COME UNA DISCARICA MEDIATICA DI TRUMP HA FATTO DIVENTARE MAINSTREAM UNA TEORIA DEL COMPLOTTO SUL CORONAVIRUS DA LABORATORIO CINESE[1]
Una teoria del complotto sul Covid-19 che sarebbe uscito dall’Istituto di Virologia cinese di Wuhan è l’equivalente per l’amministrazione Trump delle Armi di Distruzione di Massa irachene. E Josh Rogin del Washington Post sta esercitando il ruolo di Judith Miller.
Di Max Blumenthal e Ajit Singh
Mentre le morti di cittadini americani a causa delle complicazioni dovute al Covid superano il picco delle 30.000, gli alleati del Presidente Donald Trump stanno portando il loro blitz contro le pubbliche relazioni con la Cina a nuove vette di assurdità, sperando di legittimare una teoria del complotto che incolpa un laboratorio cinese di ricerca biologica di aver ingegnerizzato il nuovo coronavirus.
La teoria indica l’Istituto di Virologia di Wuhan come il colpevole che sta dietro la pandemia, sia attraverso una fuga accidentale causata da una ricerca malsicura sui coronavirus dei pipistrelli sia in modo deliberato, mediante la fabbricazione di un’arma biologica. Dapprima diffusa in gennaio dal giornale di destra Washington Times, la teoria del complotto era stata liquidata e screditata all’epoca da giornalisti e da scienziati.
Con un evidente segnale in questo mese di aprile da parte di un’amministrazione Trump che cercava disperatamente di scaricare le proprie colpe per la sua inetta risposta al coronavirus, Fox News e il Washington Post hanno ripescato la storia dal mercato umido politico della destra e l’hanno perfezionata per il consumo pubblico.
Sebbene nessun organo informativo abbia fornito un solo concreto elemento di prova a sostegno delle proprie affermazioni, la storia ha fatto presa persino tra gli esponenti dell’establishment politico ferventemente anti Trump.
Riguardo alla vera fonte del Covid-19, la conclusione di un gruppo di ricercatori americani, inglesi, e australiani non avrebbe potuto essere più chiara: “non crediamo che nessun tipo di scenario basato su un laboratorio sia plausibile…Le nostre analisi mostrano chiaramente che il SARS-CoV-2 non è un prodotto di laboratorio o un virus intenzionalmente manipolato”, i virologi hanno affermato in un articolo del 17 marzo pubblicato sulla rivista scientifica Nature.
Un gruppo di 27 scienziati della sanità pubblica di otto paesi hanno firmato una lettera aperta lo scorso marzo sulla rivista medica Lancet esprimendo sostegno agli scienziati e ai professionisti della salute in Cina e “condannando vigorosamente le teorie del complotto che suggeriscono che il COVID-19 non abbia un’origine naturale”. La lettera afferma che le ultime scoperte scientifiche “concludono in modo schiacciante che questo coronavirus è nato in natura, come molti altri patogeni emergenti”.
Dopo aver trascorso gli ultimi quattro anni a inveire contro i “media delle fake news” e gli elementi del “deep state” appartenenti alla burocrazia della sicurezza nazionale che dipingevano lui e i suoi alleati come collaborazionisti della Russia, Trump sta ora impiegando le stesse tattiche che egli condannava in modo da far aumentare a poco a poco il conflitto con la Cina. Diffondendo fake news su condotte riprovevoli dei cinesi attraverso la spazzatura propalata da anonimi funzionari americani e da documenti ingannevoli, la Casa Bianca sembra sperare che un conflitto intensificato all’estero nasconderà i suoi fallimenti interni.
Il dispiegamento da parte di Trump di teorie del complotto su un laboratorio cinese non solo rispecchia le tattiche che i suoi nemici impiegavano per irrobustire la narrazione del Russiagate: ricorda la riuscita campagna di disinformazione che i neoconservatori all’interno dell’amministrazione di George W. Bush intrapresero quando diffusero una rivelazione apparentemente esplosiva sulle armi di distruzione di massa irachene attraverso la corrispondente del New York Times Judith Miller.
L’augusta reputazione del Times conferì legittimazione alle balle sulle Armi di Distruzione di Massa, permettendo all’amministrazione Bush di vendere l’invasione dell’Iraq alla classe politica di Washington attraverso linee partigiane. Miller alla fine venne smascherata come una truffatrice e andò in prigione per proteggere le proprie fonti neocon, ma non prima che migliaia di soldati americani fossero uccisi in Iraq e che centinaia di migliaia di iracheni morissero nel caos che costoro avevano generato.
Oggi, mentre l’amministrazione Trump intensifica la sua propaganda di guerra contro la Cina ad un nuovo livello inquietante, un giornalista neoconservatore sul Washington Post sta seguendo le orme di Miller.
Josh Rogin, del Washington Post
Da teoria del complotto in letargo ad arma di disinformazione stile-Armi di Distruzione di Massa irachene
La teoria che il virus Covid-19 sia uscito da un laboratorio di ricerca biologica a Wuhan, in Cina è stata ripresa il 14 aprile in un articolo, di dubbia fondatezza, di Josh Rogin sul Washington Post. Un esperto neoconservatore la cui biografia comprende un lavoro pregresso all’ambasciata giapponese, Rogin ha trascorso anni perorando cambi di regime contro i paesi compresi nell’”asse del male” additato dall’amministrazione Bush.
Verso la fine del suo articolo, Rogin ha ammesso: “Non sappiamo se il nuovo coronavirus ha avuto origine nel laboratorio di Wuhan”. Fino a quel punto, tuttavia, egli aveva offerto ogni insinuazione possibile che il virus era in effetti emerso dall’Istituto di Virologia di Wuhan. Il suo articolo è sembrato essere un’operazione di intelligence che dipendeva pesantemente da documenti passati da funzionari governativi americani desiderosi di aumentare la temperatura sulla Cina.
L’ipotesi del giornalista del Post si basava in gran parte su un cablo del gennaio 2018 dall’ambasciata americana a Pechino che egli afferma di aver innocentemente “ottenuto”. Il cablo avvisava che “il lavoro del laboratorio [di Wuhan] sui coronavirus dei pipistrelli e sulla loro potenziale trasmissione agli umani rappresentava un rischio di una nuova pandemia analoga alla SARS”. Ma come spiegheremo poi, Rogin ha distorto la natura della ricerca in questione e si è successivamente rifiutato di pubblicare il resto del cablo americano quando è stato esortato in tal senso dagli scienziati.
Mentre proteggeva la sua credibilità dietro avvertimenti, Rogin si è rivolto a Xiao Qiang, un attivista dedito ai cambi di regime appoggiati dagli Stati Uniti ingannevolmente presentato come “scienziato ricercatore”, per sostenere che la teoria sul laboratorio di Wuhan era una “domanda legittima che merita approfondimento e risposta”. Nessun virologo o epidemiologo è stato citato da Rogin.
L’articolo di Rogin è stato oggetto dell’aspra critica della dr.ssa Angela Rasmussen, una virologa della Columbia University, che ha definito le sue affermazioni sul laboratorio cinese “estremamente vaghe”, e ha asserito che egli non è riuscito a “dimostrare un rischio chiaro e specifico”. Ma a questo punto, un’operazione di disinformazione a quanto pare guidata dalla Casa Bianca era in pieno svolgimento.
Il 15 aprile, il giorno dopo in cui era comparso l’articolo di Rogin, il corrispondente dell’emittente di destra Fox News, Bret Baier, ha pubblicato un articolo notevolmente simile che affermava: “C’è una crescente sicurezza che lo scoppio del Covid-19 abbia avuto origine in un laboratorio di Wuhan…”.
Come Rogin, Baier non ha presentato nessuna prova concreta per sostenere la sua incendiaria affermazione, basandosi invece su “documenti classificati e open-source” non meglio specificati da “fonti statunitensi”, che ha ammesso di non aver visto personalmente.
Quella sera, il senatore repubblicano ultra-neoconservatore Tom Cotton si è lanciato in un’invettiva su Fox News accuratamente coreografata. “L’articolo di Bret Baier mostra che il Partito Comunista Cinese è responsabile di ogni singola morte, ogni lavoro perduto, ogni gruzzolo per la pensione perso, a causa di questo coronavirus”, Cotton ha tuonato. “E bisogna fare in modo che Xi Jinping e il suo apparato comunista cinese paghino il prezzo”.
The Chinese Communist Party is responsible for every single death, every job lost, every retirement nest egg lost, from this coronavirus. And Xi Jinping must be made to pay the price. pic.twitter.com/OLCj5Z5rrp
— Tom Cotton (@SenTomCotton) April 16, 2020
Il tempestivo spettacolo dell’apparizione di Cotton ha suggerito uno stretto coordinamento tra il suo ufficio, l’amministrazione Trump, e i loro media alleati per vendere la teoria del complotto all’opinione pubblica.
Nel frattempo, le stelle dei commentatori liberali anti-Trump hanno circonfuso l’articolo di Rogin con la lucentezza della rispettabilità bipartisan.
Dopo essere stato condiviso dall’articolista Yashar Ali del New York Magazine, l’articolista del New York Times Charles Blow ha espresso il proprio stupore a causa dell’articolo presuntivamente rivelatore: “Non me lo aspettavo”.
Tom Gara di Buzzfeed ha fatto un passo ulteriore, proclamando la “teoria dell’uscito da un laboratorio” come “totalmente plausibile” in un tweet che condivideva l’articolo.
Anche la Columbia Journalism Review ha scritto che il pezzo di Rogin “conteneva una notizia bomba”, ignorando gli acclarati precedenti dell’articolista del Washington Post quale pubblicista del movimento neoconservatore.
Anche l’ospite di MSNBC Chris Hayes è sembrato intrigato dal complotto di Rogin:
— Chris Hayes (@chrislhayes) April 14, 2020
Il 17 aprile, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha elevato l’infondata teoria sulla scena globale quando ha affermato: “Stiamo ancora chiedendo al Partito Comunista Cinese di permettere agli esperti di entrare in quel laboratorio di virologia in modo da poter determinare precisamente dove questo virus sia iniziato”.
Quello stesso giorno, Trump ha dichiarato che “sembra avere senso” che il virus sia stato fabbricato in un laboratorio a Wuhan. Come Cotton e Pompeo, egli non ha presentato nessuna prova a sostegno del suo sospetto.
TRUMP: "It seems to make sense" that COVID was released from a lab in China pic.twitter.com/mLDit5iAEL
— ᏔმƦ?ჳ? (@mooncult) April 17, 2020
Sei mesi prima di un’elezione presidenziale, e nel mezzo di una crisi spaventosa della salute pubblica che ha minacciato di far precipitare l’economia degli Stati Uniti in una depressione, una marginale teoria del complotto è diventata il fulcro della guerra culturale di Trump contro la Cina.
In realtà, la storia era apparsa all’inizio come un banco di prova lanciato da un giornale di destra a gennaio, quando pochi negli Stati Uniti prestavano attenzione allo scoppio del Covid.
Le stravaganti origini della teoria sul laboratorio di Wuhan
Il 24 gennaio, un titolo scioccante squillava dalle pagine del Washington Times, un giornale di destra posseduto da una setta sud-coreana conosciuta come la Unification Church [Chiesa dell’Unificazione]. “Il coronavirus potrebbe aver avuto origine in un laboratorio collegato al programma di guerra biologica cinese”, il giornale annunciava.
La sua fonte per la rimarchevole affermazione era un ex tenente colonnello di una unità del servizio segreto militare israeliano chiamato Danny Shoham. “I coronavirus [in particolare SARS] sono stati studiati nell’istituto e sono probabilmente tenuti lì”, comunicava Shoham al Washington Times, riferendosi all’Istituto di Virologia di Wuhan.
Sebbene Shoham suggerisse che “un’infiltrazione del virus verso l’esterno potrebbe aver avuto luogo sia come perdita che come un’infezione interna inosservata di una persona che normalmente usciva dalla struttura interessata”, egli infine ammetteva (come praticamente ogni altro esperto finora): “finora non vi sono prove o indicazioni di un tale incidente”.
Shoham è attualmente un membro del Begin-Sadat Center for Strategic Studies [Centro Begin-Sadat per gli Studi Strategici], un centro di ricerca collegato al Partito Likud con sede nella università israeliana Bar-Ilan. Uno sguardo al suo lavoro per l’istituto rivela una chiara dedizione all’agenda del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con un’attenzione particolare al contenimento dell’Iran e alla pressione per il cambio di regime in Siria.
Il Begin-Sadat Center aveva in precedenza fatto pressioni sull’Occidente contro la sconfitta dell’ISIS, presentando il gruppo jihadista come un “utile strumento” per minare il governo siriano e l’Iran.
Oltre a Shoham, il Washington Times citava un servizio radiofonico di Radio Free Asia (RFA) secondo cui l’Istituto di Virologia di Wuhan poteva essere stato la fonte del Covid-19.
A non essere menzionato era il ruolo della RFA come un’agenzia di notizie del governo americano creata durante la guerra fredda nell’ambito della “rete di propaganda internazionale costruita dalla CIA”, secondo le parole del New York Times.
La RFA è gestita dalla US Agency for Global Media (già conosciuta come il Broadcasting Board of Governors), un’agenzia federale del governo americano che opera sotto il controllo del Dipartimento di Stato. Nel descrivere il suo lavoro come “vitale per gli interessi nazionali americani”, lo scopo primario delle trasmissioni dell’agenzia americana è di essere “coerente con gli obbiettivi generali della politica estera degli Stati Uniti”.
Larry Klayman, un avvocato repubblicano di destra con un debole per fare cause pretestuose contro nemici politici, rapidamente ha colto al volo la storia del Washington Times per imbastire una class action di 20 miliardi di dollari contro la Cina in un tribunale federale americano (il senatore Cotton e la neoconservatrice Henry Jackson Society da quel momento hanno chiesto azioni legali aggressive degli Stati Uniti contro la Cina a motivo del coronavirus).
Alcuni giorni dopo l’articolo del Washington Times, il rivale mainstream di tale giornale, il Washington Post, pubblicava un lungo articolo citando virologi che confutavano la teoria che il Covid-19 era stato fabbricato, e che attestavano la qualità della ricerca nell’Istituto di Virologia di Wuhan, versando acqua fredda sulla teoria che il virus potesse essere un’arma biologica.
Il 25 marzo, due mesi dopo la comparsa del suo primo articolo, il Washington Times aggiungeva una nota editoriale all’articolo ripudiando la sua tesi: “Da quando questa storia è iniziata”, recita la nota, “scienziati fuori della Cina hanno avuto la possibilità di studiare il SARS-CoV-2 virus. Costoro hanno concluso che esso non mostra segni di essere stato fabbricato o intenzionalmente manipolato in un laboratorio, sebbene l’esatta origine rimanga oscura e gli esperti discutano se possa essere fuoriuscito da un laboratorio cinese che lo stava studiando”.
Quello stesso giorno, Danny Shoham diceva al giornale israeliano Haaretz: “Fino a oggi non vi sono risultanze inequivocabili che chiaramente ci dicano quale sia la fonte del virus”.
La teoria del complotto sembrava essersi arenata. Per cercare disperatamente di rivitalizzare oltre due mesi dopo una storia apparentemente morta, l’amministrazione Trump a quanto pare si è rivolta allo stesso giornale che l’aveva inizialmente smontata: il Washington Post.
Trasformare i cablo del Dipartimento di Stato americano in sinistri schemi cinesi
L’articolo del 14 aprile di Josh Rogin sul Washington Post che ha riesumato il complotto del laboratorio di Wuhan si legge come un classico documento spazzatura del Dipartimento di Stato. Basandosi su un paio di cablo vecchi due anni dell’ambasciata americana a Pechino, Rogin ha alimentato sospetti su presunte questioni attinenti alla sicurezza in un laboratorio che studia i coronavirus nell’Istituto di Virologia di Wuhan (WIV).
La struttura cinese è un laboratorio con un livello di biosicurezza 4 (BSL-4), lo standard internazionale di precauzioni sulla biosicurezza più elevato. Dozzine di strutture BSL-4 sono all’opera in tutto il mondo – incluse 13 strutture nei soli Stati Uniti almeno fino al 2013. “Lo scopo ultimo della ricerca BSL-4”, secondo Scientific American, “[è] di fare progressi nella prevenzione e nel trattamento delle malattie mortali”.
Rogin ha basato il suo allarmismo sulle presunte falle della sicurezza nel laboratorio cinese su un singolo, vago commento da parte di funzionari dell’ambasciata americana privi di apparente competenza scientifica. “Durante interazioni con gli scienziati del laboratorio WIV”, recita il cablo, “essi hanno notato che il nuovo laboratorio soffre di una seria penuria di tecnici e ricercatori adeguatamente formati necessari per gestire in sicurezza questo laboratorio ad alto contenimento”.
Tuttavia, la notizia principale dei cablo passati a Rogin mina le affermazioni più sensazionali dell’articolista. Nei documenti, i funzionari americani ponevano più enfasi sul valore della ricerca condotta nel laboratorio di Wuhan per predire e prevenire potenziali scoppi dei coronavirus piuttosto che su preoccupazioni riguardanti la sicurezza.
“Soprattutto”, afferma il cablo, “i ricercatori hanno anche dimostrato che i vari coronavirus simili alla SARS possono interagire con l’ACE2, il recettore umano identificato per il coronavirus SARS. Questa scoperta suggerisce fortemente che i coronavirus simili alla SARS provenienti dai pipistrelli possono essere trasmessi agli umani provocando malattie simili alla SARS. Da una prospettiva di salute pubblica, questo rende la continua sorveglianza dei coronavirus simili alla SARS nei pipistrelli e lo studio dell’interfaccia animale-umano cruciali per le future previsioni e previsioni degli scoppi dei coronavirus emergenti”.
La dr.ssa Angela Rasmussen, una virologa e scienziata associata nella ricerca al Center of Infection ad Immunity alla Columbia University School of Public Health, ha fatto notare che il cablo “sostiene che è importante continuare a lavorare sui coronavirus dei pipistrelli a causa del loro potenziale come patogeni sugli umani, ma non suggerisce che c’erano questioni di sicurezza relative in modo specifico al lavoro del WIV sui coronavirus da pipistrelli in grado di usare l’ACE2 umano come un recettore”.
Alla fine, Josh Rogin è stato costretto ad ammettere che non c’erano prove per sostenere le sue insinuazioni, e nel penultimo paragrafo dell’articolo ha concesso che “Non sappiamo se il nuovo coronavirus ha avuto origine nel laboratorio di Wuhan”.
Mentre Rogin ha affermato che è stato un “passo insolito” per i funzionari dell’ambasciata americana quello di visitare il laboratorio di Wuhan, gli scambi internazionali sono estremamente comuni, come la collaborazione tra i ricercatori americani e cinesi. Dalla sua apertura nel 2015, il WIV ha ricevuto visite da scienziati, da esperti di salute, e da esponenti governativi di oltre una dozzina di paesi.
La struttura in questione, il Laboratorio Nazionale ad Alto Livello di Biosicurezza, è il prodotto di una collaborazione congiunta tra la Cina e la Francia, ed è stato certificato dalle autorità di entrambi i paesi insieme agli standard della International Organization for Standardization (ISO) nel 2016. Dal 2015, otto delegazioni di esponenti governativi, scienziati, e professionisti della salute francesi hanno visitato il laboratorio.
“Vorremmo mettere in chiaro che fino a oggi non c’è nessuna prova fattuale che corrobori i recenti articoli sulla stampa americana che legano le origini del Covid-19 al lavoro del laboratorio P4 [o BSL-4] di Wuhan, in Cina”, ha detto il 18 aprile un funzionario dell’ufficio del Presidente Emmanuel Macron.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “molti investimenti sono stati fatti nella formazione del personale”, con i ricercatori formati negli Stati Uniti, in Francia, in Canada, e in Australia e poi in patria prima che il laboratorio diventasse operativo. I ricercatori cinesi sono stati schietti e trasparenti nel loro protocollo sulla sicurezza, pubblicando, nel maggio 2019, una descrizione del loro programma di formazione per gli utenti del laboratorio in una pubblicazione dei CDC [Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie] americani sulle malattie infettive emergenti.
Il falso scienziato Xiao Qiang
Il falso “scienziato” di Rogin è un attivista dei cambi di regime appoggiati dal governo americano
Invece di discutere questioni riguardanti il WIV con esperti di scienza, Rogin ha cercato di sostenere le sue affermazioni basandosi sulle speculazioni di anonimi funzionari dell’amministrazione Trump e su Xiao Qiang, un attivista ostile alla Cina con una lunga storia di finanziamenti governativi americani.
Rogin si è riferito a Xiao definendolo semplicemente uno “scienziato ricercatore”, cercando in modo disonesto di fornire una credibilità accademica ad un professionista del dissenso politico. in realtà, Xiao non ha competenza in nessuna scienza e impartisce lezioni di “attivismo digitale”, “libertà su internet” e “sui blog in Cina”. Dettaglio rivelatore: Rogin ha omesso completamente il vero curriculum di Xiao Qiang come attivista ostile alla Cina.
Per oltre 20 anni, Xiao ha lavorato con – ed è stato finanziato da – il National Endowment for Democracy (NED), il braccio principale degli sforzi intrapresi dal governo americano finalizzati ai cambi di regime nei paesi presi di mira da Washington. Il NED ha finanziato e addestrato i movimenti di opposizione di destra dal Venezuela al Nicaragua fino a Hong Kong, dove elementi separatisti violenti hanno trascorso la maggior parte del 2019 nel promuovere agitazioni per porre termine alla giurisdizione cinese.
Xiao ha prestato servizio come direttore esecutivo dell’associazione Human Rights in China con sede a New York dal 1991 al 2002. Come beneficiario di lunga data del NED, egli ha prestato servizio come vice-presidente del comitato direttivo del World Movement for Democracy, una “rete delle reti” internazionale fondata dal NED e “per la quale il NED funge da segretariato”. Xiao è anche il caporedattore del China Digital Times, una pubblicazione che egli ha fondato nel 2003 e che è parimenti finanziata dal NED.
L’utilizzo di “teorie non verificate” per calunniare uno scienziato cinese
Per suggerire scaltramente l’Istituto di Virologia di Wuhan come la fonte dello scoppio del Covid-19, Rogin si è concentrato sul curriculum di Shi Zhengli, la responsabile del gruppo di ricerca del WIV che studia i coronavirus dei pipistrelli, distorcendo il suo curriculum per raffigurarla come una scienziata spericolata e pazza. Rogin ha affermato che “altri scienziati hanno discusso se il gruppo di Shi stava prendendo dei rischi non necessari” e che “il governo degli Stati Uniti aveva imposto una moratoria sui finanziamenti” al tipo di ricerca che il gruppo di Shi stava conducendo.
Per avvalorare la sua asserzione, Rogin ha citato un articolo del 2015 di Nature su un dibattito relativo ai rischi associati ad un esperimento che aveva creato una versione ibrida di un coronavirus di pipistrello. Tuttavia l’articolo neppure nominava Shi, riferendosi invece ad uno studio che aveva avuto luogo negli Stati Uniti – non a Wuhan – e che era stato guidato da un gruppo di ricercatori americani specializzati in malattie infettive alla University of North Carolina. Shi aveva contribuito allo studio come uno dei 13 co-autori, 10 dei quali lavoravano in università americane.
Secondo Nature, lo studio guidato dagli americani era “in corso prima che iniziasse la moratoria americana, e gli US National Institutes of Health (NIH) permisero la sua effettuazione sotto la supervisione dell’agenzia”.
A causa della preoccupazione che il suo articolo venisse disinvoltamente utilizzato da teorici del complotto per suggerire che il coronavirus era stato ingegnerizzato in un laboratorio, i responsabili di Nature collocarono una smentita all’inizio dell’articolo – lo scorso mese di marzo – che asseriva: “Sappiamo che questa storia viene usata come base per teorie non verificate secondo cui il nuovo coronavirus che provoca il Covid-19 è stato ingegnerizzato. Non vi sono prove che questo sia vero; gli scienziati ritengono che un animale è la fonte più probabile del coronavirus”.
Nel suo zelo per diffondere un cospirazionismo da guerra fredda, Rogin ha convenientemente omesso di menzionare la smentita.
Gli scienziati contestano lo scadente articolo di Rogin: l’esperto si scioglie
Gli scienziati hanno aspramente criticato Josh Rogin per non aver intervistato nessun esperto e per essere ricorso a vaghe insinuazioni per poter promuovere un’agenda politicamente guidata.
La dr.ssa Angela Rasmussen, la virologa della Columbia University, ha criticato le affermazioni sensazionalistiche di Rogin sui protocolli di sicurezza del laboratorio cinese in quanto “estremamente vaghe”, asserendo che egli non è riuscito a “dimostrare un rischio chiaro e specifico”. La dr.ssa Rasmussen ha proseguito criticando Rogin per aver esposto in modo impreciso i cablo e per le “citazioni accuratamente selezionate” in modo da promuovere la sua narrazione.
Il dr. Stephen Goldstein, un altro virologo e ricercatore post-dottorato alla University of Utah School of Medicine, ha accusato Rogin di “lacune scientifiche multiple e concrete” e di essersi basato su “insinuazioni infondate”. Dettaglio rivelatore: Rogin ha respinto la loro richiesta di pubblicare i cablo del Dipartimento di Stato americano nella loro interezza.
Dopo essere stato contestato dalla dr.ssa Rasmussen, dal dr. Goldstein, e da altri riguardo al suo articolo irresponsabile e alla sua mancata consultazione di esperti scientifici, Rogin ha affermato di aver parlato con “virologi di alto livello”, ma si è rifiutato di motivare o di spiegare perché non aveva incluso le opinioni di questi presunti esperti nel suo articolo.
It's irresponsible for political reporters like Rogin uncritically regurgitate a secret "cable" without asking a single virologist or ecologist or making any attempt to understand the scientific context. Thank you, @JeremyKonyndyk, for calling this out.
— Dr. Angela Rasmussen (@angie_rasmussen) April 15, 2020
Yeah because your criticism was wrong and baseless. I did talk to several scientists including virologists. You just made that up that I didn’t. It’s despicable.
— Josh Rogin (@joshrogin) April 15, 2020
Un articolo del 17 aprile apparso su Forbes, del dr. Jason Kindrachuk, professore assistente di patogenesi virale all’University of Manitoba, ha parimenti smontato le affermazioni di Rogin, asserendo che non esiste nessuna prova scientifica per sostenere la teoria che il nuovo coronavirus sia fuoriuscito da un laboratorio cinese.
Una carriera di portatore d’acqua per i militaristi
Mentre innumerevoli giornalisti sono stati scacciati dai media mainstream per aver contestato le narrazioni favorevoli alle guerre, il Josh Rogin del Washington Post ha fatto carriera pubblicando articoli di propaganda neoconservatrice sensazionalistici e spesso fattualmente contestabili confezionati come “giornalismo”.
Dopo un periodo di lavoro presso un quotidiano giapponese e presso l’ambasciata del Giappone, Rogin si è fatto un nome portando acqua per la “sicurezza nazionale” americana. Al Daily Beast, ha collaborato con il collega neoconservatore Eli Lake su una storia fasulla del 2013 sostenendo che la “Legione della Morte” di al-Qaeda si era riunita per una “teleconferenza”.
Come un ovvio prodotto di soffiate da parte di fautori della linea dura sulla sicurezza nazionale che cercavano di dipingere Obama come debole con il terrorismo, Rogin e Lake furono alla fine costretti a qualificare l’inesistente “chiamata” come una “comunicazione non telefonica” dopo che era stata fatta oggetto di derisione e di critiche dagli esperti della sicurezza nazionale.
Due anni dopo, Rogin promosse un’altra storia fasulla ospitando delle foto di una colonna di carri armati russi che avrebbero rifornito i separatisti filo-russi in Ucraina. Le foto si rivelarono essere vecchie di anni, e raffiguravano carri armati russi nell’Ossezia del Sud.
La traiettoria in ascesa di Rogin – nonostante i suoi fallimenti – lo ha condotto poi a Bloomberg, dove egli e il suo collega neoconservatore Eli Lake vennero premiati con stipendi da 275.000 dollari all’anno per continuare a pubblicare stenografia per fautori della linea dura in politica estera al Congresso e al Dipartimento di Stato.
Da quanto Rogin è entrato al Washington Post, di proprietà di Amazon, nel 2017, egli ha fatto pressioni sull’ex consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton affinchè costui portasse a termine le sue operazioni di cambio di regime contro gli stati socialisti – bollati come “Troika della tirannia” – nell’America Latina; ha colto al volo l’uccisione da parte degli americani del leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi per chiedere a Washington di uccidere il Presidente siriano Bashar al-Assad; ha rumoreggiato affinchè gli Stati Uniti sostenessero le milizie estremiste nella provincia della Siria di Idlib controllata da al-Qaeda; e ha suggerito che un ex funzionario di Obama dovesse essere perseguito in un tribunale federale per aver fatto pressioni in favore dell’azienda di comunicazioni cinese privata, Huawei.
All’inizio di quella che è diventata un’annosa crociata per denigrare la deputata repubblicana Tulsi Gabbard per la sua opposizione alla guerra per procura americana in Siria, Rogin venne costretto a pubblicare una rettifica di 70 parole dopo che aveva accusato Gabbard di agire come una “portavoce di Assad a Washington”.
Nonostante il suo lungo curriculum di gaffe e di febbrile retorica, Josh Rogin è riuscito a rendere mainstream una teoria del complotto liquidata dagli scienziati come pura sciocchezza. Radicato in un giornale che ha costruito il suo marchio in opposizione a Trump, egli ha fornito all’amministrazione Trump il veicolo perfetto per fornire all’opinione pubblica la propaganda della Nuova Guerra Fredda. Come il motto del Post avverte: “La democrazia muore nell’oscurità”.
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://thegrayzone.com/2020/04/20/trump-media-chinese-lab-coronavirus-conspiracy/?fbclid=IwAR3KD1zPrXRk3Rzn_k3qa-_QwCVJCl6vsezlCsQ5sy7YAgXbyGrL2vOcNaA
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