GLI INGLESI VOLEVANO UN COLPO DI STATO MILITARE IN ITALIA NEL 1976[1]
Di Claudio Celani, 25 gennaio 2008
Carte recentemente desegretate in Inghilterra documentano che il Foreign Office prese in considerazione l’opzione di un colpo di stato militare in Italia nel 1976, per impedire un governo con la partecipazione del Partito Comunista (PCI). Alla fine, l’opzione del colpo di stato venne scartata, ma due anni dopo, l’architetto della partecipazione del PCI nel governo, l’ex Primo Ministro Aldo Moro, venne rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Questa potrebbe essere stata l’”ipotesi sostitutiva” da parte del Foreign Office, ha riferito lo storico Giuseppe De Lutiis all’autore di questo articolo.
Un breve antefatto: nei primi anni ’70, il leader democratico cristiano (DC) Moro aveva capito che la soluzione alla vulnerabilità dell’Italia alle interferenze esterne sulla sua sovranità nazionale risiedeva nel trasformare il PCI in un partito pienamente occidentale e democratico. Se questo fosse avvenuto, non vi sarebbero stati ostacoli a un normale trasferimento di poteri politici, come nelle altre democrazie occidentali, e non vi sarebbero stati pretesti per soggiogare l’Italia alle politiche imperiali anglo-americane con il pretesto dell’anticomunismo.
Moro sviluppò perciò la strategia delle “convergenze parallele”, ovvero la possibilità di associare il PCI alle responsabilità governative, insieme alla DC, in un gabinetto di “solidarietà nazionale”. Nel 1974, dopo il fallimento del governo del Fronte Popolare in Cile e il colpo di stato di Pinochet, il leader del, PCI Enrico Berlinguer aveva già proposto un’analoga strategia di alleanza con la DC, definendola il “Compromesso Storico”. Nel 1976, Berlinguer ruppe con Mosca affermando pubblicamente che il PCI avrebbe rispettato l’appartenenza dell’Italia alla NATO.
Lo scopo concomitante di Moro era di sconfiggere le forze di destra all’interno del proprio partito, quelle responsabili di aver bloccato il potenziale riformista dei governi di centro-sinistra che egli aveva promosso a partire dal 1962.
Nonostante l’evoluzione del PCI nella direzione fissata da Moro, Londra e le forze pro-britanniche presenti a Washington e nelle altre capitali europee, cospirarono per fermare la politica di Moro con tutti i mezzi, compreso un colpo di stato militare. Tutto ciò è ora documentato nelle carte, pubblicate dal quotidiano italiano La Repubblica, in un articolo di due pagine in data 13 gennaio, carte che sono state scoperte negli archivi di Londra dal ricercatore Mario J. Cereghino. L’articolo comprende lunghe citazioni da una relazione del Foreign Office, come pure da dispacci diplomatici da Roma e da Parigi, e minute di una riunione segreta delle “quattro potenze” sul caso italiano. Gli archivi confermano drammaticamente il ruolo esercitato da Londra nella destabilizzazione dell’Italia e nella eliminazione di Aldo Moro, che erano state denunciate dalla branca italiana dell’organizzazione di La-Rouche già negli anni 1976-78.
I dirigenti del Foreign Office emanarono un documento segreto datato 6 maggio 1976, intitolato “Italy and the communists: options for the West” [L’Italia e i comunisti: opzioni per l’Occidente]. Il titolo a p. 14 recita: “Azione a sostegno di un colpo di stato, o altre azioni sovversive”, e sotto si scrive che “Per sua natura, un colpo di stato può condurre a sviluppi imprevedibili. Nondimeno, teoricamente, potrebbe essere promosso. In un modo o nell’altro, potrebbe venire dalle forze di destra, con il sostegno dell’esercito e della polizia. Per una serie di ragioni, l’idea di un colpo di stato incruento e chirurgico, capace di rimuovere il PCI o di impedire il suo accesso al potere, potrebbe essere attraente. Ma è un’idea irrealistica”. Tali ragioni sono: la forza del PCI nel movimento sindacale, la possibilità di una guerra civile “lunga e sanguinosa”, l’intervento possibile dell’Unione Sovietica, e le reazioni dell’opinione pubblica occidentale. Perciò, l’opzione venne scartata.
Kissinger appoggiò il complotto inglese
Tuttavia, impedire che il PCI entrasse nel governo in Italia rimase un’alta priorità per le attività diplomatiche britanniche, appoggiata dal Dipartimento di Stato di Henry Kissinger e dalla NATO. Il 25 marzo 1976, il Ministero della Difesa britannico scrisse ai colleghi del Foreign Office che un governo italiano con il PCI sarebbe stato un evento “catastrofico”. L’ambasciatore inglese presso la NATO, John Killick, scrisse che “la presenza di ministri comunisti nel governo italiano condurrebbe ad un immediato problema di sicurezza all’interno dell’Alleanza…perciò, una netta amputazione è preferibile ad una paralisi interna”.
L’ambasciatore inglese a Roma, Sir Guy Millard, scrisse che una partecipazione del PCI al governo avrebbe significato “la rapida fine del sistema del libero mercato”. Millard era parimenti ostile a Aldo Moro: “Qualche volta, egli sembra piuttosto ambiguo sul Compromesso Storico”.
Millard riferì di suoi colloqui con un leader del Partito Repubblicano Italiano (PRI), Giovanni Spadolini, che era agitato perché, egli disse, “La decisione di Moro di consultare Berlinguer prima della riunione del Consiglio dei Ministri è un sintomo serio. Esso significa che i comunisti ora fanno parte della maggioranza”. Il PRI era un partito filo-britannico, ideologicamente basato sulla versione di Giuseppe Mazzini del fascismo liberale, i cui membri includevano molti massoni e banchieri.
A Londra, Henry Kissinger ammonì, nel corso di un incontro con il nuovo Ministro degli Esteri inglese Antony Crosland, che per l’Occidente, il riformatore Berlinguer è “più pericoloso del [leninista] portoghese [Álvaro] Cunhal”.
Il 13 aprile, un gruppo di specialisti del Dipartimento Europeo occidentale del Foreign Office emanò un dossier il cui scopo era quello di definire una strategia operativa anti-comunista. La prima parte è dedicata a discutere opzioni per impedire al PCI di entrare al governo; la seconda parte discute come rimuovere il PCI dal potere. Vengono esaminati cinque scenari, dal più morbido “affari come al solito” alla “persuasione economica”, incluse pressioni dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. L’opzione numero quattro è intitolata: “Intervento sovversivo o militare contro il PCI” e afferma: “Questa opzione copre una serie di possibilità: da operazioni di basso profilo al sostegno attivo di forze democratiche (finanziariamente o in altro modo) con lo scopo di dirigere un intervento a sostegno di un colpo di stato incoraggiato dall’esterno”. Vengono valutati i pro e i contro e, di nuovo, l’opzione è scartata. La quinta opzione è: “espellere l’Italia dalla NATO”. Questa sarebbe parimenti una débâcle per l’Occidente, conclude il dossier.
I leader italiani umiliati
Il 27 giugno 1976, al summit economico del G-7 a Portorico, i leader governativi italiani Aldo Moro e Mariano Rumor vennero esclusi da un incontro a porte chiuse a cui presero parte il Presidente americano Gerald Ford, il Primo Ministro inglese James Callaghan, il Cancelliere tedesco Helmut Schmidt, e il Presidente francese Valéry Giscard d’Estaing. In una scena umiliante, Moro e Rumor vennero bloccati all’ingresso del Dorado Beech Hotel dalle guardie della sicurezza. Gli altri quattro capi di governo decisero di organizzare una seconda, secreta, riunione a Parigi l’8 luglio 1976, con Helmut Sonnenfeldt per il Dipartimento di Stato americano, Yves Carnac per il governo francese, Gunther Van Well per il Ministero degli Esteri di Bonn, e Reginald Hibbert per il Foreign Office. In quella sede, costoro discussero le strategie per l’Italia.
L’autore dell’articolo di Repubblica, il giornalista Filippo Ceccarelli, osserva che da nessuna parte nei documenti del Foreign Office il fenomeno del terrorismo in Italia venne discusso. Tuttavia, nel giugno del 1976, le Brigate Rosse uccisero la loro prima vittima, il giudice Francesco Coco. “Mai, nei documenti inglesi, c’è un riferimento al terrorismo di sinistra e di destra di quella ‘stagione di piombo’”.
Dei quattro funzionari inglesi nominati nei documenti del Foreign office, tre di loro, Hibbert, Campbell, e Killick, erano membri di SOE, il servizio segreto inglese durante la seconda guerra mondiale. Il quarto, Sir Guy Millard, è oggi novantenne. Egli prestò servizio come segretario personale del Primo Ministro inglese Anthony Eden durante la crisi di Suez del 1956, e prese parte agli incontri segreti con i rappresentanti del governo francese che contribuirono a pianificare la guerra di Suez. Gli venne detto da Eden di non prendere nessun appunto sugli incontri. Dopo che la guerra fallì, a causa dell’opposizione americana, Eden rassegnò le dimissioni e Millard iniziò la carriera diplomatica. Egli è attualmente un sostenitore della setta chiamata Fondo della “Venezia in Pericolo”, altrimenti nota come il Comitato Britannico per Salvare Venezia, il cui presidente è il Visconte di Norwick.
Lo scrittore Giovanni Fasanella, che ha denunciato il nesso britannico nell’assassinio di Moro nel suo libro Il misterioso intermediario, ha sollevato una serie di domande sul suo blog il 14 gennaio:
“che cosa autorizzava il governo inglese a intervenire così pesantemente nelle vicende interne italiane?”
“c’era in Italia un “partito inglese” che assecondava gli interessi britannici?”
“l’intelligence britannica aveva legami con ambienti dell’eversione italiana?”
“scartato il golpe di destra, siamo sicuri che l’obiettivo non sia stato perseguito e raggiunto in un altro modo?”
Naturalmente, queste sono domande retoriche, che suggeriscono esse stesse la giusta risposta.
Per quanto riguarda il “Partito Inglese”, la risposta viene dallo stesso ambasciatore Campbell. Campbell una volta disse, secondo un necrologio pubblicato sul quotidiano londinese Telegraph il 10 settembre 2007, che di tutti i ministri italiani che egli aveva incontrato, egli trovò Cossiga “uno dei pochi politici italiani di vertice con una conoscenza profonda della civiltà e della cultura inglese”.
Cossiga, Ministro dell’Interno durante il rapimento e l’assassinio di Moro, e in seguito Primo Ministro e [poi] Presidente della Repubblica, è stato in effetti il leader del “Partito Inglese”, almeno a livello politico. Nessuna sorpresa quindi, che l’anziano Cossiga abbia reagito alle rivelazioni sul colpo di stato sminuendole. Egli ha scritto una lettera al quotidiano Corriere della Sera (il cui direttore Paolo Mieli è il figlio di un agente in divisa del SOE durante la seconda guerra mondiale), che è stata pubblicata con una risposta dell’ex ambasciatore Sergio Romano, un altro anglofilo, il cui commento è stato che sì, le prove mostrano che gli inglesi presero in considerazione un colpo di stato in Italia, ma essi scartarono l’opzione, e questo dimostra che essi sono democratici!
Purtroppo, le cerchie italiane della politica non hanno reagito, finora, alle rivelazioni provenienti da Londra. Tutto ciò è tanto più deplorevole, non solo perché quest’anno segna il 30° anniversario della morte di Moro, ma perché il “Partito Inglese” è attivo come sempre, nell’alimentare una rivoluzione fascista che guadagna quotidianamente terreno, con lo scopo ultimo di rovesciare il sistema costituzionale.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://larouchepub.com/eiw/public/2008/eirv35n04-20080125/eirv35n04-20080125_034-brits_wanted_military_coup_in_it.pdf?fbclid=IwAR13M-6ndobaQMZsQnT2DQToks43UTkk7t7aIeCdOnItXkul5Gmgd2OTvyg
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