Menzogne e offuscamenti sulla direttiva di Himmler su Sobibor
Di Thomas Kues, 2011
Heinrich Himmler
Peter Black è un Senior Historian al United States Holocaust Memorial Museum che ha ricevuto il suo dottorato di ricerca dalla Columbia University nel 1981. Egli è anche l’ex storico capo dell’Office of Special Investigations del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d’America, un’istituzione dedita alla “caccia ai nazisti”.
In un lungo articolo intitolato “Foot Soldiers of the Final Solution: The Trawniki Training Camp and Operation Reinhard” (“Soldati di fanteria della Soluzione Finale: il campo di addestramento di Trawniki e l’Operazione Reinhard”), pubblicato nella prestigiosa rivista sterminazionista Holocaust and Genocide Studies, Black si esprime nel modo seguente riguardo al “campo di sterminio” di Sobibor[1]:
“Himmler aveva inteso convertirlo [Sobibor] in un campo di concentramento al servizio di una fabbrica che riciclava munizioni catturate; Pohl e Globocnik lo convinsero invece a fare di Sobibor un ‘campo di transito’ (Durchgangslager)”.
Come fonte Black presenta[2]:
“Sui piani per una fabbrica che riciclasse munizioni, vedi l’ordine circolare del Reichsführer-SS [siglato R. Brandt], 5 luglio 1943; Capo del WVHA [firmato Pohl] al Reichsführer-SS, 10 luglio 1943; e Reichsführer/staff personale [siglato Brandt] a Pohl, 24 luglio 1943, NARA, RG 238, NO-482”.
Tuttavia, se esaminiamo il documento di Norimberga NO-482 a cui si riferisce il venerabile “senior historian” del USHMM troviamo che la parte cruciale della direttiva di Himmler del 5 luglio 1943 recita quanto segue:
“Das Durchgangslager Sobibor im Distrikt Lublin ist in ein Konzentrationslager umzuwandeln. In dem Konzentrationslager ist eine Entlaborierungsanstalt für Beutemunition einzurichten.”
Traduzione:
“Il campo di transito di Sobibor, ubicato nel distretto di Lublino, deve essere convertito in un campo di concentramento. Nel campo di concentramento deve essere costituita un’unità di smantellamento per munizioni catturate al nemico”.
E nella replica di Pohl del 15 luglio 1943 (non del 10 luglio come asserito da Black) leggiamo:
“Gemäß Ihrer obigen Anordnung soll das Durchgangslager Sobibór im Distrikt Lublin in ein Konzentrationslager umgewandelt zu werden.
Ich habe mich mit SS-Gruppenführer Globocnik darüber unterhalten. Wir beide schlagen Ihnen vor, die Umwandlung in ein Konzentrationslager aufzugeben, weil der von Ihnen erstrebte Zweck, nämlich: in Sobibór eine Entlaborierungsanstalt für Beutemunition einzurichten, auch ohne diese Umwandlung erreicht wird.”
Traduzione:
“Secondo le sue predette istruzioni, il campo di transito di Sobibor nel distretto di Lublino deve essere convertito in un campo di concentramento. Io ho discusso di questo con il SS-Gruppenführer Globocnik. Entrambi proponiamo di abbandonare questa conversione, poiché lo scopo previsto, cioè costituire a Sobibor un’installazione per disinnescare le munizioni del nemico, può essere realizzato senza realizzare una tale conversione”.
Poi, il 24 luglio 1943, l’assistente personale di Himmler, Rudolf Brandt, replicò in risposta[3]:
“Der Reichsführer-SS ist mit dem Vorschlag, den Sie und SS-Gruppenführer Globocnik hinsichtlich der Belassung des Durchgangslager Sobibór im Distrikt Lublin in dem augenblicklichen Zustand gemacht haben, einverstanden, nachdem der vom ihm gewünschte Zweck auf diese Weise erreicht wird”.
Traduzione:
“Il Reichsführer SS concorda con la proposta [fatta] da lei e dal SS-Gruppenführer Globocnik concernente il mantenimento del campo di transito di Sobibor nel distretto di Lublino nel suo stato attuale, poiché l’obbiettivo desiderato può essere conseguito in questa maniera”.
Riassumendo: il 5 luglio 1943 ordinò che il “campo di transito di Sobibor” dovesse essere convertito in un campo di concentramento munito di una unità di smantellamento delle munizioni catturate al nemico. Il 15 luglio, Pohl a nome suo e di Globocnik scrisse a Himmler, raccomandando che la predetta conversione venisse abbandonata, poiché l’installazione della unità di smantellamento avrebbe potuto essere realizzata senza di essa. Infine il 24 luglio Brandt scrisse e confermò che Himmler concordava con la proposta.
È chiaro come il giorno anche da un sguardo superficiale a queste lettere che Pohl e Globocnik non “convinsero” Himmler “a fare di Sobibor un ‘campo di transito’”. In realtà era il contrario: il campo era designato come campo di transito (Durchgangslager) nel momento in cui Himmler scrisse la sua direttiva. Tutto ciò lascia solo due possibilità: o Black non ha letto la fonte che cita, il che sembra totalmente improbabile considerando che è solo uno di una manciata di documenti sopravvissuti pertinenti a un ambito di studi che egli conosce bene, vale a dire l’Aktion Reinhardt, oppure egli distorce deliberatamente i veri contenuti del documento. In questo egli non sarebbe il solo, poiché diversi storici sterminazionisti hanno pubblicato affermazioni false o ingannevoli sul documento NO-482. Per fornire solo due esempi: nel suo articolo su Sobibor per l’Encyclopedia of the Holocaust Yitzhak Arad scrive che “il 5 luglio 1943, Himmler ordinò che Sobibor venisse chiuso come campo di sterminio e trasformato in un campo di concentramento”[4].
Raul Hilberg scrive nella sua opera standard The Destruction of the European Jews che[5]
“Sobibór venne chiamato in modo appropriato un Durchgangslager (campo di transito). Poiché era ubicato vicino al [fiume] Bug, sul confine dei territori orientali occupati, la denominazione rispondeva al mito della ‘migrazione orientale’. Quando Himmler propose un giorno che il campo venisse designato come Konzentrationslager, Pohl si oppose al cambiamento”.
Ma, come abbiamo visto, Himmler non propose “di designare questo come un campo di concentramento” ma ordinò che il campo venisse “convertito in un campo di concentramento” – la differenza non è certo irrilevante!
Il blogger antirevisionista Roberto Muehlenkamp è ricorso al seguente argomento artificioso per provare che la designazione – da parte di Himmler, di Pohl e di Globocnik – di Sobibor quale campo di transito fosse quello che gli sterminazionisti chiamano Tarnsprache (linguaggio camuffato)[6]:
“Contrariamente a quello che a Kues piacerebbe credere e insiste nel sostenere, la detta direttiva e la relativa corrispondenza sono tutto tranne che la prova che Sobibór fu il ‘campo di transito’ che Himmler affermava che fosse […]. Seguendo i suggerimenti di Pohl e Globocnik, Himmler alla fine si convinse che il ‘campo di transito’ non doveva essere convertito in un campo di concentramento per installare lì una base per lavorare munizioni catturate al nemico, ovviamente perché esso aveva già una grande forza lavoro diretta e controllata in modo simile a quello che veniva praticato nei campi di concentramento. Poiché come semplice campo di transito non avrebbe richiesto una forza lavoro così grande, la corrispondenza di Himmler con i suoi subordinati mostra che Sobibór non fu quello che veniva affermato che fosse, e cioè non un campo di transito”.
In un altro articolo Muehlenkamp presenta il suo argomento nel suo pieno splendore[7]:
“Veramente il documento che T[homas]K[ues] presenta a sostegno della sua affermazione della ‘perfetta armonia’ nella sua nota a piè di pagina n°2 (‘in una lettera inviata a otto membri di alto rango dell’amministrazione SS, tra i quali il capo del SS-WVHA, Oswald Pohl, il 5 luglio 1943, Heinrich Himmler ordinò “Il campo di transito di Sobibor [Durchgangslager], ubicato nel distretto di Lublino, […] deve essere convertito in un campo di concentramento” (una trasformazione che alla fine non ebbe luogo); Documento di Norimberga NO-482’) smentisce piuttosto che sostenere la sua affermazione, se lo si esamina più da vicino. [Segue poi una traduzione in inglese delle lettere rilevanti del NO-482].
Perché, ci si chiede, Himmler propose che il campo di Sobibor venisse convertito in un campo di concentramento per installare lì una base per lavorare munizioni catturate al nemico? Ovviamente perché egli arguì che una tale base richiedeva una forza lavoro piuttosto grande e che radunare e controllare una forza lavoro così grande richiedeva il genere di organizzazione che caratterizzava i campi di concentramento diretti dall’Ufficio centrale economico e amministrativo delle SS.
Perché, d’altro canto, Globocnik e Pohl non considerarono necessario attuare una tale organizzazione? Ovviamente perché Sobibor aveva già una forza lavoro piuttosto grande, che poteva essere predisposta al compito di lavorare munizioni catturate al nemico, e questa forza lavoro era diretta e controllata in modo simile a quanto veniva praticato nei campi di concentramento.
In realtà il campo ospitava circa 700 detenuti all’epoca della rivolta del 14 ottobre 1943. Non c’era ragione per cui un semplice campo di transito, un luogo dove le persone venivano spidocchiate e lavate e poi rimesse sul treno per le loro destinazioni finali, dovesse richiedere una forza lavoro così grande, che non era molto più piccola di quella del Campo di Lavoro di Treblinka. Cosa stavano facendo tutte queste persone, gestite come in un campo di concentramento da una dozzina, o giù di lì, di uomini delle SS e da un centinaio, o giù di lì, di guardie ucraine, in un semplice campo di transito?
Per farla breve, il fatto che Globocnik, Pohl e alla fine anche Himmler considerassero Sobibor adatto per installare una base per la lavorazione delle munizioni senza nessuna trasformazione, mostra che Sobibor non era quello che veniva detto nei predetti documenti, e cioè non era un campo di transito”.
Per riassumere: poiché il campo di Sobibor ospitava circa 700 detenuti all’epoca della rivolta dei prigionieri il 14 ottobre 1943, non può ragionevolmente essere stato “un semplice campo di transito”, perché un tale campo non avrebbe richiesto una forza lavoro così grande. Quindi Sobibor non può essere stato un campo di transito. Questo presunto argomento non regge, per diverse ragioni.
Per cominciare, Muehlenkamp ha ignorato che l’unità di smantellamento richiesta da Himmler venne installata davvero a Sobibor, con una conseguente richiesta del lavoro necessario sia alla costruzione che alla cernita/smantellamento delle munizioni catturate. Il testimone ebreo di Sobibor Dov Freiberg scrive nelle sue memorie sugli eventi che ebbero luogo nell’agosto-settembre del 1943[8]:
“Vi fu un’altra ondata di costruzioni nel campo di Sobibor e di nuovo, treni carichi di materiale per costruzioni arrivarono. A differenza dell’ultima frenesia costruttiva, tuttavia, che era finalizzata ad accrescere la capacità della macchina della morte, ora venivano costruiti depositi per armi e munizioni, la maggior parte dei quali sottoterra. In questa fase venne eretto il Lager 4, che i tedeschi chiamavano il Nordlager – campo settentrionale – nell’angolo nordorientale del campo esistente, nell’area all’aperto tra la piattaforma ferroviaria e la foresta, ed esso continuava all’interno della foresta, vicino al Lazzaretto. Ufficiali di alto rango atterravano su aerei leggeri e perlustravano l’area con mappe e piani, mentre i nostri ufficiali SS venivano trascinati dietro di loro. L’installazione di un deposito di munizioni in un campo della morte non sembrava logica – era possibile che un partito straniero si insediasse in un campo diretto segretamente dalle SS? Sembrava probabile che i tedeschi si apprestassero a distruggere il campo della morte e lo trasformassero in una base per munizioni. Il lavoro veniva effettuato ad un ritmo veloce. Prima che i primi bunker venissero completati, i trasporti di munizioni erano già arrivati e vennero temporaneamente stoccati all’esterno, vicino ai bunker”.
Freiberg inoltre ci informa che all’incirca nella stessa epoca “circa un centinaio di giovani uomini forti vennero selezionati dal trasporto di Minsk [alla metà di settembre del 1943]”[9]. D’altro canto Jules Schelvis stima il numero dei lavoratori selezionati da questo trasporto a 80[10]. Questi uomini lavorarono principalmente con carpenteria e progetti di costruzione connessi con il nuovo “Lager IV”[11].
Un altro testimone ebreo di Sobibor, Thomas Blatt, menziona “le ragazze che ordinavano le munizioni catturate ai sovietici nel Lager IV”[12]. Secondo Jules Schelvis la cernita delle munizioni venne effettuata da “un nuovo commando formato da cinquanta donne e sessanta uomini”[13].
Messaggi radio intercettati confermano che le munizioni non usate [provenienti] dalla Russia occupata vennero consegnate per essere riciclate al “SS Durchgangslager Sobibor” alla fine dell’ottobre 1943 (e cioè dopo la rivolta dei prigionieri)[14].
Così sappiamo che più di cento detenuti vennero impiegati nel “Lager IV” nelle opere di costruzione e nella cernita e nello smantellamento delle munizioni catturate al nemico. Che dei prigionieri di guerra ebreo-sovietici vennero inviati a Sobibor nel settembre 1943 ha perfettamente senso in questo contesto, poiché essi conoscevano bene i tipi di munizioni utilizzate dall’Armata Rossa.
Mentre per quanto riguarda il numero totale dei detenuti di Sobibor abbiamo solo tre documenti che forniscono indicazioni:
- Un telex dal comandante della polizia di sicurezza del distretto di Lublino all’ufficiale di servizio a Cracovia il 15 ottobre 1943, in cui leggiamo: “Il 14.10.1943, alle ore 17 circa, rivolta degli ebrei nel campo delle SS di Sobibor, 40 chilometri a nord di Cholm. […]. Circa 300 ebrei sono fuggiti, i rimanenti vennero fucilati o si trovano ora nel campo”[15].
- Lo stesso giorno il SS-Gruppenführer e HSSPF [Höhere SS- und Polizeiführer] di Lublino Jakob Sporrenberg notificò al suo collega HSSPF di Luzk (Bielorussia) che “circa 700 ebrei” erano fuggiti dal “Lager Sobibor” e si pensava che avessero attraversato il fiume Bug[16].
- In un rapporto del SS-Untersturmführer Benda della Polizia di Sicurezza e SD [Sicherheitsdienst] a Cholm datato 17 marzo 1944 il numero dei detenuti fuggiti è di 300[17].
Poiché tutte le testimonianze che descrivono la rivolta concordano che il numero dei fuggiti era di circa 700 la conclusione logica è che 300 è la stima più attendibile di quanti detenuti fuggirono il 14 ottobre 1943. Sembra quindi ragionevole supporre che la cifra di 700 menzionata nel messaggio di Sporrenberg poteva corrispondere al numero totale degli ebrei nel campo, ma nondimeno questa è una mera congettura. Tuttavia, poiché la maggior parte delle testimonianze concordano inoltre che circa la metà della popolazione dei detenuti non partecipò alla fuga, assumerò come decisamente possibile che Sobibor avesse in effetti circa 6-700 detenuti all’epoca della rivolta. Il testimone ebreo Leon Felhendler dichiarò che la popolazione dei detenuti inizialmente ammontava a circa 100 e gradualmente aumentò a “circa 600”[18]. La cifra più alta menzionata da Felhendler potrebbe quindi essere aumentata fino a circa 700 nel settembre 1943 in connessione con la costruzione del Lager IV.
A cosa lavoravano quindi questi detenuti?
Come abbiamo visto, almeno 110 (forse fino a 190) prigionieri lavoravano nell’unità preposta allo smantellamento delle munizioni nel Lager IV.
Secondo Yitzhak Arad ognuno dei campi Reinhardt aveva i seguenti commando lavorativi di detenuti nelle parti del campo esterne al “campo della morte vero e proprio” (chiamato “Lager III” a Sobibor)[19]:
- Lavoratori della piattaforma (Bahnhofkommando); 40-50 prigionieri che lavoravano sulla piattaforma ferroviaria allo sbarco e allo scarico dei trasporti ferroviari.
- Lavoratori del piazzale del trasporto (Transportkommando); circa 40 prigionieri impegnati nelle attività svolte nel piazzale recintato dove gli ebrei arrivati si spogliavano:
- “Ebrei Oro” (Goldjuden); circa 20 persone il cui compito era di ricevere e cernere il denaro, l’oro, i preziosi, la valuta straniera, le obbligazioni presi agli ebrei arrivati.
- Tagliatori di capelli (Friseurs); 10-20 uomini che tagliavano i capelli alle donne arrivate prima che queste entrassero nel “campo della morte vero e proprio”.
- Squadra di cernita per i vestiti e gli averi (Lumpenkommando); 80-120 persone che lavoravano alla raccolta, all’esame, alla cernita, al raggruppamento, allo stoccaggio, alla preparazione per la spedizione e il carico degli abiti e degli oggetti confiscati agli arrivati.
- Squadra della foresta (Waldkommando); poche dozzine di prigionieri che lavoravano al taglio del legname per il riscaldamento e la cucina nel campo. Questa squadra venne accresciuta quando iniziarono le cremazioni e aumentò la richiesta di legna da ardere.
A parte i predetti commando lavorativi, Arad scrive:
“parte dei prigionieri vennero impiegati in altre attività. Gruppi di prigionieri vennero impegnati nella costruzione di baracche, nell’erezione di recinzioni con filo spinato, e nel pavimentare strade all’interno dei campi. Nell’autunno e nell’inverno venne costituita una speciale ‘squadra delle patate’. Le patate erano il cibo principale del campo, e poiché l’inverno si avvicinava, grandi quantità vennero portate nel campo. […]. Alcuni prigionieri lavoravano nell’orto, nel porcile, nel pollaio, nella stalla, e nei bagni del personale delle SS. Qualche prigioniero era impiegato nella pulizia e nella disinfezione delle baracche e dei gabinetti.
C’erano anche prigionieri che fornivano servizi personali diretti alle SS e agli ucraini. Costoro includevano dottori, un dentista, e diversi barbieri. Un piccolo gruppo di ragazzi era impiegato a lucidare e pulire le scarpe e le uniformi del personale SS. Questi ragazzi lavoravano all’interno e intorno alle baracche delle SS. Inoltre, c’erano gruppi di lavoratori specializzati, come sarti, calzolai, fabbri, meccanici, carpentieri, e altri, conosciuti come gli “ebrei di corte”, che continuarono ad estendere i servizi al personale delle SS e degli ucraini, come avevano fatto dalle prime fasi dell’attività del campo”[20].
A Sobibor esistette anche un gruppo di 15 prigioniere giovani che lavoravano a maglia utilizzando la lana prelevata dai bagagli degli arrivati[21]. C’erano anche almeno un Sanitäter (medico) che si occupava dei detenuti malati (Kurt Thomas alias Kurt Ticho)[22] e due ebrei che lavoravano nella cucina dei detenuti (Hershel e Josef Cuckierman)[23]. Lo storico ebreo Reuben Ainsztein afferma che due gruppi di detenuti di Sobibor lavoravano anche in una cava nelle vicinanze[24].
Nessuno contesta che i tedeschi confiscarono averi e preziosi agli ebrei che arrivavano nei campi Reinhardt, ed è probabilissimo che ai nuovi arrivati venissero tagliati i capelli, come parte del processo di spidocchiamento. Inoltre un gran numero di ebrei vennero senza dubbio cremati a Sobibor; deportati che erano morti durante il tragitto di arrivo al campo o che vennero sottoposti a “eutanasia” a causa di malattie mentali o fisiche, come pure detenuti che caddero vittime di malattie o che vennero uccisi – e così c’era bisogno di un Waldkommando. È anche lungi dal non essere credibile che il personale delle SS e le guardie impiegarono un certo numero di artigiani ebrei per le loro convenienze. Tutti i commando lavorativi sopra descritti sono perciò pienamente compatibili con Sobibor quale campo di transito.
Rimangono allora i detenuti ospitati nel separato “campo della morte vero e proprio”: il Lager III.
Le fonti divergono ampiamente su numero di questo gruppo di detenuti. Nella sua testimonianza al processo Eichmann Ya’acov Biskovitz disse che il loro numero era di 80. Thomas Blatt stima il loro numero a un mero gruppo di 30 uomini. Un altro testimone, Chaim Engel, afferma che “circa cinquanta, sessanta ebrei” lavoravano nel campo III. Arad d’altro canto stima il loro numero a 200-300[25]. Schelvis, riferendosi ad una sentenza giudiziaria del 1985, afferma che il numero totale dei detenuti nel Lager III alla metà di aprile del 1943 (quando un grande numero di convogli dall’Olanda arrivarono a Sobibor) ammontasse a circa 150 prigionieri[26]. Poiché in quest’epoca tutti i detenuti del Lager III vennero presuntivamente uccisi a causa del fallito tentativo di una fuga di massa, e poiché non vi sono sopravvissuti conosciuti tra i detenuti del Lager III, la stima presumibilmente deriva da testimonianze lasciate dal personale del campo.
Seguendo l’ipotesi del campo di transito i detenuti ebrei del Lager III avrebbero potuto essere impiegati in un certo numero di compiti: distribuire asciugamani e saponette, dare una mano nella procedura dello spidocchiamento, pulire e riparare docce e impianti di spidocchiamento, guidare i deportati da un posto all’altro nell’area dello spidocchiamento, prestare assistenza all’imbarco sui treni in partenza ecc. ecc. Le prove archeologiche mostrano che i deportati, contrariamente all’immagine stabilita, entravano nel Lager III almeno parzialmente vestiti, perché un gran numero di resti di vestiario e di articoli da toeletta sono stati trovati all’interno dei resti degli edifici scoperti in quella parte del campo[27], non ultimo nelle enormi baracche designate come “Oggetto E” da Andrzej Kola, che probabilmente ospitava l’impianto di spidocchiamento principale. Ulteriori scoperte archeologiche a Belzec e a Chelmno insieme alle dichiarazioni dei testimoni di Sobibor suggeriscono fortemente che cartellini numerati venivano utilizzati per registrare i deportati dell’Aktion Reinhardt (e di Chelmno) e/o i loro vestiti/effetti personali che dovevano essere sottoposti allo spidocchiamento[28]. Di conseguenza, i detenuti ebrei nel Lager III, avrebbero potuto parimenti lavorare alla distribuzione o all’attaccatura di tali cartellini, come pure alla gestione degli articoli di toeletta e altri oggetti portati dai deportati. Secondo Reuben Ainsztein venne installata una cucina in una fase successiva del Lager III[29]. Questo potrebbe essere stato fatto per fornire ai deportati in attesa di ulteriori trasporti un migliore nutrimento. I detenuti potrebbero aver lavorato alla preparazione e alla distribuzione di cibo e di acqua ai deportati.
Poi c’è il fatto indiscutibile che un gran numero di ebrei morirono a Sobibor. Questi ebrei perirono durante il percorso per vari motivi: morirono di malattia nel campo, vennero uccisi come rappresaglia per i tentativi di fuga, o furono sottoposti a “eutanasia” (probabilmente utilizzando iniezioni letali, forse anche mediante fucilazione) in quanto mentalmente malati o portatori di malattie epidemiche (categorie di ebrei che le autorità tedesche certamente non volevano venissero reinsediate all’est). Il numero totale delle morti a Sobibor potrebbe aver ammontato a circa 10.000[30]. La parte del Lager III dove queste vittime vennero seppellite e in seguito cremate fu molto probabilmente separata mediante alcuni accorgimenti rispetto al “lato pulito” con gli impianti di spidocchiamento. Senza dubbio un certo numero di detenuti furono coinvolti nella macabra attività della gestione e dello smaltimento dei cadaveri.
Per concludere: la presenza di 600-700 detenuti ebrei a Sobibor quadra perfettamente con l’ipotesi del campo di transito, perché c’era certamente lavoro a sufficienza per tutti loro da eseguire. L’”argomento” di Roberto Muehlenkamp riguardo alle lettere del documento NO-482 è perciò privo di ogni valore: il numero dei detenuti a Sobibor non getta nessun dubbio sulla designazione – da parte di Himmler, di Pohl e di Brandt – di Sobibor quale “campo di transito” (Durchgangslager). Il loro uso di tale designazione è pienamente coerente con lo stato delle prove, il che permette solo una conclusione: che Sobibor fu davvero un campo di transito. C’è una buona ragione per cui Black, Arad, Hilberg e Muehlenkamp si siano sentiti costretti a rispondere ai contenuti del documento NO-482 con menzogne e offuscamenti.
Prima di prendersi la briga di scrivere questa critica ineluttabilmente difettosa, il signor Muehlenkamp avrebbe dovuto inoltre tener presente un truismo ben noto a tutti i bene informati riguardo alla realtà socio-economica e tecnologica dell’antica Roma e dell’Egitto: quando la manodopera schiavista è disponibile in quantità (virtualmente) illimitata, l’utilizzo efficiente della detta manodopera non è una questione pressante.
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/lies-and-obfuscations-about-himmlers-sobibor/en/
[1] Peter Black, “Foot Soldiers of the Final Solution: The Trawniki Training Camp and Operation Reinhard”, Holocaust and Genocide Studies, vol. 25, no. 1 (Spring 2011), p. 41.
[2] Ivi, p. 96, nota 305.
[3] Citato da Jules Schelvis, Vernichtungslager Sobibór, Metropol Verlag, Berlin 1998, p. 174.
[4] Israel Gutman (ed.), Encyclopedia of the Holocaust, vol. 3-4, MacMillan, New York 1990, pp. 1376.
[5] Raul Hilberg, The Destruction of the European Jews, 3rd ed., Yale University Press, New Haven/London 2003, p. 1028.
[6] https://holocaustcontroversies.blogspot.com/2011/05/on-12052011-demjanjuk-was-sentenced-to.html
[7] https://holocaustcontroversies.blogspot.com/2010/06/evidence-for-presence-of-gassed-jews-in.html
[8] Dov Freiberg, To Survive Sobibor, Gefen Publishing House, Jerusalem 2007, p. 283.
[9] Ibidem.
[10] Jules Schelvis, Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, Berg, Oxford/New York 2007, p. 238.
[11] Ivi, p. 241.
[12] Thomas Toivi Blatt, From the Ashes of Sobibor. A Story of Survival, Northwestern University Press, Evanston (IL) 1997, p. 141.
[13] J. Schelvis, Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, op.cit., p. 147.
[14] PRO: HW 16/39 (ZIP/GPD 2041 DD-FF, message DD 14, transmitted 27 October 1943. Io qui cito il sommario del messaggio trovato in rete a http://www.deathcamps.org/reinhard/prodecodes.html . Secondo J. Schelvis, (Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, op.cit., p. 188, 196 n. 44), tuttavia, il messaggio si riferisce al mandare via le munizioni dal campo, un qualcosa che in effetti suona più logico.
[15] Contenuto nel documento NO-482, parimenti riprodotto in diversi libri, ad esempio in Thomas (Toivi) Blatt, Sobibór. The Forgotten Revolt, HEP, Issaquah 1998 (pagine non numerate in allegato).
[16] PRO: HW 16/38 (ZIP/GPD 1956 CC-HH, message DD 12, transmitted 15 October 1943 at 1115h. Riprodotto in rete: http://www.deathcamps.org/sobibor/pic/prodoc1.jpg
[17] NO-482 Riprodotto nelle appendici di Miriam Novitch, Sobibor. Martyrdom and Revolt. Documents and Testimonies, Holocaust Library, New York 1980. Anche in rete: http://www.holocaustresearchproject.org/ar/images/Sobibor%20%281%29.jpg
[18] J. Schelvis, Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, op.cit., p. 69.
[19] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington/Indianapolis 1987, pp. 108-110.
[20] Ivi, p. 110.
[21] Ivi, p. 114.
[22] J. Schelvis, Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, op.cit., pp. 86-87.
[23] Ivi, pp. 232-233.
[24] Reuben Ainsztein, Jewish Resistance in Nazi-Occupied Eastern Europe, Paul Elek, London 1974, p. 746.
[25] Jürgen Graf, Thomas Kues, Carlo Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, TBR Books, Washington DC 2010, p. 81, note 179.
[26] J. Schelvis, Sobibór. A History of a Nazi Death Camp, op.cit., p. 142.
[27] J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, op.cit., pp. 154-159.
[28] Ivi, pp. 100-101, 331-333.
[29] R. Ainsztein, Jewish Resistance in Nazi-Occupied Eastern Europe, op.cit., p. 746.
[30] J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór. Holocaust Propaganda and Reality, op.cit., pp. 168-170.
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