Demjanjuk condannato a 5 anni di prigione
Di Thomas Kues, 2011
Oggi, 12 maggio 2011, John Demjanjuk è stato condannato da un tribunale di Monaco a 5 anni di prigione[1] per aver collaborato alla presunta uccisione di 28.060 ebrei olandesi nel “campo di sterminio” di Sobibor nella Polonia orientale nel 1943 (il numero delle vittime nell’atto di accusa era stato fornito in precedenza come 27.900).
Questa condanna è una farsa per diverse ragioni, oltre alla ovvia – grottesca – assurdità di aver processato un novantunenne per un crimine presuntivamente commesso 68 anni prima.
Mi asterrò dal fornire un quadro dettagliato del caso, poiché questo è stato già fatto in altra sede[2].
Per cominciare, il solo elemento di prova documentaria per postulare la presenza di Demjanjuk a Sobibor è una carta d’identità (proveniente dal campo di addestramento delle SS di Trawniki) la cui autenticità è stata contestata da diversi esperti. Un mese fa, è riemerso un rapporto – a suo tempo secretato – dell’FBI del 1985 in cui si afferma che la carta di Trawniki venne “molto probabilmente contraffatta” dall’Unione Sovietica[3]. Questa rivelazione, tuttavia, alla fine non ha aiutato Demjanjuk. Le sole prove testimoniali esistenti consistono in alcune vaghe dichiarazioni di dubbio valore provenienti da ex ausiliari ucraini rese dietro la cortina di ferro. Nessuno dei detenuti sopravvissuti di Sobibor ha collocato Demjanjuk a Sobibor.
La pubblica accusa non è riuscita a collegare Demjanjuk a nessun crimine specifico di violenza. Piuttosto, il suo presunto crimine consiste nell’essere stato presente come una guardia di basso rango in un campo il cui unico scopo si ritiene fosse lo sterminio degli ebrei. Qualunque guardia che avesse trovato questa attività obbiettabile, questo è l’argomento della pubblica accusa, avrebbe potuto abbandonare il suo posto. Tuttavia, la mera presenza come guardia a Sobibor, o in qualcuno degli altri “campi di puro sterminio”, fino ad oggi non era stata considerata punibile. In realtà, al processo su Sobibor tenutosi a Hagen nel 1966, cinque degli undici accusati che avevano fatto parte del personale tedesco del campo vennero assolti, nonostante la loro ammessa presenza al campo. A quattro dei condannati vennero comminate condanne varianti dai 3 ai 4 anni di prigione. Ovviamente tutti questi uomini erano di rango più elevato rispetto a Demjanjuk.
C’è inoltre il fatto che Demjanjuk ha trascorso diversi anni in una prigione israeliana, incluso un periodo nel braccio della morte, ingiustamente accusato di essere stato la guardia “Ivan il Terribile” del campo di Treblinka. In realtà, Demjanjuk è stato continuamente braccato, vessato, imprigionato e perseguito a partire dal 1975, quando un calunniatore filo-sovietico chiamato Emil Hanusiak sollevò le prime accuse contro di lui.
Ma tutte le predette obiezioni vengono schiacciate dai seguenti duri fatti:
- Non esiste nessuna prova materiale o documentaria a sostegno della tesi ufficiale secondo cui Sobibor funse da “campo di puro sterminio” dove centinaia di migliaia di ebrei vennero gasati, sepolti e in seguito cremati su pire all’aperto. Le sole prove documentarie raccolte dagli inquirenti e dagli storici dell’Olocausto consistono in resoconti e in liste di trasporti che confermano che grandi numeri di ebrei vennero inviati al campo. I detti documenti non dicono nulla sul destino dei deportati ebrei successivo al loro arrivo a Sobibor. D’altro canto una direttiva emanata da Himmler il 5 luglio 1943, come pure una risposta di Oswald Pohl del 15 luglio 1943 (Documento di Norimberga NO 482) parlano del “campo di transito di Sobibor ubicato nel distretto di Lublino”. Il campo in realtà era ubicato molto vicino all’ex linea di demarcazione tedesco-sovietica, un’ubicazione assolutamente logica per un campo che serviva al trasferimento degli ebrei nei territori orientali occupati.
- Nel 2001 e nel 2008 due squadre di archeologi, la prima guidata dal professore polacco Andrzej Kola, la seconda dagli israeliani Isaac Gilead e Yoram Haimi e dal polacco Wojciech Mazurek, esaminarono l’intero Lager III, il “campo della morte vero e proprio” di Sobibor – corrispondente ad un’area di meno di 4 ettari – utilizzando trivellazioni come pure numerosi scavi, senza trovare nessuna traccia delle presunte camere a gas omicide del campo. Poiché è radicalmente impossibile, dati l’area limitata e il tempo disponibile, che queste squadre ben attrezzate di specialisti non sarebbero riuscite a localizzare nessun resto o traccia, per quanto tenui, dei grandi edifici di cemento o di mattoni descritti dai sedicenti testimoni oculari, solo una conclusione è possibile: le presunte camere a gas omicide non sono mai esistite. D’altro canto, Andrzej Kola ha scoperto nel Lager III un’enorme baracca di legno piena di resti di vestiti e di articoli da toeletta, come pure un edificio più piccolo con un magazzino di coke e resti di un forno – forse un forno utilizzato per spidocchiare con aria calda o vapore. Secondo la versione ufficiale nessuna di queste strutture sarebbe dovuta esistere[4]. Insieme alla non esistenza dell’edificio di gasazione di Sobibor la loro scoperta rafforza considerevolmente la tesi revisionista, e cioè che Sobibor (come pure Belzec e Treblinka) funse come campo di transito dove i deportati ebrei arrivati venivano sottoposti a doccia e spidocchiamento prima di essere inviati più lontano all’est.
- Secondo la storiografia ortodossa non un solo ebreo olandese venne mai deportato più a est della Polonia. Tuttavia, il 16 aprile 1943 – nella stessa epoca in cui Demjanjuk presuntivamente collaborava allo sterminio degli ebrei a Sobibor – l’ebreo di Vilna Herman Kruk annotò nel suo diario che “circola una diceria secondo cui vi sono circa 19.000 ebrei olandesi a Vievis”. Vievis è una piccola città tra Vilna e Kovno, che durante gli anni dell’occupazione tedesca era il luogo di un campo di lavoro ebraico. Lo stesso giorno Kruk scrisse sotto il titolo “Ulteriori notizie sugli ebrei olandesi” che egli era “riuscito a ricevere un segno ebraico [a quanto pare una stella di Davide di stoffa] e una copia dell’ordine del Reichskommissar dei Paesi Bassi occupati sulle proprietà ebraiche”. Due settimane dopo, il 30 aprile 1943, Kruk scrisse nel suo diario che “carichi pieni di beni degli ebrei olandesi si trovano nella stazione ferroviaria di Vilna”. Mobilia prese da questi treni erano state portate in laboratori nel ghetto di Vilna, dove documenti scritti in olandese vennero trovati dai lavoratori[5]. Poiché non vi sono ragioni per credere che Kruk, eminente membro della comunità del ghetto di Vilna, abbia inventato questa storia, essa deve essere presa come un importante elemento di prova a sostegno dell’ipotesi revisionista dei campi di transito. Grandi trasporti di ebrei “stranieri” nell’area di Vilna nella primavera del 1943 sono parimenti menzionati nel diario del partigiano ebreo Aba Gefen (annotazione del 16 maggio 1943)[6], come pure da un avviso pubblicato nel giornale clandestino polacco Biuletyn Informacyjny il 6 maggio 1943[7]. Vi sono anche diverse testimonianze che confermano la presenza di ebrei olandesi a Minsk nel 1942-43[8].
Nessuno dei fatti suddetti è stato preso in considerazione, o neppure menzionato di passaggio, durante il processo di Monaco. Naturalmente tutto ciò non dovrebbe sorprendere, poiché il disprezzo spudorato per le prove tecniche è stato comune a tutti i processi riguardanti i “campi di sterminio”.
Per riassumere:
- L’arma del delitto relativa al crimine per il quale Demjanjuk è stato ora condannato non è mai esistita.
- Non esiste nessuna prova documentaria o materiale a sostegno della tesi che Sobibor funzionò come un “campo di puro sterminio”; i documenti rimasti in realtà descrivono il campo come un “campo di transito” (Durchgangslager).
- Vi sono ampie ragioni per credere che le 28.060 presunte vittime vennero in realtà inviate nei territori occupati dai tedeschi dell’Unione Sovietica e degli stati baltici.
Ovviamente, di tali fatti non importa nulla agli illuminati giudici e pubblici ministeri dello “Stato più libero della storia tedesca”. La difesa, indubbiamente consapevole che ogni menzione dei detti fatti si metterebbe in urto con le leggi della Germania contro il “negazionismo dell’Olocausto”, ha scelto la solita strategia: accettare la versione degli eventi ufficialmente sanzionata e nel contempo insistere sull’innocenza personale dell’imputato. Alla fine, tutto ciò non ha aiutato ed è possibile, persino probabile, che l’esito del processo fosse segnato dall’inizio. All’epoca dell’estradizione di Demjanjuk in Germania nel maggio 2009 lo storico tedesco dell’Olocausto Norbert Frei aveva dichiarato: “I tedeschi devono alle vittime e ai sopravvissuti, ma anche a sé stessi, di perseguire Demjanjuk”[9]. Demjanjuk doveva essere condannato, perché i tedeschi “lo dovevano” a sé stessi. O, per dirla in modo più chiaro, il processo era necessario per tenere “vivo” nelle menti del popolo tedesco (e del mondo occidentale in generale) il fantasma dell’”Olocausto”.
L’avvocato difensore di Demjanjuk, Ulrich Busch, ha dichiarato che verrà presentato appello contro il verdetto. Per il momento Demjanjuk è stato rilasciato dalla prigione, poiché la condanna non è ancora legalmente vincolante (rechtskräftig). Se dopo l’appello verrà deciso che egli debba scontare la condanna in carcere (5 anni meno i quasi 2 anni già trascorsi in custodia) verrà ulteriormente deciso se il novantunenne sia fisicamente in grado di sostenere la detenzione[10].
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/demjanjuk-sentenced-to-5-years-in-prison/en/
[1] “Fünf Jahre Haft für John Demjanjuk”, Süddeutsche Zeitung, 12 May 2011; in rete: http://www.sueddeutsche.de/muenchen/urteil-am-landgericht-muenchen-fuenf-jahre-haft-fuer-john-demjanjuk-1.1096378
[2] Cf. Jürgen Graf, Thomas Kues, Carlo Mattogno, Sobibór: Holocaust Propaganda and Reality, TBR Books, Washington D.C. 2010, pp. 9-12, 375-390.
[3] “FBI thought Demjanjuk evidence faked”; Associated Press, 12 April 2011, in rete: https://web.archive.org/web/20110415011430/https://www.google.com/hostednews/ap/article/ALeqM5gzn9sjjViXpoagiQbtyuSx3oZdEg?docId=2ed960173598473c94630a9a5ebe2cbe
[4] Cf. J. Graf, T. Kues, C. Mattogno, Sobibór: Holocaust Propaganda and Reality, op.cit., pp. 149-167.
[5] Ivi, p. 366 e seguenti.
[6] Cf. Thomas Kues, “Evidence for the Presence of ‘Gassed’ Jews in the Occupied Eastern Territories, Part 2”, section 3.3.11; in rete: https://codoh.com/library/document/evidence-for-the-presence-of-gassed-jews-in-the-2/en/
[7] Klaus-Peter Friedrich, Der nationalsozialistische Judenmord in polnischen Augen: Einstellungen in der polnischen Presse 1942-1946/47, dissertazione presentata all’Università di Colonia nel 2002, p. 126. In rete: https://web.archive.org/web/20040217204849/http://kups.ub.uni-koeln.de/volltexte/2003/952/
[8] T. Kues, “Evidence for the Presence of ‘Gassed’ Jews in the Occupied Eastern Territories, Part 2”, sections 3.3.17 and 3.5.
[9] Georg Bönisch, Jan Friedmann, Cordula Meyer, “Ein ganz gewöhnlicher Handlanger,” Der Spiegel, No. 26/2009, 22 June 2009 (https://web.archive.org/web/20110515091028/http://www.spiegel.de/spiegel/print/d-65794351.html ).
[10] “John Demjanjuk kommt frei”, http://www.focus.de/politik/deutschland/ns-kriegsverbrecherprozess-john-demjanjuk-kommt-frei_aid_626638.html
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