Lo so, sono tempi duri quelli che stiamo vivendo, chiusi in casa ad aspettare che l’emergenza virus scemi ma vi chiedo un piccolo sforzo: ogni tanto, pensiamo anche a chi sta peggio di noi. Pensiamo ai palestinesi, per esempio.
Noi non abbiamo un esercito di occupazione che imperversa sul nostro territorio e uccide i nostri figli!
Mercoledì scorso, ad esempio, le forze di occupazione israeliane hanno aperto il fuoco sui palestinesi che stavano difendendo una montagna contro l’illegale espansione dei coloni vicino alla città di Nablus in Cisgiordania.
La montagna in questione è quella di Jabal al-Arma, alla periferia del villaggio Beita: l’esercito ha aperto il fuoco sui manifestanti palestinesi, uccidendo un ragazzo di 17 anni e ferendo almeno 112 civili.
Muhammad Hamayel, questo il nome del ragazzo, è morto a causa delle ferite dopo essere stato colpito alla testa dalle truppe israeliane.
I palestinesi si erano barricati di notte sulla montagna per impedire che i coloni la invadessero per costituirvi un nuovo avamposto.
I medici palestinesi hanno confermato che numerosi paesani hanno subito fratture e ferite per essere stati picchiati dai soldati.
Ma nei giorni scorsi ho letto un’altra notizia che, se fosse vera, sarebbe sconvolgente: l’ha diffusa l’agenzia di notizie iraniana Pars Today. Israele avrebbe introdotto un medico israeliano, malato di coronavirus, nella prigione di Ashkelon, in modo da contagiare il maggior numero possibile di detenuti palestinesi.
La vicenda sarebbe avvenuta circa una settimana fa: lo ha detto, in un’intervista con la rete satellitare Al Alam, il direttore del comitato per i prigionieri palestinesi Ghadri Abu Bakr.
Ho chiesto lumi sull’attendibilità della notizia ai miei contatti Facebook Diego Siragusa e Stefania Limiti: entrambi mi hanno detto che le autorità israeliane non si farebbero certo scrupoli a compiere un’azione del genere.
Su un’altra notizia invece non vi sono dubbi: le ditte farmaceutiche israeliane testano medicine sui prigionieri palestinesi. A rivelarlo è stata il 19 febbraio scorso la professoressa israeliana Nadera Shalhoub-Kevorkian. La stessa fonte ha parimenti rivelato che le aziende militari israeliane stanno testando armi sui bambini palestinesi e che effettuano questi test nei quartieri palestinesi della Gerusalemme occupata.
Parlando alla Columbia University di New York, Shalhoub-Kevorkian ha detto che ella ha raccolto questi dati nell’ambito di un progetto di ricerca alla Hebrew University.
“Gli spazi palestinesi sono laboratori”, ella ha detto. “L’invenzione di prodotti e di servizi da parte delle corporation che si occupano della sicurezza e che sono finanziate dallo stato viene alimentata dai prolungati coprifuoco e dall’oppressione dei palestinesi ad opera dell’esercito israeliano”.
Nella sua conferenza, intitolata “Spazi inquietanti – tecnologie violente nella Gerusalemme palestinese”, la professoressa ha aggiunto: “Essi sperimentano quali bombe usare, bombe a gas o bombe puzzolenti. Se impiegare sacchi di plastica o sacchi di stoffa. Picchiarci con i loro fucili o prenderci a calci con gli stivali”.
Queste notizie, per quanto inquietanti, non sono però una novità assoluta: già nel luglio 1997, il giornale israeliano Yedioth Ahronoth aveva riferito le dichiarazioni di Dalia Itzik, presidente di una commissione parlamentare, secondo cui il Ministro della Sanità israeliano aveva dato il permesso alle aziende farmaceutiche di testare le loro nuove medicine sui detenuti. All’epoca, erano già stati effettuati 5.000 test.
Robrecht Vanderbeeken, addetto culturale del sindacato ACOD del Belgio, ammonì nell’agosto 2018 che la popolazione della Striscia di Gaza “viene fatta morire di fame, avvelenata, e i bambini vengono rapiti e uccisi per i loro organi”.
La prof. Nadera Shalhoub-Kevorkian
Questa dichiarazione seguì precedenti allarmi lanciati dall’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite, Riyad Mansour, che aveva detto che i corpi dei palestinesi uccisi dall’esercito israeliano “sono privi delle cornee e di altri organi”, confermando ulteriormente pregressi resoconti su organi asportati dalla potenza occupante.
Il sionismo è una delle forme di razzismo più radicali e più feroci di questo mondo. Per rendersene conto, basta leggere le interviste dei cecchini israeliani che si sono vantati con il quotidiano Haaretz di aver colpito alle ginocchia i manifestanti della Striscia di Gaza.
“Ho tenuto l’involucro di ogni colpo che ho sparato”, ha detto un ex cecchino della brigata di fanteria Golani. “Li ho nella mia stanza. Quindi non devo fare una stima – lo so: 52 successi precisi”.
Alla domanda di come c’è riuscito, rispetto ad altri del suo battaglione, il soldato ha risposto: “Dal punto di vista dei colpi, ho il massimo. Nel mio battaglione avrebbero detto: “Guarda, ecco che arriva il killer”.
“Devi capire che prima che ci mettessimo in luce, le ginocchia erano la cosa più difficile da collezionare. C’era una storia su un cecchino che aveva in tutto 11 ginocchia, e la gente pensava che nessuno potesse superarlo. E poi io ho portato a casa sette-otto ginocchia in un giorno. Nel giro di poche ore, avevo quasi battuto il suo record”.
Il soldato si è vantato di aver battuto il “record delle ginocchia” durante la dimostrazione del 14 maggio 2018.
“Quel giorno, la nostra coppia ha avuto il maggior numero di successi, 42 in tutto. Il mio localizzatore non avrebbe dovuto sparare, ma gli ho dato una pausa, perché ci stavamo avvicinando alla fine del nostro turno, e non aveva ginocchia “, ha detto a Haaretz.
“Alla fine vuoi lasciare con la sensazione che hai fatto qualcosa, che non sei un cecchino soltanto durante le esercitazioni. Così, dopo aver colpito qualche bersaglio, gli ho suggerito di darci il cambio. Ha preso circa 28 ginocchia, direi”.
Nelle scorse settimane ho parlato più volte dell’intolleranza sionista, ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa di peggiore: questa è criminalità allo stato puro.
Eppure, a livello internazionale, nessun paese osa protestare contro le spaventose violazioni dei diritti umani compiute da Israele contro i palestinesi.
E così lo stato ebraico diventa sempre più arrogante. Anche grazie all’immancabile sostegno dello stato più sionista fuori dai confini di Israele: gli Stati Uniti.
Facendosi forte di questa immarcescibile complicità, l’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon, ha detto che gli Stati Uniti puniranno tutti coloro che si azzarderanno a boicottare le aziende e gli individui che traggono profitto dall’occupazione illegale della Cisgiordania e che compaiono sulla lista nera del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC).
Una lista peraltro pubblicata con grave ritardo.
Danon ha quindi rivolto i suoi strali contro il senatore Bernie Sanders, colpevole a suo dire di essersi rifiutato di partecipare all’annuale convegno dell’AIPAC, una delle branche più note della Israel lobby negli Stati Uniti, e di aver definito il premier israeliano Netanyahu “un razzista reazionario”.
L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Danny Danon
Eppure, che Netanyahu sia un razzista è stato ammesso persino da un quotidiano “politicamente corretto” come il Guardian, che in un articolo scritto dall’opinionista ebreo Yair Wallach notava come gli attacchi razzisti di Netanyahu contro gli elettori palestinesi muniti di cittadinanza israeliana si siano intensificati nel corso degli ultimi anni.
Adesso, oltre a odiarli, ne teme concretamente la forza di aggregazione: il loro partito, la Lista unita, è passato nel giro di un anno dai 337.000 voti dell’aprile 2019 ai 575.000 voti del marzo 2020 (conquistando 15 seggi) e ha impedito al partito del premier, il Likud, di formare una maggioranza autosufficiente in parlamento.
Secondo Netanyahu, i palestinesi devono essere esclusi dai processi decisionali relativi alla formazione del nuovo governo e i loro voti in parlamento non devono contare.
Ma ad essere razzista in Israele non è solo Netanyahu. Anche i partiti di centro-sinistra lo sono, come spiega Wallach nel suo articolo: “la logica razzista di una ‘maggioranza ebraica’ forma ancora la base della politica mainstream”.
Adesso, il governo che appare più probabile senza i voti dei palestinesi è quello di unità nazionale: il Likud in alleanza con il partito “Blu e Bianco”. Forse, sarà questa la soluzione, cogliendo la palla al balzo dell’emergenza da coronavirus: un governo unito dal razzismo, con il quale Israele rimarrà una “democrazia” per soli ebrei.
Il leader della Lista unita, Ayman Odeh
Una “democrazia” a proposito della quale si possono leggere quotidianamente sui giornali notizie come questa: “Una bambina di Gaza che combatteva contro il cancro è morta senza il proprio padre al suo fianco. Ella non sarà l’ultima”.
Lo scrive Gideon Levy, uno di quegli israeliani che non hanno ancora perso il senso di umanità (“Restiamo umani”, diceva sempre il compianto Vittorio Arrigoni!).
Levy si riferisce a Miral, una bambina di 10 anni, paziente oncologica, che ha dovuto combattere contro la burocrazia per avere la propria madre vicina in un ospedale di Nablus, ma che è morta qualche giorno fa senza poter rivedere il proprio padre dallo scorso mese di dicembre.
Adesso Israele sta negando ad un’altra giovane palestinese, malata di leucemia, le cure mediche.
Davvero è una democrazia questa?
E sono una democrazia gli Stati Uniti, che stanno negando all’Iran, colpito dall’emergenza coronavirus, l’accesso ai farmaci?
È quanto afferma l’ambasciata iraniana in Italia in un suo comunicato: “Gli Stati Uniti, nonostante le false dichiarazioni mediatiche, non solo non hanno fornito all’Iran l’opportunità di accesso a medicinali e attrezzature mediche (per combattere il coronavirus), ma esercitano forti pressioni contro i paesi e le aziende che stanno cercando di alleviare le difficoltà del popolo iraniano attraverso azioni umanitarie ed aiuti finanziari”. È quanto afferma in un comunicato l’ambasciata iraniana in Italia. “Questa azione criminale degli Stati Uniti – si aggiunge nella nota – sta di fatto impedendo agli aiuti umanitari di raggiungere l’Iran”.
No, gli Stati Uniti non sono una democrazia: sono un’oligarchia, una (feroce) “dittatura dell’imprenditoriato”, come scrisse a suo tempo John Kleeves.
E visto che stiamo parlando di coronavirus, ricordiamo che l’Italia non ha ricevuto nessun aiuto dal cosiddetto “alleato” americano, e neppure dai presunti “alleati” dell’Unione Europea: no, l’unico aiuto concreto l’Italia lo ha ricevuto finora proprio dalla Cina. “Materiale, esperti e i risultati del lavoro di migliaia di medici”. Come riferisce il quotidiano La Stampa, “In prima fila in questa collaborazione c’è la Croce Rossa cinese che ci ha portato «31 tonnellate di materiali, tra cui equipaggi per macchinari respiratori, tute, mascherine. Ci sono anche alcune medicine anti virus insieme a sangue e plasma»”.
Questo cosa vuol dire? Forse, che il socialismo è più solidale del capitalismo.
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