Mi è capitato qualche giorno fa di dare un’occhiata in libreria all’ultimo libro di Andrea Scanzi, Il cazzaro verde. Dire che sono rimasto deluso è perfino eufemistico: più che un libro, è un libretto, una robetta talmente striminzita da risultare imbarazzante. Ma davvero c’è gente che glielo compra? A quanto pare, sì e sono pure tanti! Scanzi (come del resto il 90% degli “opinion leader” nostrani) critica Salvini solo dal punto di vista “estetico”: zero critiche ai contenuti. Ad esempio, Scanzi avrebbe potuto notare che il bullo Salvini, nella sua sbandieratissima fedeltà a Israele, scimmiotta il bullo d’oltreatlantico Trump ma si è guardato (e si guarda) bene dal farlo: più che un giornalista è un battutista, che si crede caustico e spiritoso ma che alla fin fine risulta inconsistente.
Come quando, tempo fa, prese di mira il suo collega Alessandro De Angelis (dell’Huffington Post): in quell’occasione, ironizzando sui precedenti di De Angelis come “retroscenista”, arrivò a definire il retroscenismo quale “branca inutile del giornalismo”. No, caro Scanzi, i retroscenisti nostrani saranno anche pedestri ma a volte far sapere ciò che accade dietro le quinte di certi fatti, nazionali come internazionali, è utile eccome alla comprensione dei medesimi!
Il cazzaro Scanzi
Prendiamo ad esempio la decisione, presa qualche giorno fa, di Gran Bretagna, Francia e Germania di mettere in discussione il rispetto dell’accordo nucleare da parte di Teheran avviando il meccanismo di risoluzione delle dispute: a dare la notizia, il 14 gennaio scorso è stato anche, tra gli altri, il Fatto Quotidiano, il giornale di Scanzi.
Che però si è ben guardato, come del resto tutta la stampa mainstream nostrana, di informare i propri lettori del relativo retroscena, e cioè del come gli europei sono arrivati alla predetta decisione: sotto la minaccia, segreta ma reale, di Donald Trump di imporre tariffe del 25% alle auto inglesi, francesi e tedesche, qualora gli europei non avessero pubblicamente accusato l’Iran. A rivelarlo, il 15 gennaio, è stato il Washington Post: in Italia, l’unico organo di informazione a riprendere la notizia, è stato sputniknews.com.
Ha scritto il quotidiano americano: “Una settimana prima che la Germania, la Francia e l’Inghilterra accusassero formalmente l’Iran di aver infranto l’accordo nucleare del 2015, l’amministrazione Trump formulava una minaccia confidenziale agli europei che ha scioccato i governanti di tutti e tre i paesi (grassetto mio). Se essi si fossero rifiutati di accusare Teheran e di avviare il meccanismo di risoluzione delle dispute, gli Stati Uniti avrebbero imposto una tariffa del 25% sulle automobili, hanno ammonito i rappresentanti di Trump, secondo i rappresentanti europei a conoscenza delle conversazioni”.
Che dite, non è male come retroscena, no? Aggiunge il Washington Post che “nel giro di pochi giorni, i tre paesi hanno formalmente accusato l’Iran di aver violato l’accordo, dando il via ad una clausola contrattuale che potrebbe reiterare le sanzioni delle Nazioni Unite all’Iran e demolire le ultime tracce rimanenti dell’accordo dell’era Obama”. È vero che, come riporta il Washington Post, i dirigenti europei interpellati dal giornale americano erano orientati già da tempo alla mossa in questione, ma il fatto che abbiano tenuto segreta la minaccia di Trump non depone a favore della loro autonomia decisionale.
Su questa vicenda, il Washington Post riporta anche l’emblematico commento di Jeremy Shapiro, dell’European Council on Foreign Relations (certo non sospetto di antiamericanismo): “La minaccia della tariffa è una tattica di stampo mafioso, e non è così che funzionano tipicamente i rapporti tra alleati” (grassetto mio). Ecco quindi che, dopo il generale Angioni, un altro personaggio di un certo rilievo usa la parola “mafioso” per definire un comportamento dell’amministrazione Trump.
Per tornare a Salvini, Scanzi si è guardato bene dal notare che l’obbiettivo del “cazzaro verde”, quello della “messa fuorilegge del movimento anti-israeliano e antisemita per il boicottaggio di Israele” (il “movimento antisemita” sarebbe il BDS) non fa che scimmiottare l’ordine esecutivo di Trump del mese scorso, il cui vero scopo, utilizzando il pretesto fuorviante dell’”antisemitismo”, è appunto quello di mettere il bavaglio al movimento BDS e alle contestazioni contro Israele che avvengono nei campus universitari americani.
Certo, Salvini non è il solo politicante italiano a bruciare di (servile) zelo per Israele: il suo convegno ha preceduto di pochi giorni la decisione del governo Conte di adottare la definizione di antisemitismo propugnata dall’IHRA (Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto).
La decisione arriva pochi giorni dopo l’appello di un’altra zelante, Mara Carfagna: “Carfagna, l’appello a Conte: “Faccia da garante e adotti la definizione di antisemitismo introdotta dall’IHRA””, titolava il 14 gennaio il quotidiano Libero.
Il dato inquietante è che anche la Camera dei deputati aveva, già un anno fa e all’unanimità, approvato una mozione in tal senso, prima firmataria proprio la zelante Carfagna (la quale Carfagna si era già distinta nel 2017 per aver – vergognosamente – presentato un’interrogazione parlamentare volta a impedire l’ingresso in Italia della patriota palestinese Leila Khaled, qualificata dell’appellativo di “terrorista”).
La zelante Carfagna
A proposito della definizione di antisemitismo dell’IHRA, ho parlato ieri con un avvocato che conosce bene la materia: a suo avviso, tale definizione non è giuridicamente vincolante. Quindi, per andare avanti nella repressione, il governo dovrebbe abrogare gli articoli 21 e 33 della Costituzione per decreto legge (come è stato già fatto, in parte, con l’approvazione della legge Mancino). Eventualità che, almeno per il momento, non è all’ordine del giorno. Rimane il fatto che tutto questo servilismo per i (presunti) semiti israeliani (e nostrani) è una cappa di piombo imposta alla libertà di parola e di espressione (e alla libertà di manovra del governo italiano sullo scacchiere internazionale).
Ma la cappa di piombo non cresce solo in Italia. Lo scorso 12 gennaio il sito thegrayzone.com ha riferito che, dietro pressione americana, le compagnie dei social media censurano contenuti “sgraditi” (all’amministrazione Trump) e hanno sospeso centinaia di account venezuelani, iraniani e siriani: “Mentre gli Stati Uniti intensificano le loro guerre ibride, Twitter, Facebook e Instagram sospendono account e censurano contenuti che contrastano con la narrazione bellicista di Washington”, scrive il sito. Nelle prime due settimane di gennaio, Twitter ha sospeso dozzine di account, inclusi capi di stato, istituzioni, media e perfino persone normali che non lavorano per i loro governi. Da parte sua, Facebook ha annunciato che censurerà contenuti considerati a sostegno del generale Qassem Soleimani, assassinato come si sa lo scorso 3 gennaio. Gli account presi di mira da Twitter e da Facebook avevano milioni di follower. Osserva il sito in questione che queste compagnie sono strettamente legate al governo americano e agiscono sempre più come estensioni di esso.
Contestualmente, lo stesso sito – thegrayzone.com – che, ricordiamolo, è un sito indipendente di giornalismo investigativo di qualità, ha riferito di essere stato esso stesso fatto oggetto di una misura discriminatoria: in questo caso da parte del servizio bancario Paypal. Paypal blocca tutte le donazioni a The Grayzone che menzionano la parola “Iran”.
Negli stessi giorni, è stato cancellato il canale Youtube di Press TV UK, che è la branca inglese dell’organo di informazione iraniano: Youtube ha rimosso l’account senza preavviso, un account che aveva 28.000 sottoscrittori. Come hanno scritto i diretti interessati, “questo attacco alla libertà di parola dei giornalisti di Press TV sembra essere parte di una purga anti-iraniana, mentre l’occidente concentra le sue attenzioni sul cambio di regime in Iran” (grassetto mio).
Twitter, Facebook, Youtube: quelli che sembrerebbero dei baluardi di libertà (la “libertà” dell’occidente) si stanno rivelando spazi progressivamente militarizzati, dove è sempre più difficile dire la propria per milioni di persone. Una triste realtà confermata da un’altra notizia, emersa qualche mese fa. Qualcuno già la conosce ma qualcun altro forse no, così la riassumo: l’agenzia askanews.it ha rivelato lo scorso ottobre che il Direttore di Twitter per il Medio Oriente è un ufficiale dell’esercito britannico. Si tratta di Gordon MacMillan, che in precedenza aveva lavorato per diversi anni con la 77a brigata, un’unità formata nel 2015 e specializzata nella guerra psicologica e nella guerra informatica. Scrive askanews.it:
“La sede della 77a brigata si trova a ovest di Londra. Ha riunito un numero di unità militari esistenti come il Media Operations Group e il 15 Psychological Operations Group. Al suo lancio, ai media britannici è stato riferito che la nuova unità di “guerrieri di Facebook” sarebbe stata di circa 1.500 uomini, composta da soldati regolari e riservisti. Negli ultimi mesi, l’esercito si è avvicinato ai giornalisti britannici e ha chiesto loro di unirsi all’unità come riservisti, come riferisce Middleeast Eye”.
L’articolo in questione precisa anche che le responsabilità editoriali di MacMillan coprono anche l’Europa e l’Africa.
Sempre dall’Inghilterra giunge la notizia che dietro gli attacchi contro Jeremy Corbyn e il baccano scatenato contro il presunto antisemitismo del partito laburista c’è, tanto per cambiare, il governo di Israele. Lo dice un rapporto interno di un esponente del Labour, che cita un documentario del 2017 prodotto da Al Jazeera, che già all’epoca parlava dei collegamenti tra la Israel lobby e la politica inglese.
Ma già due anni fa, un lungo e dettagliatissimo articolo di Alison Weir ci ragguagliava su come Israele opera per manipolare e censurare le informazioni. Anche qui, con un’organizzazione di tipo militare. L’articolo si intitolava Come Israele e i suoi partigiani operano per censurare Internet: “Numerosi progetti, ben finanziati e organizzati, da Israele e a suo beneficio, operano per inondare i social media di propaganda israeliana, mentre bloccano i fatti che Israele non gradisce. I progetti utilizzano soldati, studenti, adolescenti americani e di altre nazionalità, e vanno dall’infiltrare Wikipedia a influenzare Youtube. Alcuni operano dai centri delle comunità ebraiche americane”. Anche qui, uno degli obbiettivi è combattere il movimento BDS. All’uopo, le autorità israeliane hanno creato, tra gli altri, la Maccabee Task Force, che nell’anno accademico 2017/2018 ha promosso nei campus americani 640 eventi pro-Israele. Il capo di questa organizzazione è un veterano dell’intelligence israeliana.
Il Ministero israeliano degli Affari Strategici considera Internet come un teatro di guerra: “La delegittimazione contro lo Stato di Israele può essere contrastata e contenuta attraverso la diplomazia pubblica e strumenti morbidi. Ma per vincere, dobbiamo usare trucchi e furbizia”. Un articolo del quotidiano israeliano Haaretz riferisce inoltre che, nella guerra contro il BDS, “i leader del Ministero degli Affari Strategici considerano sé stessi come i capi di una unità commando, che raccoglie e dissemina informazioni sui ‘supporter della delegittimazione di Israele’ – ed essi preferiscono che le loro azioni rimangano segrete” (grassetto mio). Per gli ulteriori dettagli di questa guerra informativa rimando al predetto articolo di Alison Weir.
Questa è dunque la libertà di stampa e la libertà di informazione vantata dall’occidente, in cui i giornalisti e gli operatori mainstream sono strumenti, talvolta persino in prima persona, delle “guerre ibride” condotte sulla pelle dei popoli (e all’insaputa della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica).
Stati Uniti, Israele, Gran Bretagna, Francia: l’opera di sovversione condotta da queste potenze sugli stati e i governi non allineati è incessante. L’ennesima notizia in proposito emersa nei giorni scorsi (e che mi ha molto colpito) è che l’USAID (l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) ha ammesso ufficialmente di aver consegnato 467 milioni di dollari all’opposizione venezuelana a partire dal 2017.
Davvero un potere così minaccioso e tentacolare come questo può arrogarsi il diritto di rappresentare davanti al mondo la civiltà? Prendiamo ad esempio proprio gli Stati Uniti: per un numero sempre crescente di americani il “sogno americano” è diventato un incubo. Una notizia del mese scorso:
“Allarme homeless in California: nello Stato simbolo del sogno americano vive il 50% dei senzatetto Usa”. San Francisco e Los Angeles sono invase da emarginati che vagabondano per le città. La contea di Los Angeles detiene il triste primato di 80.000 homeless.
Una notizia di tre anni fa:
“Stati Uniti, i poveri sono un terzo della popolazione, ma non si devono vedere”, titolava un organo non certo sospetto di antiamericanismo come la Repubblica: “Nessun diritto per gli homeless. Si chiama “Reato contro la qualità della vita”, in Usa, la colpa di chi non ha nulla e vive per strada. E gli homeless d’America, ostacolati da leggi e società, vivono la loro condizione in uno stato psicologico spesso autolesionista, per il quale alcuni credono di meritare l’ostracismo perché “colpevoli” di aver perso lavoro, casa, famiglia, vita”, proseguiva l’articolo. Ricordiamo che 1/3 della popolazione americana equivale a 103.303.000 persone. Per ulteriori dettagli, rimando al predetto, agghiacciante, articolo.
Davvero allora un paese feroce – e incivile – come gli Stati Uniti ha il diritto di puntare il dito contro l’Iran?
In Iran, i bisognosi, nonostante le disumane sanzioni americane, sono di meno, anche in termini percentuali, e soprattutto la solidarietà, sia da parte dello stato che della società, è molto maggiore: in Iran sono nati i “muri della gentilezza” per aiutare le persone meno fortunate, ovvero si è diffusa l’abitudine di lasciare appese ai muri della città maglie, coperte e altri oggetti di prima necessità, a disposizione dei più bisognosi.
Non ci sono “muri della gentilezza” nelle città americane: questo ricordiamocelo bene.
Muro della gentilezza in Iran
1. Dietro gli USA c’é Israele, basta seguire i soldi, eccoli arrivano!!
“Cost of Israel to the US” by CNI
Our uniquely massive support for Israel has cost trillions of dollars and multitudes of lives. It has diminished our moral standing in the world, lessened our domestic freedoms, and exposed us to unnecessary and growing peril.
The majority of Americans – as well as our diplomatic and military experts – oppose this unique relationship. Yet, the lobby for Israel continues to foment policies that are disastrous for our nation and tragic for the region.
If we are to have Middle East policies that serve the national interest, that represent the highest values of our founders and our citizens, and that work to sustain a nation of honor, decency, security, and prosperity, then it is essential that all Americans become active and informed. Below are the facts:
American taxpayers give Israel over $10 million per day
(See detailed analysis based on Congressional Research Service reports.)
This to a nation of about 7.5 million people – smaller than New Jersey. Israel has received more American money than any other nation on earth. It is more than we give to all the starving countries of Africa put together.
From 1950-53 Israel’s financial influx from the U.S. was one billion dollars; Israel at that time had 1.6 million inhabitants.
Proseguimento:
https://councilforthenationalinterest.org/?page_id=2
2 . Su Marco Travaglio, il capo del tuttologo incompetente e ruffiano di Scanzi ( attenzione però, è specializzato a parlare di vini, formaggi e Gaber, ci vuole moltio cervello per farlo… ) , si gusti le mazzatone che gli ha dato Paolo Barnard, per trovarle, scrivere queste parole chiave:
IL CULIVENDOLO MARCO TRAVAGLIO HA SUPERATO I LIMITI Comedonchisciotte
3. Complimenti per l’ottimo articolo.
Cordiali saluti.
Fabrice
Correzione sul punto 2.
Meglio seguire quest’altro link che riporta il pezzo nella sua completezza, eccolo arriva.
Non è solo che Travaglio, Gomez e Barbacetto et al. andrebbero ‘sputati’ per la strada per aver distratto milioni di italiani per 20 anni dalla Tragedia del Golpe europeo – che è Golpe alla Costituzione italiana intera, che è Golpe al destino di 4 future generazioni di italiani divenuti schiavi, che è Golpe al Parlamento tutto – vendendovi interi scaffali di libri fotocopia sulle troie di Berlusconi o sui processi da Ladri di Polli dell’Italietta politica – ovvio in cambio di Stardom e un di bel pacco di bigliettoni in banca, sti falsari.
E’ che Travaglio fa proprio vomitare nell’antro gastrico del grottesco. Per favore, quante volte lo avete sentito gracchiare “…perché nei Paesi seri, bla… bla..”, ovviamente riferendosi a Stati Uniti e Gran Bretagna? E questo soprattutto lungo il doppio mandato di Tony Blair a Londra, che secondo Travaglio era un uomo del ricambio generazionale da prendere ad esempio, non come la gerontocrazia italiana. Bè oggi si scopre che Blair aveva mentito sulla guerra in Iraq, che è colpevole di crimini di guerra, e Travaglio sul suo straccio quotidiano scrive un commento dove non solo OGGI disprezza Blair, ma HA LA FACCIA COME IL CULO di accusare Giuliano Ferrara de Il Foglio di aver scritto anni fa che?… che?… “la Gran Bretagna è un Paese serio”, cosa che il Marco ci ha sbraitato fin dai tempi della sua famosa intervista a Luttazzi. Poi sto puzzone ha appoggiato ogni sorta di ‘avventura democratica’ anglosassone nel mondo, è un filo-Sionista pro genocidio dei Palestinesi, e ha baciato in fronte l’Eurozona. Ma se continuo vomito sulla tastiera, e cambiarla costa 530 euro.
Ora, che Travaglio sia sempre stato un servo dei Toni Blair NEOLIBERISTI, bugiardi, e devasta-popoli del mondo anglosassone, e sempre raccontando balle da ignorante quale è – perché sto fesso solo per essere famoso si sente in diritto di scrivere editoriali sull’amigdala o sulla fusione delle particelle e mai ci capisce un cazzo – ora, che sia sempre stato un servo dei Tony Blair NEOLIBERISTI lo denunciai io anni fa, in un pezzo intitolato… buona lettura.
Proseguimento:
http://www.tgmaddalena.it/paolo-barnard-il-culivendolo-marco-travaglio-ha-superato-i-limiti/
per i social il presidente dice “alle volte si trasforma invece in strumento per denigrare, anche deformando i fatti…(e) diffusione di notizie false”. (https://www.quirinale.it/elementi/42667).
Meno male che non ce l’ha con questo bog.
Lola.