Questo articolo si potrebbe intitolare Cronache dell’intolleranza sionista.
Riguarda fatti avvenuti nei giorni scorsi un po’ in tutto il mondo e che hanno per protagonisti i “guardiani della memoria” (ebraica) di cui parlavo nel precedente articolo.
La memoria è ebraica ma mi sembra giusto parlare di intolleranza sionista perché i suoi guardiani non sono esclusivamente ebrei: tra di essi figurano infatti regolarmente i giornalisti dei media mainstream. Senza il sostegno incondizionato (e reverente) dei media mainstream gli episodi di intolleranza che descriveremo non ci sarebbero o, almeno, non avrebbero l’impatto liberticida che hanno sui diritti civili di tutti noi.
La prima notizia da riferire risale a otto giorni fa: domenica 26 gennaio quattro rabbini americani si sono riuniti davanti ad una chiesa vicina all’ex campo di concentramento di Auschwitz per protestare contro la presenza di tale chiesa e per chiederne lo smantellamento.
I rabbini sostenevano che la chiesa in questione non avrebbe dovuto essere costruita sul sito di Auschwitz e che essa viola un accordo del 1987, tra i cardinali europei e i dirigenti ebraici, secondo il quale non avrebbe dovuto esservi nessun permanente luogo di culto cattolico nei campi di Auschwitz e di Birkenau:
“Questa (la chiesa) nella mia mente è la più grande profanazione nella storia dell’Olocausto”, ha detto il rabbino Avi Weiss.
Ma per quale motivo, mi domando, una chiesa ad Auschwitz costituirebbe una “profanazione”? Non è forse vero, come riconosce lo stesso articolo dell’agenzia Reuters, che ad Auschwitz morirono anche “decine di migliaia” di cattolici polacchi, inclusi sacerdoti e partigiani? Evidentemente, per questi rabbini, i morti non ebrei di Auschwitz non contano nulla e non devono essere ricordati per non “profanare” la memoria dei morti ebrei. Se non è razzismo questo, non so cosa sia il razzismo.
La protesta dei rabbini davanti alla chiesa di Auschwitz
La seconda notizia ci giunge dal Belgio: l’ambasciatore israeliano di questo paese ha gridato allo scandalo perché un giornalista fiammingo ha osato scrivere, in un importante quotidiano nazionale, che l’Olocausto occupa un posto centrale nella propaganda dello stato sionista e che Israele è un regime che ha imposto l’apartheid per legge. Come se non fosse vero. Johann Depoortere, questo il nome del giornalista, ha inoltre rilevato che dall’epoca della guerra dei Sei Giorni, nel 1967, “la propaganda israeliana e i difensori del sionismo hanno giocato la carta dell’Olocausto senza inibizioni”. Apriti cielo. “Nuovo scandalo di antisemitismo in Belgio”, ha titolato un noto giornale ebraico-americano.
La terza notizia della settimana giunge dall’Inghilterra: qui, la famigerata associazione CAA (Campaign Against Antisemitism) sta provando a distruggere la carriera del famoso sassofonista jazz Gilad Atzmon. Atzmon ha spiegato bene cosa è successo: nei mesi scorsi, il proprietario del club dove Atzmon suona(va), il “606 jazz club”, è stato sottoposto ad un fuoco di fila di pressioni e di minacce affinché non facesse suonare Atzmon. Gli venne detto che Atzmon sostiene che “Hitler aveva ragione, dopo tutto” e che Atzmon auspica l’”incendio delle sinagoghe”. Falsità avidamente riecheggiate dalla stampa ebraica inglese.
Visto che le minacce non hanno avuto successo e che il proprietario del club ha scritto, in una pubblica lettera, che avrebbe continuato a far suonare Atzmon nel suo locale, la CAA ha preannunciato su Twitter che “selezionerà un certo numero di date future nelle quali sottoporre il 606 jazz club a picchettaggio:
Campaign Against Antisemitism will be selecting a number of future dates on which to picket the @606Club over its decision to provide notorious antisemite Gilad Atzmon with a platform.
To join us, volunteer at https://t.co/emX4iwfUe8 and when asked, set your city to “London”. https://t.co/SnhV2EjHpz
— Campaign Against Antisemitism (@antisemitism) January 30, 2020
“Tutto ciò”, ha scritto Atzmon, “dovrebbe far inorridire ogni inglese, ebreo e non ebreo, come fa inorridire me. Nel 2017, un’analoga campagna di CAA si è risolta in una malefica aggressione ad un membro del pubblico che ha sofferto di una seria ferita all’occhio”.
Di fronte a tutto questo, per non far correre rischi ai colleghi e al pubblico, Gilad Atzmon ha deciso di non suonare più, come era previsto, sabato prossimo. Contestualmente però, sporgerà denuncia contro la CAA presso la Commissione di controllo delle organizzazioni “benefiche” inglesi.
Gilad Atzmon
Dall’America giunge poi una quarta notizia: i massoni del B’nai B’rith degli Stati Uniti (una delle più potenti organizzazioni ebraiche a livello internazionale) stanno cercando di boicottare la tournée americana del famoso cantautore inglese Roger Waters.
A tale scopo, hanno fatto pressioni sulla lega americana di baseball, incaricata della vendita dei biglietti del tour di Waters:
“Il presidente della B’nai B’rith, Charles O. Kaufman, e il CEO dell’organizzazione, Daniel S. Mariaschin, hanno scritto una lettera, pubblicata giovedì 30 gennaio, al Commissario della MLB Rob Manfred in cui hanno riportato che: “Waters è un antisemita dichiarato le cui opinioni su ebrei e Israele superano di gran lunga i confini del discorso civile.” Kaufman e Mariaschin hanno poi scritto: “Siamo rattristati e oltraggiati dal fatto che il baseball abbia usato le sue risorse online per pubblicizzare un individuo con una storia allarmante di odio antisemita. Chiediamo a MLB di a sospendere il servizio come piattaforma a Roger Waters”.
Tra le tante coraggiose prese di posizione di Waters, oltre quelle contro le politiche di apartheid dello stato ebraico, ricordo quella contro i tentativi di golpe in Venezuela e quella contro i famigerati Elmetti Bianchi. Va notato a questo proposito che tra gli ammiratori e i sostenitori di Waters ve ne sono alcuni, anche qui da noi, che di professione fanno i giornalisti sui media mainstream (il primo che mi viene in mente è Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano): ebbene, costoro, anche quando parlano diffusamente del musicista inglese, si guardano bene dal riportarne le opinioni politiche. Anche questa è censura.
Roger Waters
Quindi, ricapitolando: c’è una minoranza di persone potenti e influenti, che si arrogano la potestà di decidere quali orientamenti politici dobbiamo avere (mai contro lo stato di Israele!), quali eventi del passato dobbiamo ricordare e come li dobbiamo ricordare (“Quella chiesa qui non ci piace: toglietela di mezzo!”) e persino quali musicisti NON dobbiamo ascoltare.
Il braccio armato della predetta minoranza sono i giornali, i media. Che ci vedono come “materiale grezzo” da manipolare. Ormai le “implementazioni delle politiche della memoria”, come le ha definite Valentina Pisanty, ci hanno immerso in un clima di lavaggio del cervello permanente. E se la gente non aderisce in toto agli imput dei “padroni del discorso” si grida allo choc, all’”antisemitismo”: “Rapporto choc: il 15,6 per cento degli italiani nega l’Olocausto. Nel 2004 erano il 2,7%”, titolava tre giorni fa Avvenire, il quotidiano dei vescovi.
Ma, a quanto pare, anche in Inghilterra la gente non è del tutto prona alla propaganda olocaustica: “Più di 2.6 milioni di inglesi sono negazionisti dell’Olocausto, scopre un sondaggio”: “Il cinque per cento degli inglesi adulti non crede che milioni di ebrei vennero sistematicamente uccisi dai nazisti…Un ulteriore otto per cento sostiene che la scala del genocidio sia stata esagerata”.
Sarebbero anche notizie positive (e anzi in una certa misura lo sono senz’altro), se non fosse che sono immerse in una cattiva notizia permanente: quella dell’atteggiamento inquisitorio, da polizia del pensiero, dei giornali che le riportano e per i quali l’Olocausto non è suscettibile di esagerazioni possibili.
Un esempio marchiano in tal senso lo fornisce proprio il predetto quotidiano Avvenire, che giudica “allarmante” che vi siano italiani “che sostengono che l’Olocausto non avrebbe prodotto diciassette milioni di vittime ma molte meno”. Qui, se c’è qualcosa di allarmante è la disponibilità del quotidiano dei vescovi a buttare il cervello all’ammasso, visto che prende per oro colato le cifre fornite dallo United States Holocaust Memorial Museum. Del resto, non c’è da stupirsi che una parte degli italiani giudichi esagerate le stime delle vittime non ebraiche dei nazisti, visto che il 27 gennaio di ogni anno (“Giorno della Memoria”) di tali vittime non si sa (e non si dice) praticamente nulla.
Avvenire etichetta come “odio” e “pregiudizio razziale” il fatto che vi siano degli italiani che osano esprimere dubbi sull’”Olocausto”, ma si guarda bene dal riportare (e dal criticare) il razzismo dei rabbini americani che pretendono la demolizione della chiesa cattolica di Auschwitz. Proprio quella eretta per commemorare le vittime non ebree di Auschwitz. Ecco come agisce la polizia del pensiero.
Tra i “guardiani della memoria” (ebraica), naturalmente, c’è anche l’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. L’ultima sua malefatta: ha revocato il divieto di usare le mine antiuomo. La decisione di Trump rende nulla la Campagna internazionale contro le mine antiuomo, che era stata premiata con il premio Nobel per la pace del 1997. Trump è convinto che una nuova generazione di esplosivi ad alta tecnologia “migliorerà la sicurezza delle forze armate statunitensi”.
Non c’è che dire: stanno rendendo il mondo in cui viviamo un posto sempre più orribile.
Qualcuno a questo punto potrebbe dirmi che mi sono scordato del fatto di cui si parla tanto in questi giorni, e cioè del cosidetto “piano di pace” di Trump riservato ai palestinesi. In realtà, non me ne sono dimenticato. A questo proposito, traduco a seguire un dialogo, immaginario ma non troppo, tra, da una parte, i predetti palestinesi e, dall’altra, Stati Uniti e Israele (l’ho trovato sulla bacheca Facebook della mia amica Betty Molchany, il testo è di Alice Carpenter):
Palestinesi: “Ok, sentiamo che c’è un accordo. Possiamo fare qualche domanda?”.
US & Israele: “Certo”.
Palestinesi: “Allora, quanta parte del nostro paese riavremo?”.
US & Israele: “Nessuna”.
Palestinesi: “A quanti dei nostri rifugiati verrà permesso di tornare in patria?”.
US & Israele: “A nessuno”.
Palestinesi: “Quando quelli di noi che vivono in Israele riceveranno eguali diritti con gli israeliani ebrei?”.
US & Israele: [risata prolungata] “Siate realisti. Non succederà. Non potete aspettarvi di essere eguali agli ebrei in uno stato ebraico”.
Palestinesi: “Ma tutti i cittadini di uno stato dovrebbero essere eguali. Non è così che funziona negli Stati Uniti e in Europa? Non andate in giro a fare conferenze in altri paesi su questa roba?”.
US & Israele: “Lasciate perdere. La prossima domanda. Hey: perché non fate domande sul VOSTRO stato? È nell’accordo! Dai: fateci domande!”.
Palestinesi: “Ehm, ok. Ma prima: avremo Gerusalemme come nostra capitale? Dobbiamo avere questo. Sarà Gerusalemme la nostra capitale?”.
US: “Sì”.
[pausa]
Israele: “Gerusalemme sarà la capitale indivisa di Israele”.
Palestinesi: “Tutto ciò non ha senso. È la capitale indivisa di Israele e ANCHE la nostra capitale? È assurdo. Oh…aspettate…aspettate un momento. Dove sarà ESATTAMENTE la nostra capitale?”.
US & Israele: “Abu Dis”.
Palestinesi: “Ok. Abu Dis…non è a Gerusalemme. Il fatto che abbia un nome differente è una chiave. E poi: il vostro muro dell’apartheid è TRA Abu Dis e Gerusalemme. Abu Dis non fa parte di Gerusalemme”.
US & Israele: “No – ma per lo scopo del nostro argomento ne fa parte”.
Palestinesi: [lunga pausa] “Così, dove esattamente il nostro stato si troverà a essere?”.
US & Israele: “Ok, ebbene, alcuni pezzi staranno LÌ, alcuni altri pezzi sono finiti IN QUESTO MODO e – vedete quella grande città LAGGIÙ vicino al mare? Avrete anche quella!”.
Palestinesi: “Ma…ma…non si collegano”.
US & Israele: “Si collegano. O si collegheranno. Le collegheremo con dei tunnel”.
Palestinesi: “Tunnel”.
US & Israele: “Questo è tutto! Potrete muovervi liberamente tra le differenti parti del vostro stato – a condizione che ci si possa fidare della vostra gente per superare i checkpoint, ovviamente”.
Palestinesi: “E lasciateci indovinare – i checkpoint saranno controllati dall’esercito israeliano?”.
US & Israele: “Avete capito! Israele deve avere la sicurezza, naturalmente. E perché a VOI non sarà permesso di avere un esercito, loro sono i soli che possono controllare i checkpoint, i confini, questo genere di cose”.
Palestinesi: “Niente esercito. Giusto. E…aspetta…i confini? Noi dovremmo controllare i nostri confini, giusto? Ogni stato può fare questo!”.
US & Israele: “Questo è…un po’ diverso…vedete, il vostro stato è tutto interamente dentro Israele”.
Palestinesi: “Siamo…circondati! Ma possiamo uscire fuori? Sicuramente possiamo andarcene nel mondo esterno”.
US & Israele: “Ebbene…non proprio…non siete davvero pronti per alcune cose, vero? Così pensiamo che sarebbe meglio se Israele controllasse – ebbene – poche altre cose nel vostro stato”.
Palestinesi: “Poche altre cose”.
US & Israele: “Ecco! Niente di serio…risorse idriche, diritti minerari, spazio aereo, comunicazioni…ma, tornando agli aeroporti, non pensiamo che abbiate davvero bisogno di un aeroporto. O di un porto. Senza offesa, ma non siete pronti per tutto questo. Ma se vi comportate bene, potete usare quelli di Israele. Ah, ora – adesso che ci penso – vi sono alcune condizioni”.
Palestinesi: “Condizioni”.
US & Israele: “Sì, innanzitutto, per avere il vostro stato dovete accettare l’esistenza di Israele in quanto stato ebraico. Ok con questo?”.
Palestinesi: “No…aspettate…questo significa che accettiamo che gli europei avevano il diritto di prendersi il nostro paese, avevano il diritto di buttare fuori 750.000 di noi…e per i pochi che sono rimasti, va bene cittadini di seconda classe!”.
US & Israele: “Non la metteremmo in questo modo. Ma hey – è la vostra scelta. Volete ascoltare le nostre altre condizioni?”.
Palestinesi: [silenzio].
US & Israele: “Dovete accettare che siete un popolo violento e corrotto, ma che smetterete di essere violenti e corrotti”.
Palestinesi: [silenzio].
US: “Oh, un’altra cosa”.
Palestinesi: [una pausa molto lunga] “Quale?”
Israele: “Semplice. Se non vi piacciono le nostre proposte molto generose, e se non accettate tutte le nostre condizioni, l’accordo dice che possiamo prendere una parte ancora maggiore della vostra terra”.
Fin qui, il dialogo immaginario ma non troppo tra i palestinesi e i loro oppressori (il dialogo è immaginario ma i contenuti sono fin troppo reali).
Nel frattempo, continua incessante il furto di quanto rimane del territorio palestinese: Israele sequestra centinaia di dunam di terra palestinese a Hebron, titolava lo scorso 28 gennaio il sito palestinechronicle.com. L’ordine di sequestro è arrivato dall’esercito. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, “Il sequestro e l’appropriazione delle terre per insediamenti israeliani, circonvallazioni stradali e relative infrastrutture, e appropriazioni discriminatorie di altre risorse vitali, inclusa l’acqua, hanno avuto un impatto devastante sui diritti fondamentali della locale popolazione palestinese, inclusi i loro diritti ad un adeguato standard di vita, alloggio, salute, istruzione, lavoro e alla libertà di movimento”.
È la legge dell’intolleranza. L’avanguardia di questa intolleranza, in Israele, sono i coloni. Quei coloni le cui prepotenze e le cui sopraffazioni il cosiddetto “piano di pace” di Trump ha lo scopo di legalizzare. Per sempre.
Ma la prepotenza dei coloni non si esercita solo sui palestinesi. Ne fanno le spese anche i cristiani di Terra Santa. Come quelli che vivono nella città vecchia di Gerusalemme. Su questo ho trovato un interessante articolo del Guardian: risale a due anni fa (2018), ma penso vada ancora tenuto in considerazione.
Parla del fatto che la presenza dei cristiani nel cuore geografico della loro fede è sotto minaccia a causa delle intimidazioni e delle aggressive acquisizioni immobiliari da parte proprio dei coloni. I preti vengono minacciati e sputati mentre le proprietà ecclesiastiche (greco-ortodosse) sono sottoposte a vandalismi.
Quello di sputare contro i preti è un vecchio vizio dei coloni e di certi ebrei ortodossi. A questo ora si aggiunge il vandalismo subito da un numero “senza precedenti” di chiese e di siti sacri, come denunciato da Theopilos III, il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme. Sul Monte Sion, fuori le mura della Città Vecchia, il terreno di proprietà della chiesa conosciuto come il “giardino greco” viene regolarmente vandalizzato: gli alberi sono stati sradicati, il terreno cosparso di immondizia, scritte con insulti dipinte sulle pietre e persino della vernice gettata all’interno della Cappella della Pentecoste.
Sito sacro cristiano a Gerusalemme vandalizzato
Mi rendo conto che il quadro che emerge da tutti questi fatti è tetro e deprimente: voglio perciò concludere questo post con una notizia positiva. Viene dalla Russia e ce la riferisce il noto scrittore ebreo – convertito al cristianesimo – Israel Adam Shamir: negli stessi giorni in cui si teneva a Gerusalemme il forum su Auschwitz – in occasione del 75° anniversario della liberazione di quel campo da parte dell’Armata Rossa – un tribunale russo si occupava del caso del dr. Roman Yushkov.
Egli era stato accusato di negazionismo dell’Olocausto e ha vinto il processo, perché in Russia il negazionismo non è un reato. Incoraggiato dalla sua vittoria, il dr. Yushkov ha fatto causa allo stato per sei milioni di rubli per danni, e il 21 gennaio il tribunale gli ha dato 50.000 rubli di risarcimento.
Chiosa Shamir: “La Russia è il paese più libero del mondo, sembra”.
Israel Shamir e Gilad Atzmon
“Va notato a questo proposito che tra gli ammiratori e i sostenitori di Waters ve ne sono alcuni, anche qui da noi, che di professione fanno i giornalisti sui media mainstream (il primo che mi viene in mente è Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano): ebbene, costoro, anche quando parlano diffusamente del musicista inglese, si guardano bene dal riportarne le opinioni politiche. Anche questa è censura.”
Riferimento: paragrafo sopra foto di Roger Waters.
Ma è chiaro il motivo per cui alcuni pennivendoli dei media mainstream sono comunque a favore di Roger Waters, eccolo arriva!
“Roger Waters attacca gli italiani: “I profughi non vengono per rubarvi la pizza”
La predica del musicista: “Dovete accoglierli, è gente disperata”. E Salvini? “Per fortuna che se n’è andato” ”
F. Bernasconi per “Il Giornale”
Ven, 06/09/2019
https://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/roger-waters-attacca-italiani-i-profughi-non-vi-rubano-pizza-1749372.html
Da notare anche che, oltre essere pro immigrazione fuori controllo, Roger Waters è stato contro la Brexit e ovviamente è molto contro Trump e Boris Johnson, stesse identiche cose al “Falso Quotidiano” di Travaglio, Scanzi & Company.
2. A proposito di cantanti e per unire ulteriormente i puntini, per trovare relativo articolo, scrivere queste parole chiave:
MEMENTO MORRISSEY IN INGHILTERRA IL NUOVO DISCO CENSURATO DAI NEGOZI E I MANIFESTI TOLTI DALLE STAZIONI DELLA METRO, PER IL SOLO FATTO DI AVER CRITICATO L’IMMIGRAZIONE E LODATO LA BREXIT Dagospia
Cioè praticamente, viene riportato un articolo di Francesco Borgonovo per “la Verità” del 28 maggio 2019 che riguarda la pesante censura subita in UK dal cantante Steven Morrissey, noto ai più solo come Morrissey, è stato il deus ex machina degli Smiths ed è un pezzo parecchio importante di storia della musica contemporanea, ha venduto milioni di dischi in tutto il mondo, nel 2006 un sondaggio commissionato dalla Bbc lo vedeva al secondo posto tra le più importanti personalità culturali inglesi viventi.
3. Complimenti per l’ottimo articolo!
Cordiali saluti e buona settimana.
Fabrice
Roger Waters ha le sue opinioni, giuste o sbagliate, come tutti noi. Ma è comunque un GRANDE.
Dalla bacheca Facebook di Riccardo Paccosi:
“C’è il complottismo e poi c’è il fatto che uno più uno fa due. Qui siamo di fronte al secondo caso.
Di cosa ha parlato Waters, un giorno sì e l’altro pure, negli ultimi anni?
Sostanzialmente di due cose: a) che la politica di Israele verso i palestinesi è criminale; b) che la politica degli Stati Uniti verso il Venezuela è criminale.
Ora, onestamente, vi pare possibile che la Rai – in questa fase storica e in questa Italia – possa mandare in diretta messaggi del genere?”
https://tv.fanpage.it/giallo-a-sanremo-salta-allultimo-istante-il-videomessaggio-di-roger-waters-motivi-di-scaletta/