Tribuna libera
Lectures françaises n. 750, ottobre 2019, pp. 31-35
Un triste anniversario
di Claude Beauléon
Un anno fa, nella notte tra il 20 e il 21 ottobre 2018 veniva a mancare il professor Robert Faurisson, vittima di un arresto cardiaco, al suo rientro a casa a Vichy, dopo aver tenuto una conferenza assai movimentata in Inghilterra. Fu la sua ultima battaglia, fu la sua ultima prova in una vita che non ne aveva mancata una. Noi gli avevamo dedicato un breve necrologio nel nostro numero di dicembre 2018 per rendergli l’omaggio che gli era dovuto. Sulla stampa nazionale e amica eravamo stati praticamente i soli a correre questo rischio, così come, naturalmente, i nostri amici e colleghi di «Rivarol», che gli avevano reso un importante tributo commemorativo, di cui avevamo citato i riferimenti, e che avevano preso l’abitudine di dargli regolarmente la parola riferendo anche i guai a cui andava regolarmente incontro con la giustizia francese, il che è piuttosto paradossale in materia di libertà d’espressione e apertura mentale, visto che un settimanale “dell’orribile estrema destra” intollerante e “vettrice d’odio” era il solo a permettere al proscritto di sinistra Faurisson di esprimersi sulle sue colonne, cosa che nessun giornale con la stessa sensibilità politica del professore avrebbe osato fare! Così va il mondo e la nostra epoca miseranda…
Osservo, d’altronde, che è triste ed è un gran peccato che, anche nei nostri ambienti, detti nazionalisti, non ci sia stato praticamente nessuno ad avere anche solo una parola di simpatia per l’uomo. Sembrerebbe che il coraggio in ambito politico non sia la virtù più diffusa nemmeno nella nostra comunità di pensiero. È vero che l’uomo era in forte odore di eresia e che bastava pronunciare il suo nome per essere messi alla gogna. Eppure la sua morte è una vera perdita per la nostra battaglia, perché al di là delle politiche prodotte dai suoi lavori e dalle sue prese di posizione, è l’idea che ci si fa della libertà di ricerca storica e di dibattito che è in questione, e anche il futuro di una restaurazione nazionale, tanto essa è condizionata dall’abiura dei dogmi originati dalle sentenze di Norimberga, che fanno assolutamente svanire ogni speranza di rinascita del nostro Paese, come aveva già visto correttamente Maurice Bardèche quasi 70 anni fa [1] e come aveva ben compreso il professore stesso, e infine, perché nel paese dei Franchi, cioè degli “uomini liberi” non è possibile tacere quando bisogna “sbraitare” per far sentire la verità come amava dire il compianto Serge de Beketch. È ciò che si propone modestamente quest’articolo, così si renderà giustizia al professore e al suo coraggio fuori del comune.
– Un omaggio necessario –
Per cominciare lascio la parola a Monsignor Williamson, che, nella rubrica di lettere al direttore di «Rivarol» [2], ha saputo, meglio di chiunque, fare un autentico ritratto di colui la cui vita fu “una vita da eroe”. La riporto quasi per esteso, tanto la lettera è eloquente.
Grazie, caro Professore, per la Sua nobile vita. Ormai il riposo, lontano dalle ignominie […]. Con lui si è spento uno dei rari eroi di cui il nostro mondo moderno poteva ancora inorgoglirsi. Era un vero eroe poiché diede prova, nel nostro mondo mendace, di un coraggio incrollabile e di una rettitudine scrupolosa per la verità, allorché trattava una questione che rivestiva un’importanza determinante per tutta l’umanità. Il suo coraggio per difendere la verità gli valse la perdita del posto di lavoro, le sofferenze della famiglia, dieci aggressioni fisiche una delle quali l’ha quasi ucciso, l’isolamento professionale e una serie interminabile di processi da parte di nemici accaniti. Nondimeno, seppe sempre usare verso di loro gentilezza e rispetto. Si attenne a questo stile di vita per più di 40 anni senza mai esitare nel suo servizio per la verità. È morto sul campo dell’onore. Era appena rientrato a casa, dopo aver tenuto un’ultima conferenza pubblica nella città in cui era nato quasi novant’anni or sono, a Shepperton, in Inghilterra. Doveva essere il suo canto del cigno […].
Molti dei nostri lettori sanno cosa si deve intendere con “Revisionismo”, e perché la sua importanza riguarda tutti, compresi i cattolici. Come ha detto George Orwell, «Il mezzo più efficace per distruggere i popoli è negare, poi annientare la comprensione che hanno della loro storia.» I revisionisti sono storici che constatano oggi, ovunque nel mondo, che i popoli vengono distrutti da una versione menzognera della loro storia, in particolare dalle falsificazioni che riguardano la Seconda guerra mondiale. Ecco perché i revisionisti fanno tutto ciò che è in loro potere per ristabilirne la verità. Poiché (ancora una citazione di Orwell): «Chi controlla il passato controlla il futuro…», vale a dire che colui che scrive libri sulla storia passata controlla il futuro attraverso l’influenza che esercita la storia sullo spirito dei popoli, e «Chi controlla il presente controlla il passato», vale a dire che i dirigenti politici del momento controllano il futuro nella misura in cui essi utilizzano il loro potere per cotrollare i libri di storia.
Ora, coloro che oggi detengono il potere mondiale sulla politica e sui mezzi di comunicazione sono persone che vogliono istituire un Nuovo Ordine Mondiale senza Dio. Quindi comprendono perfettamente George Orwell. Per questa ragione hanno inventato una versione orribilmente falsificata della Seconda guerra mondiale fino a farla coincidere con una religione inventata di sana pianta. Ciò che vogliono è sostituire il cristianesimo. Oggi molti pensano che la verità non abbia molta importanza e che nemmeno il cristianesimo abbia molta importanza; di conseguenza, suppongono che, se il Nuovo Ordine Mondiale prendesse il potere, non dovrebbero avere particolari problemi. Ma in realtà, subiranno in pieno una tirannia mondiale, una sorta di preludio dell’Anticristo.
Solgenitsin, invece, istruito dai 72 anni di terribili sofferenze della Russia, vissute dai Russi sotto il giogo del comunismo sacrilego, non ha forse messo in guardia contro la costruzione di una nazione, di un continente o di un mondo edificata sulla menzogna? Analogamente, il professor Faurisson aveva orrore di coloro che fondavano il loro mondo sulla menzogna; ha dedicato la vita a ristabilire la verità. E perseguitandolo per decine di anni, allorché diceva soltanto la verità, i suoi miserabili nemici hanno fornito la prova dell’importanza e dell’efficacia di ciò che faceva. Inoltre, non attendeva nessuna ricompensa celeste per la sua dedizione alla verità, poiché si diceva ateo. Eppure amava i bambini, non ha mai rifiutato una benedizione, e ne era persino felice. Ma, ormai, come osservava una delle sue sorelle, dopo essersi dovuto presentare dinanzi a una serie di giudici ingiusti, quasi tutti genuflessi dinnazi al Nuovo Ordine Mondiale è comparso dinanzi al Giudice supremo, il Giudice Giusto: Dio nostro Signore. Come l’avrà giudicato Nostro Signore? Due cose sono certe: in primo luogo, niente nella sua vita sarà stato così importante come questo giudizio, e, in secondo luogo, il suo merito era grande davanti agli uomini, ma non è lo stessa cosa per il merito davanti a Dio. Non è escluso che Dio gli abbia concesso, all’ultimo momento, la grazia speciale della conversione. Speriamo dunque e preghiamo per il riposo della sua anima. Matteo (XXI, 28-29) ci dà ampiamente il diritto di farlo.
– Una vita –
Per scrivere questa breve biografia del professore, mi sono basato sulle confidenze che ha fatto al giornale «Rivarol», ma anche a Paul Eric Blanrue che gli ha dedicato un documentario coraggioso, che d’altronde è valso loro, a entrambi, alcuni fastidi. Si può (ancora) consultarlo liberamente, su You Tube, non essendo stato completamente cancellato dalla censura. Ad ogni modo, avrei potuto basarmi sugli scritti dei suoi avversari che ne presentano un ritratto poco lusinghiero, se non menzognero, e che io ho letto. Ma non ho l’abitudine di sparare sulla Croce Rossa. Lasciamo dunque al professore il beneficio del dubbio.
È nato il 25 gennaio 1929 a Shepperton, vicino a Londra, da padre francese e madre scozzese. Aveva la doppia nazionalità. Primo di sette figli, ricevette un’educazione severa per non dire rigida, come poteva esserlo all’epoca. Suo padre era direttore della compagnia delle Messageries maritimes e durante la sua infanzia la famiglia si è spostata parecchio a seconda dei posti occupati dal padre, a Saigon, Kobe, poi a Shanghai. Nel 1936 ritorna in patria e frequenta vari istituti cattolici. Nel 1945 frequenta i corsi propedeutici letterari per l’ammissione alle “Écoles Normales Supérieures”, presso il prestigioso liceo Henri IV di Parigi. Successivamente compie degli studi di lettere classiche alla Sorbona. Consegue l’agrégation in lettere e il dottorato in lettere e discipline umanistiche.
Il contesto assai turbolento dell’epurazione ha avuto senza dubbio un’influenza decisiva sulle sue scelte successive. Infatti, è indignato dagli orrori dell’epurazione di cui è venuto a conoscenza e, avendo assistito, nel 1948 presso la XVII sezione del tribunale di Parigi, al processo sommario del miliziano Pierre Gallet, ne è sconvolto. D’altra parte, di fronte alle atrocità inflitte alle popolazioni tedesche dagli Alleati e in particolare dai Sovietici, decide di studiare, a suo dire, in modo imparziale e come un gentleman, quale può realmente essere stata la condotta dei nostri nemici durante la guerra.
Conseguite le sue lauree, sceglie la carriera d’insegnante e va ad esercitare come professore in vari licei di provincia. È considerato un insegnante di alto livello intellettuale, che conosce bene la sua materia ed è appassionato della sua professione. Ma sembrerebbe che abbia avuto qualche fastidio con la gerarchia, con la quale entra seriamente e ripetutamente in conflitto. Probabilmente il carattere scozzese… Si appassiona alla critica letteraria di cui farà la sua specialità, che chiama “il mio revisionismo letterario”.
– All’università, Faurisson si vede escluso ed emarginato dai suoi colleghi –
Negli anni ’70 si ritrova all’Università, è assistente tirocinante poi titolare di cattedra di letteratura francese all’Università Paris III (Sorbona), in seguito professore associato di letteratura contemporanea all’Università Lione II. Sostiene la sua tesi di dottoratto per la libera docenza nel 1972 ed è descritto dai suoi direttori come “un professore assai brillante, ricercatore molto originale, personalità eccezionale”. Bisogna dire che raggiunge la notorietà già nel 1961 con la pubblicazione di un articolo su Rimbaud che suscita una polemica letteraria. Ci ricade a proposito di Lautréamont, che costituisce d’altronde l’argomento della sua tesi di dottorato. Il suo metodo e le conclusioni che ne trae mettono in subbuglio il microcosmo universitario, poiché il professor Faurisson è un innovatore, se non un provocatore, e tutti sanno che i pezzi grossi dell’università non amano veder destabilizzare le loro certezze. Le critiche sono dunque severe e l’autore a poco a poco viene escluso ed emarginato dai colleghi. È questo metodo ipercritico che si applica a una lettura testuale del discorso e che il professore stesso battezza, non senza senso dell’umorismo, “metodo Ajax” (dal nome di un noto detersivo N.d.T.), quello che pulisce, scrosta e lustra, che finirà per applicare a un argomento molto più scottante e pericoloso della letteratura, cioè la Seconda guerra mondiale e più in particolare il genocidio degli ebrei.
I suoi esordi nel revisionismo storico si devono alla scoperta degli scritti del socialista Paul Rassinier, già membro della Resistenza, ritornato morente e invalido al 100% dai campi di concentramento nazisti dove era stato internato per fatti di Resistenza. Ora, nelle sue testimonianze sull’universo concentrazionario che si è trovato di fronte, Paul Rassinier rimette in discussione la vulgata resistenziale delle testimonianze ridondanti e voyeuristiche della letteratura concentrazionaria del dopoguerra. I due uomini non s’incontreranno mai, ma intratterranno una fitta corrispondenza epistolare. Si può, a giusto titolo, considerare Paul Rassinier come uno dei fondatori della corrente revisionista. I suoi libri sono una vera e propria rivelazione per il professor Faurisson. È allora che decide di condurre le proprie ricerche, per pura curiosità intellettuale, sulla questione del genocidio. È l’inizio di quella che egli stesso qualificherà come «la più prodigiosa avventura intellettuale del XX secolo». Senza saperlo ha appena sollevato un formidabile vespaio ed è l’inizio dei suoi guai…
In una seconda parte vedremo a cosa hanno portato le ricerche del professore e che cosa gli sono costate. Sarà “il caso Faurisson” e le sue conseguenze.
(segue)
NOTE
[1] Nei suoi due libri: Nuremberg ou la Terre promise (1948) e Nuremberg II ou les Faux-monnayeurs (1950)
pubblicati inizialmente dalle Editions des Sept Couleurs, ripubblicati in un unico volume dalle Edizioni
Kontra Kultura nel 2014.
2 19 avenue d’Italie, 75013 Paris. Tel.: 01 53 34 97 97, e-mail: [email protected]
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