Lo scorso sabato 28 dicembre, Gianni Barbacetto, dalle colonne del Fatto Quotidiano (Quel “mazzetto di omicidi” che Sofri ancora non spiega) riparla della strage di piazza Fontana e della morte di Giuseppe Pinelli. “Sappiamo che Pinelli non solo è innocente, ma è anche la diciottesima vittima della strage”, scrive Barbacetto. Ho pensato quindi di fare cosa utile riproponendo a seguire un brano tratto dal libro “Noi accusiamo!”[1], scritto nel 1971 dall’anarchico Vincenzo Nardella, un libro di cui oggi pochi si ricordano ma che è stato più volte citato nell’inchiesta di Paolo Cucchiarelli, “Il segreto di piazza Fontana”. Il brano in questione è interessante perché propone uno scenario alternativo a quello preso in considerazione all’epoca dai magistrati che si occuparono della morte di Pinelli. Poco tempo dopo aver scritto il libro, Nardella, evidentemente avendo avuto sentore di guai in arrivo, fuggì in Svezia, vi rimase per qualche anno e poi tornò in Italia. È morto da tempo.
Dal libro di Vincenzo Nardella “Noi accusiamo! Contro requisitoria per la strage di stato” (e dal capitolo “La dinamica della morte di Pinelli”) riportiamo il brano seguente (pp. 166-172)[2]:
Esamineremo ora i fatti come in realtà si sono svolti.
La sera del 15 dicembre, l’anarchico Pasquale Valitutti si trovava in stato di fermo al quarto piano della questura milanese, in una stanza adiacente all’ufficio del commissario aggiunto Luigi Calabresi.
Una fessura nel muro della stanza, permetteva a Pasquale Valitutti di vedere ciò che accadeva in una parte del corridoio, in quella parte del corridoio cioè che indirizzandosi da un lato verso l’ufficio del commissario Antonino Allegra, dall’altro lato finiva contro la parete nella quale si apriva l’ufficio del commissario Luigi Calabresi.
Nell’ora che secondo la polizia, Luigi Calabresi sarebbe stato occupato a deambulare lungo il corridoio per cercare scampo e protezione nell’ufficio di Antonino Allegra, Pasquale Valitutti stava guardando proprio quel pezzo di corridoio.
Nella sua deposizione Pasquale Valitutti è preciso: «in quel periodo di tempo, nel corridoio, non ho visto passare nessuno».
Quindi, secondo tale testimonianza, Calabresi quella notte non aveva immesso nessun tigre nei garretti.
È credenza generale, alimentata del resto abbondantemente dalla stampa, che in quel pezzo di parete nella quale si aprivano le due stanze non vi fossero altri uffici. Abbiamo infatti al riguardo soltanto due dichiarazioni: quella della polizia che parla dell’ufficio di Calabresi, e la dichiarazione di Valitutti che parla dell’ufficio di Calabresi e della stanza nella quale egli stesso si trovava.
In realtà, oltre alle due stanze delle quali tutti conoscono l’esistenza, esiste una terza stanza della quale nessuno ha mai parlato, la stanza che il 15 dicembre 1969 era occupata dal commissario Puttomatti, commissario che una certa importanza doveva ben averla perché quando la stampa nazionale pubblicò in formato gigante la fotografia dei prodi poliziotti milanesi che si vantavano di aver risolto il mistero delle bombe, accanto ai sorridenti Allegra e Zagari faceva la sua bella figura, sorridente anche lui, il commissario Puttomatti.
Il commissario Puttomatti, malgrado fosse in qualche modo importante e degno persino di essere fotografato in formato gigante, sparisce da Milano subito dopo l’esplodere del caso Pinelli.
L’Italia sociale degli anni 1970-1971 possiede due sole colonie di rilievo: la Sicilia e la Sardegna. Facendo tale distinzione non è nostra intenzione offendere né i siciliani né i sardi. Ci limitiamo soltanto a fare una tragica constatazione di ordine sociale.
Il commissario Puttomatti, brillante componente dell’ufficio politico milanese, viene trasferito in una di tali colonie, precisamente in Sardegna, e che la Sardegna si trovi effettivamente lontana dalla madre patria lo dimostra la constatazione che chiamato a deporre nel processo Baldelli-Calabresi, il commissario Puttomatti fa sapere al presidente Biotti di non poter salire sul banco dei testimoni perché la Sardegna è tanto lontana da non potergli permettere un avventuroso viaggio di trasferimento per raggiungere Milano.
Nella vicenda Pinelli, Puttomatti ha la sua importanza perché fu nel suo ufficio che la notte dal 15 al 16 dicembre del 1969 Giuseppe Pinelli venne ucciso.
Sappiamo che Pinelli doveva venir messo a confronto con una persona. Quando il confronto avrebbe dovuto aver luogo, nell’ufficio del commissario aggiunto Luigi Calabresi vi erano troppe persone presenti, ed oltre a loro, vi erano le tantissime altre persone che passeggiando nel corridoio gettavano obbligatoriamente uno sguardo in quel dannato ufficio.
Da tutte le parti si è dimenticato volutamente di far notare, che l’ufficio del commissario aggiunto Luigi Calabresi aveva delle speciali caratteristiche. Serviva da quartier generale per un’infinità di brigadieri che vi si recavano a consultare appunti, schedari, la famosa biblioteca di Calabresi, e non sembra che nessun interrogatorio sia stato tenuto in quella stanza. La notte dal 15 al 16, non si poteva pretendere che la metà del personale dell’ufficio politico milanese interrompesse il proprio lavoro solamente perché Pinelli doveva subire un confronto.
Pinelli venne quindi trasferito nell’ufficio del commissario Puttomatti, ed il commissario Puttomatti, che Valitutti non vide mai passare nel corridoio, si trasferì nell’unico ufficio nel quale poteva entrare senza farsi vedere da Valitutti, l’ufficio di Luigi Calabresi.
Accompagnarono Pinelli il commissario aggiunto Luigi Calabresi, e i due suoi fidi aiutanti, il brigadiere Vito Panessa ed il brigadiere Pietro Muccilli.
Nell’ufficio di Puttomatti sedeva, da un buon numero di minuti, l’uomo con il quale Giuseppe Pinelli venne messo a confronto.
Nell’ufficio di Puttomatti, Giuseppe Pinelli venne ucciso.
Era la logica del potere.
Venne ucciso a freddo, senza che alcun rumore trapelasse da quella stanza.
Non ci furono sedie smosse, né confusioni che potessero colpire gli altri fermati in ascolto.
Con un uomo che improvvisamente stava morendo, si agì nel panico. Si fece la famosa telefonata all’autoambulanza con un quarto d’ora d’anticipo sul salto dalla finestra, quella famosa telefonata che nessuno era riuscito mai a spiegarsi.
Agirono semplicemente nel panico. Razionalmente lo uccisero, irrazionalmente tentarono di salvarlo. Infatti, per quanto amorfi potessero essere i poliziotti milanesi, bisogna ricordarsi che Pinelli fu il primo morto che si trovarono improvvisamente fra le mani, ed agirono perdendo completamente la testa.
Con la stessa velocità con la quale si erano lasciati trasportare dal panico rinsavirono e si mise in atto il suicidio di Pinelli, suicidio che poteva venir accreditato, in modo semplicistico, soltanto per lancio attraverso la finestra. Ma la finestra a disposizione nell’ufficio del commissario Puttomatti, non poteva servire allo scopo. Non guardava infatti sul cortile, ed inoltre tutta la luce della finestra è sbarrata da una robusta inferriata.
Il corpo di Pinelli venne quindi trasportato nell’ufficio di Calabresi, e tale lavorio giustifica il fatto che solo dopo quindici minuti dalla telefonata all’autoambulanza, il corpo di Pinelli piomba nel cortile, pochi attimi prima che l’autoambulanza arrivasse.
Contemporaneamente al lancio, si mise in funzione il testimone Valitutti, ed è infatti in funzione di tale testimone che nella stanza del commissario aggiunto Luigi Calabresi, i brigadieri presenti si danno da fare, un quarto d’ora dopo la famosa telefonata all’autoambulanza, a rovesciare sedie e ad urtare tavoli per dare l’impressione che Pinelli stesse sfasciando tutta la stanza per potersi lanciare in libertà dalla finestra.
Ci sarebbe poi da dire qualche parola sull’esame critico dei quattro medici alla perizia ordinata dal magistrato Caizzi.
I quattro medici sono precisi. Il magistrato Caizzi ha falsato l’esito della perizia imponendo ai periti una domanda alla quale vi era una sola possibilità di risposta, risposta che vietava di prendere in considerazione l’ipotesi che Pinelli fosse stato ucciso al quarto piano.
Altri due medici intervengono poi nel dibattito, che al momento non ha contraddittori, facendo notare che Pinelli è cascato di fianco spappolandosi un rene, il cuore, la milza, e fratturandosi diciassette costole. I medici avanzano l’ipotesi che Pinelli sia stato malmenato prima del volo, e considerato il modo con il quale tale volo è stato compiuto, i medici lasciano capire che Pinelli è stato scaraventato dalla finestra in stato di incoscienza. La buona gente direbbe che Pinelli è stato assassinato.
Ecco perché ha poca importanza sapere che cosa Calabresi Luigi disse e quando lo disse, se nell’immediatezza dell’ufficio o in altro luogo.
Pochissima importanza rivestono anche le conclusioni alle quali giungono i magistrati Caizzi ed Amati, e nessuna importanza le dichiarazioni dei sei poliziotti che si stanno divertendo a farsi interrogare con o senza le mani infilate nei guanti.
Nessuna importanza inoltre, rivestono le beghe tra il magistrato Biotti che si fa ricusare al momento giusto, l’avvocato Lener che chiede la ricusazione, ed il consiglio superiore della magistratura che ricusa Biotti al momento giusto.
Il cadavere di Pinelli è lì, in una fossa del cimitero di Milano anche se purtroppo è un cadavere che si va paurosamente assottigliando. Quando infatti il tribunale ne decise la riesumazione, si ebbe la sorpresa di scoprire che lo stato, cioè l’accusato sia del suo assassinio che della strage di piazza Fontana, aveva provveduto per mano di un qualche suo solerte funzionario, a far sparire «per imperdonabile negligenza» i polmoni ed il cuore di Pinelli, reperti dai quali si sarebbe potuto riuscire a sapere, con dati inconfutabili, il preciso momento della morte di Pinelli, e se tale morte era avvenuta per caduta o in altro modo.
Oltre ai polmoni e al cuore, sparirono anche gli abiti, «negligentemente bruciati» senza che alcun magistrato pensasse di intervenire.
Questi nuovi atti, queste «negligenze» quasi desiderate, non fanno in fondo che aggiungere delle complicità calcolate alle prime irrazionali e spontanee complicità, e nulla riescono a mutare nella sostanza.
La buona gente sa che Pinelli è stato ucciso. Da un po’ di tempo a questa parte si cominciano a conoscere anche i motivi che hanno trasformato, per ragioni di stato, un commissario di p.s. in un assassino.
La buona gente sa che certa magistratura non è disposta in nessun caso a far luce sulla morte di Pinelli, e su tale morte faremo luce noi, pazientemente, trovando giorno per giorno gli anelli che ancora mancano.
Faremo luce noi che non crediamo nella giustizia a pagamento dei magistrati tipo Amati, Caizzi, Cudillo, Occorsio, Biotti.
Faremo luce noi perché i lavoratori italiani hanno il diritto di vivere in una società che si basi sulla giustizia, a tutti i livelli.
Tutti sanno inoltre che gli interrogativi che continuano ad essere posti sulla morte di Pinelli a livello giornalistico e parlamentare, a questo punto, a quasi due anni dal suo assassinio, sono solo una farsa. Mentre Saragat se ne sta andando, Franco Restivo continua a sedere in parlamento e nel governo con le stesse identiche funzioni che ricopriva il 12 dicembre 1969.
Tutti sanno che un numero imprecisato di assassini, ed un numero ben maggiore di mandanti, sono in libertà assoluta, ed in alcuni casi essi usufruiscono di promozioni regolari e straordinarie ogni qual volta si tratta di prendere a schiaffi in faccia cinquanta due milioni di italiani, fascisti e poliziotti esclusi.
Tutti sanno che un magistrato senza batuffoletti nelle orecchie e senza gli occhiali di catrame sul naso, con una piccola prova decisa in una stanza che riproduce i pochi centimetri della stanza della versione ufficiale, riuscirebbe se non altro ad appurare, una volta per sempre, che Giuseppe Pinelli non poteva suicidarsi.
Di perizie e di contro perizie con memorie e critiche, ce ne sono già tre a disposizione. Di verbali, una valanga.
Ma tutto il problema è lì. Dimostrare che Pinelli è stato ucciso, vuol dire riaprire tutte le indagini sulle bombe, e così facendo si corre il rischio di mandare in galera i veri responsabili della strage di stato.
Ed allora il discorso riprende lì dove il magistrato Vittorio Occorsio credeva di averlo pomposamente chiuso.
«La magistratura non è serva né di altri poteri, né di idee guida».
Ed i magistrati?
Sulla morte del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, non c’è altro al momento da aggiungere.
Giuseppe Pinelli
[1] Pubblicato dalla Jaca Book in prima edizione nel 1971. L’edizione da me utilizzata è la seconda, del 1972.
[2] I grassetti sono miei.
Avete mai avuto la sensazione sinistra che la realtà sia ben peggiore del più terrificante film dell’orrore?
Se calabresi non c’entra niente, come mi pare d’aver capito da questo stralcio del Libro, come mai sia Napolitano che Mattarella si sono dati tanto da fare per far “riconciliare” le due vedove di Pinelli e di calabresi? Puzza Puzza Puzza…Le mosse ci dicono che il responsabile della morte di Pinelli era proprio l’ “assente”….
In realtà, l’autore del libro non dice che Calabresi non c’entra:
“Accompagnarono Pinelli il commissario aggiunto Luigi Calabresi, e i due suoi fidi aiutanti, il brigadiere Vito Panessa ed il brigadiere Pietro Muccilli.
Nell’ufficio di Puttomatti sedeva, da un buon numero di minuti, l’uomo con il quale Giuseppe Pinelli venne messo a confronto.
Nell’ufficio di Puttomatti, Giuseppe Pinelli venne ucciso”.
Forse a comporre tutto resta valida e sintetica la canzone “luna rossa” dei yu kung e in specie il passo che dice “ieri ho sognato del mio padrone a una riunione confidenziale, si son levati tutti il cappello prima di fare questo macello”.
E Padrone e Fascismo sono binomio indissolubile dal 1919 quando sotto certi aspetti (e per semplificare) le condizioni erano uguali (biennio rosso) agli anni ’60 e a questi fatti.
in direzione ostinata e contraria.
un saluto
Un fatto non mi è chiaro : perchè il martirio postumo al quale è stato sottoposto il solo Luigi Calabresi , che ovviamente non ho mai ritenuto completamente “innocente” , mentre gli altri tipo questo Puttamatti sono stati protetti e coperti ? Capisco che possa rientrare nella logica agghiacciante del potere di questa oscena Repubblica ma , ripeto : perché SOLO lui ?
https://it.scribd.com/document/100049008/Massimo-Giraudo-OMICIDIO-CALABRESI-Analisi-degli-elementi-suscettibili-di-essere-interpretati-quali-indicativi-di-un-assassinio-derivativo