che presentiamo per ricordare la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 inizia dalla data del 27 febbraio 1969, giorno in cui s’incontrano al Quirinale il presidente americano Richard Nixon e quello italiano, il socialdemocratico Giuseppe Saragat. Come annota l’ambasciatore Ortona, i due parlano “a quattr’occhi” su argomenti che nessuno deve sentire. Se ne vedranno gli effetti, però, nel corso dei mesi successivi. La data del 27 febbraio 1969 rappresenta l’inizio dell’operazione che culminerà nella strage di piazza Fontana, la sua fase operativa, quella sulla quale sono stati scritti fiumi d’inchiostro, si sono accaniti alla ricerca dei responsabili materiali – e solo di quelli – decine di magistrati, si sono esercitati giornalisti e pseudo-storici esperti più che altro in disinformazione. Pochi (fra questi pochi vi è certamente Luigi Cipriani, di cui si leggano gli interventi sub Scritti di controinformazione) hanno tentato però di comprendere le motivazioni autentiche di un’operazione che, attraverso l’arma della strage, doveva consentire ai detentori del potere di proclamare lo stato di emergenza, premessa necessaria per la creazione di un regime autoritario di centro destra.
È vero che da anni era in corso il confronto Est-Ovest, Russia e Stati uniti, comunismo e mondo cosiddetto ‘libero’ ma esso si distingueva, in Europa, per essere circoscritto ad un conflitto di carattere economico, politico, propagandistico mentre lo scontro militare era lontano, in Asia e nulla faceva pensare che potesse verificarsi perfino nella paciosa Italia. Eppure, inavvertitamente la minaccia di una guerra si era fatta concreta, ma non palese, alla fine degli anni Sessanta. Non si paventava un’invasione sovietica nell’Europa centro-meridionale, nemmeno si ipotizzava un tentativo insurrezionale comunista appoggiato dalle armate sovietiche e titine. La propaganda teneva desto il “pericolo comunista” ma i vertici politici e militari erano perfettamente consapevoli che il maggior pericolo non era interno e che non proveniva dalle mire sovietiche sulla Germania o da quelle jugoslave su Trieste e Gorizia. Gli Stati maggiori della Difesa, italiani, atlantici ed americani temevano – con inespresso timore – la penetrazione sovietica nel Mediterraneo, quella politica mediante gli aiuti economici e militari agli Stati arabi e quella propriamente militare con la massiccia presenza della flotta russa nei porti del Mediterraneo. Questa era la minaccia da sventare e neutralizzare ad ogni costo. La Nato aveva predisposto il suo schieramento sul fronte centrale, ma aveva trascurato quello meridionale e marittimo. La VI flotta poteva costituire un deterrente solo fino a quando le unità militari sovietiche, prive di portaerei, potevano attraversare lo stretto dei Dardanelli solo per qualche crociera dimostrativa. Ma la flotta sovietica poteva contare ora su portaelicotteri, e quel che è peggio su basi navali nel Mediterraneo, fornite dai paesi arabi.
Gli Stati uniti avevano condotto una politica di decolonizzazione che, giustamente secondo i loro calcoli, era destinata ad indebolire i paesi europei ma, in Medio oriente, si erano sempre più sbilanciati in difesa dello Stato di Israele inimicandosi i paesi arabi, consapevoli che solo la protezione americana consentiva ai sionisti di mettere a ferro e fuoco la Palestina frustrando la loro reazione militare. La guerra dei sei giorni, iniziata il 5 giugno 1967, aveva fornito la prova evidente, l’ultima in ordine di tempo, che gli Stati uniti in Medio oriente contavano su un solo alleato ed amico, Israele. E che non lo sostenevano per garantire la sopravvivenza ma al fine di rafforzarlo e potenziarlo, a spese dei paesi confinanti, per farne una gigantesca base militare a difesa dei propri interessi nel controllo delle risorse energetiche dell’intera regione. C’è una data che segna una svolta cruciale nello scontro in atto fra Est e Ovest in Europa, in modo particolare in Italia, introducendovi la necessità di un inasprimento e di un incrudelimento che apparirà evidente solo nel 1969. Una data che gli storici e i magistrati non hanno registrato nei loro atti e non hanno mai collegato agli eventi tragici del 1969 e a quelli successivi degli anni ’70.
Il 10 giugno 1967, l’Unione sovietica e gli Stati che fanno parte del Patto di Varsavia, meno la Romania, rompono le relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele. Un passo grave sul piano diplomatico che costituisce il preludio ad un impegno militare diretto, da parte sovietica, nel sostegno all’Egitto. Le reazioni sono immediate in Italia, il paese che più degli altri sarà coinvolto nello scontro fra Stati uniti ed Israele, da un lato, Egitto e Unione sovietica, dall’altro.
Già il 27 giugno 1967, “il responsabile del Kgb presso l’Ambasciata sovietica Gurgen Semenovic Agajan invia un telegramma a Mosca nel quale comunica la richiesta di Luigi Longo, segretario nazionale del Pci, di poter inviare tre uomini in Urss per addestrarli nelle tecniche di cospirazione, costruzione di documenti falsi, trasmissioni radio”. È un segnale preciso delle paure dei vertici del Pci, perfettamente consapevoli delle ripercussioni che la rottura dei rapporti diplomatici fra l’Unione sovietica ed Israele provocherà in Italia. Il Partito comunista si prepara a tempi duri.
Il secondo, e ancor oggi negletto segnale della gravità eccezionale del momento si evidenzia il 1 novembre 1967, quando a capo di Stato maggiore dell’Arma dei carabinieri viene nominato il colonnello Arnaldo Ferrara. Non è un personaggio da poco: fratello di un deputato repubblicano, di razza e religione israelita, Ferrara resterà fermo nel suo incarico per ben dieci anni, fino al 31 luglio 1977. Per dieci lunghi anni, sarà quest’uomo a dirigere l’Arma dei carabinieri ascendendo lentamente tutti i gradi della carriera militare senza mai muoversi dalla sua poltrona, fino al grado di generale di corpo d’armata. Nessuno ha mai protestato o posto domande, allora come dopo. Eppure, la permanenza nell’incarico di capo di Stato maggiore dell’Arma dei carabinieri è perentoriamente fissata in due anni; non oltre. Perché l’israelita Arnaldo Ferrara, ufficialmente senza titoli particolari, senza meriti di rilievo, senza una ragione apparente vi è rimasto invece per dieci lunghi anni, i peggiori della storia del dopoguerra italiano?
La risposta la troviamo nella situazione determinatasi nel Mediterraneo dopo la guerra dei sei giorni, nella necessità di sventare la minaccia politica rappresentata dal Pci, “quinta colonna sovietica” in Italia, nel coordinamento svolto dalla centrale Cia di Roma, responsabile per tutto il bacino del Mediterraneo della guerra clandestina in Europa, in particolare in Italia. E a capo della sezione Cia a Roma, troviamo un nome nefasto, quale responsabile delle operazioni speciali e del controspionaggio, per l’Italia e per gli italiani: James Jesus Angleton. Angleton ha due caratteristiche: è legato ai servizi segreti ebraici dal 1944, ed è il nume tutelare della cosiddetta destra neofascista in Italia, vale a dire il suo protettore nel senso deteriore del termine dal 1945, da quando si portò su una jeep, vestito in divisa americana, in compagnia del commissario di Ps Umberto Federico D’Amato, il principe Junio Valerio Borghese, comandante della divisione di fanteria di marina ‘Decima’ della Repubblica sociale italiana, che non volle morire per l’Italia ma scelse di vivere per l’America. I due poli della destra italiana: i carabinieri guidati dall’israelita Arnaldo Ferrara, gli americani rappresentati da James Jesus Angleton, ‘l’amico del neofascismo’. Perché non c’è ‘neofascista’ o presunto tale che non sia stato coinvolto, consapevolmente o meno, nella strategia del terrore in Italia, bisognerebbe chiederlo al generale Arnaldo Ferrara (Angleton è morto), vivo e muto come un pesce, dimenticato da tutti, primi quelli che hanno la pretesa di aver cercato la verità sulla strage di piazza Fontana e le successive.
Il 21 aprile 1967, due mesi e mezzo prima dell’inizio della guerra dei sei giorni, le forze armate greche assumono il potere in esecuzione di un piano della Nato. Il 15 agosto 1967, Thomas Karamessines invia a James Jesus Angleton “il primo documento autorizzativo della ‘operazione Chaos’ “, predisposto in primavera e le cui reali finalità rimangono segrete ancora oggi.
È la macchina della distruzione che si mette in moto, lentamente ma inesorabilmente. Non è agli americani ed agli israeliani che mancano strumenti già pronti per l’attuazione dei piani per sventare il pericolo che il Partito comunista italiano, strumento passivo della politica estera sovietica, possa condizionare in senso neutralistico la politica dei governi italiani, non abbastanza filoisraeliani anche se incapaci di assumere una decisa posizione filoaraba. Nel settembre del 1966 a Lisbona (Portogallo), è stata costituita l’Aginter Press diretta da Yves Guerin Serac; i rapporti di certa destra che si ammanta di neofascismo o, addirittura, di neonazismo con la destra israeliana risalgono addirittura al 1954. Sul piano internazionale e su quello interno, in Italia, gli strumenti non mancano, le marionette nemmeno, i piani si faranno adeguandoli alle esigenze della strategia che ha una precisa finalità: bloccare l’espansione sovietica nel Mediterraneo, neutralizzare la minaccia militare, fare dell’Italia la punta di diamante dello schieramento militare pro-israeliano e anti-arabo. Una necessità, quest’ultima, in una regione in cui agli americani è rimasta solo la Grecia come punto di riferimento affidabile. Il 25 maggio 1969 il senatore americano Steward Simmington afferma: “Il Libano nella primavera del 1967 ha impedito alla nostra flotta l’accesso ai suoi porti. Le ultime due volte che la nostra flotta ha visitato la Turchia si sono verificate violente manifestazioni antiamericane. Queste correnti divengono sempre più forti e se, in Grecia, le cose non andassero come vanno, nel Mediterraneo ci sarebbero pochissimi porti – se non nessuno – disposti ad accogliere le nostre navi senza azioni di disturbo. E siccome noi reputiamo necessario il mantenimento della nostra flotta in quel mare chiuso, questa è la ragione maggiore del nostro sforzo affinché le cose permangano stabili nel Paese in questione, cioè la Grecia”. Parole chiare. E molti, dopo la confusione degli anni precedenti, hanno collegato la strage di piazza Fontana al mantenimento del governo militare greco e alla manovra per obbligare il governo italiano, recalcitrante, a sostenerlo in sede atlantica ed europea. Ma non sono andati oltre, non hanno cioè intuito che la Grecia dei colonnelli era funzionale ai disegni americani, soprattutto per il sostegno allo Stato di Israele ed il controllo, quindi, del Mediterraneo.
La sola Grecia non bastava. La Francia era in aperta rottura con la Nato; la Spagna franchista non poteva essere utilizzata per ragioni di facciata; l’Algeria era perduta, guidata da quel Boumedienne che i servizi di sicurezza della Nato ritenevano un mero agente di Mosca; la Tunisia non era affidabile; la Libia era instabile, tanto che dopo la presa del potere il 1 settembre 1969, la giunta militare ordinerà agli americani ed agli inglesi di sgomberare le basi militari nel paese; il Libano e la Turchia non danno affidamento; in Egitto poi sono presenti almeno 12mila ‘consiglieri’ militari sovietici che sono in prima linea nella guerra non dichiarata contro Israele; rimane un inutile Marocco e, infine, la infida Italia. Cosa farà l’Italia? La domanda, gli Angleton ed i vertici politici e militari americani e Nato non se la pongono. Per loro esiste solo cosa dovrà fare l’Italia, volente o nolente, per rafforzare lo schieramento atlantico nel Mediterraneo a difesa di Israele e degli interessi statunitensi nella regione. L’Italia dovrà frenare l’influenza comunista suscettibile di condizionare il Parlamento ed il governo in senso filo-arabo e neutralista: cosa non facile in una democrazia parlamentare che non ha a sua disposizione quegli strumenti normativi che consentono ad un regime autoritario di tacitare l’opposizione, vietare le manifestazioni pubbliche, porre fuori legge partiti e movimenti contrari alla sua politica senza, per questa ragione, prendere esempio dalla Grecia dei colonnelli o dalla Spagna di Franco; basta pensare alla Germania federale dove il Partito comunista è fuorilegge ed ogni movimento che presenti caratteristiche “eversive” a parere discrezionale dei governi, può esserlo posto in ogni momento, senza alcuna difficoltà.
È la Germania federale, il modello al quale guardano i politici italiani. Una democrazia autoritaria, capace di essere fedele senza riserve agli Stati uniti, ossequiente alle sue direttive, disposta a proiettarsi nel Mediterraneo per assolvere quei compiti militari, politici, diplomatici ed economici che la strategia americana prevede. Un’Italia non più oscillante fra le ragioni degli arabi e degli israeliani, ma decisamente schierata con questi ultimi ad onta della ostilità della Chiesa cattolica, in nome dei valori giudaico-cristiani. Come trasformare una democrazia parlamentare in una democrazia autoritaria, in presenza di forze politiche avverse troppo forti per essere elettoralmente battute? Come trasformare l’infido alleato nel quale agisce il più forte Partito comunista occidentale, nel quale il neutralismo anche di marca cattolica avanza inesorabilmente, incalzano dal 1968 movimenti di opposizione sociale e politica e l’antiamericanismo, per questi fattori congiunti, è arrivato quasi al suo massimo storico? La risposta la troviamo in quella che è stata definita la ‘strategia della tensione’, quell’azione cioè intesa a destabilizzare l’ordine pubblico per stabilizzare quello politico, operativa in Italia da tempo, almeno dal 1964 ma senza quelle connotazioni sanguinose che la distingueranno a partire dalla primavera del 1969.
In quel momento, la catena di comando è ben salda e amalgamata: il generale Arnaldo Ferrara per l’Arma dei carabinieri, l’ammiraglio Eugenio Henke, passato dal comando del Servizio segreto militare alla direzione dello Stato maggiore della Difesa; il capo della polizia Angelo Vicari, in carica dal 1960 al 1973, e il questore Umberto Federico D’Amato, dirigente dei Servizi segreti civili e tramite unico con gli americani e la Nato. Pochi uomini al comando reale, moltissimi gli interpreti di secondo e terzo livello, comparse e burattini che la disinformazione giornalistica e giudiziaria ha trasformato nei principali protagonisti della stagione delle stragi. I Freda, i Delle Chiaie, i Maggi, gli Zorzi, i Rognoni, i Ventura, i servi fedeli ed ottusi delle altrui strategie. Mentre il silenzio è calato sulle responsabilità politiche. Paolo Emilio Taviani ha rotto parzialmente il muro dell’omertà, da morto, confermando nel libro di memorie pubblicato postumo che piazza Fontana fu strage di Stato, chiamando addirittura in causa (e non meraviglia) un colonnello dei carabinieri e il servizio segreto militare; ma invece di maledirne la memoria e la reticenza, lo hanno dichiarato uomo onesto ed illustre, a cominciare da quei post comunisti che tante cose sanno e tante hanno taciute: come Taviani ed i suoi colleghi democristiani.
Nella fase operativa iniziata il 27 febbraio 1969, vediamo come comprimari movimenti e uomini che mai sono entrati nelle indagini sulla strage di piazza Fontana e nemmeno nelle ricostruzioni giornalistiche e storiche. Vediamo l’interlocutore di James Jesus Angleton, Junio Valerio Borghese ed il suo ‘Fronte nazionale’ essere presente in informative del Sid come attivo per giungere alla costituzione di un regime autoritario, ma nessuno lo ha mai collegato alla strage del 12 dicembre 1969. Ed appare grottesco come per anni – almeno venti anni – il nome del suo fedele braccio destro, Stefano Delle Chiaie, sia stato affiancato, insieme a quello di Mario Merlino, alla strage senza che nessuno abbia osato ricordare che costui prendeva ordini da Junio Valerio Borghese; e nessuno ha rilevato che Junio Valerio Borghese era ancora un militante del Movimento sociale italiano. È la destra unita, quella che compare nell’operazione che porta a piazza Fontana, con i suoi legami di dipendenza dagli apparati segreti dello Stato e dall’Arma dei carabinieri, non come appare a chi legge oggi la storia di quegli eventi, ora una ‘cellula nera’ padovana, ora un gruppo di ‘anarco-nazisti’ romani, ora un gruppo non bene definito di ordinovisti veneziani collegati ai servizi segreti americani ed israeliani.
Al di là della volontà e degli sforzi fatti dall’ultimo magistrato che si è occupato delle indagini sulla strage di piazza Fontana con onestà intellettuale e coraggio civile, come Guido Salvini (sottoposto per questo motivo ad un autentico linciaggio morale), bisogna convenire che la verità sulla strage del 12 dicembre 1969 è ancora lontana; non è stata scritta se non parzialmente; e anche quel poco non è stato ancora compreso. La partita fra Stati uniti ed Unione sovietica, giocata sulla pelle dei popoli del mondo, ha nel Mediterraneo il nome di Israele, la sua politica è l’imperialismo aggressivo, i suoi simboli la bandiera a stelle e strisce e la stella di David. Altre motivazioni, altri attori sono entrati nella strategia delle bombe come figure secondarie, benché rumorose o addirittura così rumorose da apparire come quei primi attori che non erano, né potevano essere: dai tanti predicatori d’ordine per il ristabilimento di una pace sociale che appariva sconvolta in quegli anni, al fronte padronale che vedeva la propria rappresentanza e sentinella nella Confindustria, buttatasi nella mischia per ottenere furbescamente la chiusura dei contratti dell’autunno caldo e la gigantesca repressione operaia che ne seguì; comprimari, attori di secondo ruolo, profittatori, non registi. Gli attori hanno creato semmai quel consenso diffuso, quell’omertà durevole ed infrangibile che il regista, da solo, non avrebbe potuto ottenere. Ma non ci hanno coinvolti solo per impedire un altro autunno, o che Longo e Berlinguer prendessero in Italia quel potere, che già i patti di Yalta rendevano impossibile. Ci hanno coinvolti in primo luogo per difendere gli interessi americani nello scacchiere medio orientale e perché Gerusalemme tornasse ad essere la capitale “eterna e indivisibile” dello Stato d’Israele.
Abbandonata la ‘soglia di Gorizia’ che mai nessun invasore avrebbe attraversato, gli americani hanno una base come Sigonella dalla quale possono controllare tutto il Medio oriente, e l’Italia è oggi la sentinella a presidio di un mare israeliano; un paese ostile al mondo arabo, ansioso di mandare a morire i suoi soldati per Gerusalemme e il ‘grande Israele’, governato da quella destra che oggi ha potuto – e dovuto – gettare la maschera e rendere omaggio ai rabbini. L’Italia è come hanno voluto che fosse a partire dall’estate del 1967, passando per piazza Fontana e le bombe successive, che ne hanno fatto la Palestina di Europa, dove gli attori erano italiani, i morti erano italiani, ma i burattinai americani ed israeliani. Non si offendano i morti affermando che “la verità c’è”, non si offendano con l’ostinato rifiuto di capire chi sono stati gli stragisti, gli stessi che continuano le stragi in quei paesi, come la Palestina in primo luogo, che si rifiutano di sottostare alla servitù devastante imposta dal colonizzatore. Ecco perché è terra anche nostra la Palestina, anche nostra la sua battaglia di resistenza e libertà. Chi vuole capire quanto è accaduto, e condivide queste espressioni, faccia dunque del 12 dicembre 1969 anziché la solita risibile invocazione di verità agli apparati di uno Stato che davvero non la può dare – mai la darà! – una giornata di lotta e ricordo dei caduti, italiani e palestinesi, vittime della stessa mano imperialista, dello stesso disegno di colonizzazione del Mediterraneo.
Cronologia degli avvenimenti
27 febbraio 1969 | Giunge a Roma il presidente americano Richard Nixon. Egidio Ortona, ambasciatore italiano a Washington, annota: “Al Quirinale Saragat e Nixon si ritirano per un incontro a quattr’occhi: deplorevole dispregio dei diplomatici…”. A questo colloquio fra i due presidenti, svoltosi senza alcun testimonio, può esser fatta risalire la data d’inizio dell’operazione stragista che culminerà nell’eccidio di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, finalizzata alla proclamazione dello “stato di emergenza”. |
28 febbraio 1969 | A Roma, viene compiuto un attentato dinamitardo contro un ingresso secondario di Palazzo Madama in via della Dogana vecchia. Anche se non rivendicato, il gesto verrà successivamente considerato come uno dei primi atti della ‘strategia della tensione’. |
febbraio 1969 | Il generale Ernesto Cellentani, sulla “Revue militaire générale” scrive: “In seno alle forze politiche protagoniste dei disordini e delle sommosse si è andato rilevando specie negli ultimi tempi un processo crescente di osmosi, ideale e organizzativa, sul piano internazionale. Il problema potrebbe rappresentare, in un futuro prossimo, ulteriori complicazioni e difficoltà poste dall’intervento dell’assai importante componente giovanile studentesca. Sembra allora opportuno realizzare una stretta cooperazione civile e militare, sul piano europeo occidentale, tendente allo scopo di mettere a disposizione fattori comuni esperienze ed informazioni; potrebbe allo scopo essere concretata da una politica dell’ordine pubblico ed un’altrettanta comune politica di informazione ed azione psicologica, entrambe necessarie. La popolazione non interessata al disordine potrebbe – infine – essere chiamata in determinati casi limite a cooperare al ristabilimento dell’ordine. Oggi esiste, ormai, un fronte interno anche in tempo di pace”. |
19 marzo 1969 | A Viareggio, presso l’hotel Royal ha luogo la prima riunione pubblica del ‘Fronte nazionale’, alla presenza di Junio Valerio Borghese. Nella nota che il Sid stila sulla riunione si riferisce che nel suo corso “l’unico accenno di interesse è quello fatto da Borghese in merito alle Forze armate che, secondo il presidente del Fronte, non avrebbero fatto mancare il loro appoggio nella lotta al comunismo”. |
21 marzo 1969 | Da questa data e fino ai primi di giugno, Armando Cossutta, responsabile dell’organizzazione del Pci, invia 4 circolari alle federazioni provinciali invitandole ad assumere misure straordinarie di sicurezza e a tenere presente che i telefoni sono sotto controllo. |
27 marzo 1969 | A Roma, un potente ordigno è fatto esplodere contro la sede del ministero della Pubblica istruzione in viale Trastevere. Le caratteristiche dell’ordigno corrispondono a quello impiegato contro la sede del Senato del 28 febbraio precedente. |
29 marzo 1969 | A Padova, con sospetta concomitanza sono compiuti 2 attentati dinamitardi, uno contro la sede del Msi, in via Zabarella, l’altro contro la sede del Psiup in via Santa Sofia. |
31 marzo 1969 | A Roma, un ordigno ad alto potenziale viene fatto esplodere contro il Palazzo di giustizia. L’attentato è rivendicato con manifestini a firma di ‘Marius Jacob’, militante dell’Internazionale anarchica. |
marzo 1969 | Serafino Di Luia si trasferisce da Roma e Milano. |
12 aprile 1969 | A Genova, nella villa di Guido Canale, s’incontrano il principe Junio Valerio Borghese, l’armatore Alberto Cameli, l’avvocato Gianni Meneghini, il presidente Gianluigi Lagorio Serra. |
14 aprile 1969 | Una nota del ministero degli Interni informa che scopo dell’“Aginter Press” “è quello di combattere il comunismo mondiale…e a tale fine disporrebbe anche di un apparato militare clandestino. Sarebbe guidato ed appoggiato finanziariamente da ambienti di destra francesi, belgi, americani, sudafricani e rodesiani…Per l’addestramento alla guerriglia e al sabotaggio, il movimento avrebbe costituito due campi: uno in Algorvia, (Portogallo) e l’altro a Windhock (Sudafrica)”. |
15 aprile 1969 | A Padova, è compiuto un attentato dinamitardo contro lo studio del rettore dell’Università, Enrico Opocher. Le indagini sull’episodio vengono affidate al dirigente della Squadra mobile, il commissario di Ps Pasquale Juliano. |
18 aprile 1969 | A Padova, si svolge una riunione operativa in vista dei prossimi attentati da compiere a cura dei gruppi coinvolti nella ‘strategia della tensione’. Vengono indicati come partecipanti alla riunione Franco Freda, Marco Pozzan, Marco Balzarini, Ivano Toniolo e Angelo Ventura. |
19 aprile 1969 | Secondo le dichiarazioni rese da Ruggero Pan al giudice istruttore di Treviso Giancarlo Stiz, nel pomeriggio di quel giorno “il Freda gli parlò nel suo studio di una serie di attentati che egli stava conducendo, in particolare di quello da lui commesso il 15 aprile nello studio del rettore dell’Università di Padova, e di avere in mente un ampio programma di attentati per la cui esecuzione gli occorreva l’apporto di altre persone, estremisti sia di destra che di sinistra; che non era il caso di prendersi cura della massa né di proporsi subito il problema della qualificazione politica del nuovo regime…”. |
25 aprile 1969 | A Milano, scoppiano bombe incendiarie alla Fiera campionaria e all’ufficio cambi della stazione ferroviaria, che provocano il primo 21 feriti, dei quali 2 gravi, e solo fortuitamente nessun morto; il secondo, danni e alcuni feriti lievi. Della mancata strage sono additati i colpevoli ancor prima dello svolgimento di indagini: gli anarchici. Saranno successivamente condannati Freda e Ventura per i quali, però, sarà ritenuta preminente l’azione di ‘associazione sovversiva’, in modo da contenere la pena nei limiti dei 15 anni mascherandone l’attività stragista. |
27 aprile 1969 | Marques Armando, dirigente di Ot, è presente a Milano come rilevato dalla Questura del capoluogo lombardo. |
27 aprile 1969 | A Padova, Guido Giannettini consegna a Giovanni Ventura e Freda rapporti ‘informativi’ costruiti ad arte per facilitare la loro opera di infiltrazione nei gruppi della sinistra extraparlamentare. Giannettini alloggia nella notte all’hotel Monaco di Padova. |
4 maggio 1969 | Nel rapporto inviato al Sid a questa data, il giornalista missino Guido Giannettini scrive: “In base a nuovi elementi raccolti nella zona operativa ‘c’, T ritiene che gli ambienti industriali del nord Italia disposti a finanziare attentati siano costituiti principalmente dal gruppo Monti, Z è d’accordo sulle conclusioni cui è pervenuto T”. Chiarirà, poi, al giudice D’Ambrosio che “Z ero io e T era Freda”; aggiungendo che “in effetti le notizie sul finanziamento di Monti ai gruppi estremisti di destra mi furono passate da Freda. Freda mi disse che non so chi aveva captato, durante un pranzo a cui partecipavano o Monti o i suoi collaboratori, che Monti avrebbe finanziato gruppi di destra per azioni provocatorie, non escluse azioni terroristiche”. |
6 maggio 1969 | Il direttore della divisione Affari riservati del ministero degli Interni, Elvio Catenacci, crea all’interno della stessa un servizio ‘unico per la trattazione della materia attinente alle attività dei partiti estremisti’, affidato al comando del vice questore Francesco D’Agostino, ed una ‘sezione investigativa’ alla cui direzione viene chiamato il vice questore Guglielmo Carlucci. |
11 maggio 1969 | A Roma, Mario Tedeschi, direttore de “Il Borghese”, annuncia la costituzione di “250 gruppi di Azione nazionale (Gan) costituitisi in tutta Italia rispondendo al nostro appello per l’unione delle forze nazionali”. Fra i punti programmatici dei Gan, Tedeschi enumera: ” Bisogna provvedere a sabotare con tutti i mezzi possibili gli scioperi organizzati dai comunisti e dai clerico comunisti…Bisogna organizzarsi per essere vicini ai soldati in ogni momento; nel momento tranquillo e nel momento non tranquillo”. Conclude, infine: “Alle bombe senza sangue noi preferiamo le beffe sanguinose. Ormai chi vuol fare dell’anticomunismo sul serio deve porsi fuori del sistema e contro il regime”. |
15 maggio 1969 | Ad Atene, Michel Kottakis, direttore dell’ufficio diplomatico del ministero degli Esteri, invia all’ambasciatore greco a Roma, Antonio Puburas, un rapporto sulla situazione italiana stilato da un agente del Kyp, operante in Italia, e inviato al primo ministro greco Papadopulos. Nella lettera con la quale Kottakis accompagna l’invio del rapporto, si legge che “la situazione in Italia presenta per noi molto interesse e prova che gli eventi si evolvono in senso molto favorevole per la rivoluzione nazionale. Sua eccellenza il presidente ritiene che i difficili sforzi intrapresi da lunga data dal governo nazionale ellenico comincino a produrre frutti”. Kottakis, inoltre, raccomanda l’adozione di precauzioni “in modo da escludere che si possa individuare un legame tra l’azione dei nostri amici italiani e le autorità ufficiali elleniche”. Il rapporto riferisce, fra l’altro: “Il signor P ha avuto un incontro con i rappresentanti delle forze armate e ha lungamente analizzato le opinioni del governo ellenico sulle questioni italiane…Abbiamo poi trattato la questione dell’azione futura ed abbiamo proceduto ad una precisa ripartizione dei compiti…Per quanto riguarda i contatti con rappresentanti dell’esercito e della gendarmeria, il signor P mi ha riferito che la maggior parte dei suoi suggerimenti sono stati accettati. Il solo punto di disaccordo riguarda la fissazione delle date precise e dell’azione…Sono già in grado di riferire che qui l’opinione prevalente è che l’intenso sforzo d’organizzazione deve cominciare con l’esercito. Ciò risulta dall’incontro del signor P con i rappresentanti delle forze armate italiane. È stato acquisito che i metodi utilizzati dalle forze armate elleniche hanno dato risultati soddisfacenti: perciò vengono accettati come base per l’azione italiana…Per quanto riguarda la gendarmeria italiana, il signor P mi ha detto che i suoi rappresentanti hanno studiato con grande interesse la sua proposta. Essi sono stati profondamente impressionati dalle informazioni sul ruolo assunto dalla polizia militare ellenica nella preparazione della rivoluzione. Hanno accettato unanimemente la sua opinione che in Itala soltanto la gendarmeria potrebbe assumersi analogo compito…Le azioni la cui realizzazione era prevista per epoca anteriore non hanno potuto essere realizzate prima del 20 aprile. La modifica dei nostri piani è stata necessaria per il fatto che un contrattempo ha reso difficile l’accesso al padiglione Fiat. Le due azioni hanno avuto un notevole effetto…Per quanto riguarda la stampa non sarei troppo soddisfatto. Attualmente oltre a ’Il Tempo’ ho continui contatti con ‘Il Giornale d’Italia’. Penso di essere in grado di ottenere su questi due giornali la pubblicazione di qualunque materiale che il governo nazionale giudicasse utile”. |
16 maggio 1969 | Guido Giannettini prepara il secondo rapporto sui ‘gruppi di pressione’. |
25 maggio 1969 | Il vice segretario nazionale del Msi, Pino Romualdi, sul periodico “L’assalto” scrive: “Crediamo nell’olio di ricino e nel santo manganello. Crediamo nella guerra civile. Poiché prima che il comunismo arrivi al potere è chiaro che si troveranno mezzo milione di uomini capaci di procurarsi le armi e di usarle. Nessuno deve dimenticarlo: oggi, mutati i tempi, l’olio di ricino e il santo manganello non basterebbero più”. |
25 maggio 1969 | A Verona, Pino Rauti tiene una riunione coi gruppi di Ordine nuovo del Triveneto. |
maggio 1969 | A Padova, nei primi giorni del mese si presenta al commissario di Ps Pasquale Juliano, Nicola Pezzato, pregiudicato e missino, che in cambio di denaro gli fornisce i nomi di Fachini, Brancato, Petraroli e Bocchini come componenti di un’organizzazione dedita al compimento di attentati. |
7 giugno 1969 | A Padova, agenti dell’ufficio politico della Questura al comando del commissario di Ps Saverio Molino, perquisiscono l’abitazione di Eugenio Rizzato, ispettore di zona per il Triveneto della Confederazione nazionale del commercio (Cnc) con sede a Treviso, sequestrando “una pistola automatica calibro 7,65 marca Beretta, con 15 pallottole complessive” per il cui possesso denunciano a piede libero il Rizzato per “detenzione e porto abusivo di armi e munizioni”, ma il funzionario segnala solo alla divisione Affari riservati, omettendo di farne cenno nel rapporto alla magistratura, il rinvenimento della documentazione relativa al ‘Comitato d’azione di risveglio nazionale’ (Carn), nella quale si legge che fra i suoi scopi vi è “la formazione di gruppi d’assalto, pronti a qualsiasi evenienza e disposti a qualsiasi impiego, che saranno a tempo opportuno attrezzati in pieno assetto di guerra”. |
16 giugno 1969 | Una nota del Sid informa: “Un esponente del Fronte nazionale ha informato alcuni dirigenti della Società metallurgica italiana (Smi) che il movimento ha in programma di attuare nel periodo da giugno a settembre 1969, un colpo di stato per porre fine alla precaria situazione politica che travaglia la vita del Paese. L’uomo di Borghese vorrebbe trattare l’acquisto di munizioni prodotte negli stabilimenti della Smi ma riceve un netto rifiuto”. |
18 giugno 1969 | A Padova, è arrestato il missino Giancarlo Patrese, all’uscita dello stabile in cui abita il consigliere comunale missino Massimiliano Fachini, che recava un pacchetto contenente esplosivo e pistole. Determinante nei suoi confronti sarà la testimonianza del portiere dello stabile, Alberto Muraro. |
19 giugno 1969 | Giorgio Almirante è eletto all’unanimità dal comitato centrale, segretario nazionale del Msi. |
giugno 1969 | In questo mese, secondo le dichiarazioni rese successivamente da Pino Rauti, è assunta la decisione di rientrare nel Msi, che verrà ufficialmente proclamata in autunno in modo che “l’operazione abbia la maggiore risonanza presso l’opinione pubblica”. |
giugno 1969 | Viene fondato, a Milano, il ‘Fronte degli Italiani’, nato per “sensibilizzare l’opinione pubblica contro l’azione eversiva svolta da taluni partiti di estrema sinistra e dai vari movimenti contestatori e per costituire un sostegno morale per le forze di polizia”. |
giugno 1969 | Salvatore Ippolito viene infiltrato dalla polizia nel circolo Bakunin. Dirà: “il commissario Spinella mi disse che ero il solo in grado di svolgere questo incarico”. |
6 luglio 1969 | È decretato, secondo quanto scriverà il quotidiano comunista “l’Unità” il 7 settembre 1969, l’allarme Nato che prevede l’esecuzione di un piano di mobilitazione delle forze militari e l’occupazione dei ministeri, sedi di partito e di giornali da parte di unità speciali dell’esercito e dei carabinieri |
7 luglio 1969 | Il giornalista Carlo Cavalli, in una lettera intestata ‘Camera dei deputati –giornalisti parlamentari’, spedita al ‘cavaliere del lavoro Attilio Monti presidente Poligrafici – Il resto del Carlino, Bologna’, scrive: “Illustre cavaliere Monti, dopo il colloquio con Dell’Amico e Rauti ho capito bene la natura e i limiti dell’iniziativa. Per il mio campo sono a disposizione felice soprattutto di collaborare con lei. Cordialmente. Avvocato Carlo Cavalli”. |
18 luglio 1969 | A Bologna, il sindaco comunista Fanti rende noto il testo di una circolare diffusa negli ambienti militari dall’Auca (Associazione ufficiali combattentistici attivi) con sede a Bologna, secondo cui “la situazione interna ci fa pensare all’eventualità che le Forze armate debbano entrare in azione per difendere la libertà democratica e la Costituzione impedendo violenze, distruzioni, sovvertimenti…Si tratterà di collaborare con le forze dell’ordine e di agire anzi con quelle, se necessario, alle dipendenze di un’unica autorità”. |
24 luglio 1969 | A Milano, è rinvenuto inesploso un ordigno all’interno del Palazzo di giustizia. |
31 luglio 1969 | La rivista “Il Borghese” pubblica la lettera di un gruppo di ufficiali indirizzata al generale Enzo Marchesi, capo di Stato maggiore dell’Esercito, con la quale sollecitano l’ordine di “reagire singolarmente e collettivamente, con i fatti e se necessario con le armi, a qualsiasi aggressione, a qualsiasi offesa alla Bandiera, all’uniforme, all’essenza spirituale e materiale dell’organismo militare”. |
luglio 1969 | Il Fronte nazionale diretto da Junio Valerio Borghese, partecipa ad un tentativo di ‘colpo di Stato’, secondo le dichiarazioni rese il 14 gennaio 1978, dal capo della polizia Angelo Vicari in sede giudiziaria. |
luglio 1969 | Esce nelle librerie un opuscolo di 14 pagine, scritto da Giangiacomo Feltrinelli, dal titolo “Estate 1969″ e con sottotitolo “La minaccia incombente di una svolta radicale a autoritaria a destra, di un colpo di stato all’italiana”. In un’appendice dello scrittore greco Vassakilos è scritto: “Anche noi non credevamo che in Grecia fosse possibile”. Nell’opuscolo, Feltrinelli rileva che le agitazioni sindacali e la crisi dell’economia americana “hanno indotto, a nostro avviso, già da alcuni mesi certe forze di destra a predisporre ed attuare un piano politico e militare preciso, volto ad imporre al Paese una radicale e autoritaria svolta a destra, un colpo di stato all’italiana. Questi piani e la loro parziale attuazione hanno preso nuovo impulso dalla visita di Nixon in Italia ed è possibile che trovino attuazione nel corso di quest’estate, facilitati dall’esodo estivo, dal generale disinteresse, dalla impreparazione delle tradizionali organizzazioni operaie (Pci e sindacati), e dalla sostanziale inefficienza di gruppi che si rifanno ad astratti estremismi ideologici o che, in ogni circostanza, rifiutano il discorso politico”. Il colpo di stato sarebbe “ideato e attuato con la compiacente collaborazione della Cia, della Nato e delle forze reazionarie italiane”. |
6 agosto 1969 | Ad Alba Adriatica, Freda alloggia all’hotel Lilian, dove si trova in vacanza Ivan Biondo [futuro magistrato]. La località dista 200 chilometri da Riccione e 50 da Pescara. |
6 agosto 1969 | Si svolge sulla riviera romagnola una riunione segretissima sulla quale, successivamente, la Questura segnalerà che “il padre di Merlino Mario Michele è proprietario di una villa sita a Riccione in viale… Le chiavi della predetta villa sono custodite da tale Giovanni Sapucci, ivi domiciliato”. |
8-9 agosto 1969 | Vengono compiuti, contemporaneamente, 10 attentati a convogli ferroviari, 2 dei quali falliti. Il commissario Improta dell’ufficio politico della Questura di Roma dirà al giudice Cudillo: “Dopo gli attentati, chiesi a Pietro Valpreda di collaborare con la polizia ed egli rifiutò sdegnosamente”. |
20 agosto 1969 | A Roma, è trovato all’interno del Palazzo di giustizia un ordigno ad orologeria, non esploso per casualità. |
23 agosto 1969 | A Padova, presso il locale carcere il pregiudicato Livio Juculano dichiara al magistrato Anna Maria Di Oreste, da lui chiamata per lo scopo: “Sono venuto a conoscenza di altri particolari in merito ai recenti episodi di attentati con esplosivi a mezzo di un detenuto delle carceri giudiziarie di Padova, tale Pezzato Nicolò…Il mandante degli attentati a Roma è il già menzionato avvocato Fredda di Padova”. “In merito poi a quell’arsenale di armi che dovrebbe trovarsi fra Treviso e Vittorio Veneto, il Pezzato mi ha aggiunto che un libraio di Treviso, amico di Freda…detiene nello scantinato della libreria numerose armi”. |
24 agosto 1969 | A Massa Carrara, il questore informa con lettera il Viminale del passaggio in città del dirigente di Ot, André Fontaine. |
30 agosto 1969 | A Bologna, il centro Cs invia al Sid un appunto nel quale afferma che “gli autori degli attentati dinamitardi sui treni farebbero capo all’organizzazione studentesca di estrema destra Nuova caravella, che avrebbe sede a Roma e organizzerebbe corsi per sabotatori o dinamitardi diretti da certo Stefano Delle Chiaie….” |
2 settembre 1969 | A Genova, il questore, in risposta alla lettera del 19 agosto del ministero degli Interni, risponde definendo non meritevoli di attenzione, perché assolutamente non pericolosi per l’ordine democratico, i gruppi del Msi e quelli esterni (On, Giovane Europa, Costituente nazionalrivoluzionaria) e concentrando la sua attenzione sul ‘Comitato di difesa civica’ di cui “nell’ultimo incontro avvenuto a Genova fra il Borghese e noti locali industriali si è espressamente parlato…come organismo non clandestino, ma palese, i suoi programmi non dovranno essere tenuti riservati, e che costituirebbe il lato ‘pubblico’ dell’organizzazione, dietro la quale agirebbero persone economicamente facoltose, cioè i finanziatori. A tale associazione dovrebbe corrispondere altre di tipo ‘attivo’ formate prevalentemente da giovani simpatizzanti per la destra o comunque anticomunisti in senso assoluto; il tutto dovrebbe essere coordinato da Junio Valerio Borghese e dal suo ex aiutante Arillo”. |
5 settembre 1969 | A Rieti, presso l’albergo ‘Cavallino bianco’ di Monte Terminillo, si svolge un ‘corso di aggiornamento del Msi per dirigenti giovanili’ al quale partecipano 127 militanti fra i quali: Vincenzo Centorame, di Teramo; Graziano Gubbini e Luciano Lanfranco, di Perugia; Romolo Magnani, Pietro Paolo Lentini, Bruno Spotti, emiliani; Piergiorgio Marini, di Ascoli Piceno; Ugo Martinat, di Torino; Alessandro Floreani, Pietro Tondato, Giancarlo Patrese, Delfo Zorzi, Pier Giorgio Gradari, Piero Longo, Massimiliano Fachini, veneti. |
6 settembre 1969 | Da Ruvo di Puglia dove si è trasferito, il commissario di Ps Pasquale Juliano invia al giudice padovano, Ruberto, un puntiglioso memoriale difensivo nel quale riferisce di essere stato informato dal confidente Francesco Tomasoni che esisteva una organizzazione, responsabile di attentati, che faceva capo a “certo avvocato Freda da Padova”, e a un bidello del ‘Configliachi’ di Padova che va identificato in Marco Pozzan, responsabile dei volontari nazionali del Msi di Padova. |
8-15 settembre 1969 | A Roma, è presente il dirigente di Ot, Armando Marques, come segnala il Questore con nota successiva diretta al Viminale. |
9 settembre 1969 | A Padova, la valigeria ‘Al Duomo’ acquista con regolare fattura le borse di similpelle della ‘Mosbach & Gruber’. |
9 settembre 1969 | Federico D’Amato invia al colonnello Gasca Quierazza, capo dell’ufficio ‘D’, la copia della relazione che svolgerà alla riunione del coordinamento dei servizi di polizia due giorni più tardi. La relazione è ‘riservatissima’, scritta in francese ed intitolata “Les faites terroristes en Italie”, che sintetizza il contenuto di una prima relazione inviata il 15 agosto al ministro degli Interni Franco Restivo. In questa, con riferimento agli attentati ai treni dell’8-9 agosto si “ipotizza quali responsabili: a) gruppi austro-tedeschi-sudtirolesi; b) gruppi di estrema destra; c) gruppi anarcoidi, filocinesi, maoisti e contestatori. La prima ipotesi non trovava conforto; gli estremisti di origine nazionalsocialistico-fascista risultavano, all’epoca, aver adoperato solo cariche rudimentali con sistemi a micce; gli anarcoidi, invece, avevano rivelato nell’azione terroristica una migliore qualità ed efficienza tecnica”. Nell’esaminare, quindi, la figura dell’editore Gian Giacomo Feltrinelli, la relazione “contiene un capitolo nel quale era considerata l’eventualità che i terroristi potessero avere dei collegamenti segreti all’estero. E’ notorio infatti – afferma – che gli anarchici sono in collegamento tra loro sul piano internazionale attraverso l’Internazionale anarchica…” |
12 settembre 1969 | Nel corso della riunione del ‘Club di Berna’ si definisce la relazione conclusiva che riconosce: ‘l’autonomia dei gruppi di estrema sinistra dai Partiti comunisti; la realtà della contrapposizione di questi gruppuscoli con le confederazioni sindacali; il coordinamento internazionale, non riferibile ad una unica centrale bensì distinto fra esse, dei gruppi anarchici, trotzkjisti e marxisti-leninisti’. |
13 settembre 1969 | A Padova muore, precipitando inspiegabilmente nella tromba delle scale, Alberto Muraro, portiere dello stabile di piazza Insurrezione, dove abita Massimiliano Fachini, e testimone chiave dell’inchiesta condotta dal commissario di Ps Pasquale Juliano contro il gruppo Fachini-Freda. Avrebbe dovuto testimoniare due giorni dopo. |
13 settembre 1969 | A Padova, dalla sua utenza telefonica controllata dall’ufficio politico della Questura, Freda chiede a Tullio Fabris spiegazioni dettagliate sul modo di montare un congegno ad incandescenza. |
14-18 settembre 1969 | A Roma, il Questore, con nota successiva, segnala la ulteriore presenza in città del dirigente di Ot Armando Marques. |
15 settembre 1969 | Fallisce un tentativo di mediazione fra Grecia e Danimarca, condotto dagli ambasciatori francese e tedesco a Copenaghen. |
15 settembre 1969 | La divisione Affari riservati del Viminale dirama ai questori di Roma, Genova, Venezia, Milano e Torino una lettera, compilata sulla base delle informazioni fornite da ‘Aristo’, in cui segnala l’avvenuto incontro a Sintra (Portogallo) di ‘Convergenza occidentale’, spiegando che quest’ultima si propone di ‘favorire la reciproca conoscenza di quanti in Europa, si sentono impegnati nella difesa dei valori della civiltà cristiana occidentale, insidiati dai più diversi tentativi di sovversione. Ai lavori – organizzati e diretti dal portoghese Luis Fernandez, dal francese Henryde Roulex e dall’italiano Umberto Mazzotti (alias Sergio Poltronieri) ha partecipato anche una delegazione italiana composta dal prof. Primo Siena, del comitato centrale del Msi, da Gianfranco Di Lorenzo, in rappresentanza della direzione del Raggruppamento giovanile del Msi, dagli studenti universitari dell’Ateneo genovese Domenico Tringale e Dino Segantini in rappresentanza della direzione nazionale del Fuan”. |
15 settembre 1969 | A Padova, dalla sua utenza telefonica, Freda incarica Tullio Fabris di ritirare presso la ditta Elettrocontrolli di Bologna 50 interruttori a deviazione (timer) in precedenza ordinati. |
Metà settembre 1969 | A Padova, in una delle biblioteche dell’Ateneo viene collocato in uno scaffale di libri, mimetizzato fra essi, un ‘libro’ internamente cavo contenente un ordigno non esploso per ragioni tecniche. |
16 settembre 1969 | Secondo le dichiarazioni rese da Lando Dell’Amico il 24 ottobre 1974 a “Panorama”, l’industriale Attilio Monti gli telefonò da Milano invitandolo a prendere contatti con Pino Rauti per consegnargli 18 milioni e 500 mila lire. Se non avesse avuto liquido a sufficienza, specificò Monti, avrebbe dovuto rivolgersi agli uffici della Sarom a Roma che finanziava l’agenzia di stampa “Montecitorio” da lui diretta. |
16 settembre 1969 | L’ammiraglio Torrisi è nominato responsabile del 3° reparto piani dello Stato maggiore della Marina militare. Lascerà l’incarico il 10 settembre 1971. |
17 settembre 1969 | La Questura di Genova produce un nuovo rapporto sull’incontro fra Borghese e gli industriali genovesi (Cameli, Cambiaso e Perrino) di cui viene consegnata copia al ministro degli Interni. |
17 settembre 1969 | Secondo le dichiarazioni rese da Lando Dell’Amico il 24 ottobre alla rivista “Panorama”, in questo giorno alle ore 10, nella sede del Credito italiano in via del Corso a Roma, consegna personalmente a Pino Rauti, con il quale aveva preso appuntamento telefonico il giorno precedente, la somma di 18 milioni e 500 mila lire, come ordinatogli da Attilio Monti, in contanti perché Rauti così pretese rifiutando l’assegno. |
18 settembre 1969 | Il giornalista Lando Dell’Amico scrive una lettera all’ ‘egregio sig. comm. Bruno Riffeser, direttore generale Sarom, grattacielo Galfa, Milano’: “Carissimo Riffeser, ho versato come d’accordo lire 18.500.000 (diciottomilionicinquecentomila) al giornalista Pino Rauti con assegni ‘Credito italiano’ del 16 ultimo scorso. Se debbo conteggiare l’uscita per la ‘Montecitorio’ dovrei reintegrare la somma con la procedura normale di fine mese in conto Eridania. Va da sé, come ho fatto notare stamane per telefono al cavaliere Monti, che per esborsi straordinari di questa entità non sono (ancora) attrezzato. Per il giornalista Stinchelli, a Parigi, tutte le passate collaborazioni sono state saldate, chiuse. Ho spedito a Bologna le notizie per l’onorevole Preti che, dalla Poligrafici, aveva richiesto l’amico ingegner Zoni. Sono purtroppo incomplete, ma controllatissime. Cari saluti e a presto rivederci a Roma. Lando Dell’Amico”. |
19 settembre 1969 | A Rieti, il Gruppo carabinieri stila un rapporto ‘riservatissimo’ sul convegno organizzato dal Msi presso l’albergo ‘Cavallino bianco’ di Monte Terminillo. I carabinieri mettono in rilievo che “le lezioni” ai militanti sono state impartite “da parlamentari del partito, tra cui gli onorevoli Pino Romualdi, Giulio Caradonna, Gastone Nencioni, Stefano Menicacci, Franco Maria Servello, Franco Franchi e Antonio Guarra, da esponenti quali Pietro Cerullo, Massimo Anderson, Annibale Del Manzo, Giuseppe Tricoli, Antonio Fede e Raffaele Valensise. La chiusura del corso è stata presenziata dall’onorevole Giorgio Almirante, segretario nazionale del partito”. Fra i temi trattati, i carabinieri segnalano, fra gli altri, anche quello di “rovesciare l’attuale classe dirigente italiana, incapace di garantire la sicurezza nazionale, la pace sociale e il progresso civile”. |
22 settembre 1969 | Franco Freda acquista i 50 timer ordinati alla ditta Elettrocontrolli di Bologna. |
27 settembre 1969 | Il colonnello Federico Gasca Quierazza, capo del reparto D del Sid, invia una nota all’ammiraglio Eugenio Henke in cui scrive, fra l’altro: “L’accertata disponibilità di esplosivo e la competenza nella confezione di ordigni con caratteristiche analoghe a quelle riscontrate del 9 agosto, da parte di elementi di estrema destra, inducono a non dare più credito alla formulata ipotesi che sia da escludere l’estrema destra dai sospetti. La richiamata valutazione, fatta sulla base di uno studio autorevole, viene infatti a cadere alla luce degli elementi concreti forniti da due fonti diverse del centro controspionaggio di Bologna”. |
29 settembre 1969 | Giorgio Almirante illustra la piattaforma programmatica del Msi che poggia pressoché esclusivamente sulla considerazione che è in corso una gravissima “crisi dello Stato”. |
30 settembre 1969 | Si svolge, in questa data, una riunione di appartenenti al Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese, presieduta da Remo Orlandini, sulla quale riferisce una nota informativa del Sid nella quale si legge: “Un ufficiale (nome noto) si intrattiene con Prospero Colonna il quale, nel dirsi certo della riuscita del ‘colpo di Stato’, soggiunge che Valerio Borghese aveva già studiato un piano di ‘provocazione’ con una serie di grossi attentati dinamitardi per fare in modo che l’intervento armato di destra potesse verificarsi in un clima di riprovazione generale nei confronti dei criminali ‘rossi’; precisò inoltre che le vittime innocenti in certi casi sono purtroppo necessarie”. Le affermazioni del principe Colonna furono giudicate, ufficialmente, dai vertici del Sid poco attendibili. |
settembre 1969 | A Treviso, presso l’hotel Continental si incontrano, come dichiarato da Guido Lorenzon al sostituto procuratore Pietro Calogero il 23 gennaio 1970, Giovanni Ventura, Antonio Massari, “tre persone giunte da Roma” ed il senatore democristiano Caron che era stato interessato per far ottenere un mutuo di 20 milioni dalla Cassa di risparmio della Marca trevigiana allo stesso Ventura. |
settembre 1969 | In questo mese, secondo le dichiarazioni confidenziali fatte dall’informatore dell’ufficio Affari riservati del ministero degli Interni, Enrico Rovelli, l’8 gennaio 1970, si sarebbero incontrati alla stazione Termini di Roma Serafino Di Luia e Nino Sottosanti. Il primo avrebbe consegnato al secondo un pacchetto dicendogli “questi sono i libri che ti avevo promesso”, e allontanandosi subito dopo. |
settembre 1969 | L’anarchico Giorgio Spanò testimonierà successivamente che in questo mese Ivo Della Savia gli aveva proposto di compiere un attentato dimostrativo contro la sede della Fiat a Roma, utilizzando un ordigno “già pronto”. |
4 ottobre 1969 | A Trieste, è deposta una potente carica esplosiva sul davanzale della scuola elementare slovena, destinata ad esplodere alle ore 12.00 seminando morte fra allievi, genitori ed insegnanti. L’ordigno non esplode per un difetto tecnico; in caso contrario, avrebbe provocato una strage. Contestualmente era stato deposto un ordigno, a Gorizia, nei pressi del confine italo-jugoslavo che non esploderà per ragioni tecniche. |
6 ottobre 1969 | Guido Giannettini è al seguito del presidente della repubblica Giuseppe Saragat in visita ufficiale in Jugoslavia, come corrispondente del giornale missino “Il secolo d’Italia” e incaricato dal Sid di “prendere contatto con i giornalisti jugoslavi e d’oltre cortina che presentino aspetti di vulnerabilità dal punto di vista ideologico e che si dimostrino aperti al sistema di vita occidentale”. In questo ambito Giannettini si informa sul conto del giornalista jugoslavo Emanuel Mickovic, che era riparato in Italia nel 1968 dopo essere stato accusato di ‘appropriazione indebita’ a Zagabria. |
6 ottobre 1969 | A Trieste, è interrogato dal personale dell’ufficio politico della Questura, l’ordinovista veneto Martino Siciliano nell’ambito delle indagini sul fallito attentato alla scuola slovena di due giorni prima, 4 ottobre. Rivelerà successivamente il commissario di Ps Giulio Cesari, vice capo dell’ufficio politico della Questura, che a fargli il nome di Martino Siciliano era stato personalmente il questore D’Anchise. |
10 ottobre 1969 | Guido Giannettini, in un articolo apparso sulla rivista “L’italiano” diretta da Pino Romualdi, scrive: “I colpi di Stato, specie in un paese della nostra civiltà, sono un piatto che si serve caldo”. |
15 ottobre 1969 | A Roma, l’ambasciatore greco, Pompuras, si informa presso il ministero degli Esteri se sia mutato l’atteggiamento italiano in vista della riunione di dicembre del Consiglio d’Europa: la risposta è negativa. |
17 ottobre 1969 | A Roma, Emilio Bagnoli ritira le chiavi della cantina in via del Governo Vecchio, dove stabilisce la sua sede il circolo ‘22 marzo’. Il circolo è composto da Pietro Valpreda, una quindicina di giovani e giovanissimi anarchici e da Mario Michele Merlino che la sentenza di Catanzaro 23.2.1979 definirà “una delle figure più interessanti…per la sua singolare posizione di attivo elemento del circolo anarchico ’22 marzo’ nel quale esercitò attività direttiva e nel contempo, di uomo appartenente a quel movimento di estrema destra che faceva capo a Stefano Delle Chiaie. Innegabili sono i contatti fra lui e il Delle Chiaie, del quale era solerte procacciatore di notizie raccolte nei gruppi di opposto orientamento politico al quale scopo fingeva identità di fede politica con coloro che in effetti, sottoponeva alla sua attività spionistica”. Prima del ’22 marzo’ il curriculum di Merlino prevede fra l’altro la partecipazione al viaggio in Grecia insieme agli altri militanti di destra, la presenza alla ‘battaglia di valle Giulia’ insieme ad un gruppetto di Avanguardia nazionale che cercò di provocare incidenti; un tentativo non riuscito di infiltrarsi nel gruppo maoista ‘Avanguardia proletaria’, poi nel ‘Partito comunista d’Italia’; infine nel movimento studentesco di Magistero dal quale viene allontanato dopo aver smarrito un’agendina contenente i recapiti di noti esponenti della destra; un ulteriore tentativo con l’Unione m-l finisce con una diffida da parte di questa organizzazione che lo ritiene autore di una ‘trappola’ ai danni di un aderente. A Merlino è anche attribuita una denuncia a carico di 3 studenti in relazione agli attentati ai distributori di benzina, rivelatisi estranei ai fatti (che verranno più tardi addebitati a Mario Palluzzi di Avanguardia nazionale e amico di Stefano Delle Chiaie). Gli anarchici romani, diversamente dai marxisti leninisti, non hanno alcun sospetto su di lui. Nel circolo viene infiltrato anche l’agente Salvatore Ippolito, camuffato da studente anarchico dal nome Andrea Politi. |
20 ottobre 1969 | A Coblenza, giungono i giornalisti italiani invitati dalla Bundeswehr, su indicazione dell’Ambasciata tedesca a Roma, per un viaggio nelle installazioni militari germaniche. Oltre a Gino Ragno, portavoce ufficiale del gruppo, gli altri giornalisti sono: Pino Rauti, Guidi Giannettini, Baldassarre Molossi, Armando Silvestri, Giancarlo Fortunato, Giancarlo Zanfrognini, Massimo Zamorani e Benedetto Pafi. In una successiva tappa a Bonn, saranno ricevuti dall’ambasciatore italiano e, quindi, dal cancelliere Willy Brandt. |
23 ottobre 1969 | Il quotidiano “Il Secolo d’Italia”, organo del Msi, intitola un proprio articolo in prima pagina: “L’Italia abbandonata al disordine”. |
27 ottobre 1969 | Negli Stati uniti, il “New York Times” descrive l’ambasciatore americano in Italia, Graham Martin, come “un uomo aggressivo, spietato che pur di arrivare ai suoi scopi si serve di tutti i mezzi, prima di tutto della Cia”. |
28 ottobre 1969 | A Torino, è compiuto un attentato al Palazzo di giustizia, fallito per motivi tecnici, ad opera di militanti di destra. |
29 ottobre 1969 | Il segretario nazionale del ‘Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori’ del Msi invia ai subalterni un ‘foglio disposizioni straordinario’: “La drammaticità della situazione che presenta chiari sintomi pre-insurrezionali, impone la mobilitazione generale e costante di dirigenti e gregari, per l’approntamento dei mezzi e delle misure corrispondenti. Inviati del centro prenderanno contatto diretto con i responsabili dei coordinamenti regionali per concordare iniziative e programmi. Intanto si dispone tassativamente: che i dirigenti provinciali siano a disposizione delle federazioni in continuità; che stabiliscano contatto con i coordinatori regionali e con la direzione nazionale giovanile; che nessuna iniziativa attivistica in loco o in trasferimento deve essere intrapresa senza preavviso o consenso della direzione nazionale giovanile, avuto riguardo al rapporto di forze con l’avversario, all’ambiente, agli impegni attivistici in atto altrove. Esprimendo e disciplinando tutte le nostre energie, saremo certamente in grado di replicare duramente all’offensiva dei sovversivi e dare un alt al comunismo”. |
31 ottobre 1969 | Giunge al Viminale una nota informativa da ‘fonte fiduciaria’, relativa ai preparativi della conferenza europea del 9 novembre 1969, promossa dal Msi in accordo con ‘Convergenza occidentale’. |
31 ottobre 1969 | Freda acquista dalla ditta Elettrocontrolli di Bologna altri 50 commutatori da 120 minuti ‘in deviazione’. |
ottobre 1969 | A Fiesole, ha luogo una manifestazione “con la partecipazione – scrive in un rapporto il Sid – di circa 300 persone tra cui il generale della riserva Marini, medaglia d’oro dell’Aeronautica militare, e dello staff del Fronte (Borghese, Guadagni, Rosa) che, al termine dell’assemblea, incontra i primi responsabili provinciali della Toscana e della Liguria nella hall dell’albergo Savoia per una messa a punto organizzativa. Una seconda, più ristretta, viene tenuta presso il Circolo forze armate di Firenze”. |
ottobre 1969 | A Roma, viene costituito il gruppo ‘Organizzazione lotta di popolo’ (Olp), di cui sono fondatori Enzo Maria Dantini, Ugo Gaudenzi e Ugo Cascella. Altri esponenti sono: Dante Polverosi (responsabile a Milano), Serafino Di Luia, Paolo Ceruti, Carlo San Vito, Gianni Prudenza, Sergio Kellerman, Stefano Peri, Tullio Lauro. |
5 novembre 1969 | Una nota del ministero degli Interni, che viene consegnata in copia al ministro in carica, riferisce che, “…numerosi dirigenti provinciali hanno segnalato alla direzione nazionale che elementi del ‘Raggruppamento giovanile’, della ‘Giovane Italia’, del ‘Fuan’ e del ‘Settore volontari’ avrebbero rassegnato le dimissioni e si starebbero organizzando al di fuori del partito per ‘reagire’ alle intimidazioni dei filocinesi e dei comunisti. I giovani dimissionari intenderebbero, in tal modo, dissociare la responsabilità del partito dalla loro futura attività, evitando di coinvolgerlo nelle loro iniziative di gruppo”. In precedenza, ‘Aristo’ aveva segnalato che appariva “singolare al riguardo il fatto che queste dimissioni avvengano tutte allo stesso modo, vale a dire trasmesse con lettere raccomandate”. |
6 novembre 1969 | A Gorizia, è ritrovato nei pressi del cippo di confine italo-jugoslavo, l’ordigno piazzato dagli ordinovisti veneti, in concorso con quelli triestini, il 4 ottobre 1969 e non esploso per ragioni tecniche. |
7 novembre 1969 | A Viareggio, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Gattai si svolge la riunione dalla quale scaturirà la decisione di fondare la ‘Lega Italia unita’ di cui l’avvocato Adamo Degli Occhi, successivamente, indicherà al giudice istruttore bresciano Giovanni Simoni come patrocinanti in modo ‘più o meno scoperto’, Amintore Fanfani e Randolfo Pacciardi. Partecipano: Carlo Fumagalli; Gaetano Orlando; Alberto Ciberti ‘partigiano apuano’; Antonio Fante; Gino Bibbi; Raffaele Bertoli; Giovanni Sabalich, presidente del Tribunale di Monza; Franco De Ranieri, militante missino; Aurelio Di Rella, avvocato genovese; Rodolfo Cerrina-Peroni, colonnello in congedo; Pietro Bianchi, avvocato milanese; Guido Pasquinucci, medico milanese; Aldo De Napoli, in rappresentanza degli ‘Arditi paracadutisti’ e dirigente della società Alden, ‘organismo internazionale’ per l’assistenza commerciale; Giuseppe Biagi, ammiraglio della riserva. Scopo della Lega, secondo Degli Occhi, era quello di “vedere se di fronte alla sconcertante avanzata socialcomunista e all’evidente crisi nazionale ‘uomini di buona volontà’, ‘onesti’, come li chiama Cicerone, potessero opporsi con i mezzi della democrazia al Catilina socialcomunista”. |
7-9 novembre 1969 | A Roma, si svolge una manifestazione internazionale ‘per l’Europa nazione’ promossa dal Msi e da ‘Convergenza occidentale’ alla quale partecipano portoghesi, greci, svizzeri, spagnoli, francesi, svedesi e numerosi esponenti dei paesi dell’Est. Presente anche Luis Manuel Ferandez e Jaime Nogueira di Convergenza occidentale. |
8 novembre 1969 | A Roma, insieme ai connazionali Komes Telemaque, segretario amministrativo del movimento ‘4 agosto’ e Stathopoulos Spiridion, presidente della Lega studenti greci in Italia (Esesi), alloggia fino al 10 novembre, presso l’hotel Quattro fontane, Kostas Plevris. |
10 novembre 1969 | Il ministro della Difesa, Mario Tanassi, in un discorso a Roma pone l’alternativa: o il centrosinistra o lo scioglimento anticipato delle Camere. |
12 novembre 1969 | A questa data i rapporti del Viminale segnalano il progresso dei rapporti fra il Msi e il Fronte nazionale, dopo l’incontro, avvenuto in ottobre, fra Giorgio Almirante e Junio Valerio Borghese. |
13 novembre 1969 | A Roma, apre pubblicamente la sede del circolo ‘22 marzo’. |
14 novembre 1969 | Sul quotidiano “Il Secolo d’Italia”, organo del Msi, appare un comunicato con il quale si annuncia che il Centro Ordine nuovo “ha chiesto l’onore” di rientrare nel Msi. |
15 novembre 1969 | A Monza, il comandante del Distretto militare afferma, in un pubblico discorso alla presenza di altre autorità fra le quali il procuratore della repubblica, che “stante l’attuale situazione di disordine nelle fabbriche e nelle scuole, l’esercito ha il compiti di difendere le frontiere interne del Paese; l’esercito è l’unico baluardo ormai contro il disordine e l’anarchia”. |
17 novembre 1969 | Il quotidiano britannico “Economist” scrive che i circoli dirigenti della Confindustria esigono che il governo regolamenti il diritto di sciopero, e proibisca gli scioperi a carattere politico. |
17-19 novembre 1969 | A Roma, si svolge una manifestazione promossa dal Msi presente, fra gli altri, il portoghese Luis Manuel Fernandez, esponente di ‘Convergenza occidentale’. |
18 novembre 1969 | Il confidente Armando Mortilla, alias ‘Aristo’, informa il Viminale che “il segretario del Msi ha diffidato alcuni dirigenti giovanili che avevano proposto di organizzare per il prossimo periodo estivo alcuni ‘campi’ per attivisti. L’iniziativa era partita da Alberto Rossi, il dirigente nazionale dei ‘Volontari’ che nello scorso anno aveva portato a termine un’iniziativa del genere. Per come venne riferito a suo tempo, le attività che si svolgevano nel ‘campo’ erano di carattere paramilitare”. Nella stessa nota, ‘Aristo’ informa che “sembra che il tentativo dei missini di ‘catturare’ il Comandante Borghese sia fallito. Risulta infatti che, alcune settimane addietro, a Borghese era stata offerta la presidenza della Consulta dei combattenti. In precedenza, si erano avuti incontri tra esponenti delle due parti e tutto sembrava promettere un accordo, al punto che si era addivenuti alla formulazione di proposte per l’inclusione di elementi del Fn nelle liste elettorali missine per le prossime consultazioni. Non si sa per quali motivi l’accordo è fallito: certo è che Borghese ha rifiutato di assumere la presidenza della Consulta mandando all’aria tutti i progetti che avevano fatto a Palazzo Drago”. |
20 novembre 1969 | Il quotidiano “Il Secolo d’Italia”, organo del Msi, intitola l’articolo sulla morte dell’agente di Ps Antonio Annarumma: “Un morto che fa gridare basta”. |
21 novembre 1969 | Una nota confidenziale diretta all’ufficio Affari riservati, a firma ‘Gal’ (Galleni) riferisce che “l’amico massone ci ha fatto sapere che gruppi fascisti si agitano, hanno armi e ci invita alla vigilanza. Una decina di giorni fa due missini ascoltati per caso da un nostro compagno, dicevano che il 14-15 dicembre p.v. ci sarebbe stata una “grossa cosa nazionale”, che dovrebbe “creare nel paese un grosso fatto nuovo”. |
22 novembre 1969 | Una nota ‘da fonte qualificata’ informa il Viminale sull’incontro fra esponenti del Fronte nazionale (quali Giachi e Adami Rook) ed il console americano a Firenze. |
27 novembre 1969 | Il confidente Armando Mortilla, in una nota al Viminale, riferisce che la rottura delle trattative fra il comandante Borghese e Almirante sono dovute al rifiuto di procedere all’unificazione fra l’Unione combattenti della Rsi e la Federazione combattenti della Rsi in un unico organismo. |
28 novembre 1969 | La rivista “Acropolis” dedica un ammirato commento ai campeggi organizzati da Loris Facchinetti di ‘Europa civiltà’: “Ufficialmente viene definito un gruppo di esercitazioni sportive. Le autorità italiane, però, sospettano che si tratti di attività più seria. Nel clima generale di anarchia che regna in Italia questi giovani non sono disturbati da nessuno ed hanno tutto il tempo per prepararsi per il ‘grande giro’ che – bisogna ammetterlo – molti attendono in Italia”. |
30 novembre 1969 | Il settimanale “Il Borghese”, riferendosi alla rivolta degli agenti della Celere a Milano, il giorno della morte dell’agente Antonio Annarumma, scrive: “Se il 19 novembre gli ufficiali delle caserme di Milano avessero deciso di occupare la città, anziché schierarsi a difendere il loro generale contro i loro uomini, non avrebbero incontrato resistenza e sarebbero stati applauditi dalla popolazione”. |
30 novembre 1969 | A Reggio Calabria, mentre in piazza Italia è in corso un comizio di Giorgio Almirante vengono fatti esplodere 2 ordigni a breve distanza di pochi minuti l’uno dall’altro e, dopo alcune ore, un terzo dinanzi alla chiesa parrocchiale di San Bruno. Un testimone, Ugo Serranò, interrogato dalla polizia successivamente, racconterà di essere venuto a conoscenza “da persone di cui si rifiutava di indicare i nomi che anche gli attentati del 30 novembre erano stati programmati dalla ‘solita cricca’ e cioè dal Dominici, da certo Sembianza Benito, da Genoese Zerbi Felice e dallo Schirinzi Giuseppe”. |
novembre 1969 | La Federazione nazionale combattenti della Rsi distribuisce volantini in cui si invitano gli ex combattenti a “non farsi strumentalizzare per un colpo di Stato reazionario”. |
5 dicembre 1969 | Pino Rauti scrive a Carlo Maria Maggi per ribadire che il rientro di Ordine nuovo non significa lo scioglimento del gruppo che continua a vivere come movimento autonomo all’interno del partito. |
6 dicembre 1969 | Da questa data, secondo quanto pubblicato successivamente dal periodico “Il Borghese”, viene decretato all’interno del Pci lo stato di massima vigilanza con il controllo notturno e diurno delle federazioni e della sede centrale di via delle Botteghe oscure. |
6-7 dicembre 1969 | Il giornale “The Guardian” pubblica il famoso ‘rapporto greco’ inviato dal direttore del dicastero degli Esteri greco al proprio ambasciatore a Roma Kottakis nel maggio 1969, in cui si parla dei rapporti che intercorrono fra ambienti politici e militari italiani e greci per un possibile colpo di stato in Italia e si cita il ‘rappresentante non ufficiale’ della giunta militare, ‘signor P’. L’ “Observer” aggiunge altre rivelazioni su documenti segreti inviati ad Atene da un agente dei colonnelli in Italia, dove si afferma la responsabilità della destra negli attentati del 25 aprile. In Italia, la difesa degli anarchici chiede subito che il rapporto sia allegato agli atti processuali, ma il giudice Amati rifiuta. |
7-8 dicembre 1969 | A Reggio Calabria, militanti di Avanguardia nazionale (successivamente identificati nei viaggiatori greci Pardo e Schirinzi) compiono un attentato dinamitardo contro la Questura provocando il ferimento di un appuntato di Ps. |
8 dicembre 1969 | Un appello firmato dai giovani democristiani sollecita la espulsione della Grecia dal Consiglio d’Europa in occasione della prossima sessione. |
9 dicembre 1969 | Il segretario nazionale del Psu Mauro Ferri, in un’intervista al quotidiano “La Stampa” di Torino, dichiara che è ipotizzabile una collaborazione fra democristiani, socialdemocratici e liberali, nel caso si prospetti la “drammatica necessità di garantire la libertà come dopo la crisi del luglio ‘60″. |
9 dicembre 1969 | Una nota confidenziale del Viminale riferisce che effettivamente Randolfo Pacciardi si è incontrato col ministro degli Esteri greco Pipinelis, dietro sua richiesta, per ottenere finanziamenti per il suo movimento come già ottenuti dal governo del generale De Gaulle, anche se poi “ne fa uso del tutto personale, ed anche famigliare”. Sarebbe quindi effettivamente lui il ‘signor P’ di cui ha parlato il giornale britannico “The Guardian”. La nota riferisce anche che “il direttore nominale di Nuova repubblica, Giano Accame, molto vicino alla corrente politica del Borghese, ha fatto un viaggio ad Atene anche lui, evidentemente in stretto collegamento col suo principale Pacciardi. Al ritorno egli ha cercato di spiegare che i colonnelli non sono fascisti…”. Le informazioni sono state attinte da Camillo Romiti, amministratore di ‘Nuova repubblica’. |
10 dicembre 1969 | Il ministro degli Interni Franco Restivo conclude alla Camera il discorso sull’ordine pubblico iniziato il giorno precedente, affermando che la gran parte degli atti di violenza verificatisi in Italia sono imputabili all’ “estremismo anarcoide”. |
10 dicembre 1969 | La direzione nazionale del Pci condanna con un duro comunicato il comportamento “avventuristico” dei dirigenti socialdemocratici. |
10 dicembre 1969 | Giorgio Almirante, in una intervista rilasciata al giornale tedesco “Der Spiegel” afferma che, a suo avviso, la battaglia contro il comunismo giustifica tutti i mezzi e che è venuto il momento di non fare più distinzioni fra mezzi politici e militari per definire, una volta per sempre, la situazione in Italia. |
10 dicembre 1969 | Giovanni Ventura giunge a Roma, dove si reca nella sede della casa editrice Ennesse per incontrarsi con Antonio Massari. Incontrerà anche Guido Giannettini. |
10 dicembre 1969 | A Venezia, dopo aver accompagnato il fratello Giovanni all’aeroporto, Angelo Ventura al ritorno informa Franco Comacchio che “tra poco sarebbe avvenuto qualcosa di grosso: in particolare una marcia di fascisti a Roma e qualcosa sarebbe avvenuto nelle banche”. |
10 dicembre 1969 | A Padova, un giovane “di statura media, bruno, senza barba né baffi” acquista, tra le ore 18 e le 19, 4 borse modello 2131, prodotte dalla ditta ‘Mosbach & Gruber’ di Offenbach (Germania federale), presso la valigeria ‘Al Duomo’ di Padova: tre del modello 2131 City marrone e una del modello 2131 Peraso nera. |
10 dicembre 1969 | A Roma, l’avvocato Vittorio Ambrosini partecipa ad una riunione nella sede di Ordine nuovo, in via degli Scipioni, presente un deputato del Msi, dove si parla di andare a Milano “e buttare tutto all’aria”. |
11 dicembre 1969 | A Roma, Stefano Sestili, dirigente della casa editrice Lerici, annota nella sua agenda alla pagina del giorno: “Ore 19 ha telefonato Ventura. Arriva domani”. |
11 dicembre 1969 | A Roma, s’incontrano in tarda serata Mario Merlino e Stefano Delle Chiaie. |
11 dicembre 1969 | A Milano, fra le vetture contravvenzionate dai vigili urbani di Milano l’11-12 dicembre nei pressi della Banca dell’agricoltura, in piazza Diaz a circa 400 metri dalla banca, vi è la autovettura Fiat 1500 targata PD 121532 di Dario Zagolin, padovano, esponente del Msi e informatore dei servizi di sicurezza. Lo Zagolin “aveva fornito le notizie dell’incontro a Padova tra il Freda e il Delle Chiaie” (atti della 4° istruttoria sulla strage del 12 dicembre). |
11 dicembre 1969 | Il settimanale “Epoca” compare nelle edicole con una appariscente copertina tricolore. Il giornalista Pietro Zullino, legato al socialdemocratico Italo De Feo, scrive al suo interno che se non verrà raggiunto un accordo politico e si dovesse, pertanto, ricorrere ad elezioni anticipate e il loro responso non fosse accettato dalle sinistre, “le Forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana”. |
11 dicembre 1969 | Alla vigilia della sessione del Consiglio d’Europa a Parigi, si delineano gli schieramenti pro e contro la espulsione della Grecia: voteranno per la espulsione Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Islanda, Inghilterra e Rft; sono propense a concedere una proroga Francia, Austria, Svizzera, Malta; Belgio e Lussemburgo non hanno precisato le loro intenzioni. Per quanto riguarda l’Italia, il sottosegretario Coppo, al momento di lasciare Roma per Parigi, ha dichiarato “la delegazione italiana non può non tenere presente lo statuto del Consiglio d’Europa e il complesso dei fatti che purtroppo lo contraddicono”. |
12 dicembre 1969 | A Milano, alle ore 16,37 nel salone della Banca dell’agricoltura a piazza Fontana, esplode un ordigno che provoca la morte immediata di 13 persone e 90 feriti, 2 dei quali decedono in seguito. Muoiono: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Ennio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangallo, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè. Qualche minuto prima, un commesso della Banca commerciale, Rodolfo Borroni, aveva rinvenuto una borsa depositata in un passaggio contiguo all’ingresso dell’istituto bancario che, come si accerterà, conteneva una bomba. Questa viene fatta esplodere alle 21.12 alla presenza del procuratore della repubblica di Milano, Enrico De Peppo, del suo sostituto Pasquale Carcasio, del vice questore Vittoria, del perito balistico Teonesto Cerri. Il maresciallo Bizzarri, artificiere, dichiarerà successivamente alla stampa: “L’avrei disinnescata io ma nessuno me lo ha chiesto. È stato più pericoloso farla brillare che aprirla”. Fra i reperti raccolti dalla polizia alla Banca dell’agricoltura e successivamente alla Banca commerciale, non compare alcun ‘frammento vetroso’. Ancora in piazza Fontana, dove si era recato dopo la strage, in serata viene aggredito il senatore comunista Gianfranco Maris. |
12 dicembre 1969 | A Roma, alle ore 16,45 nella sede della Banca nazionale del lavoro esplode un ordigno che ferisce 14 persone. Alle 17,16, una seconda bomba deflagra sotto un pennone portabandiera all’Altare della patria. Alle 17,24 un terzo ordigno esplode, sempre all’Altare della patria, davanti all’ingresso del Museo del risorgimento, provocando 3 feriti. Intorno alla capitale, sono in atto movimenti di truppe corazzate. |
12 dicembre 1969 | Il presidente della repubblica, Giuseppe Saragat, convoca al Quirinale il ministro degli Interni Franco Restivo, il ministro della Difesa Luigi Gui, il generale comandante dell’Arma dei carabinieri, Luigi Forlenza, il capo della polizia Angelo Vicari ed altri rappresentanti dei ‘corpi separati’ per esaminare la possibilità di dichiarare lo stato di ‘pericolo pubblico’ in base agli articoli 214 e seguenti del testo unico di Pubblica sicurezza, che comporterebbe la temporanea sospensione delle garanzie costituzionali. |
12 dicembre 1969 | A Milano, presso la sede della direzione provinciale della Democrazia cristiana in via Nirone n.15, viene istituito un servizio d’ordine che ha la direttiva di non far entrare chiunque non sia conosciuto. Arnaldo Forlani, segretario nazionale del partito, chiama telefonicamente il segretario provinciale Camillo Ferrari e gli dice: “Occorre tenerci in continuo contatto telefonico, scambiarci notizie di mezz’ora in mezz’ora”. Nella riunione svoltasi nella sede provinciale, il senatore Giovanni Marcora dichiara: “Questi attentati avvengono in concomitanza con la richiesta di espulsione della Grecia dal Consiglio d’Europa. Avvengono dopo che un autorevole giornale inglese ha fatto cenno a possibili collusioni tra il regime dei colonnelli ed ambienti reazionari italiani e all’esistenza di più o meno fantomatici ‘mister P’. Per me – prosegue Marcora – questi attentati si collocano in una precisa logica: svuotare sul piano politico le conquiste sindacali ottenute dai lavoratori dopo mesi di lotta condotta con esemplare coscienza civica e democratica; portare la battaglia politica del nostro paese al clima soffocante di un regime autoritario”. |
12 dicembre 1969 | Partono da varie località militanti del Msi e di Ordine nuovo, diretti a Roma per partecipare alla manifestazione indetta per la data del 14 dicembre, che sarà preceduta da una riunione dei quadri il mattino del 13 dicembre. |
12 dicembre 1969 | A Roma, in via Nazionale, qualche ora dopo gli attentati, gli attivisti del Msi distribuiscono volantini sui quali compare l’invito alle “Forze armate a ristabilire l’ordine”. |
12 dicembre 1969 | A Roma, nel pomeriggio è previsto l’insediamento al Viminale di una commissione composta da 31 giuristi, di cui è segretario il questore Antonio Troisi, il cui compito ufficiale sarebbe stato quello di conciliare le norme di polizia sul diritto di riunione con la libertà garantita dalla Costituzione, in modo da ridurre la conflittualità nelle piazze. |
12 dicembre 1969 | A Roma, giunge Giovanni Ventura. |
12 dicembre 1969 | Angelo Ventura, fratello di Giovanni Ventura, si reca verso le ore 18.00 a casa di Ruggero Pan, a Rossano Veneto, e gli dice: “E’ successa una carneficina: però, non c’entra mio fratello”. |
12 dicembre 1969 | Si svolge la riunione del Consiglio dei ministri d’Europa: “La Grecia si ritira per evitare un voto sfavorevole che pregiudicherebbe anche la successiva scadenza in ambito Nato. Moro mantiene la posizione di condanna italiana e consiglia ai greci il ritiro spontaneo”. |
12 dicembre 1969 | A Berlino ovest, in serata vengono deposti 3 ordigni dinanzi al club della guarnigione militare americana, nell’Amerikahaus e nella sede della compagnia aerea israeliana El Al. Esplode solo il primo distruggendo una vettura, ma senza provocare vittime o feriti. |
13 dicembre 1969 | A Roma, è annullata la riunione dei quadri di Ordine nuovo, prevista nella sede nazionale di via degli Scipioni, preparatoria della manifestazione indetta dal Msi per il giorno successivo. |
13 dicembre 1969 | La stampa britannica spiega la strage di piazza Fontana, a Milano, come derivante da un progetto di “svolta autoritaria” in Italia e chiama in causa gli “agenti dei colonnelli greci”. Fa eccezione lo “Scotsman” di Edimburgo che, riportando voci raccolte negli ambienti politici milanesi, scrive che la strage è da porre in relazione alla manifestazione indetta dal Msi per il 14 dicembre a Roma come reazione ‘preventiva’ delle sinistre ad un tentativo di colpo di Stato preparato, a mo’ di innesco, da quella manifestazione. |
14 dicembre 1969 | Il ministro degli Interni vieta la manifestazione nazionale, indetta dal Msi a Roma, nella scontata previsione di gravissimi incidenti. |
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