È passato solo un mese dalla terribile esplosione che ha devastato non solo il porto di Beirut ma anche la zona est della città eppure già non se ne parla più. Eppure bisogna parlarne, perché è stata un’enorme tragedia, con conseguenze potenzialmente gravissime non solo per la nazione libanese ma per tutto il Medio Oriente.
Ricordiamo che a Beirut sono morte oltre 200 persone e ne sono rimaste ferite 7.000.
Quella che propongo qui è una ricostruzione basata su articoli usciti nello scorso mese di agosto, a ridosso della tragedia.
Innanzitutto una domanda: è stato un attentato o un incidente?
I commenti a caldo del presidente americano Donald Trump e del presidente libanese hanno dato credito alla prima ipotesi.
Ecco cosa ha detto Trump:
“Sembra un terribile attacco”. Quando un reporter gli ha chiesto di chiarire la sua affermazione, Trump ha detto: “è stata una bomba di qualche genere”. E ha aggiunto che i generali da lui consultati, “sembrano pensare che fosse un attacco”.
Da parte sua, il presidente libanese Michel Aoun ha detto che “un’indagine sull’esplosione di Beirut sta esplorando la possibilità che essa sia stata causata da un razzo o da una bomba”. Secondo costui, “c’è la possibilità di un’interferenza esterna mediante un razzo o una bomba o un altro atto”.
Mi sembra interessante riportare a questo proposito le considerazioni del noto analista geopolitico Thierry Meyssan, il quale, fin dal principio, non ha avuto dubbi: per lui, si tratta di un attentato e di un attentato compiuto da Israele.
“Israele distrugge Beirut Est con una nuova arma”, così ha intitolato il suo articolo, e ha aggiunto:
“Il Primo Ministro israeliano ha ordinato la distruzione di un deposito di armi di Hezbollah a Beirut con una nuova arma”. Secondo Meyssan, l’arma in questione è stata testata per sette mesi in Siria: si tratta di un missile con una componente nucleare tattica nella sua testata, “che provoca il caratteristico fungo delle armi nucleari. Ovviamente, non è una bomba atomica nel senso strategico”. Chiosa Meyssan:
“L’attacco è stato effettuato nell’ubicazione esatta indicata da Benjamin Netanyahu nel suo discorso alle Nazioni Unite tenuto il 27 settembre 2018”.
Israele ha immediatamente attivato le sue reti sui media internazionali accreditando l’idea dell’esplosione accidentale di un deposito di fertilizzanti ma, sottolinea Meyssan, la forma dell’esplosione è incompatibile con la tesi dell’esplosione di un fertilizzante.
Anche il sito Veterans Today ha espresso una valutazione analoga: il porto di Beirut è stato bombardato con una bomba nucleare tattica in miniatura.
“La prima esplosione è stata provocata da un missile israeliano antinave Gabriel. La seconda esplosione è stata provocata da un missile israeliano Delilah sganciato da un F16”.
Naturalmente, i media mainstream, soprattutto americani, hanno bollato come “fake news” l’articolo di Veterans Today. Ma il sito di controinformazione è certo di quanto affermato: a Beirut sono esplose due bombe, la prima convenzionale e la seconda nucleare. E, a proposito di quest’ultima, ha fatto notare la sfera di plasma, tipica di un’esplosione nucleare, e il colore bianco, che indica temperature estremamente alte: nessuna esplosione convenzionale raggiunge temperature così alte.
Interessante anche quanto detto dalla fonte libanese citata nell’articolo:
“Vi è in atto una copertura governativa. La storia sul ‘nitrato nei container’ verrà dichiarata come la causa originale della massiccia seconda esplosione che ha provocato i danni maggiori. Questa diventerà la narrativa ufficiale sui media mainstream”.
E così è stato, anche a livello internazionale.
A questo punto, mi sembra utile dare la parola ai testimoni in loco: a quei libanesi che hanno visto e udito aerei sui cieli di Beirut poco prima del disastro, e le cui testimonianze sono state raccolte dal sito asiatimes.com.
Araz Bedros, residente nel quartiere Metn che si affaccia su Beirut, ha detto ad Asia Times che lei e suo marito sono stati attratti sul balcone dell’11 ° piano, lo scorso martedì 4 agosto, dal suono di un forte boato:
“Siamo corsi sul balcone e abbiamo visto due aerei neri che volavano. Ho urlato a mio marito che doveva trattarsi di Israele. E poi c’è stata la grande esplosione”.
Marwan Naaman stava lasciando il lavoro al Fashion Trust Arabia, il cui ufficio in Libano si trova proprio di fronte al porto. Stava per uscire dalla Sea Road per prendere l’autostrada verso Beirut est quando è avvenuta la prima esplosione: “mi sono voltato e ho sentito vrrrrr. Ricordo gli anni di guerra quando sentivamo un vrrrr…non come un aereo passeggeri che vola, ma molto più veloce. Ho sentito questo, poi ho sentito un BOOM”.
“Alla testimonianza di Naaman hanno fatto eco i residenti di Borj Hammoud, un quartiere operaio adiacente al porto che ospita principalmente armeni, rifugiati siriani e lavoratori migranti.
“Nelle riprese della telecamera di sicurezza catturate nel cuore di Borj Hammoud, si vedono due uomini lasciare i loro negozi per guardare il cielo. Un uomo sorride, puntando scherzosamente il dito verso l’alto, facendolo roteare e poi abbassandolo come per imitare un colpo previsto.
“In un attimo, il sorriso svanisce dal suo viso e si unisce al suo amico dall’altra parte della strada per guardare qualcosa in cielo. Pochi secondi dopo, avviene un’esplosione, che manda gli uomini all’indietro e frantuma i vetri dei negozi dell’intera strada”.
Ecco cosa ha detto il negoziante Nazareth Vandakardjian:
“Ho assolutamente sentito il suono di un aereo. All’inizio è arrivato il bang sonico, poi abbiamo sentito l’esplosione. Era anormale. Un’esplosione anormale. Ogni singola persona ha pensato che lo scoppio stesse colpendo l’edificio”.
Riad Mohammad Ali, un rifugiato siriano originario di Aleppo, ha detto di aver sentito la stessa cosa:
“Sono fuggito dalla guerra per venire qui. Il suono di un aereo? L’ho sentito di sicuro: prima dell’esplosione. L’ho sentito, e tutti l’hanno sentito”.
Vandakardjian interloquisce: “Non siamo passati per la guerra del 2006? Conosciamo il bang sonico: è lo stesso suono”.
E poi c’è la testimonianza di un lavoratore portuale, che ha filmato il porto con il suo cellulare subito dopo le esplosioni:
“Siamo nel porto di Beirut e siamo stati colpiti…Un minuto fa, c’è stato un aereo che ha fatto due attacchi…questo, o un aereo ha fatto un attacco, e poi un altro è venuto e ha fatto un altro attacco. Siamo stati colpiti. Non so cosa sta succedendo”.
Come abbiamo detto in precedenza, le autorità libanesi (a parte la predetta dichiarazione del presidente Aoun) hanno coperto da subito le vere responsabilità della tragedia. In che modo? Collegando le esplosioni alle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate da sei anni nei depositi del porto senza le dovute misure di sicurezza.
In sostanza, si sarebbe trattato di uno (spaventoso) incidente e non di un attentato.
L’intelligence israeliana ha prontamente colto l’occasione fornita da questa versione per intraprendere una campagna propagandistica sui media occidentali suggerendo che la colpa della catastrofe di Beirut vada attribuita a Hezbollah.
Come scrive il giornalista d’inchiesta Gareth Porter sul sito thegrayzone.com, “le autorità israeliane hanno sfruttato la massiccia esplosione nel porto di Beirut per riaccendere una latente compagna propagandistica che aveva accusato la milizia libanese e il partito politico di Hezbollah di aver immagazzinato nitrato di ammonio in diversi paesi per intraprendere attacchi terroristici contro Israele”.
Secondo il quotidiano ebraico Yedioth Ahronoth, Hezbollah avrebbe accumulato il nitrato di ammonio a Londra, a Cipro e in Tailandia. Non basta: secondo il Mossad, Hezbollah avrebbe immagazzinato nitrato di ammonio persino in Germania. Tutto ciò, con lo scopo di intraprendere attacchi terroristici contro Israele su scala globale.
Ma, come dimostra Porter, le prove di questo complotto si sono rivelate inconsistenti. I governi inglese e tedesco, pur mettendo al bando Hezbollah, non hanno trovato nessun riscontro alle presunte attività terroristiche condotte dalla milizia libanese sui propri rispettivi territori.
Conclude Porter:
“Sperando di cogliere l’esplosione di Beirut come una storica opportunità propagandistica, il governo israeliano crede chiaramente di poter forgiare una nuova e più potente narrativa unendo insieme false affermazioni relative a questi episodi. L’obiettivo di Israele è costringere Hezbollah a lasciare il governo libanese coinvolgendolo nella calamitosa esplosione. Finora, i media mainstream occidentali sembrano inclini ad accettare le inconsistenti affermazioni israeliane in base all’apparenza. Il giorno dopo l’esplosione di Beirut, il Washington Post riferiva che Hezbollah ‘ha da lungo tempo mostrato interesse ad acquisire nitrato di ammonio per utilizzarlo in una varietà di complotti terroristici’”.
Ma il governo israeliano non si è limitato a diffondere false informazioni sulle cause della tragedia: ha anche annunciato di offrire al Libano aiuto umanitario attraverso canali diplomatici: come ha scritto la blogger Tamara Nassar, “Israele sta sfruttando la tragedia per cancellare i suoi crimini contro il Libano, distogliere l’attenzione dall’occupazione militare e lucidare la propria immagine: una strategia propagandistica chiamata bluewashing”.
Peraltro, questa sfacciata ipocrisia non è sfuggita ad alcuni utenti di Twitter, che hanno postato famigerate immagini scattate durante l’invasione del Libano da parte di Israele nel 2006, immagini che mostrano ragazzi israeliani che scrivono messaggi sulle bombe che l’esercito di Tel Aviv si apprestava a scagliare sul Libano.
I media mainstream occidentali non nominano mai i crimini di guerra israeliani. E allora cerchiamo nel nostro piccolo di infrangere questo tabù informativo ricordando cosa fece Israele in Libano nel 2006: all’epoca, Israele sganciò sul paese dei cedri più di un milione di bombe a grappolo. “Quello che abbiamo fatto è stato pazzesco e mostruoso: abbiamo coperto intere città con le bombe a grappolo”, disse un ufficiale dell’esercito israeliano al quotidiano Haaretz di Tel Aviv.
Nel corso di quella guerra, Israele sganciò circa 7.000 bombe e missili, e bombardò tutte le zone del Libano con l’artiglieria sia terrestre che navale. Rimasero uccise più di 1.100 persone e circa 4.400 rimasero ferite, delle quali la grande maggioranza era costituita da civili. Aggiunge Nassar:
“Un’indagine di Human Rights Watch ha completamente smentito le affermazioni di Israele secondo cui l’orribile bilancio era il risultato di ‘danni collaterali’ perché i combattenti di Hezbollah si nascondevano tra i civili o li usavano come ‘scudi umani’. Human Rights Watch ha concluso che Israele ha preso di mira indiscriminatamente aree civili – una strategia nota come ‘Dottrina Dahiya’, dal nome del sobborgo meridionale di Beirut che Israele ha deliberatamente distrutto”.
Ma Israele non è il solo protagonista a soffiare sul fuoco della tragedia libanese: ci sono anche gli Stati Uniti.
Il 10 giugno scorso, il Republican Study Committee (un think-tank espressione della destra del Partito Repubblicano americano) aveva diffuso un rapporto che auspicava una campagna di “massima pressione” contro il Libano.
Che cosa c’è scritto in questo rapporto? Lo rivela il sito del Carnegie Middle East Center.
Tale rapporto chiede, innanzitutto, che cessi l’assistenza alla sicurezza dell’esercito libanese. Inoltre, a causa di ciò che esso definisce come il “controllo di Hezbollah sul Libano”, il Congresso degli Stati Uniti dovrebbe approvare una legge che “proibisca al denaro dei contribuenti [versato al Fondo Monetario Internazionale] di essere impiegato per un salvataggio del Libano”, salvataggio che “premierebbe solo Hezbollah in un momento in cui i manifestanti in Libano chiedono la fine della corruzione e si oppongono al governo di Hezbollah”.
La seconda raccomandazione del rapporto è che gli Stati Uniti dovrebbero sottoporre a sanzioni gli alleati di Hezbollah in Libano. Il rapporto fa i nomi del genero del Presidente Michel Aoun, Gebran Bassil, e dello Speaker del Parlamento Nabih Berri, come due persone che dovrebbero essere prese di mira.
Osserva a questo proposito il Carnegie Middle East Center:
“Impedire un salvataggio da parte del Fondo Monetario Internazionale condurrebbe solo alla distruzione economica e sociale del Libano poiché il paese potrebbe presto esaurire la valuta forte per importare beni di prima necessità come cibo, medicine e carburante”.
Le cose poi potranno solo peggiorare a causa dell’attuazione da parte di Washington del Caesar Act, la legge che impone sanzioni contro il regime di Damasco e con coloro che hanno rapporti con esso, una misura che chiuderà la valvola di sicurezza che aveva finora permesso al Libano di condurre transazioni con la Siria.
Tutto ciò porterebbe il Libano a sperimentare una situazione analoga a quella in cui si trova il Venezuela.
Quelle del Republican Study Committee non sono solo parole. È sempre il sito The Grayzone a informarci che “il Wall Street Journal riferiva il 12 agosto che il governo americano si stava preparando a imporre nuove sanzioni ‘contro eminenti politici e uomini d’affari libanesi in uno sforzo per indebolire l’influenza di Hezbollah’”.
Sempre il Wall Street Journal notava che l’esplosione “ha accelerato gli sforzi di Washington per mettere sulla lista nera i leader libanesi allineati con Hezbollah”. Esso ha aggiunto che i funzionari statunitensi vedono il caos post-esplosione come “un’opportunità per creare un cuneo tra Hezbollah e i suoi alleati come parte di uno sforzo più ampio per contenere la forza sciita sostenuta da Teheran”.
I massimi esponenti governativi statunitensi vogliono sottoporre il Libano a un “giro di vite”, ha riferito il Wall Street Journal.
Il medesimo giornale ha riportato il parere di un anonimo funzionario che ha osservato: “Non vedo come si possa reagire a questo tipo di evento con qualcosa di diverso dalla massima pressione” – un riferimento alla campagna di “massima pressione” dell’amministrazione Trump per realizzare un cambio di regime in Iran.
Bastonare il cane che affoga: è questa l’etica che guida gli americani, compresa l’amministrazione Trump. L’obbiettivo di quest’ultima per il Libano è un “governo tecnocratico” che si sbarazzi di Hezbollah. Questa richiesta conferma le risultanze di un articolo pubblicato l’anno scorso sempre su The Grayzone, scritto dalla giornalista Rania Khalek, che dettagliava come le organizzazioni non governative appoggiate da Washington in Libano stessero sfruttando le proteste contro la corruzione per rimuovere Hezbollah dalla coalizione di governo e installare un governo di tecnocrati, allineato agli Stati Uniti e al Fondo Monetario Internazionale.
Detto questo, torniamo all’analisi di Thierry Meyssan. L’informatissimo analista ci ragguaglia del fatto che, subito dopo l’esplosione (o meglio: le due esplosioni), i partiti politici libanesi hanno raggiunto un accordo finalizzato a non dire nulla sulle vere cause della catastrofe “per non demoralizzare la popolazione”. È stata aperta un’indagine ma non sulla causa dell’esplosione, bensì sulla responsabilità dei portuali riguardo all’immagazzinamento del fertilizzante presuntivamente responsabile del disastro.
Una scelta, quella dei politici libanesi, che richiama per analogia quella compiuta 40 anni fa dal governo italiano per coprire le massime responsabilità riguardanti le stragi di Ustica e Bologna (come si può desumere dalla lettura dell’ultimo libro di Paolo Cucchiarelli dedicato a queste due stragi).
Un articolo apparso su Global Research lo scorso 3 settembre sostiene che “mentre l’indagine procede a rilento, potremmo non sapere mai cosa esattamente è avvenuto il 4 agosto al porto”.
Per come l’indagine libanese è stata indirizzata, non ci sarebbe da meravigliarsene. Rimane il fatto che gli Stati Uniti e Israele sono i maggiori violatori di diritti umani dell’intero pianeta.
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