RESOCONTI TESTIMONIALI DI EX PRIGIONIERI DI SOBIBOR, PARTE 2A
Di Thomas Kues, 2008
Dov Freiberg
La seconda parte della mia serie di articoli sui resoconti testimoniali lasciati da ex prigionieri ebrei del presunto campo di sterminio di Sobibor la dedicherò ad un singolo testimone oculare, e cioè Dov Freiberg (conosciuto anche come Ber o Berale Freiberg). Freiberg nacque a Varsavia nel 1927. La sua famiglia visse nel ghetto di Varsavia fino al gennaio 1941, quando essi vennero reinsediati nel ghetto di Turbin vicino Lublino, dove rimasero fino al maggio 1942, quando vennero portati a Zolkiewka e da lì a Sobibor passando per Krasnystaw. Dopo la guerra, Freiberg emigrò in Palestina sulla nave illegale Exodus. Egli poi andò a combattere nella israeliana “guerra di indipendenza” del 1948 come pure nella guerra dei sei giorni del 1967 e nella guerra dello Yom Kippur del 1973.
Nel seguente articolo, analizzerò vari resoconti lasciati da Freiberg, nell’ordine cronologico interno delle sue memorie. Nella mia critica utilizzerò quattro resoconti di Freiberg:
- Il protocollo ufficiale della testimonianza di Freiberg al processo Eichmann di Gerusalemme del 1960[1].
- Un breve resoconto scritto pubblicato da Miriam Novitch nel 1980; data di stesura sconosciuta, probabilmente risalente agli anni ’70.
- L’autobiografia To Survive Sobibor, originariamente pubblicata in ebraico nel 1988.
- Un’intervista trovata nel libro giapponese Yoru no Kioku (“Memorie della notte”, 2005) di Aiko Sawada. Questa intervista venne condotta nella casa di Freiberg a Ramle, in Israele, il 16 agosto 1999.
La deportazione a Sobibor
Nel Testo A come pure nel Testo C Freiberg non riferisce la data esatta della sua deportazione a Sobibor: ci viene solo detto che ebbe luogo nel maggio 1942. Nel Testo B d’altro canto la data è precisata come 15 maggio 1942[2].
Nel Testo C viene riferito come gli altri deportati nel carro bestiame provarono una grande euforia quando capirono che non stavano andando a Lublino. Freiberg scrive:
Io in realtà volevo andare a Lublino, perché avevo ancora la speranza di poter andare da lì a Varsavia, ma ora capii perché era una buona cosa che non stavamo andando lì: perché a Lublino c’era un campo di concentramento chiamato Majdanek, e le persone avevano raccontato storie di cose terribili che succedevano lì[3].
Sembra strano qui che gli altri deportati ebrei alla metà di maggio del 1942 avessero sentito dicerie di “cose terribili” che accadevano a Majdanek. Fino a quella data, il campo aveva ammesso solo approssimativamente 18.000 prigionieri, circa la metà di essi ebrei. Questi ebrei erano tuttavia in maggioranza ebrei slovacchi e cechi inviati su treni dalla Slovacchia e dal Protettorato di Boemia e Moravia, non ebrei polacchi o ebrei stranieri alloggiati nei ghetti polacchi[4]. Inoltre, le presunte gasazioni omicide a Majdanek presuntivamente non cominciarono al più presto prima del 25 luglio 1942. Come avrebbero potuto le non esistenti camere a gas di Majdanek suscitare voci tra gli ebrei polacchi già in maggio? È evidente che non potevano, e se leggiamo la testimonianza del 1960 scopriamo che le “cose terribili” consistevano nel lavoro duro e quindi nelle relative sofferenze:
Anche quando si trovava nei sovraccarichi vagoni merci, la gente era contenta di non viaggiare nella direzione di Lublino, l’ubicazione del campo di Majdanek, che a quei tempi era considerato un campo di lavoro duro […][5]
Il primo giorno nel campo
Nella sua testimonianza al processo Eichmann, Freiberg disse alla corte di Gerusalemme che lui e gli altri uomini del suo trasporto avevano trascorso la loro intera prima notte al campo (essendo arrivati la sera precedente), accovacciati nel cosiddetto cortile-spogliatoio. Secondo il Testo B, Freiberg e l’altro uomo “trascorsero la notte seduti sulla piattaforma”[6]. In C e D, gli uomini sono costretti a sedersi per terra “in una lunga baracca coperta da un tetto”[7].
Al mattino, i deportati maschi vengono selezionati per il lavoro. Il commando di lavoro di Freiberg canta un canto polacco e un uomo delle SS ordina loro in modo aggressivo di continuare a cantare. Nel Testo B, Paul Groth è questo uomo delle SS, mentre nel Testo C è Karl Frenzel[8].
Quando iniziò Freiberg a credere alle camere a gas?
Quando (presumibilmente) si rese conto il testimone che il campo in cui era arrivato non era un campo di transito, come la scritta all’ingresso del campo indicava, ma una fabbrica della morte?[9] I resoconti differiscono su questo punto. Nel Testo A viene affermato che:
All’interno del campo, eravamo già a poche centinaia di metri di distanza dalle camere a gas e, nondimeno, nel corso di due settimane, o forse di più, i tedeschi erano ancora riusciti ad ingannare persino noi.
Nel Testo B non viene detto nulla sull’argomento in questione. Nel Testo C ci viene detto che tre giorni dopo il suo arrivo a Sobibor, Freiberg udì delle grida dall’altro lato della foresta che separava il Lager II e il Lager III, e che in questo istante tutte “le speranze che le persone che erano arrivate con noi e che erano scomparse fossero ancora vive evaporarono”[10]. Nel Testo D, Freiberg dice al suo intervistatore giapponese che egli lavorò per almeno una settimana “vicino alla camera a gas senza capire nulla”. Poi improvvisamente, per qualche ragione non specificata, egli capì in che genere di campo era e disse Kaddish per la sua famiglia.
Il curioso elenco di Gustav Wagner
Gustav Wagner
Nel Testo C Freiberg ricorda un episodio che a prima vista può sembrare banale o inspiegabile, ma che potrebbe in realtà essere una delle parti più importanti del suo resoconto:
Una domenica pomeriggio, Wagner entrò nelle nostre baracche di buon umore, e pazientemente e con magnanimità mise per iscritto i dettagli di ognuno – nome, età, luogo di nascita – tutto il tempo facendo battute come: “Quando sei nato? Dove sei nato? Perché sei nato?”. Quando gli dissi che il mio nome era Berale, egli non fu d’accordo e provò a pensare un altro nome per me, dicendo infine: “Scriverò ‘Boris’, sei d’accordo?”. Io naturalmente fui d’accordo.
Quando Wagner se ne andò, ci riunimmo e discutemmo sul motivo per cui era venuto e aveva fatto un elenco di noi tutti in dettaglio. C’era un sentimento che il nostro essere stati elencati ci aveva garantito uno status speciale, e qualcuno lo vide come un segno che lo sterminio sarebbe cessato. Era vero che per due settimane nessun trasporto era arrivato…e forse i tedeschi ci avrebbero mandato a lavorare in Germania?
Fu un’illusione passeggera. Era vero il contrario: l’attività di espansione nel campo dimostrava un esteso piano di sterminio, e non c’era nessuna possibilità che i tedeschi ci avrebbero lasciato vivere. Sapevamo che, a parte le SS, nessuno che entrava a Sobibor ne usciva vivo[11].
Perché in realtà le SS al campo si sarebbero prese la briga di fare un tale elenco? Il contesto più ampio ci può fornire una traccia. Freiberg scrive nello stesso testo che c’era stata “una pausa dei trasporti” all’epoca. Secondo l’ipotesi revisionista avanzata da Graf e Mattogno, i deportati che raggiungevano i campi Reinhardt venivano divisi in tre gruppi: il grosso dei trasporti, veniva deportato nei territori orientali occupati; un gruppo più piccolo veniva inviato nei campi di lavoro del Governatorato Generale; e infine un numero esiguo di ebrei veniva selezionato per il lavoro nel campo stesso. In tale contesto sembra probabile che i campi Reinhardt ricevessero regolarmente “ordini” di manodopera da campi più piccoli e più grandi ubicati nella loro parte del Governatorato Generale. Durante una penuria di deportati, come in questo caso causata dalla ristrutturazione e dall’espansione delle presunte installazioni omicide (che può in realtà essere stata l’opera di costruzione di nuovi bagni e di impianti di disinfestazione), le SS nel campo forse ricevettero pressioni dall’esterno per fornire lavoratori, e alla fine decisero di inviare alcuni detenuti del loro campo. L’elenco di Wagner può semplicemente essere stato una preparazione per tale trasporto, che venne poi per qualche ragione cancellato.
È interessante notare che Moshe Bahir scrive le seguenti considerazioni sulla funzione di Gustav Wagner a Sobibor:
I suoi doveri al campo erano molti e variati: contare gli ebrei che arrivavano con i trasporti, selezionare quelli abili al lavoro, concentrare gli oggetti di valore degli arrivi. Egli era responsabile di tutto il lavoro amministrativo al campo e, in particolare – inviare le miriadi alle camere a gas[12].
Ora secondo la stessa fonte il lavoro di Wagner non consisteva solo nel contare il loro numero ma anche nel registrare gli arrivi:
Noi venimmo portati al Lager n°1. Qui c’era il comandante supremo, l’Oberscharführer Gustav Wagner. Tra i suoi altri doveri c’era la compilazione del registro delle vittime e la separazione degli uomini, che venivano posti in file sul lato destro, dalle donne e dai bambini, che venivano posti sulla sinistra[13].
Tuttavia ci viene detto dagli storici ortodossi che solo pochi lavoratori specializzati tra i deportati venivano selezionati dopo che si erano offerti spontaneamente, e che nessun conteggio o registrazione venivano fatti delle vittime nei “campi della morte”.
Il testimone di Sobibor Hershel Zukerman (cf. la parte prima di questa serie di articoli) scrisse che
Ogni pochi minuti alcuni uomini delle SS si avvicinavano e chiedevano chi tra noi era un calzolaio, un sarto ecc. Le persone credevano che valesse la pena di apparire come un lavoratore specializzato e perciò rispondevano. Poi essi marciavano in gruppi di 300-400 uomini che credevano di essere inviati in un campo di lavoro. In realtà venivano portati direttamente al Campo III, alle camere a gas[14].
Se le SS come viene presunto, selezionavano i nuovi lavoranti schiavi di cui c’era bisogno al momento del loro arrivo e inviavano i rimanenti deportati direttamente alle camere a gas, perché avrebbero dovuto prendersi la briga di selezionare un altro gruppo di uomini, solo per inviarli parimenti alle camere a gas? Dovremmo intenderlo come una sorta di tiro mancino?
Yitzhak Arad commenta sulla testimonianza di Zukerman che “da alcuni dei trasporti, tuttavia, giovani uomini e donne vennero in effetti selezionati e inviati in campi di lavoro a Ossowa, Sawin, e Krychow, che non erano lontani da Sobibor”. Secondo Arad questi uomini e donne ammontavano a “poche centinaia di persone” e vennero riportati indietro diversi mesi dopo, ma di tutto ciò non viene fornita nessuna prova se non testimonianze oculari[15]. Potrebbe darsi che gli uomini che Zukerman sostiene fossero stati portati nel Lager III furono in realtà inviati nei campi menzionati da Arad, o presso stabilimenti lavorativi anche più vicini a Sobibor, come quelli a Wlodawa?
Abbiamo qualche vaga indicazione che forse tutti o la maggior parte dei deportati nei campi Reinhardt, almeno per ciò che riguarda i maschi, vennero registrati all’arrivo. Nel rapporto su Treblinka pubblicato dal movimento di resistenza del ghetto di Varsavia il 15 novembre 1942, ci viene detto:
Per far credere agli ebrei che la vera classificazione secondo i mestieri avrebbe avuto luogo nel piazzale di arrivo per inviare gruppi di lavoro, essi collocarono piccole scritte con le diciture: Sarti, Calzolai, Carpentieri, ecc. Non c’è bisogno di dire che una tale selezione non ebbe mai luogo[16].
Il rapporto Silberschein su Treblinka, datato dal 1944, afferma che:
[…] per illudere la convinzione in queste promesse che tutto andava bene, i tedeschi avevano istituito un ufficio nella stazione ferroviaria, dove ogni nuovo arrivato doveva presentarsi e riferire la propria formazione professionale. Dopo l’adempimento di queste “statistiche”, le persone venivano portate al campo e all’inizio inviate solo ai bagni di disinfezione[17].
Alle predette tracce titillanti di una storia sepolta possiamo ora aggiungere le dichiarazioni di Dov Freiberg e Moshe Bahir.
Un insolito cumulo di sabbia
La maggior parte dei revisionisti probabilmente conoscono le montagne di scarpe e di vestiti di Kurt Gerstein, che si ergevano 30 o addirittura 40 metri sopra il terreno. Dov Freiberg ci presenta un’analoga stranezza, un po’ più piccola e meno assurda, ma nondimeno una fandonia. La seguente osservazione ebbe presuntivamente luogo quando il testimone lavorava nel Waldkommando (i lavoranti della foresta):
[…] Continuammo a marciare attraverso la foresta. Dopo circa cento metri, vedemmo un recinto di filo spinato sulla sinistra e, dietro di esso, un cumulo di sabbia bianca alto circa venti metri. I cumuli di sabbia sono insoliti in una foresta, e in effetti il cumulo sembrava sospetto[18].
Accantonando la questione se i cumuli di sabbia sono insoliti nelle foreste o no, potremmo far notare che cumuli di sabbia alti venti metri – un cumulo alto come un edificio di sette piani – sono insoliti dovunque (e inoltre occuperebbero molto terreno). Ci si può anche chiedere come mai nessuno l’aveva vista prima, poiché sarebbe stata visibile sia dal Lager II che dal Lager I (ricordiamo che Bahir e altri testimoni parlano del tetto dell’edificio di gasazione come visibile sopra gli alberi, nonostante questo fosse un edificio ad un piano).
Le presunte decapitazioni di massa nel Lager III
Sembra che quando si tratta di accuse e di dicerie bizzarre, Freiberg abbia sempre un asso in più nella manica. Così nessuno si dovrebbe sorprendere quando egli afferma che le SS punivano i prigionieri per un presunto piano di fuga – decapitandoli. Nel Testo C ci viene detto di come un ebreo olandese soprannominato Der Kapitan (“Il Capitano”) progettò dei piani per una fuga, e di come egli venne scoperto e frustato. Quando egli non fornì i nomi dei suoi complici a Wagner, quest’ultimo minacciò di far decapitare tutti i prigionieri del suo blocco, con Der Kapitan per ultimo. Freiberg ci informa che lì vivevano “circa settanta uomini”, tutti ebrei olandesi, nel blocco di Der Kapitan[19]. Il prigioniero torturato non cedette, così Wagner ordinò che lui e gli ebrei del suo blocco si mettessero in marcia. Freiberg poi ci dice:
Dopo, scoprimmo che Wagner aveva mantenuto la parola: tutti quegli uomini era stati decapitati nel Lager III[20].
Nel Testo C il premuroso Freiberg risparmia ai suoi lettori i macabri dettagli della diceria. Non scopriamo quale arma venne usata per l’esecuzione – un’accetta per tagliare la legna? Una sciabola ucraina? – o, per questo, perché i tedeschi si sarebbero presi il disturbo di effettuare l’uccisione di settanta persone in questo modo alquanto difficile e dispendioso in termini di tempo? Nel Testo B veniamo almeno ragguagliati della ragione dietro la scelta di un metodo di uccisione così medioevale. Le vittime, ci viene detto, vennero decapitate “per risparmiare pallottole”[21].
Ma c’è qualcosa di più bizzarro. Freiberg afferma, presumibilmente basandosi su una diceria, che l’esecuzione venne fotografata dalle SS, nonostante l’accusa che alle SS fosse rigorosamente proibito di scattare foto dentro i campi Reinhardt[22]. In una nota al testo Freiberg scrive:
Dopo la guerra, un uomo delle SS con il nome di Novak venne catturato, e una ricerca della sua casa rivelò le fotografie delle decapitazioni nel Lager III[23].
Al processo Eichmann, il testimone dichiarò che
[…] dopo la guerra, vi furono prove di un giovane uomo che adesso è all’estero, che egli catturò il tedesco che era responsabile, Novak – egli era nella zona russa – essi cercarono la sua casa e trovarono ogni sorta di fotografie; tra le fotografie che trovarono c’era un’immagine della decapitazione.
Curiosamente, la corte di Gerusalemme non cercò di ottenere più informazioni da Freiberg riguardo a questa notevole scoperta. E parlando di cose notevoli, il SS-Scharführer Anton Novak fu ucciso durante la rivolta dei prigionieri di Sobibor il 14 ottobre 1943, fatto che avrebbe reso piuttosto difficile per chiunque arrestarlo dopo la guerra.
Possiamo essere quasi certi che se una foto che mostrava delle decapitazioni a Sobibor fosse stata trovata a casa di Novak, o in quella di qualche altra ex guardia di Sobibor, sarebbe stata conosciuta e ampiamente divulgata dai vari media. Poiché non risulta che esistano altro foto del Lager III di Sobibor, la scoperta di una tale prova fotografica sarebbe stato un fatto sensazionale notato da tutti gli studiosi della materia. Poiché tuttavia nessuno tranne Freiberg sembra sapere nulla di questa foto, possiamo tranquillamente assumere che abbiamo a che fare con una mera diceria – una diceria che Freiberg a quanto pare non si prese il disturbo di verificare durante i tre decenni che trascorsero tra il processo Eichmann e la pubblicazione originale in ebraico di To Survive Sobibor.
Barry il cane diavolo
Il cane Barry
Tra le sofferenze che presuntivamente afflissero i detenuti di Sobibor c’erano le zanne del demoniaco San Bernardo Barry (da non confondersi con il suo più giovane fratello Cujo). Nel Testo A questa abominevole creatura è descritta nel modo seguente:
Il cane “Beri” di cui parlo aveva le dimensioni di un grosso vitello, e se avesse preso un uomo, quell’uomo era spacciato. Il cane lo attaccava, ed egli doveva sottomettersi. C’erano delle latrine lì. Dopo il lavoro, le persone avevano paura di sedersi lì. Il cane era molto bene addestrato; se veniva in qualunque luogo, finiva chiunque si trovasse lì.
Secondo la testimonianza di Freiberg, Barry era originariamente appartenuto ad un uomo delle SS nel Lager III soprannominato “il custode della casa dei bagni” perché soprintendeva alle (presunte) camere a gas. Freiberg non fornisce un nome nella sua testimonianza. Nel libro di Novitch, il soprannome Bademeister si dice venisse applicato ad un certo SS-Oberscharführer Erich Bauer[24]. Nel Testo C d’altro canto lo identifica con un altro SS che deve aver lavorato con le camere a gas, il SS-Oberscharführer Kurt Bolender[25]. Secondo Freiberg, Barry venne in seguito dato dal “custode della casa dei bagni” al SS-Unterscharführer Paul Groth, che faceva in modo che il cane attaccasse i detenuti, dicendogli “Beri, mio uomo, afferra quel cane – Beri, tu agisci al posto mio”. Freiberg inoltre ci dice:
Parlando in generale, assai poche delle persone che erano state sbranate dal cane rimanevano vive, poiché i tedeschi non potevano sopportare persone ferite, persone malate. Venni morso due volte da quel cane – porto ancora i segni sul mio corpo. Per caso – e tutto era una questione di caso – rimasi vivo.
Come al solito nelle storie dell’Olocausto, il testimone è una sorta di magnete che attira il miracolo. Nel Testo C leggiamo che Barry morse Freiberg sulla coscia: “i suoi denti affondarono nella mia coscia fino a quando li sentii arrivare all’osso”[26].
Anche se il resoconto di Freiberg può non essere interamente (perdonate il gioco di parole) una “shaggy dog story” (una storiella interminabile con un finale assurdo), è stato certamente esagerato. Sappiamo questo perché Barry venne in seguito portato a Treblinka, dove Kurt Franz era il suo nuovo padrone. Franz, a cui a quanto pare gli animali piacevano, scattò diverse foto di Barry. Una di esse mostra il cane davanti alla porta di una baracca, il che ci permette di valutare le sue dimensioni[27]. Il vero Barry era un cane di dimensioni perfettamente normali e non apparteneva nemmeno agli esemplari più grandi della sua razza. Egli non aveva “le dimensioni di un grosso vitello” come Freiberg testimoniò davanti alla corte di Gerusalemme[28]. Questo dovrebbe fornire una traccia della relazione del testimone con i fatti.
Contatti con il Lager III
In nessuno dei testi Freiberg esplicitamente menziona nessuna lettera fatta uscire di nascosto dal Lager III. Tuttavia, leggiamo nel Testo A:
Risposta: Sapevamo che Himmler stava per venire. L’intero campo sapeva. Anche i tedeschi lo dicevano. Era risaputo. Essi andarono direttamente al Campo 3. Questo fu in un’epoca in cui non c’erano trasporti. Fu dopo che essi avevano fatto rinnovamenti e avevano accresciuto la capienza del campo. Avevano portato diverse centinaia di donne dal campo di lavoro e le avevano tenute lì per qualche giorno. Non appena il gruppo arrivò, essi misero le donne nelle camere a gas. Himmler, insieme al suo entourage, venne lì per vedere com’era.
Domanda: Ma questo lei non lo sa, perché non eravate lì.
Risposta: Avevamo contatti con il Campo 3. Ricevevamo informazioni su di esso.
Associato ai resoconti testimoniali di Bahir e di Cukierman, questo implicherebbe che delle lettere venivano fatte uscire di nascosto dal “campo della morte” vero e proprio più o meno in modo periodico – cioè, se le lettere fossero state effettivamente scritte nel Lager III.
Aneddoti e assurdità assortiti
Come così tanti altri sopravvissuti dell’Olocausto, Freiberg sopravvisse contro ogni pronostico. Questo diventa specialmente chiaro quando egli scrive nel Testo C che “centinaia di altri lavoranti venivano uccisi quotidianamente durante i mesi che trascorsi nel campo e vennero sostituiti da altri”[29]. Poiché i prigionieri lavoranti nel Lager I e nel Lager II – i sotto-campi in cui si muoveva Freiberg – ammontavano approssimativamente a 600, si può in effetti dire che il testimone ha sconfitto le probabilità di sopravvivenza[30].
La crudele e sadica ingegnosità delle guardie SS non conosceva limiti, secondo Freiberg. Tra le altre cose, i tedeschi ordinavano ai prigionieri di mangiare sapone e profumi[31]; ordinavano ad altri di radere solo il lato sinistro delle loro facce e teste[32]; fecero indossare ad un prigioniero un’uniforme assurda, dandogli il titolo di “Governatore Generale” e costringendo gli altri prigionieri a salutarlo[33]; costrinsero degli ebrei a fare i paracadutisti con ombrelli da un tetto alto sei metri[34]; costrinsero un prigioniero a correre per quattro giorni comportandosi come un cane[35]; e organizzarono caccie ai topi, con i roditori catturati ficcati poi dentro i pantaloni chiusi di cinque prigionieri che dovevano rimanere immobili[36].
Freiberg scrive anche di un soldato tedesco che era stato inviato su un treno di deportazione dall’Olanda a Sobibor perché era stato [trovato] con la famiglia della sua ragazza ebrea quando gli ebrei furono rastrellati. Quando egli mostrò i suoi documenti e chiese di parlare con un ufficiale, Wagner lo condusse al Lazzaretto e gli sparò – secondo Freiberg[37].
Vestiti puliti per i gasati
L’intervista giapponese con Freiberg contiene il seguente notevole passaggio:
Allora un giorno, vidi dei soldati tedeschi che sistemavano i vestiti dei bambini. Quella volta io e alcuni altri chiedemmo loro: “Cosa fate con i vestiti dei bambini?” a cui essi semplicemente replicarono: “Non vi preoccupate”.
Un’altra volta alcune persone ricevettero vestiti nuovi e vennero inviate al bagno con doccia. “Voi lavorerete per noi in fabbriche tedesche, ma prima andrete a fare una doccia”, i soldati tedeschi dissero loro. Fino ad allora erano stati severi, ma ora essi improvvisamente erano diventati amichevoli mentre porgevano loro abiti e dicevano che potevano usare le docce. Lo trovai molto sospetto[38].
La parte sui soldati tedeschi che sistemano i vestiti dei bambini è curiosa, a causa dell’affermazione che tutto il lavoro di sistemazione dei vestiti delle vittime veniva effettuato da detenuti ebrei. Perché i tedeschi si presero il disturbo di svolgere un tale lavoro? Questo rimane misterioso, ma può avere qualche relazione con la parte che segue.
Nei resoconti dei testimoni oculari dei campi Reinhardt, si legge talvolta di vittime cui vengono consegnati pezzi di sapone o anche asciugamani nel percorso che porta alle camere a gas. Tuttavia, a conoscenza del sottoscritto, nessun altro testimone di Sobibor, né degli altri due campi Reinhardt, ha menzionato vestiti consegnati alle vittime come parte del presunto inganno (inoltre, l’idea di guardie tedesche che si prendono il disturbo di procurare nuovi vestiti puliti per amore di un inganno momentaneo colpisce come curioso). Questo rende l’aneddoto anche più vistoso, e dà l’impressione di essere qualcosa come un “lapsus freudiano”.
Nella sua testimonianza del 1960, Freiberg asserì:
Essi dissero che tempo due o tre settimane saremmo stati riuniti con le nostre famiglie. Ma noi vedemmo i loro effetti personali, la mattina seguente in cui lavorammo con loro. Essi [le SS] affermarono che distribuivano altri vestiti, e che dal Campo n°3 i treni partivano per l’Ucraina.
All’epoca Freiberg a quanto pare non pensò che valesse la pena di menzionare davanti alla corte di Gerusalemme che egli stesso aveva visto le SS distribuire abiti nuovi alle presunte vittime delle camere a gas. Egli parimenti non si prese il disturbo di spendere una parola per raccontare di nuovo l’accaduto in To Survive Sobibor, nonostante le 108 pagine dedicate in esso alla sua permanenza al campo. Può essere che Freiberg fosse meno guardingo nel 1999 quando venne intervistato da un intervistatore di una nazione lontana e non occidentale?
Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: https://codoh.com/library/document/646/?lang=en
[1] Disponibile in rete all’indirizzo: http://www.nizkor.org/hweb/people/e/eichmann-adolf/transcripts/Sessions/Session-064-04.html
[2] Miriam Novitch, Sobibor. Martyrdom and Revolt, The Holocaust Library, New York 1980, p. 73.
[3] Dov Freiberg, To Survive Sobibor, Gefen Books, Lynbrook (NY) 2007, p. 187.
[4] Carlo Mattogno & Jürgen Graf, Concentration Camp Majdanek. A Historical and Technical Study, Theses & Dissertations Press, Chicago 2003. pp. 44-45.
[5] Il processo di Adolf Eichmann, Volume III, Sessione 64.
[6] Novitch, p. 73.
[7] Freiberg, p. 190; Aiko Sawada, Yoru no Kioku – Nihonjin ga kiita Horokousuto seikansha no shougen, Sougensha, Osaka 2005, pp. 301-302. Traduzioni dell’autore.
[8] Novitch, p. 74; Freiberg p. 193.
[9] Freiberg, p. 201. Nella sua testimonianza del 1960, Freiberg affermò che la parola utilizzata nella scritta, che egli aveva visto mentre lavorava all’esterno del campo, era Umsiedlungslager (Campo di reinsediamento).
[10] Freiberg, p. 196.
[11] Ivi, pp. 223-224.
[12] Novitch, p. 149.
[13] Ivi, p. 144.
[14] Hershel Zukerman come citato in Arad, p. 78.
[15] Ivi, pp. 78-79.
[16] Citato in Carlo Mattogno & Jürgen Graf, Treblinka. Extermination Camp or Transit Camp?, Theses & Dissertations Press, Chicago 2003, pp. 55-56.
[17] Citato in ivi, p. 60.
[18] Freiberg, pp. 219-220.
[19] Nel Testo A d’altro canto c’è scritto che essi erano ottanta.
[20] Freiberg, p. 276.
[21] Novitch, p. 75.
[22] Yitzhak Arad, Belzec, Sobibor, Treblinka. The Operation Reinhard Death Camps, Indiana University Press, Bloomington 1987, p. 18.
[23] Freiberg, p. 276, nota 1.
[24] Novitch, p. 137. Bauer venne arrestato poco dopo la guerra e nel 1950 condannato a morte per le sue presunte attività a Sobibor. Quando la pena capitale venne messa fuori legge nella Germania occidentale la sua condanna a morte venne commutata nel carcere a vita. Egli morì in una prigione di Berlino nel 1980.
[25] Freiberg, p. 196, 204. Bolender presuntivamente commise suicidio in una prigione della Germania occidentale nel 1966, poco prima che la sua sentenza venisse pronunciata.
[26] Freiberg, p. 204.
[27] In rete: http://www.holocaustresearchproject.org/ar/treblinka/treblinkagallery/Barry%20the%20%20dog%20in%20Treblinka%20.html
[28] In To Survive Sobibor il cane è parimenti descritto come “grande come un vitello” (p. 189).
[29] Freiberg, pp. 260-261.
[30] Cf. Arad, p. 333.
[31] Freiberg, p. 214.
[32] Ivi, p. 215.
[33] Ivi, p. 213.
[34] Ivi, p. 227.
[35] Ivi, p. 226.
[36] Ivi, p. 227.
[37] Ivi, p. 261
[38] Sawada, p. 303.
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